Per la maggior Gloria di Nostro Signore cerchiamo persone disponibili ad eventuali Traduzioni da altre lingue verso l'Italiano. per chi si rendesse disponibile puo' scrivere all'indirizzo Mail: cruccasgianluca@gmail.com
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

mercoledì 30 gennaio 2013

“Perciò io vi dico, vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Matteo, 21, 43).


Mons. Luigi Carli, allora vescovo di Segni, pubblicava sulla Palestra Del Clero del 15 febbraio 1965, un interessante articolo sulla questione giudaica dibattuta in concilio, appena qualche mese dopo la votazione della Dichiarazione Nostra Aetate, del 20 novembre 1964. Ne riproduciamo una conclusione, per mostrare che il dibattito sui testi del concilio, anche dopo la loro approvazione, era considerato ancora aperto, almeno fino a quel momento. Mons. Carli dall'ottobre 1963 si unì al Coetus Internationalis Patrum. Era considerato uno dei migliori teologi del concilio.

Ritengo legittimo poter affermare che tutto il popolo giudaico dei tempi di Gesù - inteso in senso religioso, cioè quale collettività professante la religione di Mosè - fu responsabile insolidum del delitto di deicidio, quantunque soltanto i capi, seguiti da una parte degli adepti, abbiano materialmente consumato il delitto.

Quei capi non erano, sì, eletti democraticamente dal suffragio popolare; però, secondo la legislazione e la mentalità allora vigenti, erano ritenuti da Dio stesso (cfr. Mt. 23, 2) e dalla pubblica opinione come le legittime autorità religiose, i responsabili ufficiali degli atti che essi ponevano in nome della religione e servendosi degli strumenti giuridici predisposti dalla religione medesima. Orbene, proprio da quei capi Gesù Cristo, Figlio di Dio, fu condannato a morte; e fu condannato proprio perché si era proclamato Dio (Gv. 10, 33; 19, 7), e nonostante avesse fornito sufficienti prove per essere creduto tale. (Gv. 15, 24).

La sentenza di condanna fu emanata dal Concilio, (Gv, 11,49 segg.), cioè dal massimo organo autoritativo della religione giudaica, appellandosi alla Legge di Mosè (Gv. 19, 7), e motivando la sentenza come un'azione difensiva di tutto il popolo (Gv. 11, 50) e della stessa religione (Mt. 26, 65).
Fu il sacerdozio aaronitico, sintesi ed espressione massima dell'economia teocratica e ierocratica del Vecchio Testamento, a condannare il Messia. E' lecito, pertanto, attribuire il deicidio al giudaismo, in quanto comunità religiosa.

In questo senso ben precisato, e attesa la mentalità biblica, anche il giudaismo dei tempi posteriori a nostro Signore partecipa oggettivamente della responsabilità del deicidio nella misura in cui tale giudaismo costituisce la libera e volontaria continuazione di quello di allora.

Ci può aiutare a renderci conto di questa realtà un esempio preso da casa nostra. Un Sommo Pontefice e un Concilio Ecumenico, benché non vengano eletti dalla comunità cattolica con sistemi democratici, qualora prendano una solenne deliberazione nella pienezza della loro autorità, rendono corresponsabile di quella deliberazione, per allora e per tutti i secoli futuri, tutto il «cattolicesimo», tutta la comunità ecclesiale.

Mons. Luigi Carli, La questione giudaica davanti al Concilio Vaticano II, in Palestra del Clero, Anno XLIV N. 4, 14 febbraio 1965.
-----------------------------------
IL GIUDAISMO E LA CHIESA:

prima e dopo il Vaticano II


di John Vennari


È vero che Papa Benedetto ha fatto del bene reale per la Chiesa: l’esempio più evidente sono i suoi sforzi per ristabilire uno status giuridico alla Messa tridentina. Purtroppo, però, egli continua a seguire le orme sbagliate del suo predecessore post-Concilare. Con l’attuazione e la diffusione dei nuovi orientamenti del Vaticano II.

Ciò è particolarmente evidente nei rapporti di Papa Benedetto col moderno giudaismo, che sono basati sull’insegnamento del Concilio sugli Ebrei, contenuto nel documento Nostra Aetate. Questo nuovo orientamento non ha quasi nulla in comune con i 2000 anni di Tradizione della Chiesa.

Il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, il 16 maggio ha tenuto un discorso presso l’Angelicum a Roma, in cui ha elogiato la dedizione di Benedetto XVI alla Nostra Aetate e ai suoi sviluppi successivi.

Koch ha elogiato il cardinale Ratzinger per gli “articoli innovativi” nel campo delle relazioni cattolico-ebraiche, e ha continuato celebrando Papa Benedetto come un uomo impegnato in un nuovo approccio del concilio Vaticano II, lodandolo per il fatto che segue esattamente le orme di Papa Giovanni Paolo II:

Papa Benedetto XVI porta avanti e sviluppa il lavoro conciliatorio del suo predecessore riguardo ai colloqui ebraico-cattolici. Egli non solo ha indirizzato la prima lettera del suo pontificato al Rabbino Capo di Roma, ma, nel suo primo incontro con una delegazione ebraica, il 9 Giugno 2005, ha anche assicurato che la Chiesa si muove fermamente secondo i principi fondamentali della Nostra Aetate e che egli ha intenzione di proseguire il dialogo sulle orme dei suoi predecessori. Passando in rassegna i sette anni del suo pontificato, troviamo che in questo breve lasso di tempo egli ha anche ricalcato tutti quei passi che Papa Giovanni Paolo ha compiuto nei suoi 27 anni di pontificato: Papa Benedetto XVI ha visitato l’ex campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006; durante la sua visita a Israele nel maggio 2009 è stato in piedi davanti al Muro del Pianto, si è incontrato con il Gran Rabbinato di Gerusalemme e ha pregato per le vittime della Shoah a Yad Vashem; il 17 gennaio 2010 è stato accolto calorosamente dalla comunità ebraica di Roma, nella loro sinagoga. La sua prima visita a una sinagoga è stata compiuta, naturalmente, già il 19 agosto 2005 a Colonia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, e il 18 aprile 2008 ha visitato la Sinagoga di Park East a New York. Possiamo quindi affermare con gratitudine che nessun altro Papa nella storia ha visitato così tante sinagoghe come Benedetto XVI [1].


Allo stesso modo, quando Papa Benedetto XVI ha visitato la sinagoga di Roma, il rabbino David Rosen, direttore dell’American Jewish Committee’s Interreligious Affairs, ne fu entusiasta e capì meglio di molti cattolici la vera natura rivoluzionaria di tali atti.

