Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie, et iuste, et pie vivámus in hoc sæculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Iesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere, et exhortáre: in Christo Iesu Dómino nostro. M. - Deo grátias.
Fratelli: è apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone. Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità. Nessuno osi disprezzarti! M. - Deo grátias.
GRADUALE
Ps. 97, 3-4 et 2 - Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri: iubiláte Deo, omnis terra. Notum fecit Dóminus salutáre suum: ante conspéctum géntium revelávit iustítiam suam.
ORÁTIO Concéde, quæsumus, omnípotens Deus: ut nos Unigéniti tui nova per carnem natívitas líberet: quos sub peccáti iugo vetústa sérvitus tenet. Per eúmdem Dóminum nostrum Iesum Christum Fílium tuum, qui tecum vívit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sæcula sæculórum. M. - Amen. Concedici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che la nuova nascita secondo la carne del tuo Unigenito, liberi noi, che l’antica schiavitú tiene sotto il gioco del peccato. Per lo stesso Signore nostro Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i sécoli dei sécoli. M. - Amen.
EPISTOLA Léctio Epístolæ ad Hebræos, 1, 1-12
Multifáriam, multísque modis olim Deus lóquens pátribus in prophétis: novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio, quem constítuit herédem universórum, per quem fecit et sæcula: qui cum sit splendor glóriæ, et figúra substántiæ eius, portánsque ómnia verbo virtútis suæ, purgatiónem peccatórum fáciens, sedet ad déxteram maiestátis in excélsis: tanto mélior Ángelis efféctus quanto defferéntius præ illis nomen hereditávit. Cui enim dixit aliquándo Angelórum: Fílius meus es tu, ego hódie génui te? Et rursum: Ego ero illi in patrem, et ipse erit mihi in fílium? Et cum íterum introdúcit primogénitum in orbem terræ, dicit: Et adórent eum ómnes Ángeli Dei. Et ad ángelos quidem dicit: Qui facit Ángelos suos spíritus, et minístros suos flammam ignis. Ad Fílium áutem: Thronus tuus, Deus, in sæculum sæculi: virga æquitátis, virga regni tui. Dilexísti iustítiam, et odísti iniquitátem: proptérea unxit te Deus, Deus tuus, óleo exsultatiónis præ particípibus tuis. Et: Tu in princípio, Dómine, terram fundásti: et ópera manuum tuárum sunt coeli. Ipsi períbunt, tu áutem permanébis: et omnes ut vestiméntum veteráscent: et velut amíctum mutábis eos, et mutabúntur: tu áutem idem ipse es, et anni tui non defícient. M. - Deo grátias.
Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso alla destra della mæstà nell'alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. Infatti a quale degli angeli Dio ha mai detto: Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio? E di nuovo, quando introduce il primogenito nel mondo, dice: Lo adorino tutti gli angeli di Dio. Mentre degli angeli dice: Egli fa i suoi angeli pari ai venti, e i suoi ministri come fiamma di fuoco, del Figlio invece afferma: Il tuo trono, Dio, sta in eterno e: Scettro giusto è lo scettro del tuo regno; hai amato la giustizia e odiato l'iniquità, perciò ti unse Dio, il tuo Dio, con olio di esultanza più dei tuoi compagni. E ancora: Tu, Signore, da principio hai fondato la terra e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito. Come un mantello li avvolgerai, come un abito e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e gli anni tuoi non avranno fine.
...lettera scritta da don Michael
Oswalt – prete statunitense formatosi a Mundelein, presso Chicago – e
diretta ai confratelli diocesani quando, nel 2009, ha deciso di
abbandonare definitivamente il Novus Ordo e la ‘chiesa’ conciliare. Attualmente don Oswalt collabora con la Congregazione di Maria Immacolata Regina (CMRI)
Rev. Fr. Michael Oswalt
Cari confratelli sacerdoti della Diocesi di Rockford,
ho deciso di abbandonare la Diocesi perché sono
approdato alla conclusione che i mutamenti introdotti dal Concilio
Vaticano II sono incompatibili con il Cattolicesimo Romano.
Non v’è chi neghi che il Vaticano II ha imposto cambiamenti
ampi e profondi alla Chiesa Cattolica; ma i cambiamenti possono essere
accidentali o sostanziali. Se i mutamenti causati dal Vaticano
II sono meramente accidentali, allora non c’è ragione di opporvisi,
anche qualora li si trovi disgustosi. Ma se questi mutamenti sono
sostanziali, allora il Vaticano II rappresenta niente di meno che la
fondazione di una nuova religione, che differisce in senso essenziale
dal Cattolicesimo Romano, ed è dovere di ogni cattolico, specie se
sacerdote, di resistere a tali cambiamenti e di cercare di scacciarli
dalle chiese e dalle istituzioni cattoliche, come sono stati scacciati
in passato l’Arianesimo, il Nestorianismo, il Protestantesimo e le
innumerevoli altre eresie che senza riuscirvi hanno provato a ghermire
la Chiesa Cattolica romana.
Per molti anni ho studiato le discrepanze tra il Cattolicesimo preconciliare e la religione uscita dal Vaticano II;
e a me parvero profonde, ma tentai fino all’ultimo di dare il
“beneficio del dubbio” a chi aveva promulgato simili riforme. In molti
casi ero portato al rifiuto, a negare, nascondere a me stesso realtà che
sapevo vere, ma che non mi sentivo in grado di accettare.
Peraltro, nessuno nega che la Fede che fu creduta e praticata
fino al Concilio Vaticano II era indubitabilmente Cattolicesimo romano,
ossia la religione e la Chiesa fondate da Nostro Signore, l’unica
chiesa, fuori della quale non v’è salvezza. Tutti, pertanto, debbono
riconoscere che se anche la religione postconciliare vuol qualificarsi
come cattolica romana, deve avere una uniformità sostanziale con la fede
e la prassi preconciliare. In altre parole, per potere dire a buon
diritto e in verità che noi siamo preti cattolici romani, è necessario
che una sostanziale continuità tra la fede preconciliare e i mutamenti
conciliari esista. Ma se tale continuità è rotta, allora noi – come
preti – perdiamo il nostro legame con Nostro Signore Gesù Cristo, con la
Chiesa cattolica romana, con ogni autentico Pontefice seduto sul trono
di Pietro, con tutti i Santi del Paradiso, con ogni cattolico che ci
abbia preceduti nella Fede. Perdiamo insomma la nostra pretesa di
apostolicità, di unità nella fede, di cattolicità, e di santità. Anzi,
difficile pensare a qualcosa di più menzognero, assurdo, inutile, a
qualcosa di più pericoloso, di un prete che afferma d’essere cattolico,
ma che ha perso contatto e continuità con la santa Tradizione del
Cattolicesimo romano.
