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...Pertanto, a nessun uomo sia
lecito infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione,
sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con
temeraria audacia.
Che se qualcuno avesse la
presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati
Apostoli Pietro e Paolo.
Data a Roma, in San Pietro, nell’anno 1559
dall’Incarnazione del Signore, il giorno 15 marzo, IV anno del Nostro
Pontificato.
† Io Paolo
Vescovo
della Chiesa Cattolica
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L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
Poiché il «Mistero d’iniquità» – alla base della crisi cattolica –
era già quello di cui parlava San Paolo, in atto dai tempi apostolici,
la lotta contro le sue trame risale alla nascita della Chiesa. È la
lotta di difesa della Fede contro cui si scaglia da sempre il Nemico di
Dio e degli uomini con ogni mezzo.
Quale è il primo obiettivo dei nemici di Gesù Cristo e della sua Chiesa?
Il Tridentino dichiara a tal rispetto: “Il Simbolo della Fede è il principio cui quanti confessano la Fede in Cristo convengono necessariamente; è il fondamento fermo e unico, contro il quale le porte dell’inferno non prevarranno”.
La Fede è il fondamento indistruttibile della Chiesa e rimarrà,
certamente, intatta; ma, in un certo momento storico, rimarrà salda
soltanto in un «resto» al margine delle grandi strutture ufficiali.
Perciò la domanda di Gesù: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla Terra, troverà ancora la Fede?” (Lc 18, 8).
Il Signore pone questa domanda sapendo di aver istituito nella Chiesa
un capo per rappresentarLo confermando la Fede. Quindi, sembra chiaro
che la Fede può non essere confermata alla fine per mancanza di questo
suo Vicario.
Una volta perso il Capo, così come descritto in Daniele, Matteo e Marco (chi ha letto avrà prestato attenzione!),
quelli del piccolo resto, riusciranno ancora a conservare la Fede? È il
dilemma del nostro tempo, riguardante il sommo danno della vacanza
nella Sede Pontificale.
Questo danno, il più grave per la protezione della Fede, è dovuto
all’azione del nemico infiltrato nel «Luogo santo», il «Mistero
d’iniquità» che avrebbe potuto
essere affrontato applicando le misure cautelari prescritte nella
legge della Chiesa. Questa, essendo perfetta, ha leggi per ogni
evenienza, ma poiché deve essere applicata proprio dagli uomini di
Chiesa, può non essere raggirata.
La Bolla «Cum ex» di Paolo IV, fu emanata proprio per ricordare
quanto è alla base dell’autorità nella Chiesa: la Fede, per cui per
esercitarla è condizione che il chierico la professi, prima e dopo. Ma
proprio questa realtà basilare è stata avversata, per impedire ai fedeli
di ricorrere alla legge fondata sulla Fede: “tanto da ingannare, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24-24)
Vicissitudini della Costituzione Apostolica di Papa Paolo IV
Pur conoscendo quali fossero le condizioni speciali della congiuntura
storica che esigeva questa legge per evitare allora la rovina della
Chiesa, Paolo IV prevedeva con la massima prudenza, la sua applicazione
in ogni tempo.
Quindi, provvede a porre quanti argini possibili a qualsiasi nuova
situazione venutasi a creare dentro la Chiesa, cercando di provvedere
secondo quanto già scritto nei Sacri Testi, quanto poteva avvenire una
volta che i nemici avessero riorganizzato le file per i tempi finali
come quelli odierni, che nomina – Abominazione della Desolazione. Lo stesso fa San Pio V.
Nella sua legge, offre e prescrive ai suoi successori le misure
adeguate per scongiurarla. È il piano globale d’azione: la cacciata
delle volpi intenzionate a distruggere la «Vigna del Signore», e
l’allontanamento dei lupi dal gregge.
«Con delle misure generali, si rende impossibile a degli eterodossi
la loro infiltrazione nella Gerarchia ecclesiastica d’ogni grado, tanto
di “volpi” – teologi, esegeti, parroci e sacerdoti in genere tra i
giovani del gregge di Cristo – quanto ai “lupi”, tra quelli della classe
episcopale. E poi all’Archi-lupo elevato a sommo Pastore, di cui fa
menzione molto speciale dall’inizio nella Bolla.