Con la visita alla sinagoga, Papa Benedetto ha istituzionalizzato la rivoluzione”, ha detto il rabbino Rosen. “Con la visita alla sinagoga di Roma, Papa Benedetto sta rendendo difficile ad un futuro Papa non compiere una tale visita. La visita di Giovanni Paolo II [1986] si svolse una tantum, ma ora con la visita di Benedetto XVI, abbiamo un senso di continuità” [2].
 
Papa Giovanni Paolo II visitò una sinagoga durante i suoi 26 anni di regno. Nel breve arco di sei anni, Papa Benedetto XVI ne ha già visitate tre.

Da questo punto di vista, nelle azioni di Papa Benedetto vediamo al lavoro il rivoluzionario documento conciliare Nostra Aetate. I nostri più importanti uomini di Chiesa acclamano continuamente Nostra Aetate, non come una riaffermazione della Tradizione, ma come un segno di una nuova direzione.

“Un fondamentale ri-orientamento”
Il cardinale Koch, oggi a capo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani - voluto appositamente da Benedetto XVI per questo prestigioso posto in Vaticano - celebra Nostra Aetate come la “bussola cruciale” di tutti gli sforzi verso il dialogo cattolico-ebraico. Nel suo discorso del 16 maggio, Koch si riferisce ad esso come al “documento basilare”, la Magna Carta del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e il giudaismo. Egli definisce Nostra Aetate un testo che ha determinato “un fondamentale ri-orientamento della Chiesa cattolica” dopo il Concilio . [3]

Nostra Aetate venne concepita per essere solo l’inizio di qualcosa di molto più grande. Fu il culmine di oltre due decenni di lavoro da parte di teologi filo-modernisti, che erano determinati a superare la teologia tradizionale e a stabilire una nuova base nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei [4].
Su questo punto, il testo chiave della Nostra Aetate è nel quarto paragrafo del documento:

Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, […] gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. […] La Chiesa […] deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque

È ovvio che nessun cattolico può favorire il maltrattamento degli Ebrei o di chiunque altro. Questo è un dato certo. Ma quello che preoccupa è l’ambiguità contenuta nella frase: “gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura.”
Questa frase manca delle necessarie distinzioni.

In primo luogo, tutti noi siamo membri di una “razza maledetta” - la razza umana. Nessuno di noi nasce cattolico, ma entra in questo mondo, contaminato dal peccato originale, in quanto figlio di Adamo ed Eva. Nasciamo quindi, come spiega il Beato Abate Marmion, “nemici di Dio” [5]. I Salmi insegnano: «Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre» (Salmo 50, 7). E San Paolo afferma: «eravamo per natura meritevoli d’ira» (Efesini 2, 3). Siamo tutti nati come parte del Regno di Satana.
Per essere liberati da questo regno, abbiamo bisogno di essere “salvati”. L’eminente Mons. Joseph Clifford Fenton spiega: il processo di salvezza richiede un trasferimento dal regno di Satana al Regno di Dio. Questo Regno di Dio, secondo l’antica dottrina dei due regni [6],  è la Chiesa cattolica, l’unica e sola società soprannaturale stabilita da Cristo, in cui si possa trovare la salvezza.

Il processo di salvezza, come nota Fenton, è simile all’essere salvato dal naufragio di una barca a remi, in cui l’individuo è sicuro di morire, e l’essere trasferito in una nave da crociera. Questo trasferimento necessario dal regno di Satana al Regno di Dio esige il Battesimo e l’accettazione di Gesù Cristo e della sua divina Rivelazione. “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo. Chi non crederà sarà condannato” (Marco 16, 16). Questo insegnamento si applica a tutte le persone della terra, siano essi Ebrei, Musulmani, Indù o laicisti.

Beato Columba Marmion
(1858-1923)

Così, nasciamo tutti come parte di una “razza maledetta”. L’unico modo per liberarci da questa maledizione, l’unica via d’uscita dal regno di Satana, è lasciare l’impero del diavolo e trasferirsi nell’unica vera Chiesa di Cristo e mantenersi in stato di grazia per mezzo della preghiera e dei sacramenti.

“Ha dichiarato antiquata la prima”
Nostra Aetate non riesce a fare la distinzione fondamentale tra gli Ebrei in quanto individui e la religione ebraica. È vero che gli Ebrei non sottostanno ad una maledizione che preclude la loro salvezza, tant’è che la nostra storia sacra è piena di Ebrei convertiti che hanno lasciato la religione della sinagoga ed hanno abbracciato la Chiesa cattolica.
Ciò che oggi si chiama religione ebraica, tuttavia, non è di Dio, in quanto è basata sul rifiuto del Messia. Nostro Signore ha avvertito gli Ebrei del Suo tempo: “Perciò io vi dico, vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Matteo, 21, 43).

Allo stesso modo, San Paolo scrive che la Nuova Alleanza di Cristo “ha dichiarato antiquata la prima” (Ebrei 8,13)

Mons. Joseph Clifford Fenton, riaffermando la dottrina infallibile e immutabile di due millenni, spiega che la vecchia unità sociale - la religione ebraica dell’Antica Alleanza - era stata l’ecclesia di Dio, ma essa “ha perso il suo status di ecclesia o di regno di Dio sulla terra” a causa del suo rifiuto formale del Messia. Nostro Signore Gesù Cristo ha sostituito la Vecchia Alleanza con la Sua Nuova Alleanza per mezzo della Sua Passione e della Sua Morte in Croce e con la creazione della Sua Chiesa. “Questo nuovo organismo, come resto fedele di Israele”, scrive Fenton, “ha continuato ad essere l’ecclesia in un senso molto più completo e perfetto di quanto lo fosse stato l’altro”.
Così” - continua Fenton – “la società su cui regna il Romano Pontefice è chiamata la Chiesa, non solo a causa del fatto che si tratta di una comunità o organismo religioso, ma perché questa società è realmente e definitivamente il Regno di Dio sulla terra, l’assemblea del popolo della divina Alleanza, l’unità sociale fuori dalla quale non c’è salvezza” [7].

Mons. Joseph C. Fenton
(1906-1969)

Queste distinzioni cruciali non si trovano tra le ambiguità di Nostra Aetate. Cosa che costituisce un altro esempio di come il Vaticano II abbia prodotto essenzialmente dei documenti difettosi. Le deliberate ambiguità [8] e le omissioni cruciali del testo, aprono la porta ad una nuova teologia senza precedenti nella storia della Chiesa. Questa nuova interpretazione è diventata l’“interpretazione ufficiale” del Concilio, attuata dal Vaticano post-conciliare.