Mi rimane, quindi, da dimostrare che tra presente e passato s’è introdotta una discontinuità.
E’ questa una tesi che a molti sembra venire da un altro pianeta; ma
per altri è una verità che giace sepolta in fondo alla loro mente, e
grava pesantemente sul loro cuore. Ora, le prove per suffragare tale
tesi abbondano e richiederebbero un libro in più tomi per essere
presentate esaustivamente, ma io le esporrò in maniera “condensata”,
invitando al tempo stesso tutti i possibili interessati a documentarsi
più ampiamente su libri, periodici e portali internet.
Ecco lo schema che seguirò nella mia esposizione:
le eresie contenute nel Vaticano II;
le eresie insegnate dal Codice di Diritto Canonico del 1983, e le pratiche peccaminose da esso autorizzate;
come mai la Nuova Messa del 1969 è falsa e acattolica, essendo coerente espressione liturgica delle eresie del Vaticano II;
la eteroprassi della religione vaticansecondista, ossia la conferma
della natura eretica del Vaticano II da parte delle comuni credenze e
pratiche odierne, siano esse ufficialmente sancite dalla gerarchia, o
silenziosamente approvate da questa su scala universale;
le alterazioni sostanziali ai Sacramenti, la cui validità adesso è assente o perlomeno dubbia;
le eresie pubblicamente professate da Benedetto XVI;
come mai i quattro caratteri distintivi della Chiesa Cattolica non si ritrovano nella nuova religione uscita dal Vaticano II.
Infine, riassumendo, sottolineerò che nei tre elementi – dottrina,
culto e disciplina, elementi essenziali di ogni religione – il Vaticano
II e i cambiamenti da esso portati hanno operato un
mutamento sostanziale della Fede cattolica, e ne trarrò le opportune
conseguenze, sia pratiche sia teoretiche.
1. Le eresie contenute nel Vaticano II. Quattro le principali:
La prima è l’ecumenismo,
esposto nel documento Unitatis Redintegratio, che insegna che anche le
religioni acattoliche sono mezzi di salvezza. Tale dottrina è stata
successivamente ripresa nel documento Catechesi Tradendæ di
Giovanni Paolo II. Simili asserzioni sono frontalmente contrarie alla
dottrina che fuori della Chiesa non c’è salvezza, chiamata “dogmatica”
da Pio IX. La nozione e la pratica dell’ecumenismo furono oggetto di
condanna da parte di Pio XI nell’enciclica Mortalium Animos del 1928.
La seconda eresia riguarda l’unità della Chiesa:
la Chiesa di Cristo non si identificherebbe in via esclusiva con la
Chiesa Cattolica, ma semplicemente “sussisterebbe in essa”. Tale
dottrina eretica è contenuta principalmente in Lumen Gentium, ed è
confermata nel suo significato eretico dalle dichiarazioni di Giovanni
Paolo II e di Benedetto XVI, soprattutto nel CJC del 1983, nella
dichiarazione del 1992 “su alcuni aspetti della Chiesa come comunione”, e
nel Direttorio Ecumenico. E’ contraria agli insegnamenti della Chiesa
Cattolica, segnatamente esposti nella Satis Cognitum di Leone XIII, nella Mortalium Animos di Pio XI, nella Mystici Corporis di Pio XII, e nelle condanne della “teoria dei rami” operate dal Sant’Uffizio sotto Pio IX.
La terza eresia è la libertà religiosa, contenuta in Dignitatis Humanæ, che riprende quasi parola per parola gli asserti dottrinali condannati da Pio VII nella Post Tam Diuturnas, da Gregorio XVI nella Mirari Vos, da Pio IX nella Quanta Cura e da Leone XIII nella Libertas Præstantissimum. Gli insegnamenti del Vaticano II sulla libertà religiosa contraddicono altresì la Regalità Sociale di Cristo espressa nella Quas Primas di Pio XI, e la Dottrina Sociale della Chiesa.
La quarta eresia è quella della collegialità,
che altera la costituzione monarchica della Chiesa Cattolica, così come
è stata concepita dal Divino Salvatore. La dottrina vaticansecondista,
suffragata dal CJC del 1983, che afferma che il detentore della suprema
autorità nella Chiesa è il collegio dei Vescovi insieme col Papa, è
contraria alla dottrina definita nei Concilii di Firenze e nel Vaticano
I.
Il trattato De Romano Pontefice scrive: «Il papa eretico manifesto per sé cessa di esser papa e capo [della Chiesa], come per sé cessa di essere cristiano e membro del corpo della Chiesa. Perciò, può esser giudicato e punito dalla Chiesa. Questa è la sentenza di tutti gli antichi Padri, i quali insegnano che gli eretici manifesti perdono seduta stante ogni giurisdizione. Questa è la sentenza precisamente di Cipriano, libro 4, lettera 2, dove così parla di Novaziano, che fu papa nello scisma contemporaneamente a Cornelio: “Non potrebbe mantenere l’episcopato – dice – e, se è stato eletto primo vescovo, si separerebbe dal corpo degli altri vescovi e dall’unità della Chiesa”. Nel contesto, qui si vuole dire che Novaziano, benché fosse vero e legittimo Papa, tuttavia sarebbe decaduto immediatamente dal pontificato se si fosse separato dalla Chiesa. La stessa sentenza è insegnata da uomini dottissimi contemporanei, come Giovanni Driedonis, secondo cui si separano dalla Chiesa solo quelli che sono stati espulsi, o perché scomunicati, o in quanto per se stessi si distaccano o combattono la Chiesa, come gli eretici e gli scismatici. Dice, inoltre, che in coloro che si sono separati dalla Chiesa non rimane alcuna potestà spirituale su coloro che appartengono alla Chiesa. Anche Melchor Cano insegna che gli eretici non sono parte della Chiesa, né membra, e che non si può immaginare neppure con il pensiero, che uno sia papa e non sia membro, né parte della Chiesa. Dice, inoltre, che gli eretici occulti sono ancora parti e membra della Chiesa, ed anche il Papa eretico occulto, ancora sarebbe papa. […] Si tratta, tuttavia, di una unione solo esterna, non di animo». (De Romano Pontefice, libro II, cap. 30 in: Opera Omnia, vol. I, Napoli 1856, p. 420). «Tutti i cattolici convengono che: 1) Il Pontefice, anche in quanto Pontefice, anche con l’insieme dei suoi consiglieri, o con un Concilio Generale, può errare in controversie particolari di fatto, le quali dipendono principalmente dall’informazione e dalla testimonianza degli uomini. 2) Può sbagliare come dottore privato anche in questioni universali di diritto, sia di fede, sia di morale, e questo a causa dell’ignoranza, come accade a volte agli altri dottori. 3) Il Pontefice, assieme a un Concilio Generale, non può errare nello stabilire decreti che riguardano la fede, o precetti generali di morale. 4) Il Pontefice da solo, o con il suo particolare consiglio, nello stabilire qualcosa in materia dubbia, sia che possa errare, sia non, deve esser ascoltato con obbedienza da tutti i fedeli». (De Romano Pontefice, libro IV, cap. 2 in: Opera Omnia, vol. I, Napoli 1856, p. 477).
