Il nostro carissimo amico Baronio ci ha segnalato il suo ultimo articolo che noi di questo Blog pubblichiamo, con la sola differenza della prima immagine, con molto piacere:
E' evidentissimo che i problemi
denunziati dai media durante il precedente Pontificato erano solo ed
esclusivamente pretestuosi e volti a togliere di mezzo Benedetto
XVI. Dico togliere di mezzo perché le intenzioni erano note sin
da un anno fa: se non si fosse dimesso, forse avremmo dovuto annoverare
Ratzinger assieme a Luciani nella lista delle vittime della Curia
Romana.
Eppure è il caso di notare che il mondo, il secolo profano, non ha alcuna vera sollecitudine per i problemi della Chiesa: esso li addita come colpe solo per l'ultima sacra Monarchia di diritto divino in Europa, mentre diventano diritti quando sono praticati dai laici e dai gentili.
Omosessualità:
un problema della Chiesa nei suoi chierici, non del mondo, che
sbandiera i diritti dei gay, il matrimonio tra persone dello stesso
sesso, il diritto all'adozione ecc.
Pedofilia:
un problema della Chiesa nei suoi ministri, non del mondo, che teorizza
il diritto alla sessualità per i minorenni, l'educazione sessuale degli
innocenti, la perversione dei fanciulli e dei giovani.
Corruzione e carrierismo:
un problema della Chiesa nella sua Gerarchia, non del mondo, i cui
esponenti convivono e si pascono di corruzione, tangenti, conflitti di
interessi, ricatti.
Trionfalismo:
un problema della Chiesa nella sua Regalità, e non del mondo, che
tributa onori alla feccia dell'umanità: pubblici peccatori, concubinari,
viziosi, ladri, iracondi, corrotti e via elencando.
Integralismo e intolleranza: un
problema della Chiesa nella sua divina costituzione, e non del mondo,
che nondimeno catechizza le masse con i nuovi dogmi della tolleranza,
della solidarietà, del pacifismo, della dignità dell'uomo, del
filogiudaismo.
Ovviamente
a questo stracciarsi le vesti per la vera o presunta corruzione o
immoralità del Clero si accompagna, com'è ovvio, l'insofferenza alle ragioni dottrinali e morali
che la Chiesa dovrebbe addurre per sradicare questi mali al suo
interno. Il senso del peccato, la necessità della disciplina e della
penitenza, la considerazione dei Novissimi, il ricordo salutare della
pena eterna, l'esempio dei Santi, e prima di tutto i Comandamenti del
Salvatore nostro e gli insegnamenti del Magistero, la dignità del nome
cristiano, l'onore di Dio e della Chiesa, il primato della Verità e la
condanna dell'errore.
Ecco allora che un quivis de populo può parlare di solidarietà, di amore, di fratellanza, di speranza, di soccorso ai poveri e ai bisognosi senza mai menzionare il motivo per cui il Cattolico dev'essere virtuoso: l'amore di Dio e l'amore del prossimo per amor Suo.
Sfamare
gli affamati, vestire gli ignudi, consigliare i dubbiosi, visitare i
carcerati e via elencando sono opere di misericordia, ma senza la Carità
- virtù teologale mossa dalla Fede - queste opere sono prive di
qualsiasi merito spirituale, sono sterili e vuote, come un cembalo che tintinna,
per usare le parole dell'Apostolo. Un pagano convinto o un eretico
pertinace sono incapaci di atti di vera Carità, perché non riconoscono
nella Sua completa essenza il Dio Vivo e Vero che dovrebbero amare sopra
ogni cosa, né le loro opere di misericordia sono meritorie, perché non
hanno in quello stesso Dio Vivo e Vero la propria origine e il proprio
fine. Si potrà al massimo parlare di filantropia - nella quale
affermano di eccellere gli adepti delle sette massoniche e delle loro
associazioni satelliti - e che si pone quale contraltare alla Carità
cristiana, così come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo è
il contraltare della Legge Divina.
Questo Pontificato è virtuale
non solo per opera dei media e dei cosiddetti intellettuali
progressisti; esso è frutto di una sua distorta concezione proprio da
parte di chi ne è rivestito, e conduce ad un esercizio del potere papale
slegato dal munus ed ancor più dalla finalità propria del Papato.