Nostra Aetate parla di “legami spirituali che collegano” Ebrei e Cristiani e del “grande patrimonio spirituale” comune ad entrambi. Questo nuovo approccio non parla più dell’infedeltà di Israele, ma della sua fedeltà [9]. Lo scrittore ebreo Lazare Landau si rallegrava perché al Vaticano II, “la dottrina della Chiesa ha indubbiamente subito un cambiamento totale” [10].
E come abbiamo visto, Nostra Aetate viene celebrata dal cardinale Koch  proprio perché è un testo rivoluzionario che si discosta dall’insegnamento cattolico di 2000 anni. Egli chiama l’insegnamento di Nostra Aetate, la “bussola cruciale” che ha realizzato “un fondamentale ri-orientamento della Chiesa cattolica” dopo il Concilio.

Questo nuovo orientamento sfida la natura della stessa verità oggettiva. E sfida anche l’insegnamento de fide del concilio Vaticano I, così come il Giuramento antimodernista, i quali impegnano i cattolici ad aderire alla sacra dottrina “nel medesimo senso e secondo la stessa interpretazione” che la Chiesa ha sempre tenuto. Il nuovo orientamento di Nostra Aetate è un esempio notevole del modernismo in azione.

Rendere esplicito ciò che era implicito

Papa Giovanni Paolo II all'incontro interreligioso di Assisi del 1986


All’elevazione al papato, Giovanni Paolo II disse che uno dei suoi compiti primari come Papa era quello di rendere esplicito ciò che era implicito nel Concilio [11]. Fu questo che motivò i suoi atti ecumenici, i suoi incontri pan-religiosi di Assisi e gli altri programmi rivoluzionari. Allo stesso modo, il suo intero approccio al giudaismo, incluso il suo essere il primo Papa a visitare una sinagoga, faceva parte di quel rendere esplicito ciò che nel Vaticano II era implicito.

Il 6 marzo 1982, Papa Giovanni Paolo II, in un discorso sulle relazioni ebraico-cattoliche, dichiarò:

«Infine, il nostro patrimonio spirituale comune è soprattutto importante a livello della nostra fede in un unico Dio, buono e misericordioso, che ama gli uomini e si fa amare da loro, maestro della storia e del destino degli uomini, che è nostro Padre, e che ha scelto Israele, “l’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili”» [Discorso di Giovanni Paolo II ai delegati delle Conferenze Episcopali per i rapporti con l’ebraismo].

Papa Giovanni Paolo II parlò anche di un impegno congiunto con gli Ebrei, di “una stretta collaborazione a cui siamo chiamati dal nostro patrimonio comune, vale a dire il servizio dell'uomo” [12].

Jean Madiran, il noto scrittore cattolico francese, spiega succintamente la novità delle parole di Giovanni Paolo: “Abbiamo due nuove idee”, scrive Madiran, l'idea che Ebrei e Cattolici venerino “lo stesso Dio” e un appello agli Ebrei e ai cattolici per lavorare “in stretta collaborazione, due idee che sembrano derivare dalla logica del Concilio … anche se il testo del Concilio non si è spinto a parlare di esse così chiaramente ” [13].

Sotto il pontificato di Giovanni Paolo, il nuovo atteggiamento della Chiesa post-conciliare nei confronti degli Ebrei si è reso ancora più esplicito nel maggio 1985, col documento della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l'Ebraismo: “Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica”. Questo documento vaticano fu approvato da Giovanni Paolo II, che “lo ratificò in quanto in linea col suo pensiero” [14].

Il testo vaticano afferma:

Attenti allo stesso Dio che ha parlato, legati alla stessa parola, noi dobbiamo testimoniare una stessa memoria e una comune speranza in Colui che è il maestro della storia. Bisogna anche che ci assumiamo la nostra responsabilità per preparare il mondo alla venuta del Messia, lavorando insieme per la giustizia sociale, per il rispetto dei diritti della persona umana e delle nazioni, per la riconciliazione sociale e internazionale. A questo siamo spinti, Ebrei e cristiani, dal precetto dell’amore per il prossimo, da una speranza comune del Regno di Dio e dalla grande eredità dei profeti. Trasmessa al più presto dalla catechesi, una tale concezione educherà in maniera concreta i giovani cristiani a dei rapporti di cooperazione con gli Ebrei, ben al di là del semplice dialogo (cap. II, n. 11) [15].

Così, in questo documento del 1985, il Vaticano - con il cardinale Joseph Ratzinger a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede – invitava ufficialmente i cattolici a cooperare con gli Ebrei per preparare la venuta del Messia.

Ancora, Madiran nota:

Questa idea, totalmente estranea al cattolicesimo, corrisponde ad una concezione tradizionale della teologia ebraica, nella sua visione del ruolo delle “religioni derivate dall’ebraismo”. Un’indicazione ufficiale di essa si ritrova nella dichiarazione fatta dal Gran Rabbinato di Francia il 16 aprile 1973, nella quale si ricorda “l’insegnamento dei più grandi teologi ebrei, per i quali la missione della religione derivata dall’ebraismo [che per loro sarebbe il cattolicesimo] è quella di preparare l’umanità per l’avvento dell’era messianica annunciata dalla Bibbia”.
Nelle sue direttive del maggio 1985, Roma ha così assegnato al cattolicesimo il posto e il ruolo assegnatole dalla teologia ebraica [16].

Vale la pena di soffermarsi a considerare una recente dichiarazione in proposito di Mons. Tissier de Mallerais, della Fraternità San Pio X. In una conferenza in Francia del 16 settembre 2012, egli ha affermato che Papa Benedetto, il 30 giugno 2012, in una lettera di suo pugno scritta a Mons. Fellay ha ribadito: “Le confermo effettivamente che per essere veramente reintegrati nella Chiesa occorre veramente accettare il concilio Vaticano II e il magistero post-conciliare” [17].

L’orientamento completamente nuovo nei confronti degli Ebrei è una componente inevitabile del “magistero post-conciliare” che dovrebbe accettare la FSSPX, compresa l’istanza vaticana avanzata ai cattolici e agli ebrei “per preparare il mondo alla venuta del Messia, lavorando insieme per la giustizia sociale, per il rispetto dei diritti della persona umana e delle nazioni, per la riconciliazione sociale e internazionale

Inoltre, secondo lo stesso documento vaticano del 1985, questa istanza dovrebbe essere “trasmessa al più presto dalla catechesi”, al fine di educare “in maniera concreta i giovani cristiani a dei rapporti di cooperazione con gli Ebrei, ben al di là del semplice dialogo”.

Non è impensabile che la gerarchia post-conciliare possa in seguito cercare di imporre tale istanza nel programma di studi per i giovani di St. Mary’s, Post Falls, Massena e perfino Winona [scuole e seminari della FSSPX]; cosa che costituisce uno dei tanti motivi per i quali la direzione della FSSPX non può fare in questo momento un accordo con la Roma odierna.