Il più antico giornale cattolico tradizionalista statunitense, “The
Remnant”, ha pubblicato una lettera aperta a papa Francesco,
chiedendogli, in buona sostanza, di cambiare politica o di dimettersi.
Le ragioni della richiesta di rinunciare al ruolo a cui è stato eletto
due anni fa sono contenute in un
“Libellus”.
(Dal Blog di Marco Tosatti)
No signor Marco Tosatti! Lei pensa rendere servizio alla Chiesa cattolica pubblicando questo Libello. No! Lei fa il contrario. Questo Libello è viziato nelle premesse e nega praticamente le promesse di Gesù: le porte dell' inferno non prevarranno. Non praevalebunt. Mi spiego. Non è contemplata nella divina costituzione della chiesa, quella fondata da Gesù (Dio), che un membro, papa o semplice fedele che sia, non professi integralmente la fede cattolica. Il peccatore cattolico rimane membro della chiesa visibile. Ruba, uccide, fornica, ecc ma rimane membro visibile del corpo mistico. Se invece un membro (papa o semplice fedele che sia) professa una fede altra che quella cattolica succede quello che non solo Lei, signor Marco Tosatti, ma anche la grande massa dei cattolici, anche tradizionalisti, hanno dimenticato: nel momento in cui un membro della chiesa cattolica professa un credo altro di quello cattolico cessa di essere membro visibile del corpo mistico di Cristo. E questo in virtù proprio della promessa " non praevalebunt". Il cardinale Billot insegna che il bambino protestante, nel momento in cui riceve la confermazione protestante e professa nel tempio protestante la fede protestante, cessa (anche facendolo in buona fede) di essere membro visibile della chiesa. Questo critero della professione pubblica della fede cattolica come critero visibile,esteriore per riconoscere visibilmente i membri della chiesa e quindi la chiesa stessa, questo critero è palesemente negato anche da colui che viene contrapposto a Bergoglio: Ratzinger.
Perciò il Libello aumenta la confusione. Fa credere che la chiesa non è soltanto composta da buoni e cattivi ma anche da chi non professa la fede cattolica. E ci siamo. E' questo il nuovo concetto della nuova chiesa. Piuttosto va ricordato che chiunque (papa compreso) professa un credo differente da quello cattolico (il presunto unico dio delle religioni monoteiste, il valore salvifico delle altre religioni, la rinuncia da parte della chiesa di rivendicare per la società civile la regalità sociale di Gesù Cristo, insomma tutto quello che insegna il Concilio Vaticano II) quando lo fa non lo fa più da cattolico, perché in quel momento non lo è più. E questo vale a piu forte ragione per un membro della chiesa docente. Anche lui, papa che fosse, senza alcuna previa sentenza giudiziaria o dichiarazione di chicchesia (" chi non crede e gia giudicato) cessa di essere membro della chiesa e perde per il fatto stesso (ipso facto) la carica che riveste. La chiesa è e rimane indefettibile. Ecco perché la chiesa conciliare non è la chiesa cattolica. Deo gratias.
Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Corínthios I, 4, 1-5
Fratres: Sic nos exístimet homo ut minístros Christi, et dispensatóres mysteriórum Dei. Hic jam quæritur inter dispensatóres, ut fidélis quis inveniátur. Mihi autem pro mínimo est, ut a vobis júdicer, aut ab humáno die: sed neque meípsum júdico. Nihil enim mihi cónscius sum: sed non in hoc justificátus sum: qui autem júdicat me, Dóminus est. Itaque nolíte ante tempus judicáre, quoadúsque véniat Dóminus: qui et illuminábit abscóndita tenebrárum, et manifestábit consília córdium: et tunc laus erit unicuíque a Deo. M. - Deo grátias.
Fratelli: ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele. A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso, perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. M. - Deo grátias.
Eugenio vescovo, servo dei servi di Dio, a perpetua memoria.
Cantate inni al Signore, perché ha fatto cose grandiose, ciò sia
noto in tutta la terra. Gridate giulivi ed esultate, abitanti di Sion,
perché grande in mezzo a voi è il santo di Israele (Is 12,5-6). È
davvero giusto che la chiesa di Dio canti e esulti nel Signore per
questa splendida glorificazione del suo nome, che Dio clementissimo si è
degnato di compiere oggi. Dobbiamo, infatti, lodare e benedire con
tutto il cuore il Salvatore nostro, che ogni giorno dilata la sua santa
chiesa.
Benché i suoi benefici verso il popolo cristiano siano sempre molti e
grandi, tali da mostrarci chiaramente la sua immensa carità verso di
noi, tuttavia, se consideriamo più attentamente quali e quanti di tali
favori in questi ultimissimi tempi si è degnato operare con divina
clemenza, potremo certamente costatare che i doni del suo amore sono
stati più numerosi e più grandi in questo nostro tempo che in molte età
precedenti.
Ecco, infatti, che in meno di tre anni il signore nostro Gesù Cristo
con la sua inesauribile pietà ha realizzato in questo santo sinodo
ecumenico, la salvifica unione di tre grandi nazioni a comune e perenne
gioia di tutta la cristianità. Così è accaduto che quasi tutto
l'oriente, che adora il glorioso nome di Cristo, e non piccola parte del
settentrione, dopo lunghi dissidi, siano ormai riuniti nello stesso
vincolo di fede e di carità con la santa chiesa romana. Prima infatti si
sono uniti alla sede apostolica i Greci e le molte genti e nazioni di
lingue diverse soggette alle quattro sedi patriarcali, poi gli Armeni,
popolazione formata da molti popoli, e oggi i Giacobiti, grandi popoli
d'Egitto.
E poiché niente potrebbe essere più gradito al nostro Salvatore e
signore Gesù Cristo della mutua carità tra gli uomini, e niente più
glorioso per il suo nome e più utile per la chiesa dell'unione dei
cristiani, nella purezza della stessa fede, eliminata ogni loro
divisione, giustamente noi tutti dobbiamo cantare per la gioia e
esultare nel Signore, perché la divina misericordia ci ha fatto degni di
vedere ai nostri, giorni una fede cristiana così splendente.
