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sabato 23 gennaio 2016

LA VELATA CENSURA DELLA BOLLA DI PAPA PAOLO IV "CUM EX APOSTOLATUS OFFICIO"....

IL «MYSTERIUM INIQUITATIS» CHE ERESSE L’«ALTRA ROMA»

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...Pertanto, a nessun uomo sia lecito infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia.
Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Data a Roma, in San Pietro, nell’anno 1559 dall’Incarnazione del Signore, il giorno 15 marzo, IV anno del Nostro Pontificato.
 
† Io Paolo
Vescovo della Chiesa Cattolica
 
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L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele

Poiché il «Mistero d’iniquità» – alla base della crisi cattolica – era già quello di cui parlava San Paolo, in atto dai tempi apostolici, la lotta contro le sue trame risale alla nascita della Chiesa. È la lotta di difesa della Fede contro cui si scaglia da sempre il Nemico di Dio e degli uomini con ogni mezzo.
Quale è il primo obiettivo dei nemici di Gesù Cristo e della sua Chiesa?
Il Tridentino dichiara a tal rispetto: “Il Simbolo della Fede è il principio cui quanti confessano la Fede in Cristo convengono necessariamente; è il fondamento fermo e unico, contro il quale le porte dell’inferno non prevarranno”.
La Fede è il fondamento indistruttibile della Chiesa e rimarrà, certamente, intatta; ma, in un certo momento storico, rimarrà salda soltanto in un «resto» al margine delle grandi strutture ufficiali. Perciò la domanda di Gesù: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla Terra, troverà ancora la Fede?” (Lc 18, 8).
Il Signore pone questa domanda sapendo di aver istituito nella Chiesa un capo per rappresentarLo confermando la Fede. Quindi, sembra chiaro che la Fede può non essere confermata alla fine per mancanza di questo suo Vicario.
Una volta perso il Capo, così come descritto in Daniele, Matteo e Marco (chi ha letto avrà prestato attenzione!), quelli del piccolo resto, riusciranno ancora a conservare la Fede? È il dilemma del nostro tempo, riguardante il sommo danno della vacanza nella Sede Pontificale.
Questo danno, il più grave per la protezione della Fede, è dovuto all’azione del nemico infiltrato nel «Luogo santo», il «Mistero d’iniquità» che avrebbe potuto
essere affrontato applicando le misure cautelari prescritte nella legge della Chiesa. Questa, essendo perfetta, ha leggi per ogni evenienza, ma poiché deve essere applicata proprio dagli uomini di Chiesa, può non essere raggirata.
La Bolla «Cum ex» di Paolo IV, fu emanata proprio per ricordare quanto è alla base dell’autorità nella Chiesa: la Fede, per cui per esercitarla è condizione che il chierico la professi, prima e dopo. Ma proprio questa realtà basilare è stata avversata, per impedire ai fedeli di ricorrere alla legge fondata sulla Fede: “tanto da ingannare, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24-24)

Vicissitudini della Costituzione Apostolica di Papa Paolo IV
Pur conoscendo quali fossero le condizioni speciali della congiuntura storica che esigeva questa legge per evitare allora la rovina della Chiesa, Paolo IV prevedeva con la massima prudenza, la sua applicazione in ogni tempo.
Quindi, provvede a porre quanti argini possibili a qualsiasi nuova situazione venutasi a creare dentro la Chiesa, cercando di provvedere secondo quanto già scritto nei Sacri Testi, quanto poteva avvenire una volta che i nemici avessero riorganizzato le file per i tempi finali come quelli odierni, che nomina – Abominazione della Desolazione. Lo stesso fa San Pio V.
Nella sua legge, offre e prescrive ai suoi successori le misure adeguate per scongiurarla. È il piano globale d’azione: la cacciata delle volpi intenzionate a distruggere la «Vigna del Signore», e l’allontanamento dei lupi dal gregge.

 https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2b/Pope_Paul_IV.PNG

«Con delle misure generali, si rende impossibile a degli eterodossi la loro infiltrazione nella Gerarchia ecclesiastica d’ogni grado, tanto di “volpi” – teologi, esegeti, parroci e sacerdoti in genere tra i giovani del gregge di Cristo – quanto ai “lupi”, tra quelli della classe episcopale. E poi all’Archi-lupo elevato a sommo Pastore, di cui fa menzione molto speciale dall’inizio nella Bolla.