Impegnati nella Nuova Direzione

In tutti i suoi scritti nel corso degli anni, relativi ai rapporti cattolico-ebraici, Papa Benedetto ha trascurato di sottolineare il dovere dei cattolici di operare e pregare per la conversione degli Ebrei alla fede cattolica. Invece, il suo sforzo costante è stato quello di insegnare che Ebrei e Cristiani dovrebbero essere la “testimonianza comune” dell’unico Dio.

Questo tema si trova nei suoi libri: Molte religioni, un’unica Alleanza; Dio e il mondo; Gesù di Nazaret, parte II;  Luce del mondo. Ho parlato ampiamente di questo nel mio articolo di aprile 2011: “Common Mission and Significant Silence” e non mi ripeterò qui, passerò in rassegna solo alcuni dei punti più significativi.

Nel suo libro Gesù di Nazaret, Parte II, Papa Benedetto XVI, cita San Bernardo di Chiaravalle, il quale afferma che per gli Ebrei “è stato fissato un tempo, che non può essere anticipato. Deve avvenire prima la conversione di tutti i pagani… [18].
Queste parole vengono usate per dare l’impressione che la Chiesa cattolica non dovrebbe cercare di convertire gli Ebrei all’unica vera fede, poiché vi è una profezia che dice che si convertiranno comunque verso la fine del tempo [19].

Sfortuntamente, Papa Benedetto non riporta la citazione completa di San Bernardo, che su questo punto affina la dottrina cattolica. In accordo con la dottrina perenne della Chiesa, San Bernardo insegna: “Ci è stato detto dall’Apostolo che quando il tempo sarà maturo tutto Israele sarà salvato. Ma coloro che muoiono prima [che cioè non si sono convertiti] rimarranno nella morte” [20].

La citazione completa da San Bernardo contrasta mortalmente col nuovo orientamento del Vaticano II, ecco perché non viene riportata integralmente. Qui Papa Benedetto si dimostra essere innanzi tutto un teologo ecumenico, piuttosto che un vero cattolico. Già nel 1962, il brillante teologo Padre Edward Hanahoe avvertiva che la tattica dei teologi ecumenici è quella di passare sotto un “significativo silenzio” ogni verità cattolica che si oppone al loro disegno ecumenico [21].

San Bernardo di Chiaravalle

Allo stesso modo, nei primi del 1960, il protestante Dott. Visser’t Hooft ammetteva che “il semplice ABC dell’ecumenismo” è che “non esiste un linguaggio ecumenico che sia completamente privo di ambiguità” [22]. Ci sarà sempre una non-chiarezza. Ci saranno sempre elementi mancanti. È questa la natura dell’ecumenismo moderno e dei suoi teologi ecumenici, uno dei quali è Joseph Ratzinger. Non si guadagna niente facendo finta che le cose stiano diversamente.

Nel suo libro del 1998, Molte religioni, un’unica Alleanza, l’allora cardinale Ratzinger ha definito un tema centrale della sua teologia: Ebrei e Cristiani che adorerebbero lo stesso Dio e l’implicazione che i Cattolici non dovrebbero cercare di convertire gli Ebrei all’unica vera Fede.
Il cardinale Ratzinger scrive:
Ebrei e cristiani devono accettarsi l’un l’altro in una profonda intima riconciliazione, né violando la loro fede, né negandola, ma sulla base della profondità della fede stessa. Con la loro reciproca riconciliazione essi potranno diventare una forza per la pace nel e per il mondo. Attraverso la loro testimonianza nell’unico Dio, che non può essere adorato a prescindere dall’unità dell’amore di Dio e nemmeno in violazione della loro fede, né negandolo, ma per la profondità della fede stessa. Nel loro reciproco riconoscimento, essi potranno diventare una forza per la pace in e per il mondo…, potranno aprire la porta del mondo per questo Dio, così che possa essere fatta la sua volontà… [23].

In tutta evidenza, non possiamo fare a meno di concludere che Benedetto vede Ebrei e Cristiani come aventi una “missione comune” per portare Dio agli uomini e la pace al mondo. Non vediamo alcuna menzione della necessità degli Ebrei di convertirsi alla Chiesa per la loro salvezza, piuttosto siamo costretti a trarre la conclusione opposta.

È certamente difficile conciliare le parole del cardinale Ratzinger con l’insegnamento di Papa Pio VII, che nella sua enciclica Post tam diuturnas, denuncia l’indifferentismo e il nuovo concetto di libertà religiosa:
Per il fatto che venga proclamata l’indiscriminata libertà di tutte le forme di culto, la verità si confonde con l’errore, e la santa e immacolata sposa di Cristo è posta sullo stesso piano delle sette eretiche e anche della mancanza di fede ebraica [24].
Per questo Nostro Signore disse agli Ebrei che non lo accettavano:
Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati (Giovanni, 8, 23-24).
Al contrario, il nuovo programma post-conciliare dice effettivamente: “Se non credete che io sono Io, a modo vostro siete ancora fedeli all’Alleanza”. Questo nuovo approccio è l’esatto opposto delle parole di Cristo.

Papa Pio VII

Quando Papa Benedetto visitò la sinagoga di Roma nel 2010, ribadì lo stesso tema che si trova nei suoi libri.
Papa Benedetto disse:
Cristiani ed Ebrei hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore [25], hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro. Spetta a noi, in risposta alla chiamata di Dio, lavorare affinché rimanga sempre aperto lo spazio del dialogo, del reciproco rispetto, della crescita nell’amicizia, della comune testimonianza di fronte alle sfide del nostro tempo, che ci invitano a collaborare per il bene dell’umanità in questo mondo creato da Dio, l’Onnipotente e il Misericordioso [26].

Eppure sappiamo che gli Ebrei e i Cristiani non adorano lo stesso Dio. Gli Ebrei respingono il Dio Trinitario. Rifiutano Gesù Cristo come Signore e Messia. E San Giovanni, l’Apostolo dell’amore, scrive: “Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato” (Giovanni 5, 23).

Infine, come abbiamo notato, il nuovo approccio a rendere una “comune testimonianza” a Dio insieme con gli Ebrei, impone implicitamente che, per la loro salvezza, non si parli più della necessità della loro conversione all’unica vera Chiesa di Cristo. Così che in effetti, tale approccio dice agli Ebrei che hanno la libertà morale di vivere la loro vita come se Gesù Cristo fosse un truffatore e un impostore.

In realtà, il cardinale Koch accenna brevemente all’insidioso problema degli Ebrei che non accettano Cristo, ma lo fa in un modo che sfida la ragione. Nel suo discorso del 16 maggio, Koch dice:
 “Che gli Ebrei partecipino alla salvezza di Dio è cosa teologicamente indiscutibile, ma come questo possa essere possibile senza che confessino Cristo in modo esplicito, è e rimane un insondabile mistero divino”  [27].