San
Pietro non indossava né la mozzetta né i calzari purpurei della maestà
imperiale, non portava la tiara né il fanone; ma era conscio del proprio
ruolo, e fu martirizzato in quanto Sommo Pontefice della Santa Chiesa
Cattolica Apostolica Romana. Togliere oggi le residue, pallide
insegne del già minato potere papale non è gesto di povertà o di umiltà,
ma indice di sommo orgoglio e preludio ad un nuovo modo di
esercitarlo, privo tanto delle finalità quanto delle motivazioni
soprannaturali che lo legittimano e lo pongono sotto la protezione
diretta dell'Altissimo.
Essere Vescovo di Roma era sinonimo, sino a ieri, dell'essere Papa, Vicario di Cristo, Successore del Principe degli Apostoli.
Come essere padre dei propri figli è sinonimo dell'esser marito della
loro madre. Ma sappiamo tutti - senza bisogno di bizantinismi ed
elucubrazioni da legulei - che oggi vi è una differenza voluta tra queste espressioni, e che la prima attenua o nega addirittura le altre.
Nomina sunt consequentia rerum, dice l'adagio: il Vescovo di Roma in veste piana non vuole essere - o quantomeno non vuole essere anzitutto - il Supremo Pastore della Chiesa Universale, eppure al tempo stesso agisce e si muove con la non chalance del supremo legislatore, innovando, sopprimendo, cambiando, cancellando, abolendo, riformando a proprio arbitrio.
Se
fosse solo Vescovo, Bergolio dovrebbe obbedire al proprio superiore ed
adeguarsi alle norme, alle regole, agli usi e a quella tanto decantata prudenza
che oggi vale solo a freno per la virtù mentre dovrebbe essere regola
del retto agire ordinato al fine. Abbiamo avuto mille esempi, in questi
ultimi cinquant'anni, di quanto poco sia esercitata la prudenza quando
sarebbe viceversa necessario, e quanto invece essa venga indebitamente
usata come pretesto per lasciare impuniti gli empi e impedire ai buoni
di agire: per quella perversa prudenza che merita il nome di pavidità - se non quello di connivenza -
si lasciano chierici indegni nelle parrocchie, nei seminari, nelle
Diocesi, nelle Università cattoliche, nei Dicasteri Romani; ed è sempre
in nome di quella pavidità che il bene viene conculcato, i diritti
legittimi dei fedeli calpestati. Sempre per quella maledetta pavidità,
si tollera che la Comunione venga amministrata nelle mani dei fedeli,
con la certezza morale della profanazione, si autorizzano le
celebrazioni sacrileghe dei Neocatecumeni, si privano tante anime della
consolazione dei Sacramenti, si umiliano i giusti e si lasciano
trionfare i malvagi, che proliferano e si inorgogliscono e vanno fieri
della propria impunità.
Andrebbe
detto, a onor del vero, che questo ultimo passo verso la dissoluzione
del Papato è la conseguenza diretta e quasi necessaria
dell'atteggiamento rinunciatario del predecessore: il solo esempio del
modo di amministrare la Santa Comunione vale per tutti, laddove esso si è
limitato ad essere un tacito richiamo a darla sulla lingua al fedele
inginocchiato, senza ricorrere ai mezzi vincolanti e coercitivi della
legge canonica, che ha nel Pontefice il supremo legislatore. E
l'abdicazione, mai abbastanza deplorata, ha ulteriormente minato la
Sacra Potestà del Papato, quasi che il Signore non fosse in grado di
garantire le grazie di stato al Suo Vicario anche in età avanzata o in
condizioni travagliate per il governo della Chiesa.
L'essere Papa ma il non comportarsi fino in fondo da
Papa esercitandone appieno l'autorità doveva condurre, in questa
temperie, ad un successore che portasse a compimento la scissione tra agere ed esse, cercando di non dichiararsi Papa proprio per non dover agire come tale.