Non deve stupire se insiste esaustivamente nel testo sui diversi gradi della Gerarchia per scongiurare l’infiltrazione al vertice. Fintanto che questo resterà incontaminato, il gregge nel suo insieme godrà buona salute; al contrario, la rovina sarà inevitabile. Paolo IV ha sempre in mente il pericolo e la possibilità che – pare proprio lo preveda – un eterodosso salga al Sommo Pontificato. Teme tale rischio e, cosciente del suo gravissimo dovere, s’impegna a impedirlo a costo di crearsi dei nemici. «Una volta messo in rilievo, nell’Introduzione della Bolla, il motivo e l’oggetto della Costituzione, nel primo paragrafo già mira al Capo Supremo del gregge di Gesù Cristo, di cui è Vicario. E spiega tale impegno per evitare che arrivi al vertice della Chiesa chi potrebbe diventare un Archi-lupo, con conseguenze fatali per tutto il gregge.
«Perciò inizia il paragrafo con queste parole: “Considerantes huiusmodi rem adeo gravem…” ossia,“riteniamo siffatta materia talmente grave e pericolosa, che lo stesso Romano Pontefice… se riconosciuto deviato dalla Fede possa essere redarguito”.
In vista di questo maggior pericolo si devono prendere drastiche misure cautelari affinché non succeda, – Ubi maius intenditur periculum – che un falso profeta arrivi ai greggi (fatto tanto più dannoso e corrosivo, quanto più alta sia la dignità usurpa). «In questo documento principale, si prescrivono misure assolutamente efficaci che avrebbero impedito l’attuale crisi ecclesiale; tuttavia, è giusto e doveroso insistere a dirlo, non si fece mai ricorso alcuno a questa legge. Sarebbe forse la questione dell’autorità nella Chiesa divenuta tabù?
«È vero che tale Legge evitò l’ascesa alla Suprema dignità del sospetto Morone a causa della fermezza del Cardinal Ghislieri, divenuto San Pio V che, ricorrendo alla Bolla di Paolo IV, impedì la sua elezione. Una volta che accettò d’essere eletto lui Papa, per evitare quel rischio, fu zeloso difensore della Fede in ogni campo e, come il suo predecessore Paolo IV, anche egli fu pienamente cosciente della somma importanza di questa Legge, che ratifica sette anni dopo la sua promulgazione, ordinando che sia osservata «ad unguem», ossia, con ogni zelo (Cf. Motu proprio “Inter ultiplices”).
«Morto, però, San Pio V, pare che la Cum ex sia stata tralasciata.
Nessuno poteva mandarla in deroga. Tuttavia, è stata da allora silenziata, preterita, fino a quando, nei nostri tempi è stata ferocemente impugnata e attaccata. Ora solo un piccolissimo gruppo l’ha reiterata e fatta oggetto di studi, analisi, deduzioni e controdeduzioni, come si evince da questo lavoro, che in un certo verso ne costituisce un manifesto insostituibile per la fine dei tempi, per una resilienza cattolica e per affrontare la grande apostasia.