È possibile che una dichiarazione di un Cardinale possa essere più insulsa? La verità è che i nostri uomini di Chiesa post-conciliari hanno distorto la dottrina cattolica tradizionale e hanno fabbricato una falsa teologia per servire il nuovo dio delle “relazioni ebraico-cattoliche”. Questi uomini di Chiesa hanno adottato contraddizioni e impossibili indovinelli e hanno provato a camuffare il disastro, avvolgendolo nel pio sudario dell’“insondabile mistero divino”.

Il “fondamentale ri-orientamento della Chiesa cattolica” operato dal Vaticano II è una manifestazione delle componenti del cattolicesimo liberale: soprattutto dell’“indifferentismo religioso” e della convinzione modernista di “qualche trasformazione del messaggio dogmatico della Chiesa nel corso dei secoli” [28].

Nel seguire l’approccio post-conciliare agli Ebrei, Papa Benedetto, per usare le parole del rabbino Rosen, sta “istituzionalizzando la rivoluzione” – una rivoluzione che si scontra frontalmente con l’infallibile decreto del Concilio di Firenze, secondo il quale “Pagani, Ebrei, eretici e scismatici” sono “fuori dalla Chiesa cattolica” e come tali “non potranno mai essere partecipi della vita eterna”, a meno che “prima di morire” non si riuniscano all’unica vera Chiesa di Gesù Cristo: la Chiesa cattolica.

Koch e l’“antisemitismo”

Negli ultimi due mesi, il Cardinale Koch ha ribadito ancora una volta la centralità di Nostra Aetate, in un discorso ai membri della Pontificia Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, pubblicato ne L’Osservatore Romano del 7 novembre.

Lo sforzo per raggiungere un accordo con la FSSPX, ha detto Koch alla Commissione, “non significa assolutamente” che la Chiesa cattolica accetti o sostenga le posizioni anti-ebraiche o antisemite che si presume abbiano sposate alcuni membri della FSSPX.

Il Santo Padre mi ha incaricato”, ha detto Koch, “di presentare la questione nel modo corretto. Per quanto riguarda l’ebraismo, Nostra Aetate non può essere messa in discussione in alcun modo dal magistero della Chiesa, come lo stesso Papa ha ripetutamente dimostrato con i suoi discorsi, con i suoi scritti  e con i suoi gesti personali riguardo agli Ebrei” [29].

L’abortista Anti-Defamation League ha immediatamente elogiato le dichiarazioni di Koch: “… Noi condividiamo ed applaudiamo la forte e chiara riaffermazione del Cardinale Koch sull’importanza di Nostra Aetate per la Chiesa cattolica”, ha detto Abraham Foxman, Direttore Nazionale dell’ADL.
Un comunicato stampa dell’ADL loda la riaffermazione di Koch che Nostra Aetate è “la bussola fondamentale di tutti gli sforzi verso il dialogo ebraico-cattolico”.
Lo stesso comunicato stampa cita il rabbino Eric J. Greenberg, direttore interreligioso dell’ADL, che ha detto che l’ADL:
chiede rispettosamente che qualsiasi potenziale riabilitazione della FSSPX, includa il requisito che la Fraternità rigetti pubblicamente i loro decenni di odio [sic], e come espressione della loro accettazione di Nostra Aetate, si esiga che rimuovano  tutta la retorica antisemita dalle loro pubblicazioni, sia on-line sia a stampa [30].

Non possiamo ritrarci troppo in fretta davanti all’accusa di “antisemitismo” o di “antigiudaismo”, fin quando non sapremo esattamente in che modo devono essere intesi questi termini abborracciati. Bisogna tenere presente che l’ADL, in linea con lo storico ebreo Jules Isaac, considera “antisemiti”: San Tommaso d’Aquino, San Giovanni Crisostomo, i santi Papi e Padri della Chiesa, nonché gli stessi autori del Santo Vangelo.
L’8 giugno del 1999, partecipai ad una serata di dialogo ebraico-cattolico in un seminario cattolico locale. I due oratori che conducevano i lavori erano il professor James McManus della Conferenza episcopale degli Stati Uniti e il rabbino Leon Klenicki della Anti-Defamation League del B'nai B'rith [31].

Il rabbino Klenicki affermò che gli uomini di Chiesa dei primi secoli (quelli che noi veneriamo come Padri della Chiesa: Agostino, Ambrogio, Cipriano, ecc.) operarono con una visione altamente imperfetta di ciò che era accaduto al tempo di Nostro Signore. Affermò anche che Pilato fu l’unico responsabile per la morte di Cristo e che i Farisei in realtà cercarono di mettere in guardia Gesù sul tradimento di Pilato.
In altre parole, Klenicki propugnò la falsa idea che i racconti evangelici degli eventi che hanno portato alla Passione e alla Morte di Nostro Signore non sono degni di fiducia, il che può significare soltanto che i Vangeli non sono veramente Parola di Dio.

La dottrina cattolica tradizionale, disse Klenicki, è stata avvelenata dal presunto “trionfalismo” e dall’“anti-giudaismo”, che si è manifestato nel cosiddetto “insegnamento del disprezzo” [32] della Chiesa cattolica al tempo del Medio Evo. Questo cosiddetto “insegnamento del disprezzo”, d’altronde, non era altro che la dottrina tradizionale della Chiesa, basata sulla Sacra Scrittura, secondo la quale Nostro Signore pose fine alla Vecchia Alleanza con la sua Passione e la sua Morte in Croce, e l’istituzione della Chiesa cattolica come Nuova Alleanza.

Per rendersi conto appieno del disprezzo che alcuni di questi gruppi di potere ebraico nutrono nei confronti di Cristo, del suo Vangelo e della sua Chiesa, e per meglio valutare il danno alla dottrina cattolica prodotto da Nostra Aetate, basta solo leggere, con un fremito, l’elogio di Papa Benedetto XVI espresso da Abraham Foxman, membro dell’Anti-Defamation League, per essersi “dedicato alla piena attuazione di questo documento [Nostra Aetate] e per il suo genuino e sincero impegno nelle relazioni cattolico-ebraiche” [33].

Trattare tutti gli uomini, cattolici e non, con amore e rispetto è richiesto sia dalla legge naturale sia da quella divina. Ed è il fine naturale dell’anima che ama veramente Cristo e conforma le sue azioni al modello divino.
Allo stesso modo, le pacifiche relazioni con le religioni non cattoliche sono legittime. Ma ri-orientare la nostra sacra dottrina per compiacere le religioni non cattoliche, come ha fatto il Vaticano II, è criminale. Lavorare a questo ri-orientamento della dottrina è, obiettivamente, un peccato contro la stessa fede. Per coloro che sono stati ordinati prima del 1967, questo peccato è aggravato dalla rottura del giuramento solenne contro il modernismo, che essi hanno prestato davanti a Dio, con una mano sulla Bibbia, alla vigilia della loro ordinazione [34].