Annunziamo dunque con prontezza queste meraviglie in tutto il mondo
cristiano, perché, come noi siamo stati colmati da ineffabile gioia per
questa glorificazione di Dio e esaltazione della chiesa, così anche gli
altri partecipino di tanta letizia e tutti, con una sola voce, rendiamo
gloria a Dio (Rm 15,6) e ogni giorno ringraziamo la sua maestà per tanti
e così mirabili benefici concessi in questo tempo alla sua santa
chiesa.
Inoltre chi compie con zelo l'opera di Dio non solo attende il
compenso e la retribuzione nei cieli, ma anche davanti agli uomini
merita gloria e lode in abbondanza. Per questo crediamo di dover
meritatamente lodare insieme con tutta la chiesa il nostro venerabile
fratello Giovanni, patriarca dei Giacobiti, ansioso di questa santa
unione, e indicarlo, con tutta la sua gente, al plauso di tutti i
cristiani. Egli infatui sollecitato per mezzo di un nostro inviato
[Alberto di Sarteano] e di nostre lettere, perché mandasse a noi e a
questo sacro concilio una legazione e si unisse con la sua gente alla
Sede romana nella stessa fede, ha destinato a noi e al concilio il
diletto figlio Andrea, egiziano, di grande pietà e onestà, abate del
monastero di s. Antonio in Egitto, nel quale si dice sia vissuto e morto
lo stesso Antonio. Egli, dal patriarca pieno di zelo, ricevette
l'ordine e il compito, di accettare con venerazione, a nome del medesimo
e dei suoi Giacobiti, la formulazione della fede professata e predicata
dalla santa romana chiesa e di portarla, poi, allo stesso patriarca e
ai Giacobiti, perché potessero conoscerla, approvarla e predicarla nelle
loro terre.
Noi, quindi, incaricati dalla parola del Signore di pascere le pecore
del Cristo (Gv 21,17), abbiamo fatto esaminare con ogni cura l'abate
Andrea da alcuni insigni membri di questo sacro concilio sugli articoli
di fede, i sacramenti della chiesa e tutto ciò che riguarda la salvezza;
alla fine, dopo aver esposta allo stesso abate, nella misura che sembrò
necessaria, la fede cattolica della santa chiesa romana, e dopo che è
stata da lui umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con
l'approvazione del sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo
consegnato, nel nome del Signore, la dottrina vera e necessaria, nella
seguente formulazione.
Nel 1883 la
Beata Maria Serafina Micheli (1849-1911), fondatrice dell’Istituto delle
Suore degli Angeli, si trovava a passare per Eisleben, nella Sassonia,
città natale di Lutero. Si festeggiava, in quel giorno, il quarto
centenario della nascita del grande eretico ( 10 novembre 1483) che
spaccò l’Europa e la Chiesa in due, perciò le strade erano affollate, i
balconi imbandierati. Tra le numerose autorità presenti si aspettava, da
un momento all’altro, anche l’arrivo dell’imperatore Guglielmo I, che
avrebbe presieduto alle solenni celebrazioni. La futura beata, pur
notando il grande trambusto non era interessata a sapere il perché di
quell’insolita animazione, l’unico suo desiderio era quello di cercare
una chiesa e pregare per poter fare una visita a Gesù Sacramentato. Dopo
aver camminato per diverso tempo, finalmente, ne trovò una, ma le
porte… erano chiuse. Si inginocchiò ugualmente sui gradini d’accesso,
per fare le sue orazioni. Essendo di sera, non s’era accorta che non era
una chiesa cattolica, ma protestante. Mentre pregava le comparve
l’angelo custode, che le disse: “ Alzati, perché questo è un tempio
protestante”. Poi le soggiunse: “Ma io voglio farti vedere il luogo
dove Martin Lutero è condannato e la pena che subisce in castigo del suo
orgoglio”.
Dopo queste
parole vide un’orribile voragine di fuoco, in cui venivano tormentate un
incalcolabile numero di anime. Nel fondo di questa voragine v’era un
uomo, Martin Lutero, che si distingueva dagli altri: era circondato da
demoni che lo costringevano a stare in ginocchio e tutti, muniti di
martelli, si sforzavano, ma invano, di conficcargli nella testa un
grosso chiodo. La suora pensava: se il popolo in festa vedesse questa
scena drammatica, certamente non tributerebbe onori, ricordi,
commemorazioni e festeggiamenti per un tale personaggio. In seguito,
quando le si presentava l’occasione ricordava alle sue consorelle di
vivere nell’umiltà e nel nascondimento. Era convinta che Martin Lutero
fosse punito nell’Inferno soprattutto per il primo peccato capitale, la
superbia. (Don M. Stanzione, fonte: .miliziadisanmichelearcangelo.org)
Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Philippénsens, 4, 4-7 Fratres: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico: gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne, et obsecratióne, cum gratiárum actióne, petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Et pax Dei, quæ exsúperat omnem sensum, custódiat corda vestra, et intellígentias vestras, in Christo Iesu Dómino nostro. M. - Deo grátias.
Fratelli: Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto: rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni per mezzo delle vostre preghiere e suppliche con azioni di grazie. E la pace di Dio, che sopravanza ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesú nostro Signore. M. - Deo grátias.
GRADUALE
Ps. 79, 2-3 et 2 - Qui sedes, Dómine, super Chérubim, éxcita poténtiam tuam, et veni. Ps. 79, 1 - Qui regis Israël inténde: qui dedúcis, velut ovem, Ioseph. O Signore, Tu che hai per trono i Cherubini, súscita la tua potenza e vieni. Ascolta, Tu che reggi Israele: che guidi Giuseppe come un gregge.
Mons. Umberto Benigni, Storia
Sociale della Chiesa, Vol. III, La crisi della società antica. Dalla
caduta alla rinascita dell’Impero Romano, Casa Editrice Vallardi Milano,
1922.
Israele
La guerra implacabile mossa dalla
Sinagoga contro la Chiesa fin dal tempo degli Apostoli, a base di
denunzie al governo pagano e di assassinii tumultuarii, deve cambiare di
tattica dopo il trionfo politico e sociale degli aborriti Nazareni.
I popoli non ebbero ad attendere di
farsi cristiani per apprezzare la Sinagoga come pericolo etico ed
economico per la società delle «genti». Gli attacchi antisemiti che si
trovano negli autori pagani bastano a provarlo. Ma quando la romanità
divenne la cristianità, l’odio della Sinagoga raddoppiò contro di essa
per il motivo religioso, giacché quello spirito, che oggi si chiama
talmudico, odia più il cristianesimo che non il paganesimo. Questo
rappresenta per la Sinagoga un gregge da domare, da spogliare, da trarne
schiavi; quello è l’insieme dei seguaci di Gesù ai quali va l’eredità
dell’odio specialissimo del Sinedrio contro il Crocifisso.