Pezzo principale per l’efficace difesa della Fede nella Chiesa, che avrebbe dovuto essere tema costante per commenti e minuziosa casistica di canonisti e teologi, rimase come non esistente, e nella migliore delle intenzioni come nascosta in un sottoscala o nella soffitta della nonna; come oggetto di una congiura del silenzio. Ma la «casa» nasconde, non ruba. Così è per i documenti vitali per la Chiesa, che mai alcun uomo potrà distruggere, se di Diritto divino.
«Sarebbe stato facile, avendo per le mani questo prezioso documento, dirimere, una volta per tutte, a partire da questa Legge, la questione della possibilità di un Papa caduto in eresia, come persona privata, con le  sue conseguenze incontornabili, senza paura di perdersi in un labirinto di opinioni divergenti e contrapposte, portate fino alla contraddizione.
Come spiegare allora, la velata «censura» alla Bolla di Paolo IV?
Nella dinamica storica tutto trova le sue cause concrete, anche se questo caso rientra nel gran mistero: è il Mysterium Inquitatis. Un dominio profetizzato per una crisi finale (Cf. II Ts 2, 5-12) da cui non si fugge (Cf. Mt 26, 54).
Una profezia, prima di compiersi non si sa come avverrà, ma, una volta avverata possiamo risalire alla sua causa. Qualcuno, anzi, diceva che nulla è più inarrestabile di una profezia che stia per realizzarsi. Quindi, si può immaginarla, per i suoi frutti, qualche tempo prima che si realizzi. E se riguarda la Chiesa e i suoi vertici? Abominevole, perché compiuta dove mai avrebbe dovuto avvenire. E sarà devastante – anarchia in  tutti i campi.
Come ha potuto il Nemico trovare qualcuno che aprisse la Cittadella dal suo interno per essere assalita? Purtroppo è stato un sciagurato «chierico cattolico» a farlo…

L’attenzione sull’autorità legittima concerne da sempre il Papato
La Bolla Cum ex accusa quelli che «poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture e per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore».
Può sembrare strano che un autore di prima che fosse promulgata la Bolla Cum ex possa aver operato per impugnare i suoi principi. Ebbene, il teologo di prestigio vicino al papa olandese Adriano VI, era l’olandese Albert Pighius (volgarmente Pighi, 1490-1542), che si è insorto contro la dottrina tradizionale concernente il Papato. E la tesi del “teologo di tale papa” è divenuta la chiave per capire un processo di neutralizzazione delle questioni perenni definite dalla Bolla che dura tutt’ora, dopo aver trovato il consenso di importanti teologi quale lo stesso San Roberto Bellarmino.
Pighi nella sua opera “Hierarchiae Eclesiasticae Assertio”, introduce come un cuneo nel blocco compatto della Tradizione e contro la sentenza unanime fino ad allora di papi, teologi e canonisti, che “un papa, come persona privata, poteva sviarsi dalla Fede e cadere in eresia”. Pighi con estrema imprudenza, “sed non secundum scientiam” (Rm. 10, 2), ossia com uno zelo non conforme alla ragione cattolica, afferma: “Il Romano Pontefice mai può cadere in eresia, né in errore, nemmeno come persona privata”.
«È vero che in tal modo affrontava a tutto tondo la negazione protestante dell’infallibilità papale, ma alla fine arrivava ad affermare con la sua Tesi l’esatto contrario, andando persino contro la stessa dottrina tradizionale, che un Papa potesse essere giudicato in questioni di Fede.
In modo brusco e irato si permette ingiurie contro Graziano e maledice con parole indecenti i Canonisti tradizionali. Se la prende specialmente contro la condanna, come eretico, del Papa Onorio, contraddicendo gli atti chiari ed evidenti del VI Concilio Ecumenico (Concilio di Costantinopoli III); fondando, peraltro, le sue tesi solo in congetture arbitrarie. E per rendere tali tesi plausibili, dice che gli stessi Verbali furono falsificati, così come la Lettera di Onorio a Sergio. Per farlo, Pighi doveva anche calunniare senza ritegno i Verbali dei Concili Ecumenici VI e VII, screditando l’autorità e la fede di Concili Ecumenici. (Cf. Melchior Cano, “De Locis Theologicis, L. Sextus, Cap. VIII). Melchior Cano considera questa Tesi come opinione innovatrice nella Chiesa e la confuta ampiamente.
Ora, nonostante la documentata contestazione, questa Tesi assurda di Pighi ha fatto strada nella coscienza di molti importanti teologi e canonisti. Farà sembrare la tematica della Bolla di Paolo IV, ben come del Motu Proprio di San Pio V, come improntate in uno zelo eccessivo di pontefici autoritari che si spingono troppo sul senso canonico, in questioni di fede! Invece, per i veri Papi, l’attenzione da prestare alla fede dell’uomo che occupa la Carica di Vicario di Dio nel mondo e perciò alla sua legittimità, non è mai troppa. Infatti, si può dire che l’orribile crisi attuale dell’autorità è causata – in primis – dalla generale indifferenza verso quella sacra Carica; L stessa idea di autorità declina.
Già allora, però, il problema si presentava pure di senso in apparenza opposto, con la pietosa opinione su un’«infallibilità» del papa anche come persona privata. Ciò significava sbilanciare il potere infallibile della Carica divina nella Fede e per la Fede al condizionamento di un’ondulante fede umana.