Mentre il fedele non può in alcun modo giudicare le intenzioni soggettive del Papa (ad esempio, non sappiamo quanto lui comprenda appieno la natura oggettivamente peccaminosa delle sue azioni ecumeniche), bisogna rendersi conto che i cattolici non sono obbligati in alcun modo ad accettare queste nuovi insegnamenti, anche se provengono da un Pontefice. Ricordiamo l’istruzione data da Papa Innocenzo III, che ha insegnato che se un Papa si discosta dagli insegnamenti universali e dai costumi della Chiesa, “non bisogna seguirlo” [35]. In realtà, come insegna San Roberto Bellarmino, abbiamo il dovere di resistere [36].

Il Messaggio di Fatima ci esorta a “pregare molto per il Santo Padre”.

Che Nostro Signore ci invii presto un Pontefice che sia nuovamente fedele al monito del Vaticano I e al Giuramento antimodernista, per insegnare e preservare la fede “nello stesso senso e secondo una stessa interpretazione”, come la Chiesa ha sempre insegnato nel corso dei secoli.

NOTE

1
- CARD. KURT KOCH, Building on Nostra Aetate - 50 Years of Christian-Jewish Dialogue [Costruire su Nostra Aetate: 50 anni di dialogo ebreo-cristiano], Lettura alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum), Centro Giovanni Paolo II, Roma, 16 maggio 2012. Pubblicato dal Council of Centers of Jewish-Catholic Relations (i neretti sono miei).
2 - Da Pope to Make Symbolic Visit to Rome Synagogue this Sunday, in Catholic Herald, 15 gennaio 2010 (i neretti sono miei).
3 - KOCH, Building on Nostra Aetate.
4 - Si veda: PROF. JOHN CONNELLY, From Enemy to Brother: The Revolution in Catholic Teaching on the Jews, 1933-1965, Harvard University Press, 2012. Il libro dell’autore è chiaramente in sintonia con i progressisti, ma questo non toglie nulla al valore della documentazione. Questo libro appena pubblicato, documenta il lavoro dei teologi progressisti pre-Vaticano II per la costruzione di una nuova teologia in grado di favorire le moderne relazioni ebraico-cattoliche. Fu il lavoro di questi teologi, in primo luogo quello di Karl Theime, che gettò le basi per il nuovo approccio di Nostra Aetate. Speriamo di poter fornire maggiori dettagli su questo materiale in un prossimo numero di CFN.
5 - ABATE COLUMBA MARMION, Christ the Life of the Soul, St. Louis, Herder, 1925, p. 33.
6 - “La razza umana dopo la sua miserevole caduta da Dio, Creatore e Datore dei doni celesti, ‘per invidia del diavolo’ fu divisa in due parti diverse, di cui l’una sostiene con fermezza la verità e la virtù, l’altra quelle cose che sono contrarie alla virtù e alla verità. L’una è il Regno di Dio sulla terra, la vera Chiesa di Gesù Cristo, e coloro che desiderano col cuore di essere uniti con esso, in modo da ottenere la salvezza,  devono necessariamente servire Dio e il Suo Figlio Unigenito con tutta la mente e con l’intera volontà. L’altra è il regno di Satana, nel cui possesso e controllo si trovano tutti coloro che seguono il fatale esempio del loro capo e dei nostri primi genitori, tutti coloro che si rifiutano di obbedire alla legge divina ed eterna, e che perseguono molti obiettivi propri in spregio a Dio, e molti obiettivi anche contro Dio. Questo duplice regno, Sant’Agostino, con acuto discernimento, lo ha descritto come due città, in contrasto nelle loro leggi perché in lotta per obiettivi contrari; e con sottile brevità ne ha espresso la causa efficiente con queste parole: ‘due amori hanno formato le due città: l’amore di sé, che arriva fino al disprezzo di Dio: la città terrena; l’amore di Dio, che arriva fino al disprezzo di sé: la città celeste’. In ogni tempo l’una è stata in lotta con l’altra…”. La citazione è tratta da MONS. FENTON, The Catholic Church and Salvation [La Chiesa cattolica e la salvezza], p. 135. (i neretti sono miei). Eppure, come spiega Michael Davies in Pope John’s Council, il Vaticano II, in particolare il documento conciliare Gaudium et spes, ha di fatto abbandonato la dottrina dei due regni. Davies scrive, “Gaudium et spes è pervasa dall’idea che tutti gli uomini sono fondamentalmente uomini di buona volontà, alla ricerca della verità e ansiosi di fare il bene. Lungi dall’idea di conflitto tra la Città di Dio e la città dell’uomo [come esposto, come abbiamo appena visto, negli scritti di Sant’Agostino e di Papa Leone XIII - Humanum Genus], il documento conciliare Gaudium et spes prevede un futuro in cui le due città lavoreranno insieme per il bene comune del genere umano.” (Pope John’s Council, pp 184-185).
7 - Si veda: MONS. JOSEPH CLIFFORD FENTON, The Meaning of the Word ‘Church’[Il significato della parola “Chiesa”], in American Ecclesiastical Review, ottobre 1954.
8 - Padre Ralph Wiltgen rivela che, nei documenti conciliari, i progressisti avrebbero usato termini ambigui in modo da poterli sfruttare in seguito. Egli cita un peritus progressista del Concilio che ha detto: “Stiamo stabilendo questo in maniera diplomatica, ma dopo il Concilio trarremo le conclusioni implicite in esso.” (PADRE RALPH WILTGEN, SVD, The Rhine Flows into the Tiber (Il Reno si getta nel Tevere), originariamente pubblicato nel 1966 da Hawthorne Books, ristampato da Tan Books nel 1985, Pag. 242). Michael Davies, nel suo libro Pope John’s Council, dedica un intero capitolo a queste deliberate “bombe a orologeria”.
9 - Tratto da JEAN MADIRAN, L'accord secret de Rome avec les dirigeants juifs (L'accordo segreto di Roma con i dirigenti ebrei), in Itineraires, autunno 1990 (i neretti sono miei). Per una sintesi dell’articolo di Madiran si veda: Common Mission and Significant Silence, in CFN, aprile 2011.
10
- Ibid.
11 - Nel suo primo discorso da Papa, Giovanni Paolo II non ha parlato del suo dovere di preservare la purezza della dottrina cattolica contro i molti errori del tempo, come aveva fatto Papa San Pio X. Al contrario, Giovanni Paolo II ha considerato suo compito primario promuovere l’agenda progressista del Vaticano II. Il 17 ottobre 1978, il neo-eletto Giovanni Paolo II disse: “Consideriamo, perciò, un compito primario quello di promuovere, con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo Concilio, favorendo innanzitutto l’acquisizione di un’adeguata mentalità. Intendiamo dire che occorre prima mettersi in sintonia col Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato, per rendere esplicito, anche alla luce delle successive sperimentazioni e in rapporto alle istanze emergenti e alle nuove circostanze, ciò che in esso è implicito”. (Primo radiomessaggio dalla Cappella Sistina - i neretti sono miei).
12 - Da: JEAN MADIRAN, La question juive dans l’Eglise [La questione ebraica nella Chiesa], in Itineraires, marzo 1986, pubblicato in inglese in Supplement to Approaches, n° 93, p. 4.
13 - Ibid., p. 4.
14 - Ibid., p. 5.
15 - Ibid., p. 8.
16 - Ibid. (i neretti sono miei)
17 - Pubblicato il 27 settembre 2012 sul sito della CFN: www.cfnews.org/tiss-sept27.htm [in italiano si veda la conferenza in questo sito]
18 - BENEDETTO XVI, Gesù Nazareth, vol 2: Dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione, pp. 44-45 dell’edizione inglese [Jesus of Nazareth Part II: Holy Week: From the Entrance into Jerusalem to the Resurrection]. (i neretti sono miei).