Onde vedemmo la nascente società
cristiana, sorta al potere, costretta a preservarsi dallo speciale
pericolo ebraico che incrudeliva specialmente sugli schiavi cristiani,
oltre il costante pericolo morale e materiale che proveniva naturalmente
dall’ebraismo contro tutta la società civile.
Degli infelicissimi giorni del diluvio
barbarico e della dominazione barbarica in Occidente e quelli anche più
tristi dell’invasione saracena, noi troveremo spesso le tracce della
nuova tattica della Sinagoga. La Chiesa aveva dovuto crescere nelle
catacombe; all’uscirne di questa, la Sinagoga si fece delle catacombe
morali, nascondendo, mentre le rinforzava, le sue fila attraverso il
mondo occidentale ed orientale (1), facendo sempre del meritato abominio
dei goim verso di essa, un nuovo titolo di maggior odio contro di loro.
Dominò fin d’allora il tipo dell’ebreo ossequioso, adulatore di tutti i
potenti, specialmente di quelli ai quali stava per giuocare qualche
brutto tiro, spia politica di tutti contro tutti purché ci fosse da
guadagnare e ne nascessero pericoli e danni pei cristiani, pronto a
farsi battezzare anche parecchie volte per scampare dalla pena meritata e
per fare dello stesso battesimo una trincea entro cui prepararsi a
maggiori colpi contro la Chiesa. Vi è insomma in questo periodo
intermedio il tipo iniziale di quell’ebreo del medioevo cristiano e
islamitico, lebbra dolorosa e vergognosa da cui invano le due società
cercano di liberarsi con rimedi empirici e spesso contraddittori. Noi
troveremo già in questo periodo i nuovi re che debbono occuparsi della
«questione ebraica» per la salute dei loro Stati, mentre già le plebi
esacerbate si danno a violenza intermittenti che fanno torto alla
civiltà cristiana e nulla rimediano al danno e allo scorno subito dalla
religione e dalla società civile.
La grande forza ebraica, la banca, già
potentissima nella Roma classica fin dai tempi di Giulio Cesare, è
mirabilmente salvata dalla Sinagoga in mezza all’immane catastrofe
dell’impero occidentale e, presto, di tanta parte dell’impero bizantino.
Basta questo tratto per mostrare l’ammirabile organizzazione e tattica
della Sinagoga in quei tempi, in cui una grande civiltà non riusciva a
salvarsi. Con la forza del denaro, Israele è padrone dei padroni. Ci
sono degli aneddoti che ci mostrano negli oscuri tempi dei merovingi e
dei visigoti, tratti di vita pubblica e privata da fare stupire. Fra i
tanti vediamo a Clermont d’Alvernia il prete Eufrasio che, morto il
vescovo Cautino, vuol succedergli; il modo è semplice: «si fece dare
dagli ebrei somme ingenti e per mezzo del proprio cognato Beregesilo le
mandò al re».(2) Ed il morto Cautino non era stato da meno: l’indegno
pastore era amato molto più dagli ebrei che dai cristiani; a quelli egli
era molto ligio perché assaporava le smaccate adulazioni dei mercanti
del ghetto e ne li ricompensava pagando ad essi il doppio per le merci
che gli vendevano (3).
Santa Messa "Non Una Cum" gli apostati Vaticanosecondisti...
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Papa Leone XIII, Tametsi (9), 01/11/1900: "Rigettare il dogma equivale semplicemente a negare la Cristianità."
Papa Pio IX, Concilio Vaticano I, Sessione 3, Capitolo 4, 1870, ex-cathedra: "Dunque,
anche quella comprensione dei suoi dogmi sacri deve essere mantenuta
perpetuamente, la quale la Santa Madre Chiesa ha dichiarato una volta, e
vi deve essere giammai una recessione da quel significato sotto lo
specioso nome di comprensione più profonda."
Papa Pio IX, Concilio Vaticano I, Sessione 3, Capitolo 4, Canone 3,
1870: "Se alcuno affermasse che ad un certo punto sia possibile che,
dato l'avanzamento della conoscenza, ai dogmi proposti dalla Chiesa venga assegnato un senso differente da quello compreso, in passato e presente, dalla Chiesa, che egli sia anatema."
Papa San Pio X, Pascendi Dominici gregis (26), Spiegando la dottrina dei modernisti, 08/09/1907: "Alle
leggi dell'evoluzione tutto è soggetto - dogma, Chiesa, adorazione, i
Libri che noi riveriamo come sacri, anche la Fede stessa e la
punizione della disobbedienza è la morte. L'enunciazione di questo
principio non sorprenderà chiunque tenga a mente ciò che i modernisti
hanno avuto da dire circa ciascuna di queste materie."
L’Ineffabilis Deus è la costituzione apostolica con la quale il papa Pio IX proclamò l'8 dicembre 1854 il dogma dell'Immacolata concezione di Maria Santissima.
Pio IX Ineffabilis Deus
Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità;
Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza
il primo e l'ultimo confine dell'universo e regge ogni cosa con
dolcezza, previde fin da tutta l'eternità la tristissima rovina
dell'intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo.
Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di
portare a compimento l'opera primitiva della sua bontà, con un mistero
ancora più profondo – l'incarnazione del Verbo – affinché l'uomo
(indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse
perduto, in contrasto con il suo proposito d'amore, e affinché venisse
recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin
dall'inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo
Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne,
sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di
tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei
sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal
tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti
angelici e di tutti i santi – dell'abbondanza di tutti i doni celesti in
modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di
peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di
innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e
che nessuno, all'infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente.
Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore
rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità
e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato
originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio Padre
dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a
sé, e che ama come se stesso, in modo tale che fosse, per natura,
Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio
scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò
perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale egli stesso
procede.
La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo –
è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina
rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste rivelazione, questa
innocenza originale dell'augusta Vergine unitamente alla sua mirabile
santità, in perfetta armonia con l'eccelsa dignità di Madre di Dio, non
ha mai cessato di presentarla, proporla e sostenerla con molteplici
argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la
Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine
al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto
un'inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi
più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva
mirabilmente diffusa dall'impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo
cattolico. Con questo atto significativo mise in evidenza che la
Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare,
straordinario e di gran lunga superiore a quello degli altri uomini:
pienamente santo, dal momento che la Chiesa celebra solamente le feste
dei Santi.
Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e
nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le
stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare
della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché
entrambe erano state preordinate nell'unico e identico decreto
dell'Incarnazione della Divina Sapienza.
Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli,
dimostrino con quanta cura la stessa Chiesa Romana, madre e maestra di
tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell'Immacolata Concezione
della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli
atti più importanti della Chiesa in questa materia, perché assai grandi
sono la sua dignità e la sua autorità, quali si addicono ad una simile
Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell'unità; in lei sola
fu custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese
devono attingere la tradizione della fede.
Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci
niente di più meritevole che affermare, tutelare, propagandare e
difendere, con ogni più eloquente mezzo, l'Immacolata Concezione della
Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e
messo in evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli
e straordinari, atti dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, ai
quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per
volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il
potere di pascere gli agnelli e le pecore, di confermare nella fede i
fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa.
I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi
della loro autorità Apostolica, di avere istituito nella Chiesa Romana
la festa della Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei
quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio
dell'immunità dalla macchia originale; di aver rafforzato, circondato di
ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il culto già
stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle
città, alle province e ai regni la facoltà di scegliere come Patrona la
Madre di Dio sotto il titolo dell'Immacolata Concezione, sia con
l'approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie
religiose, costituite per onorare l'Immacolata Concezione, sia con il
tributare lodi alla pietà di coloro che avevano eretto monasteri,
ospizi, altari e templi dedicati all'Immacolata Concezione, oppure si
erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente
l'Immacolata Concezione della Madre di Dio.
Provarono anche l'immensa gioia di decretare che la festa della
Concezione dovesse essere considerata da tutta la Chiesa, con la stessa
dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse celebrata
ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come
festa di precetto, e che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale
Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno santo dell'Immacolata
Concezione.
Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell'animo
dei fedeli questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio
e di stimolare la loro pietà al culto e alla venerazione della Vergine
concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la
facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata
della Vergine nelle Litanie Lauretane e nello stesso Prefazio della
Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma nelle norme
della preghiera.
Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo
abbiamo approvato e accolto tutto ciò che è stato da loro deciso con
tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che aveva
disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l'Ufficio
proprio dell'Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne
abbiamo concesso l'uso a tutta la Chiesa.
Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso
con il suo oggetto e non può rimanere stabile e duraturo se questo
oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri
Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per
accrescere il culto della Concezione, si preoccuparono anche di
chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l'oggetto e la dottrina.
Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse
la festa della Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa
e assolutamente contraria al pensiero della Chiesa, l'opinione di
coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si
onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. Né ritennero che si
potesse procedere con minore decisione contro coloro che, al fine di
sminuire la dottrina sull'Immacolata Concezione della Vergine, avendo
escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento
della Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non
quella del primo iniziale momento.
Dalle «Lettere» di San Francesco Saverio a Sant'Ignazio di Loyola.
Abbiamo percorso i villaggi dei
neofiti, che pochi anni fa avevano ricevuto i sacramenti cristiani.
Questa zona non è abitata dai Portoghesi, perché estremamente sterile e
povera, e i cristiani indigeni, privi di sacerdoti, non sanno
nient'altro se non che sono cristiani. Non c'è nessuno che celebri le
sacre funzioni, nessuno che insegni loro il Credo, il Padre nostro,
l'Ave ed i Comandamenti della legge divina.
Da quando dunque arrivai qui non mi
sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro
il battesimo ai bambini che non l'hanno ancora ricevuto. Così ho salvato
un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano
distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né
dire l'Ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho
loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a
loro appartiene il regno dei cieli.
Perciò, non potendo senza empietà
respingere una domanda così giusta, a cominciare dalla confessione del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnavo loro il Simbolo
apostolico, il Padre nostro e l'Ave Maria. Mi sono accorto che sono
molto intelligenti e, se ci fosse qualcuno a istruirli nella legge
cristiana, non dubito che diventerebbero ottimi cristiani.
Moltissimi, in questi luoghi, non si
fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani.
Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa,
specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un
pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste
parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene
escluso dal cielo e cacciato all'inferno! Oh! se costoro, come si
occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde
poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti!
In verità moltissimi di costoro,
turbati da questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine,
si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e,
messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero
totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal
profondo del loro cuore: «Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?»
(At 9, 6 volg.). Mandami dove vuoi, magari anche in India.
[Lett. 20 ott. 1542, 15 gennaio 1544; Epist. S. Francisci Xaverii
aliaque eius scripta, ed. G. Schurhammer I Wicki, t. I, Mon. Hist. Soc.
Iesu, vol. 67, Romae, 1944, pp. 147-148; 166-167 - Traduzione tratta da:
"Liturgia delle Ore" - Libreria Poliglotta Vaticana - Edizioni
Conferenza Episcopale Italiana].
Il Credo Atanasiano è uno dei credi più importanti della Fede
Cattolica. Esso contiene uno splendido riassunto della credenza di un
Cattolico nella Santissima Trinità e nell'Incarnazione, essenti i 2
dogmi fondamentali della Cristianità. Prima dei tentati cambiamenti alla
Sacra Liturgia del 1971 il Credo Atanasiano, constante di 40
dichiarazioni ritmiche, era stato utilizzato durante l'ufficio
Domenicale per oltre mille anni. Il Credo Atanasiano avanza la necessità
di credenza nella Fede Cattolica alfine della salvazione. Esso conclude
con le seguenti parole: "Questa è la Fede Cattolica, per cui, a meno
che un uomo in essa creda fedelmente e fermamente, egli non può essere
salvato.". Il Credo Atanasiano fu composto dal grande Sant'Atanasio
medesimo, siccome confermato dal Concilio di Firenze.
Papa Eugenio IV, Concilio di Firenze, Sessione 8, 22/11/1439, ex-cathedra: "In
sesto luogo, noi offriamo agli inviati quella regola compendiosa della
Fede composta dal beatissimo Atanasio, la quale è come segue: 'Chiunque
desideri essere salvato deve soprattutto detenere la Fede Cattolica; a
meno che ciascuno la preservi integra ed inviolata egli perirà senza
dubbio nell'eternità. Nondimeno, la Fede Cattolica è ciò: che noi
veneriamo un Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità; confondendo né
le Persone, né dividendo la sostanza, poiché vi è una Persona del Padre,
un'altra del Figliolo, un'altra dello Spirito Santo, la loro gloria è
uguale, la loro maestà coeterna… ed in questa Trinità vi è nulla prima o
dopo, nulla di maggiore o minore, ma tutte e 3 le Persone sono coeterne
e coeguali una rispetto all'altra, cosicché in ogni riguardo, siccome
menzionato disopra, sia l'unità nella Trinità che la Trinità nell'unità
debbano essere adorate. Sicché, che colui desiderante essere salvato pensi così circa la Trinità. Ma
è necessario per la salvazione eterna che egli creda fedelmente ancora
nell'Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo… il Figliolo di Dio è
Dio ed uomo… Questa è la Fede Cattolica; a meno che ciascuno creda a ciò
fedelmente e fermamente egli non può essere salvato." [92]
EPISTOLA Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Romános, 13, 11-14 Fratres: Sciéntes, quia hora est iam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies áutem appropinquávit. Abiiciámus ergo ópera tenebrárum et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne, et æmulatióne: sed induímini Dóminum Iesum Christum. M. - Deo grátias.
