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sabato 15 marzo 2014

Benedetto XIV: "Nihilominus ut eorum Clerici, Subdiaconi, Diaconi et Presbyteri uxores in eorum ministerio retineant, dummodo ante sacros Ordines, Virgines, non Viduas, neque corruptas duxerint, Romana non prohibet Ecclesia"...

Fonte: Progetto Barruel...

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Sac. Francesco  Bosello

Dissertazione storico-teologica sopra la disciplina de' Greci circa il Celibato sacerdotale, Venezia 1826 pag. 11-27.

DIATRIBA SOPRA LA DISCIPLINA DELLA CHIESA GRECA CIRCA IL CELIBATO ECCLESIASTICO.

Sogliono i nemici dell'Ecclesiastico Celibato, come testè io diceva, o Accademici, opporre in difesa del loro falso pensare la disciplina de' Greci che da molti secoli invalse, cioè di permettere a' Diaconi ed ai Sacerdoti di ritenere le mogli che avevano prima della loro Ordinazione, a patto però che nel tempo del loro Ministero all'Altare ne stiano lontani. Cosa notissima e ne' suoi principj, e ne' suoi fondamenti, e ne' suoi progressi per qualunque non digiuno dell'Ecclesiastiche cognizioni, a grado che parrebbe superfluo discuterla fra' Latini, onde abbattere l'opposizione avversaria. Pure a difesa sempre maggiore del vero farne conviene l'esame più diligente, acciò trionfi la verità e scornato rimanga il nemico della veneranda disciplina della Romana Chiesa, Madre, Maestra di tutte le Chiese del Mondo. Quindi si stabiliscono le tre seguenti proposizioni.
I. Il Celibato anche nella chiesa Greca si osservava dagli Ecclesiastici ne' primi secoli sino al secolo settimo circa.
II. Il cambiamento della disciplina del Celibato fra' Greci ebbe un'origine apparentemente legale solo al tempo del concilio Trullano, origine spuria ed erronea.
III. La Chiesa Romana non solo si oppose a tal rilassamento di disciplina fra' Greci, benchè in seguito l'abbia tollerato, ma da quell'epoca sempre più confermò la disciplina sua dagli Apostoli ereditata.
Se nella trattazione di queste proposizioni, nauseasse il lettore 1a troppo lunga prolissità, avverta che senza un'analisi relativamente completa esaurirsi non può polemicamente un argomento di tanta importanza.

PROPOSIZIONE I.

Il Celibato anche nella Chiesa Greca si osservò dagli Ecclesiastici ne' primi secoli sino al secolo settimo circa.
La pruova fondamentale di questa proposizione è tutta appoggiata ad un fatto, cioè che fin dagli Apostoli la Chiesa tutta d'Occidente e d'Oriente osservato abbia il Celibato nel Clero. Omettendo le prove speculative di deduzione, che sarebbero però sempre dimostrative, e dal Santo Evangelio (Matth. 19) e da San Paolo (I. Tim. 3. 2., I. Cor. 7. 27. 32. 33. 34. II. Tim: 2. 22. ) e dalla stessa teologica ragione; si venga alle pruove di autorità decisive, dalle quali si conosce che l'Apostolico stabilimento del Celibato Sacerdotale si mantenne nei tre primi secoli, ancorchè non vi fosse ancora una legge positiva che lo precettasse; si mantenne, dissi, costante e generale per modo, che non solo non ci dà la Storia fondamento alcuno per conchiudere che siasi alterata giammai nell'epoca fissata tale venerabile disciplina, ma tutti i documenti ci offre più certi dell'invariata e costante perpetuità di esso.
E prima si presenta l'autorità veneranda di tutt'i Vescovi dell'Africa i quali nell'anno circa 396 radunati nel secondo Concilio Cartaginese comandando l'osservanza dell'Ecclesiastico Celibato nelle loro Diocesi e Provincie in faccia a tutto il mondo esclamano: ut quod Apostoli docuerunt et ipsa servavit antiquitas nos quoque custodiamus (Can. 2.). Ma gli Apostoli predicarono anche in Grecia: dunque anche in Grecia insegnarono la preziosità ed inculcarono l'osservanza nel Clero di quella virtù che fa gli uomini agli Angeli uguali, cioè a dire la vita celibe affatto. Quindi è che San Girolamo Padre del 5. secolo nell'Apolog. contra Jovinianum, indubitatamente afferma «Apostoli vel Virgines, vel post nuptias continentes... adsumpti in Apostolatum reliquerunt officium conjugale». E di quà ne venne, prosegue esso S. Dottore, che nelle Chiese d'Oriente e d'Occidente si osservò sempre mai sino a' suoi tempi il Sacerdotal Celibato: «Quid facient Orientis Ecclesiae? quid Ægypti et Sedis Apostolicae? quae aut virgines Clericos accipiunt, aut continentes, aut si uxores habuerint, mariti esse desistunt?» Fanno eco perfettamente al citato Padre Latino i Greci Padri tutti, fra quali Origene Hom. 23. in Num. dice. «Illius est solius afferre sacrificium indesinens, qui indesinenti et perpetuae se devoverit castitati». S. Epifanio eletto Vescovo di Salamina circa l'anno 366. Haer. 49. n. 7. così si esprime: «Quum Sacerdotalia Christus munera et ornamenta cum iis qui post unas nuptias continentiam servarint aut in virginitate perstiterint communicanda esse velut in exemplari monstraverit... Id quod Apostoli deinde honeste et religiose decreverunt per Ecclesiasticam Sacerdotii regulam». Lo stesso Santo Padre nel fine della sua opera contra haereses dipinge lo spirito e la Disciplina della Chiesa su questo argomento là dove dice: «Sanctum Sacerdotium ex virginibus ut plurimum, aut ex solitariis, aut si hi ad ministerium non suffecerint, ex his constituitur qui propriis ab uxoribus se continent. Et si quis ab initio continens fuerit aut viduus, habere potest locum Episcopi, Presbyteri, Diaconi aut Subdiaconi».