19 - Il teologo progressista Karl Theime, che il Prof. John Connelly chiama un pioniere nelle moderne relazioni ebraico-cattoliche, propose un tema simile prima del Vaticano II. “Theime notava che Paolo aveva infatti profetizzato che ‘tutto Israele sarà salvato’, ma solo dopo che il 'numero completo' dei Gentili sarà entrato nel Regno messianico. Se la salvezza di Israele è certa, le attività missionarie dovrebbero concentrarsi su quelli la cui salvezza non è certa. Questa nuova lettura era già divenuta popolare nell’emergente dialogo ebraico-cristiano in Francia, dove Jules Isaac sosteneva che il significato della missione doveva trasferirsi in un mondo post-Olocausto.” (From Enemy to Brother, pag. 203). Il giovane Don Joseph Ratzinger era in corrispondenza con Karl Theime. Maggiori informazioni su questo vasto argomento, nei prossimi numeri di CFN.
20 - “Letter to England to Summon the Second Crusade, 1146”. Traduz. di Bruno Scott James, The Letters of St. Bernard of Clairvaux (London: Burns Oates, 1953). Tratto dalla pagina web del Council of Centers on Jewish-Catholic Relations.
21 - In PADRE EDWARD HANAHOE, Ecumenism and Ecclesiology, Part II, in American Ecclesiastical Review, novembre 1962.
22 - FATHER DAVID GREENSTOCK, Unity: Special Problems, Dogmatic and Moral, in The Thomist, 1963, citato in un articolo della The Ecumenical Review, VIII, gennaio 1956.
23 - JOSEPH RATZINGER, Many Religions – One Covenant, San Francisco: Ignatius Press, 1998, p. 45-46 [Joseph Ratzinger, Molte religioni, un’unica alleanza, Ed. San Paolo, 2007].
24 - Lettera di Pio VII a Mons. de Boulogne, Post tam diurturnas, citata in FATHER DENIS FAHEY, The Kingship of Christ and Organized Naturalism, 1943 e 1987, p. 10. Citata anche in The Kingship of Christ and the Conversion of the Jewish Nation, p. 12.
25 - Parlando della nozione modernista secondo la quale varie religioni adorerebbero lo stesso Dio, l’eminente teologo Padre Reginald Garrigou-Lagrange ha spiegato che tale principio nega il principio di non-contraddizione, che è il principio fondamentale della ragione. Padre Garrigou-Lagrange, spiega: “È ingiurioso dire che Dio avrebbe considerato con equanimità tutte le religioni, mentre l’una insegna la verità e l’altra l’errore, mentre l’una promette il bene e l’altra promette il male. Dire questo equivale all’affermare che Dio sarebbe indifferente al bene e al male, a ciò che è onesto e a ciò che è vergognoso” (De Revelatione, Paris: Galbalda, 1921, Tome 2, citato da PADRE FRANÇOIS KNITTEL, Christians, Muslims and Jews: Do we all Have the Same God? [Cristiani, Musulmani ed Ebrei: abbiamo tutti lo stesso Dio?], in  Christendom, novembre-dicembre 2007).
26 - Il Signore ha fatto grandi cose per loro, Intervento pronunciato da Papa Benedetto XVI nella Sinagoga di Roma, 17 gennaio 2010, in Zenit, 17 gennaio 2010.
27 - KOCH, Building on Nostra Aetate.
28 - Si veda: MONS. JOSEPH CLIFFORD FENTON, The Components of Liberal Catholicism [Le componenti del cattolicesimo liberale], in American Ecclesiastical Review, luglio 1958. Per una lettura che descrive queste componenti come la radice del nuovo orientamento del Vaticano II, si consulti il CD audio “Catholic Identity Theft; The Components of Liberal Catholicism” di John Vennari (Oltyn Library Services, 2316 Delaware Ave, PMB 325, Buffalo NY 14216).
29 - Cardinal: Vatican-SSPX talks do not signal toleration of anti-Judaism, in Catholic News Service, 8 novembre 2012.
30 - Comunicato stampa dell’ADL del 12 novembre 2012: ADL Praise Cardinal Koch’s Reaffirmation of Positive Relations Between Catholics and Jews.
31 - I resoconti di questa serata di dialogo ebraico-cattolico sono pubblicati in J. VENNARI, The Gospel According to Non-Believers, Part I, Catholic Family News, Maggio 2000.
32 - L’espressione “insegnamento del disprezzo” è stata effettivamente coniata dal Prof. Jules Isaac (1877-1963), lo storico ebreo francese riverito dagli Ebrei di tutto il mondo. Nei suoi molti scritti, Isaac ha mosso guerra ai Santi Vangeli come la “vera fonte” dell’antisemitismo. Secondo Isaac: “La permanente fonte dell’antisemitismo non è altro che l’insegnamento religioso cristiano con le sue descrizioni e le sue tendenziose interpretazioni tradizionali della Scrittura”. Dal momento che Jules Isaac rifiuta Gesù Cristo come Messia, necessariamente rigetta il Nuovo Testamento come ispirata e infallibile Parola di Dio. Per lui, i Vangeli sono scritti umani fallibili che possono essere criticati, corretti o condannati. Egli è particolarmente virulento contro il Vangelo di Matteo: “È una vera e propria competizione a chi può fare apparire più odiosi gli Ebrei. Ampiamente variegato e patetico, come è il narratore del quarto Vangelo [San Giovanni], la palma va a Matteo, la sua mano infallibile ha scagliato la freccia avvelenata che non potrà mai essere ritirata”, Jules Isaac: Gesù e Israele. Citato in VISCONTE LEON DE PONCIS, Judaism and the Vatican (Giudaismo e Vaticano), 1967, ristampato da Christian Book Club of American, Palmdale, CA, 1999, p. 4.
33 - Comunicato stampa dell’ADL del 12 novembre 2012.
34 - Mons. Joseph Clifford Fenton insegnava che un uomo che ha prestato il giuramento antimodernista e che poi sostiene il modernismo stesso o permette che il modernismo avanzi “marcherebbe se stesso, non solo come peccatore contro la fede cattolica, ma anche come comune spergiuro.” (MONS. JOSEPH CLIFFORD FENTON, Sacrorum Antistitum and the Background of the Oath Angaist Modernism, in The American Ecclesiastical Review, ottobre 1960, pp 259-260.
35 - Il Cardinale Giovanni da Torquemada (1388-1468) è stato un venerato teologo medievale, responsabile della formulazione delle dottrine che sono state definite al Concilio di Firenze. Il Cardinale Torquemada insegna: “Se il Papa comanda qualcosa contro le Sacre Scritture o gli articoli di fede o la verità dei sacramenti o i dettami della legge naturale o divina, non gli si deve ubbidire e i suoi comandi devono essere ignorati”. Citando la dottrina di Papa Innocenzo III, il cardinale Torquemada insegna ancora: “Così, Papa Innocenzo III (De Consuetudine) afferma che è necessario obbedire al Papa in tutte le cose, finché lui stesso non vada contro i costumi universali della Chiesa, se egli  dovesse andare contro i costumi universali della Chiesa “ è necessario non seguirlo”. Fonte: Summa de Ecclesia, Venezia, M. Tranmezium, 1561, Lib. II, c. 49, pag. 163B.
36  - San Roberto Bellarmino, Dottore della Chiesa, insegna: “Così come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, è anche lecito resistere a colui che aggredisce l’anima o che disturba l’ordine civile, o, soprattutto, che tenta di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli: non facendo ciò che ordina e impedendo che la sua volontà venga eseguita; non è lecito, invece, giudicarlo, punirlo o deporlo, dal momento che questi sono atti propri di un superiore” (De Romano Pontifice, lib. II, cap. 29, in Opera omnia, Napoli/Palermo/Parigi, Pedone Lauriel, 1871, vol. I, p. 418). Per ulteriori informazioni, si veda: J. VENNARI, Resisting Wayward Prelates, According to the Saints, in Catholic Family News, gennaio 1998.