Nonostante
Bergoglio si dichiari ostinatamente Vescovo di Roma, egli è anche Papa,
o quantomeno questo è il ruolo e la carica che gli è stata attribuita
dal Conclave, che egli ha accettato di esercitare e che l'orbe cattolico
gli riconosce. Con quell'autorità che gli deriva dalla carica
ricoperta, egli può permettersi le innovazioni e le stravaganze che
nessuno, sinora, aveva osato compiere: nella contraddizione - sia chiaro
- di agire con l'autorità di Papa, ma nel non proclamarsi tale.
Pare
di assistere al ripetersi della medesima contraddizione in cui
incorrono i rivoluzionari, quando prendono il potere sulle rovine delle
Monarchie: prima essi spodestano i Principi legittimi in nome del popolo
sovrano, poi affamano e tiranneggiano in modo ben più crudele e
tremendo lo stesso popolo sovrano, in nome di una presunta democrazia
che rimane semplice petizione di principio. Per i Sovrani, la
ghigliottina, sempre e comunque; per i rivoluzionari, elogi e
attestazioni di fiducia irrazionale fino all'autolesionismo. Ma i primi
hanno il diritto ed il dovere di esercitare la propria autorità sovrana;
i secondi sono degli usurpatori, che si fanno scudo di una sovranità
che dovrebbe teoricamente risiedere in coloro che essi governano, ma che
viceversa essi detengono ed esercitano come tiranni, senza aver nemmeno
il coraggio di assumersene la responsabilità.
Inutile
notare che, giunti nella sala del trono, i rivoluzionari sanno solo
distruggere, devastare, dare alle fiamme; e se li si vede rivestiti di
qualche insegna del potere del quale si sono impadroniti, il loro
contegno ricorda i più grotteschi dittatori africani.
Viene in mente la fiaba di Andersen:
C'era
una volta un imperatore che amava così tanto la moda da spendere tutto
il suo denaro soltanto per vestirsi con eleganza. Non aveva nessuna cura
per i suoi soldati, né per il teatro o le passeggiate nei boschi, a
meno che non si trattasse di sfoggiare i suoi vestiti nuovi: possedeva
un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice:
È nella sala del Consiglio, di lui si diceva soltanto: È nel vestibolo.
Nella
grande città che era la capitale del suo regno, c'era sempre da
divertirsi: ogni giorno arrivavano forestieri, e una volta vennero anche
due truffatori: essi dicevano di essere due tessitori e di saper
tessere la stoffa più incredibile mai vista. Non solo i disegni e i
colori erano meravigliosi, ma gli abiti prodotti con quella stoffa
avevano un curioso potere: essi diventavano invisibili agli occhi degli
uomini che non erano all'altezza della loro carica, o che erano
semplicemente molto stupidi. [...]
Non è forse magnifique?, dicevano in coro i due funzionari; Che disegni, Maestà! che colori!, e intanto indicavano il telaio vuoto, perché erano sicuri che gli altri ci vedessero sopra la stoffa. [...]
Magnifique!, Excellent!, non facevano che ripetere, ed erano tutti molto felici di dire cose del genere. [...]
L'imperatore
si spogliò, e i due truffatori fingevano di porgergli, uno per uno,
tutti i vestiti che, a detta loro, dovevano essere completati: quindi lo
presero per la vita e fecero finta di legargli qualcosa dietro: era lo
strascico. Ora l'imperatore si girava e rigirava allo specchio.
Come sta bene! Questi vestiti lo fanno sembrare più bello!, tutti dicevano. Che disegno! Che colori! Che vestito incredibile!
Stanno arrivando i portatori col baldacchino che starà sopra la testa del re durante il corteo!, disse il Gran Maestro del Cerimoniale.
Sono pronto, disse l'imperatore. Sto proprio bene, non è vero? E ancora una volta si rigirò davanti allo specchio, facendo finta di osservare il suo vestito.
I
ciambellani che erano incaricati di reggergli lo strascico finsero di
raccoglierlo per terra, e poi si mossero tastando l'aria: mica potevano
far capire che non vedevano niente.