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Parla con eguale chiarezza nell'Eresia 59 de' Catari dicendo: «Sed et liberos gignentem unius uxoris virum Ecclesia non adscripsit, sed eum qui se ab una continuit aut in viduitate vixit Diaconum aut Hypodiaconum, aut Episcopum aut Presbyterum, maxime ubi sinceri sunt canones Ecclesiastici». S. Giovanni Grisostomo poi nell'Omilia de patientia Job così ìnsegna. «Sic dicit Apostolus unius uxoris virum, non ea ratione ut id nunc ab Ecclesia observetur; oportet enim prorsus castitate Sacerdotem ornatum esse». Ed il Nisseno nel libro de Virgin. capo ultimo afferma «non obtemperare legi prohibenti» quel Sacerdote che nuptiali opere impurus sacrificium offert». S. Cirillo di Gerosolima nella sua 12. Catechesi così si esprime «Qui apud Jesum bene fungitur Sacerdotio, abstinet a muliere: ipse Jesus quomodo ex viro ac muliere proditurus esset?»
Eusebio poi nella Dimostrazione Evangelica lib. 9. cap. 9. apertamente dice: «Τοῖς ἱερωμένοις cioè illis qui sacrati sunt atque in Dei ministerio cultuque sunt occupati, continere deinceps se ipsos convenit a commercio uxoris.» Affine poi di troncare ogni prolissità nauseante di altre autorità (che d'altronde sarebbero senza numero) onde provare il fatto di cui si tratta, facciasi l'onore non meritato al proscritto dai Fulmini Ecclesiastici Marco Antonio de Dominis Arcivescovo di Spalatro [Spalato, N.d.R.], di citare cioè le di lui parole che serviranno d'ultima efficace e non sospetta testimonianza al nostro proposito: «Ecclesia semper (ei dice lib. 4. c. 10. n. 3.) vel ab ipsis ejus incunabulis in suis ministris plurimum amavit, commendavit, et etiam interdum praecepit continentiam.» Anzi nel numero 9. aggiunge essersi praticata tale disciplina «per decretum commune totius Ecclesiae». Anche per confessione adunque degli stessi nemici della Romana Chiesa il Celibato Sacerdotale nato col Vangelo e cresciuto si mantenne sempre nella Cattolica Comunione, anzi per mezzo di Ecclesiastiche Leggi vie maggiormente consolidossi. Esaminiamole colla storia alla mano, ed analizziamole in prova solidissima della prima nostra proposizione.

Le prime leggi che fuori d'ogni controversia ci offre la storia sul nostro argomento si trovano nei due particolari Concilj Eliberitano ed Ancirano. Il primo tenuto circa l'anno 313. così decreta nel canone 33. «Placuit in totum prohibere Episcopis, Presbyteris, Diaconis, ac Subdiaconis positis in Ministerio abstinere se a conjugibus suis, et non generare filios. Quod quicumque fecerit, ab honore Clericatus exterminetur.» Serio comando e pena severissima ch'emanati in un Sinodo particolare sarebbero stati contraddetti se non vi fosse stata nella Chiesa di Dio l'esatta osservanza del Celibato dovunque e prima di questa legge.