1 commento:

  1. Rabbi Yehuda Loew (Leib) ben Bezalel [il Maharal di Praga] (1512-1609), sposò Pearl Shmelkes-Reich (1516-1610)
    Vogele Loew (1556-1629) sposò il Rabbino Isak Ha-Cohen (1550-1624)
    Chava [Eve] Ha-Cohen (1580-1651) sposò il Rabbino Samuel Bachrach Abraham (1575-1615), Rabbino di Worms
    Rabbino (Moses) Samson/”Simson”/ Bachrach (1607-1670), Rabbino in Goding, Leipnik, Praga, e Worms, sposò Dobrusch Phobus (1610-1662)
    Rabbino Jair Chayim Bachrach, alias “il Yoire Chavas” (1638-1702), Rabbino di Worms, sposò Sarah [Dinah SorLA] Brillin (1638-1703)
    Rabbino Samson/”Simson”/ Bachrach sposa una Bachrach (n. 1657), evidentemente una sua parente, di cui non si conosce il nome
    Bachrach Malka (nata nel 1680), sposò il Rabbino Zalman Shpitz, presidente di Beit Din a Eisenstadt
    Rabbino Jonah Gerondi
    [Sarah] Sarl Shpitz (n. 1703), sposò Knoepflmacher Rabbi Jacob (c.1700-prima del 1739), “il Maestro”, “Rabbino capo in Mehrin”
    Nissel Knoepflmacher (nata nel 1722), sposò il più giovane fratello di suo padre, il Rabbino Mosè Knoepflmacher (1718-1798) di Holesov Jonas dei Tauber
    Jacob Knopfelmacher (n.1739) sposò Katharina (n.1740) Aaron Tauber di Leipnik Moravia [n.1658]
    Isaac Tauber di Leipnik Moravia fratello [n.1690] anziano di Gioacchino Lobl (Leopold) Tauber Hole-
    Joachim Knopfelmacher (n.1764) sposò Anna (n.1764)
    Jacob Tauber di Lepnik Moravia [n.1715]
    Markus Knopfelmacher (n.1786) sposò Betty Jonas Tauber di Mahr. Weißkirchen Moravia [n.1739 d.1822] m. seconda moglie Rebecca Zerkowitz
    Josephine (Peppi/Josefa) Knopfelmacher (n.1809) sposò Jacob Tauber (n.1811)
    Betty (Elisabetta Maria) Tauber (n.1834 a Mahr. Weißkirchen Moravia), sposò, nel 1858 a Rio de Pusteria, Anton Peter Peintner
    Maria Tauber Peintner (n.1855 a Rasa, m.1930) sposò Isidor Rieger
    Maria Peintner Rieger (n.1884) sposò Joseph Ratzinger
    Joseph Alois Ratzinger (Benedetto XVI Papa)
    Jonah Gerondi, famoso rabbino, è un
    antenato di Jonas dei Tauber
    È importante notare che Joseph Alois Ratzinger TAUBER
    Peintner discenda da uno dei rami cabalistici più importanti della
    Sinagoga (il Gran Rabbinato di Praga) e lo sforzo fatto dalla tribù
    ebraica in particolare (Neftali) da almeno 500 anni, per usurpare la
    Sede di Pietro, come affermò John Retcliffe nel capitolo “Il cimitero
    ebraico di Praga e il Consiglio dei rappresentanti delle dodici tribù
    di Israele”
    El Shebet Náftali (PRAGA) ha detto: «Non accettare mai posizioni
    subordinate. Della massima importanza per noi è la giustizia e la difesa. Ci
    dà l'opportunità di conoscere la posizione dei nostri nemici e il loro potere
    reale. Abbiamo già avuto in molti Stati ministri delle finanze e anche ministri
    della giustizia. IL NOSTRO OBIETTIVO È DI ESSERE AL MINISTERO
    DEL CULTO (Clero cattolico e Papato, naturalmente). Dobbiamo
    conseguirlo esigendo parità ed uguaglianza civile...»

    FORSE QUI C'E' LA SPIEGAZIONE ?
    tratto da :http://radiocristiandad.wordpress.com/2011/03/30/juan-pablo-ii-y-benedicto-xvi-nacidos-de-vientre-judio-todo-cuadra/

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.