Così
l'imperatore marciò alla testa del corteo, sotto il grande baldacchino,
e la gente per la strada e alle finestre non faceva che dire: Dio mio, quanto sono belli gli abiti nuovi dell'imperatore! Gli stanno proprio bene!
Nessuno voleva confessare di non vedere niente, per paura di passare
per uno stupido, o un incompetente. Tra i tanti abiti dell'imperatore,
nessuno aveva riscosso tanto successo.
Ma l'imperatore non ha nulla addosso!, disse a un certo punto un bambino. Santo cielo, disse il padre, Questa è la voce dell'innocenza!. Così tutti si misero a sussurrare quello che aveva detto il bambino.
Non ha nulla indosso! C'è un bambino che dice che non ha nulla indosso! Non ha proprio nulla indosso!, si misero tutti a urlare alla fine. E l'imperatore rabbrividì, perché sapeva che avevano ragione; ma intanto pensava: Ormai devo condurre questa parata fino alla fine!, e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una coda che non c'era per niente.
Solo il bimbo innocente riconosce la nudità del re, mentre i cortigiani e i sudditi elogiano le magnifiche vesti invisibili.
Oggi
solo un semplice, un fanciullo, si rende conto della nudità di
Bergoglio, mentre i cortigiani del secolo e i sudditi della setta
conciliare elogiano le sue virtù, la sua povertà, la sua umiltà:
Come gli stanno bene quelle scarpe nere!, squittiscono certi giornalisti. Che gesto di umiltà, quella croce di ferro!, commentano altri. E si sdilinquiscono nel veder apparire al balcone Francesco che saluta con un Buona sera come se fosse il presentatore di uno show.
Finalmente le mitrie di Pio IX e i paramenti d'oro sono stati rimessi nelle soffitte, esulta il direttore di un'emittente cattolica. Sono finite le carnevalate, chiosa un altro. I cerimonieri devono essere mandati a casa, inveisce un prete in clergyman.
A
tutti Bergoglio sembra vestito in modo molto negletto e poco consono
alla dignità apostolica, ma siccome le magnifiche vesti della povertà e
dell'umiltà di Francesco, a quel che dicono i sarti vaticani, si vedono
solo se si è progressisti e fedeli al Concilio, allora tutti vanno in
brodo di giuggiole per i baci ai piedi dei galeotti, per la mitria Ikea,
per i discorsi a braccio. L'anello d'argento dorato è una scelta di povertà eroica!
Salvo poi sentire il semplice fedele che osserva: Ma le croci d'oro che i fedeli hanno donato alla Chiesa, perché non se le mette? E il vecchio parroco: Perché comprare dei paramenti così brutti, quando ne hanno di stupendi nelle sacristie papali? E la madre di famiglia: Se è così umile, perché non si veste come tutti gli altri Papi, invece di distinguersi tanto? E il generale: Se io mi togliessi le medaglie e i galloni, sarei disprezzato dai miei soldati. E il povero che elemosina sul sagrato: Io
mi sentivo in una reggia, quando entravo in una chiesa; c'era il
latino, il gregoriano, l'incenso; ora mi hanno tolto anche quel poco che
mi faceva pesare meno la mia povertà.
Ovviamente ci sono ancora Cattolici che guardano la realtà con gli occhi della ragionevolezza e del sensus Ecclesiae. Essi sono i fanciulli della favola - e del Vangelo - dei quali Nostro Signore disse: Sinite parvulos venire ad me.
Bergoglio è nudo.
Chiarissima analisi ricca di riferimenti dotti.
RispondiEliminaProprio per questo soltanto pochi avranno voglia di leggere e comprendere la situazione gravissima della Chiesa.
Mi chiedo quanti di coloro , colti e non colti, informati e disinformati, del grande gregge di pecore che si definiscono cattoliche, abbiano voglia di fare questa introspezione coerente con il loro stato di cattolici osservanti e ne trarranno le dovute conseguenze logiche.
Ma la realtà è quella che è, e che Gesù,gli Apostoli e veggenti vari profetizzavano da tempo: la caduta della fede, la crisi gravissima e la defezione del papato alla guida del gregge.
Che i Signore ci illumini e ci salvi dalla tragedia dell'intrupparci con la massa verso la rovina.