Fratelli: questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in contese e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri. M. - Deo grátias.
GRADUALE
Ps. 24, 3 et 4 - Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me. Quelli che aspettano non resteranno delusi. Additami, Signore, le tue vie, insegnami i tuoi sentieri.
"È un fatto certo e ben stabilito quello per cui nessun altro crimine offende così seriamente Dio, provocando la Sua peggiore ira, come il vizio dell'eresia."
Papa San Pio X, Editae saepe (43), 26/05/1910
Papa Pio IX, Graves ac diuturnae, 23/03/1875: "Essi [i fedeli] dovrebbero ignorare totalmente le loro celebrazioni religiose, i loro edifici e
le sedie di pestilenza con impunità da loro stabilite per trasmettere
gli insegnamenti sacri. Essi dovrebbero ignorare i loro scritti e
qualunque contatto con loro. Essi non dovrebbero avere rapporto od
incontro alcuno con i preti usurpanti e gli apostati dalla Fede, i quali
osano esercitare i doveri di un ministro Ecclesiastico senza possedere
una legittima missione o giurisdizione alcuna."
Il predicatore della Casa Pontificia è
intervenuto con la predicazione di un sermone all’apertura del Sinodo
della Chiesa di Inghilterra a Londra, nella Westminster Abbey .
“Dobbiamo tornare ai tempi dei primi
cristiani: loro affrontavano un mondo pre-cristiano; noi stiamo
affrontando largamente un mondo post-cristiano”. Lo ha detto padre
Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, che è
intervenuto con la predicazione di un sermone all’apertura del Sinodo
della Chiesa di Inghilterra a Londra, nella Westminster Abbey. Una
presenza – riporta l’agenzia Sir – che è stata accolta con
grande calore anche dalla Regina Elisabetta che nel suo saluto
all’Assemblea ha sottolineato come “la presenza tra noi oggi del
predicatore della Casa Pontificia non sarebbe stata possibile senza i
progressi avvenuti dal 1970 nella cooperazione tra le grandi tradizioni
cristiane”.
Padre Cantalamessa ha ricordato nella
sua predica che il mondo cristiano si sta preparando alla celebrazione
del 500.mo anniversario della riforma protestante ed ha detto: “È di
vitale importanza per tutta la Chiesa che questa opportunità non sia
sprecata da persone rimaste prigioniere del passato, cercando di
stabilire chi ha avuto ragione e chi torto. Piuttosto, facciamo un salto
di qualità, come quello che succede quando le chiuse di un fiume o di
un canale vengono aperte per consentire alle navi di continuare a
navigare a un livello d’acqua più alto. La situazione è radicalmente
cambiata da allora. Abbiamo bisogno di ricominciare a partire dalla
persona di Gesù e aiutare umilmente i nostri contemporanei a
sperimentare un incontro personale con Lui”.
Al termine del suo sermone padre
Cantalamessa ha rivolto un augurio all’Assemblea in vista del Sinodo, ma
anche “in vista della riunione prevista per il prossimo gennaio tra i
leader di tutta la Comunione anglicana”: “Coraggio, Maestà – ha detto il
predicatore vaticano – sovrano di questa nazione; coraggio, Justin,
arcivescovo di Canterbury; coraggio Sentamu, arcivescovo di York;
coraggio, voi vescovi, clero e laici della Chiesa d’Inghilterra!
Lavorate, nella consapevolezza della parole del Signore: sono con voi!”.
Le "profezie" di questo grande santo sono numerose e straordinarie,
quanto i suoi miracoli; e tutte suscitano un vivo interesse. Sulla
facciata della Basilica di Maria Ausiliatrice, a Torino, e possibile
notare come Don Bosco abbia voluto espressamente segnalare
all'attenzione dei fedeli due vittorie della Cristianità sui suoi
terribili nemici; entrambe dovute alla intercessione sovrana della
Madonna del Rosario e della Madonna Ausiliatrice, Nostra Signora delle
Vittorie. La prima vittoria appartiene al passato, ed è quella
di Lepanto, la battaglia navale in cui la Cristianità sbaragliò la
flotta musulmana, facendo naufragare le velleità di conquista degli
islamici. Il nome di Lepanto figura sulla bandiera spiegata da San
Michele Arcangelo sulla cupola di sinistra della Basilica, con sul
risvolto la data: 1571.
La seconda vittoria appartiene al futuro, e non ne conosciamo né il
luogo né la data. Si tratta di un "segreto" ancora avvolto nelle spire
del tempo e di cui abbiamo solo un indizio: due cifre seguite da due
punti, 19..
Nel libro I sogni di Don Bosco (Torino,
editrice Elle Di Ci), troviamo che il santo, nel suo sogno del 5
gennaio 1370, ebbe la visione di terribili avvenimenti che
sconvolgeranno la terra, in particolare in Francia, Parigi, e in Italia,
Roma.
A Torino, la città di Don Bosco, è vivo il ricordo che, originariamente,
il Santo aveva commissionato per la cupola di destra la statua di un
Angelo con in mano un altro stendardo riportante la data "19..".
Tale data, (incompleta ma corrispondente al "1571" della statua di
sinistra), era quella di una nuova futura battaglia, fra le forze del
bene e quelle del male, paragonabile per grandezza ed importanza a
quella di Lepanto. I torinesi di allora, non meno curiosi di quelli di
oggi, insistettero talmente presso Don Bosco per conoscere l'anno esatto
che il Santo, per sottrarsi alle richieste, mutò il progetto originario
e cambiò lo stendardo con la data fatale nella corona di alloro,
(simbolo della vittoria del bene), che oggi si può vedere nella mano
della statua dell'Angelo che sta sopra la cupola di destra. Chi scrive
ha appreso questa notizia dalla viva voce di un santo sacerdote
salesiano (cioè dell'ordine fondato da Don Bosco), oggi ultraottantenne. G. L. G.