Pighius contro Graziano? Una cosa è contestare il monaco Graziano, il Denzinger del passato, l’altra cosa è contestare il Decretale tradizionale di Graziano, che era il registro di Graziano della dottrina dei Papi e delle Costituzioni pontificie di carattere generale, contenenti norme giuridiche.
Del Corpus iuris canonici fanno parte, insieme con il Decretum Gratiani, le tre raccolte ufficiali di decreti: quelle di Gregorio IX, Bonifacio VIII e Clemente V. Il Decretum Gratiani (1) è il più importante testo di Diritto canonico del XII secolo. Raccoglie in un’unica opera una collezione di decreti, operando una rigorosa sistematizzazione con lo scopo di superare (le) numerose incoerenze dell’ordinamento canonico dell’epoca. Nel 1582 ne fu preparata, da parte dei Correctores Romani e su mandato pontificio, la revisione chiamata «romana». Fu testo di riferimento fino al 1917, anno dell’introduzione del Codice Piano-Benedettino.
Rationi Fidei dei «Decretali» di Graziano
Poiché le questioni giuridiche riguardano la Fede del Regno sociale di Gesù Cristo, la loro visione, attraverso il magistero papale, va collegata all’origine della Parola di Nostro Signore senza soluzione di continuità. Ecco il lavoro di documentazione fatto nella Chiesa, di cui Graziano fu massimo esponente.
Va ricordato che il pensiero giuridico Cattolico ha plasmato il campo della legge, in Occidente. E questo anche se il valore di ogni «testo collecto» restava legato al valore che ogni singola parte aveva prima di essere integrata nella Collezione. I testi della versione romana, perché papali, avevano un valore interpretativo preceduto da un summarium senza forza di norma giuridica. Sebbene, nei tribunali, fu resa obbligatoria la forma edita nel 1582 a Roma.
È certo che dopo il Decretum Gratiani la scienza canonistica mutò radicalmente, fornendo alla Curia Romana uno strumento giuridico di grande valore, che ne qualificò l’azione pastorale e politica, favorendone il prestigio e l’autorità universale, cattolica.
Pighius che con la sua tesi va contro Graziano, contestandone l’autenticità del Canone “Si Papa” da lui registrato, va contro il pensiero tradizionale cattolico dei Papi, che può essere riassunto dalla condanna di Onorio I e dal testo di Papa Innocenzo III che ammette la possibilità che un papa possa peccare contro la Fede, con immediate conseguenze riguardo all’autorità, che allora è passibile di giudizio.
Ma attenzione, qui si tratta di un giudizio che include la possibilità per cui il soggetto non sia un vero papa, ricordo che la Bolla «Cum ex» di Papa Paolo IV, di profetica memoria, nella sua opera per arginare i nemici interni della Chiesa e della Cristianità in ogni tempo. aggiungerà, cioè, la possibilità di errore del conclave sulla fede dell’eletto papa; questione cruciale e attualissima da vedere in seguito. Qui basta ricordare che il «Mistero d’iniquità» ha una matrice «teologale», come si è visto dalle antiche eresie, alla falsa riforma e finalmente al modernismo illuminista del Vaticano 2. Si tratta dei falsi Cristi e falsi profeti entrati attraverso un conclave nel Luogo Santo della Chiesa!
  • 1) Il Decretum è la più completa raccolta di leggi ecclesiastiche del tempo. Contiene più di 3800 testi, che riuniscono l’insieme del diritto antico che Graziano attinse da tanti importanti decreti e opere precedenti forse al Concilio Lateranense II, ma prima del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo che integra nell’opera alcuni canoni di Graziani. Nel 1582 fu preparata, da parte dei Correctores Romani e su mandato pontificio, la revisione chiamata appunto «romana».

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