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martedì 9 aprile 2013

IL "VESCOVO "BERGOGLIO" NON HA PROPRIO VOGLIA DI GOVERNARE SECONDO TRADIZIONE...AVANTI TUTTA, NELLA DISTRUZIONE DEL PAPATO, CON L'ERETICA COLLEGIALITA' CONCILIARE.

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Modificare lo statuto della Cei per porre fine a una storica anomalia e consentirle di eleggersi il presidente e il segretario generale. Attualmente quello dei vescovi italiani è l’unico caso al mondo in cui i primi due scranni di una conferenza episcopale sono decisi direttamente dal Pontefice.  

Nell’ambito di una maggiore collegialità, Francesco sta studiando la possibilità di equiparare l’episcopato italiano al resto del pianeta. Il Papa è primate d’Italia e vescovo di Roma e per questo finora il mandato quinquennale alla guida della Conferenza episcopale italiana non è stato elettivo ma di nomina pontificia.  

In genere (ma non esistono obblighi ufficiali) la designazione è preceduta da passaggi informali come le consultazioni all’interno della sedici conferenze regionali, ma l’indicazione resta a totale discrezione del Pontefice. Un’anomalia appunto rispetto a tutte le altre conferenze nazionali del pianeta, dove i vescovi eleggono i loro rappresentanti che non necessariamente sono già cardinali o accedono alla porpora, come dimostrano, per esempio, l’attuale presidenza di Zollitsch in Germania o in passato quella di Gregory negli Usa. In due soli casi i vescovi non votano il loro leader e cioè in Belgio (in quanto «ex officio» è presidente l’arcivescovo di Bruxelles) e tra i presuli latini dei paesi arabi dove il ruolo spetta sempre al patriarca latino di Gerusalemme in carica. Però anche in queste due uniche eccezioni, l’episcopato elegge comunque il «numero due», mentre in Italia pure il segretario generale è scelto dal Papa.  

Nel piano generale di riordino delle conferenze episcopali, Francesco sta valutando una possibilità che muterebbe lo scenario: attribuire ai vescovi italiani la facoltà di indicare i loro vertici. «Sono necessarie variazioni di norme e procedure, però non esistono insormontabili impedimenti canonici», sottolineano in Curia. Le conferenze episcopali non hanno base teologica, come è invece per i singoli vescovi, ma solo una base pratica, concreta. La riforma studiata da Francesco prevede un crescente coinvolgimento degli episcopati nazionali nel governo della Chiesa universale e una maggiore collegialità nelle decisioni. In quest’ottica ,il diritto papale di nomina del presidente e del segretario generale della Cei contrasta con la sua impostazione ecclesiologica.  

Il mese prossimo Bergoglio parteciperà in Vaticano all’assemblea dei vescovi italiani ed esporrà linee-guida che scaturiscono dalla lunga esperienza in quegli organismi di rappresentanza dell’episcopato sudamericano nei quali peraltro ha collaborato con uno dei suoi attuali interlocutori per l’Italia: l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, fino a due anni fa presule missionario in America Latina. L’ipotesi di rendere elettiva la guida della Cei era già stata presa in considerazione, e poi accantonata, durante il pontificato di Wojtyla. Bergoglio è stato eletto presidente della conferenza argentina.  

Il suo predecessore Quarracino la aveva individuato come possibile sostituto perché tra gli ausiliari di Buenos Aires era il più amato dai preti. Il suo maestro tra i gesuiti, padre Juan Carlos Scannone lo ricorda all’Osservatore Romano come «uomo di orchestra». Dunque, aggiunge, «non gli tremeranno i polsi nel fare riforme all’interno della Chiesa», però «non lo farà di colpo, in fondo ha una discendenza italiana, viene da piemontesi, per cui farà tutto molto diplomaticamente, saprà fare le riforme senza traumi, senza urti». Cancellare il «diritto di investitura» del vertice Cei appare coerente col «Bergoglio style».  

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