(da I sogni di Don Bosco) […] La vigilia dell'Epifania dell'anno
corrente 1870, scomparvero gli oggetti materiali della camera e mi
trovai in presenza di cose sovrannaturali. Fu cosa di brevi istanti,
durante i quali io vidi molte cose. Sebbene di forma, di apparenze
sensibili, tuttavia non si possono, se non con grande difficoltà,
comunicare agli altri con segni esterni e sensibili. Se ne ha un'idea da
quanto segue. C'è la parola di Dio, accomodata alla parola dell'uomo. La guerra viene del Sud; la pace viene dal Nord. Le
leggi di Francia non riconoscono piú il Creatore, ma il Creatore si
farà conoscere e la visiterà per tre volte con la verga del suo furore.
La prima volta, Egli abbatterà la sua superbia con le sconfitte, con il
saccheggio e con la strage dei raccolti, degli animali e degli uomini.
La seconda volta, la grande prostituta di Babilonia, quella che i buoni
chiamano il "Postribolo d'Europa", sarà privata del capo, in preda a
disordini! Parigi… Parigi! Invece di armarti nel nome del Signore, tu ti
circondi di case di immoralità! Ma esse saranno distrutte da te stessa!
L'idolo tuo, il Panteon, sarà incenerito, affinché si avveri che mentita est iniquitas sibi (l'iniquità
ha mentito a sé stessa). I tuoi nemici ti metteranno nelle angustie,
nella fame, nello spavento e nell'abominio delle nazioni. Ma guai a te
se non riconoscerai la mano di chi ti percuote! Io voglio punire
l'immoralità, l'abbandono, il disprezzo della mia legge! La terza volta,
tu cadrai in mano straniera: i tuoi nemici vedranno da lontano i tuoi
palazzi in fiamme, le tue abitazioni divenute un mucchio di rovine,
bagnate dal sangue dei tuoi prodi che non sono piú! Ma ecco un gran
guerriero dal Nord che tiene, nella sua mano destra, uno stendardo sul
quale è scritto: "Irresistibile mano del Signore!".
EPISTOLA Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad Colossénses, 1, 9-14 Fratres: Non cessámus pro vobis orántes, et postulántes ut impleámini agnitióne voluntátis Dei, in omni sapiéntia et intelléctu spiritáli: ut ambulétis digne Deo per ómnia placéntes: in omni ópere bono fructificántes, et crescéntes in sciéntia Dei: in omni virtúte confortáti secúndum poténtiam claritátis eius in omni patiéntia, et longanimitáte cum gáudio, grátias agéntes Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem eius remissiónem peccatórum. M. - Deo grátias.
Non cessiamo di pregare per voi e di domandare che siate resi perfetti nella scienza della volontà di Dio, colmati di ogni sapienza ed intelligenza spirituale, cosí che conduciate una vita degna di Dio, sí da piacergli in tutto, da portar frutto in ogni opera buona e progredire nella scienza di Dio: corroborati con ogni specie di fortezza della sua gloriosa potenza, al fine di sopportare tutto con pazienza e longanimità, ringraziando con gioia Dio Padre che vi ha resi capaci di partecipare al retaggio dei santi nella luce. Lui, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue e la remissione dei peccati. M. - Deo grátias.
GRADUALE
Ps. 43, 8-9 - Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confundísti. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in sǽcula. Sal. 43, 8-9 - Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano. In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno.
da lui composta per l'occasione e letta all'alba del 12 settembre 1683,
dopo la celebrazione della S. Messa e la benedizione impartita
all'esercito cristiano che si accingeva a dare vittoriosamente
battaglia ai
Turchi che assediavano Vienna
O grande Dio degli eserciti,
guárdaci prostráti qui ai piedi della Tua Maestà,
per
impetrarTi il perdono delle nostre colpe.
Sappiamo bene di aver meritato che gl’infedeli impugnino le armi per
opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno
commettiamo contro la Tua bontà, hanno giustamente provocato la
Tua ira.
O gran Dio, Ti chiediamo il perdono dall’intimo dei nostri cuori;
esecriamo il peccato, perché Tu lo aborrisci; siamo afflitti
perché spesso abbiamo eccitato all’ira la Tua somma
Bontà.
Per amore di Te stesso, preferiamo mille volte morire piuttosto che
commettere la minima azione che Ti dispiaccia.
Soccórrici con la Tua grazia, o Signore, e non permettere che
noi Tuoi
servi rompiamo il patto che soltanto con Te abbiamo stipulato.
Abbi dunque pietà di noi, abbi pietà della tua Chiesa,
per opprimere la quale già si preparano il furore e la forza
degl’infedeli.
Sebbene sia per nostra colpa ch’essi hanno invaso queste belle e
cristiane regioni, e sebbene tutti questi mali che ci avvengono non
siano altro che la conseguenza della nostra malizia, síici
tuttavia propizio, o buon Dio, e non disprezzare l’opera delle Tue
mani. Ricordati che, per strapparci dalla servitù di Satana, Tu
hai donato tutto il Tuo prezioso Sangue.
Permetterai forse ch’esso venga calpestato dai piedi di questi cani?
Permetterai forse che la fede, questa bella perla che cercasti con
tanto zelo e che riscattasti con tanto dolore, venga gettata ai piedi
di questi porci?
EPISTOLA Léctio Epístolæ B. Pauli Ap. ad I Thessalonicénses, 1, 2-10
Fratres: Grátias ágimus Deo semper pro ómnibus vobis, memóriam vestri faciéntes in oratiónibus nostris sine intermissióne, mémores óperis fídei vestræ, et labóris, et caritátis, et sustinéntiæ spei Dómini nostri Iesu Christi, ante Deum et Patrem nostrum: sciéntes, fratres, dilécti a Deo, electiónem vestram: quia Evangélium nostrum non fuit ad vos in sermóne tantum, sed et in virtúte, et in Spíritu Sancto, et in plenitúdine multa, sicut scitis quales fuérimus in vobis propter vos. Et vos imitatóres nostri facti estis, et Dómini, excipiéntes verbum in tribulatióne multa, cum gáudio Spíritus Sancti: ita ut facti sitis forma ómnibus credéntibus in Macedónia, et in Acháia. A vobis enim diffamátus est sermo Dómini, non solum in Macedónia et in Acháia, sed et in omni loco fides vestra, quæ est ad Deum, profécta est, ita ut non sit nobis necésse quidquam loqui. Ipsi enim de nobis adnúntiant qualem intróitum habuérimus ad vos: et quómodo convérsi estis ad Deum a simulácris, servíre Deo vivo et vero, et exspectáre Fílium eius de coelis (quem suscitávit ex mórtuis) Iesum, qui erípuit non ab ira ventúra. M. - Deo grátias.
Fratelli, ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell'Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell'Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall'ira ventura. M. - Deo grátias.