Non deve stupire se insiste esaustivamente nel testo sui diversi
gradi della Gerarchia per scongiurare l’infiltrazione al
vertice. Fintanto che questo resterà incontaminato, il gregge nel suo
insieme godrà buona salute; al contrario, la rovina sarà
inevitabile. Paolo IV ha sempre in mente il pericolo e la possibilità
che – pare proprio lo preveda – un eterodosso salga al Sommo
Pontificato. Teme tale rischio e, cosciente del suo gravissimo dovere,
s’impegna a impedirlo a costo di crearsi dei nemici. «Una volta messo in
rilievo, nell’Introduzione della Bolla, il motivo e l’oggetto della
Costituzione, nel primo paragrafo già mira al Capo Supremo del gregge di
Gesù Cristo, di cui è Vicario. E spiega tale impegno per evitare che
arrivi al vertice della Chiesa chi potrebbe diventare un Archi-lupo, con
conseguenze fatali per tutto il gregge.
«Perciò inizia il paragrafo con queste parole: “Considerantes huiusmodi rem adeo gravem…” ossia,“riteniamo siffatta materia talmente grave e pericolosa, che lo stesso Romano Pontefice… se riconosciuto deviato dalla Fede possa essere redarguito”.
In vista di questo maggior pericolo si devono prendere drastiche misure cautelari affinché non succeda, – Ubi maius intenditur periculum – che un falso profeta arrivi ai greggi (fatto tanto più dannoso e corrosivo, quanto più alta sia la dignità usurpa). «In
questo documento principale, si prescrivono misure
assolutamente efficaci che avrebbero impedito l’attuale crisi
ecclesiale; tuttavia, è giusto e doveroso insistere a dirlo, non si fece
mai ricorso alcuno a questa legge. Sarebbe forse la questione
dell’autorità nella Chiesa divenuta tabù?
«È vero che tale Legge evitò l’ascesa alla Suprema dignità del
sospetto Morone a causa della fermezza del Cardinal Ghislieri, divenuto
San Pio V che, ricorrendo alla Bolla di Paolo IV, impedì la sua
elezione. Una volta che accettò d’essere eletto lui Papa, per evitare
quel rischio, fu zeloso difensore della Fede in ogni campo e, come il
suo predecessore Paolo IV, anche egli fu pienamente cosciente della
somma importanza di questa Legge, che ratifica sette anni dopo la sua
promulgazione, ordinando che sia osservata «ad unguem», ossia, con ogni zelo (Cf. Motu proprio “Inter ultiplices”).
«Morto, però, San Pio V, pare che la Cum ex sia stata tralasciata.
Nessuno poteva mandarla in deroga. Tuttavia, è stata da allora
silenziata, preterita, fino a quando, nei nostri tempi è stata
ferocemente impugnata e attaccata. Ora solo un piccolissimo gruppo
l’ha reiterata e fatta oggetto di studi, analisi, deduzioni e
controdeduzioni, come si evince da questo lavoro, che in un certo verso
ne costituisce un manifesto insostituibile per la fine dei tempi, per una resilienza cattolica e per affrontare la grande apostasia.
Pezzo principale per l’efficace difesa della Fede nella Chiesa, che
avrebbe dovuto essere tema costante per commenti e minuziosa casistica
di canonisti e teologi, rimase come non esistente, e nella migliore
delle intenzioni come nascosta in un sottoscala o nella soffitta della
nonna; come oggetto di una congiura del silenzio. Ma la «casa» nasconde,
non ruba. Così è per i documenti vitali per la Chiesa, che mai alcun
uomo potrà distruggere, se di Diritto divino.
«Sarebbe stato facile, avendo per le mani questo prezioso documento,
dirimere, una volta per tutte, a partire da questa Legge, la questione
della possibilità di un Papa caduto in eresia, come persona privata, con
le sue conseguenze incontornabili, senza paura di perdersi in un
labirinto di opinioni divergenti e contrapposte, portate fino alla
contraddizione.
Come spiegare allora, la velata «censura» alla Bolla di Paolo IV?
Nella dinamica storica tutto trova le sue cause concrete, anche se questo caso rientra nel gran mistero: è il Mysterium Inquitatis. Un dominio profetizzato per una crisi finale (Cf. II Ts 2, 5-12) da cui non si fugge (Cf. Mt 26, 54).
Una profezia, prima di compiersi non si sa come avverrà, ma, una
volta avverata possiamo risalire alla sua causa. Qualcuno, anzi, diceva
che nulla è più inarrestabile di una profezia che stia per realizzarsi.
Quindi, si può immaginarla, per i suoi frutti, qualche tempo prima che
si realizzi. E se riguarda la Chiesa e i suoi vertici? Abominevole,
perché compiuta dove mai avrebbe dovuto avvenire. E sarà devastante –
anarchia in tutti i campi.
Come ha potuto il Nemico trovare qualcuno che aprisse la Cittadella
dal suo interno per essere assalita? Purtroppo è stato un sciagurato
«chierico cattolico» a farlo…
L’attenzione sull’autorità legittima concerne da sempre il Papato
La Bolla Cum ex accusa quelli che «poggiandosi oltre il
lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera
ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture e
per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della
Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore».
Può sembrare strano che un autore di prima che fosse promulgata la Bolla Cum ex possa
aver operato per impugnare i suoi principi. Ebbene, il teologo di
prestigio vicino al papa olandese Adriano VI, era l’olandese Albert
Pighius (volgarmente Pighi, 1490-1542), che si è insorto contro la
dottrina tradizionale concernente il Papato. E la tesi del “teologo di
tale papa” è divenuta la chiave per capire un processo di
neutralizzazione delle questioni perenni definite dalla Bolla che dura
tutt’ora, dopo aver trovato il consenso di importanti teologi quale lo
stesso San Roberto Bellarmino.
Pighi nella sua opera “Hierarchiae Eclesiasticae Assertio”, introduce
come un cuneo nel blocco compatto della Tradizione e contro la sentenza
unanime fino ad allora di papi, teologi e canonisti, che “un papa, come
persona privata, poteva sviarsi dalla Fede e cadere in eresia”. Pighi
con estrema imprudenza, “sed non secundum scientiam” (Rm. 10, 2), ossia com uno zelo non conforme alla ragione cattolica, afferma: “Il Romano Pontefice mai può cadere in eresia, né in errore, nemmeno come persona privata”.
«È vero che in tal modo affrontava a tutto tondo la negazione
protestante dell’infallibilità papale, ma alla fine arrivava ad
affermare con la sua Tesi l’esatto contrario, andando persino contro la
stessa dottrina tradizionale, che un Papa potesse essere giudicato in
questioni di Fede.
In modo brusco e irato si permette ingiurie contro Graziano e
maledice con parole indecenti i Canonisti tradizionali. Se la prende
specialmente contro la condanna, come eretico, del Papa Onorio,
contraddicendo gli atti chiari ed evidenti del VI Concilio Ecumenico
(Concilio di Costantinopoli III); fondando, peraltro, le sue tesi solo
in congetture arbitrarie. E per rendere tali tesi plausibili, dice che
gli stessi Verbali furono falsificati, così come la Lettera di Onorio a
Sergio. Per farlo, Pighi doveva anche calunniare senza ritegno i Verbali
dei Concili Ecumenici VI e VII, screditando l’autorità e la fede di
Concili Ecumenici. (Cf. Melchior Cano, “De Locis Theologicis, L. Sextus, Cap. VIII). Melchior Cano considera questa Tesi come opinione innovatrice nella Chiesa e la confuta ampiamente.
Ora, nonostante la documentata contestazione, questa Tesi assurda di
Pighi ha fatto strada nella coscienza di molti importanti teologi e
canonisti. Farà sembrare la tematica della Bolla di Paolo IV, ben come
del Motu Proprio di San Pio V, come improntate in uno zelo eccessivo di
pontefici autoritari che si spingono troppo sul senso canonico, in
questioni di fede! Invece, per i veri Papi, l’attenzione da prestare
alla fede dell’uomo che occupa la Carica di Vicario di Dio nel mondo e
perciò alla sua legittimità, non è mai troppa. Infatti, si può dire che
l’orribile crisi attuale dell’autorità è causata – in primis – dalla
generale indifferenza verso quella sacra Carica; L stessa idea di
autorità declina.
Già allora, però, il problema si presentava pure di senso in
apparenza opposto, con la pietosa opinione su un’«infallibilità» del
papa anche come persona privata. Ciò significava sbilanciare il potere
infallibile della Carica divina nella Fede e per la Fede al
condizionamento di un’ondulante fede umana.
Pighius contro Graziano? Una cosa è contestare il monaco Graziano, il Denzinger del passato, l’altra cosa è contestare il Decretale tradizionale
di Graziano, che era il registro di Graziano della dottrina dei Papi e
delle Costituzioni pontificie di carattere generale, contenenti norme
giuridiche.
Del Corpus iuris canonici fanno parte, insieme con il Decretum Gratiani, le tre raccolte ufficiali di decreti: quelle di Gregorio IX, Bonifacio VIII e Clemente V. Il Decretum Gratiani (1) è
il più importante testo di Diritto canonico del XII secolo. Raccoglie
in un’unica opera una collezione di decreti, operando una rigorosa
sistematizzazione con lo scopo di superare (le) numerose incoerenze
dell’ordinamento canonico dell’epoca. Nel 1582 ne fu preparata, da parte
dei Correctores Romani e su mandato pontificio, la revisione
chiamata «romana». Fu testo di riferimento fino al 1917, anno
dell’introduzione del Codice Piano-Benedettino.
Rationi Fidei dei «Decretali» di Graziano
Poiché le questioni giuridiche riguardano la Fede del Regno sociale
di Gesù Cristo, la loro visione, attraverso il magistero papale, va
collegata all’origine della Parola di Nostro Signore senza soluzione di
continuità. Ecco il lavoro di documentazione fatto nella Chiesa, di cui
Graziano fu massimo esponente.
Va ricordato che il pensiero giuridico Cattolico ha plasmato il campo
della legge, in Occidente. E questo anche se il valore di ogni «testo
collecto» restava legato al valore che ogni singola parte aveva prima di
essere integrata nella Collezione. I testi della versione romana,
perché papali, avevano un valore interpretativo preceduto da un summarium senza forza di norma giuridica. Sebbene, nei tribunali, fu resa obbligatoria la forma edita nel 1582 a Roma.
È certo che dopo il Decretum Gratiani la scienza canonistica
mutò radicalmente, fornendo alla Curia Romana uno strumento giuridico
di grande valore, che ne qualificò l’azione pastorale e politica,
favorendone il prestigio e l’autorità universale, cattolica.
Pighius che con la sua tesi va contro Graziano, contestandone
l’autenticità del Canone “Si Papa” da lui registrato, va contro il
pensiero tradizionale cattolico dei Papi, che può essere riassunto dalla
condanna di Onorio I e dal testo di Papa Innocenzo III che ammette la
possibilità che un papa possa peccare contro la Fede, con immediate
conseguenze riguardo all’autorità, che allora è passibile di giudizio.
Ma attenzione, qui si tratta di un giudizio che include la
possibilità per cui il soggetto non sia un vero papa, ricordo che la
Bolla «Cum ex» di Papa Paolo IV, di profetica memoria, nella sua opera
per arginare i nemici interni della Chiesa e della Cristianità in ogni
tempo. aggiungerà, cioè, la possibilità di errore del conclave sulla
fede dell’eletto papa; questione cruciale e attualissima da vedere in
seguito. Qui basta ricordare che il «Mistero d’iniquità» ha una matrice
«teologale», come si è visto dalle antiche eresie, alla falsa riforma e
finalmente al modernismo illuminista del Vaticano 2. Si tratta dei falsi
Cristi e falsi profeti entrati attraverso un conclave nel Luogo Santo
della Chiesa!
- 1) Il Decretum è la più completa raccolta di leggi
ecclesiastiche del tempo. Contiene più di 3800 testi, che riuniscono
l’insieme del diritto antico che Graziano attinse da tanti importanti
decreti e opere precedenti forse al Concilio Lateranense II, ma prima
del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo che integra nell’opera alcuni canoni di Graziani. Nel 1582 fu preparata, da parte dei Correctores Romani e su mandato pontificio, la revisione chiamata appunto «romana».
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