Il Concilio d'Ancira poi (di cui tanto abusarono i Greci) tenuto nel 314 comprova la disciplina costante di cui trattiamo colla seguente legge che promulgò: «Quicumque Diaconi ordinati in ipsa ordinatione protestati sunt, et dixerunt oportere se uxores ducere, cum non possint sic manere; ii si postea uxorem duxerint, sint in ministerio, eo quod hoc illis sit ab Episcopo concessum. Si qui autem hoc silentio praeterito, et in ordinatione ut ita manerent suscepti sunt, postea autem in matrimonio venerint, ii a Diaconatu cessent.» A prima vista però sembrerebbe contraria questa legge alla proposizione nostra se non vi si facessero sopra le seguenti osservazioni. Il Concilio d'Ancira fu il solo Concilio da cui siasi stabilita la disciplina indicata, e fu un Concilio particolare: parlasi in esso non già de' Sacerdoti, ma de' soli Diaconi: vi si confessa necessaria la dispensa Vescovile dell'uso comune contrario, eo quod illis hoc sit ab Episcopo concessum: indulgenza insomma forse accordata per facilitare il ritorno dei Caduti alla Chiesa, dei quali il numero a quei tempi era considerabile anche nel Clero, come rilevasi dai Canoni 1 e 2 dello stesso Sinodo, e per la di cui riconciliazione era stato esso Concilio radunato in Ancira. Inoltre non si parla nel Canone addotto di promuovere tali Diaconi al Sacerdozio, anzi si dice sint in Ministerio. Analizzando ancor più si vede che per questa indulgenza tolleravasi il lor matrimonio dopo l'ordinazione, Diaconi ordinati.... etc. si postea uxorem duxerint, parole che fanno contro la disciplina Greca cui dicono gli Orientali appoggiata a questo Concilio. Si ordina che senza questa indulgenza del Vescovo, avendo tralasciato di chieder la moglie nell'Ordinazione, se poi si fossero ammogliati a Diaconatu cessent: e questo prova sempre più che volle giudicar la Chiesa a norma delle circostanze per dispensare in punto di questa santissima pratica disciplinare, se fosse talor necessario negli ordini al Sacerdozio inferiori, siccome nei primi secoli dispensava coi Suddiaconi: e quando credette opportuno gli obbligò al Celibato; ma nulla prova il citato canone contro la santa e pia Apostolica disciplina di conservare il Celibato ne' Sacerdoti e ne' Vescovi, de' quali il canone Ancirano non fa veruna menzione. Le discipline adunque poste pei Diaconi dai Padri d'Ancira, e per le licenze e per le pene di chi non ar- [qui per errore dello stampatore è stata omessa una parte del testo, N.d.R.] correvan alla Chiesa, e pel silenzio de' Sacerdoti e per tutte le ragioni sinora esposte confermano la prima proposizione che la Chiesa Greca osservò il Celibato Sacerdotale ne' primi secoli.

Ma lasciando i Sinodi particolari, si venga a1 primo Ecumenico Concilio tenuto in Nicea l'anno 325, Concilio venerato tuttora anche dagli Scismatici Orientali, e se ne esamini il terzo Canone: «Interdixit per omnia magna Nicaena Synodus, non Episcopo, non Presbytero, non Diacono, nec alicui omnino qui in clero est, licere sub-introductam habere mulierem, nisi forte aut matrem, aut sororem, aut amitam, vel eas tantum personas quae omnem suspicionem effugiunt». Ecco la prima legge general della Chiesa colla quale s'intima al Clero tutto l'osservanza della disciplina del Celibato, introdotto dagli Apostoli, e sino all'epoca del Niceno costantemente osservata. In questa santissima legge pertanto proibirono i Niceni padri ad ogni Diacono, Sacerdote, e Vescovo, anzi ad ogni Chierico di coabitare con femmina alcuna, tranne la madre, la sorella, la zia, od altre che non diano fondamento alcuno di sospetto contro la clericale purezza. Ragioniamo alcun poco su questo canone. Trattavasi nel Niceno di formare una legge a norma dell'Apostolico Canone: Nemini dantes ullam offensionem, ut non vituperetur ministerium nostrum (2. Cor. 6. 3.) per togliere ogni ombra di macchia alle persone del Clero circa la principale passione dell'uomo. Macchia non è per un Sacerdote che coabiti colla sua Madre, siccome macchia non sarebbe che vivesse colla sua legittima moglie nell'ipotesi che dalla Chiesa gli fosse stata permessa. Ma la Chiesa stessa ammette la Madre, non ammette la moglie: più che nomina separate le consanguinee sorella, zia ec.; più che la moglie dovea prima d'ogni altra donna aver posto in un canone, il di cui scopo si è il decoro sacerdotale, più che l'esclusiva nisi forte aut etc., mostra apertamente 1'intenzion della Chiesa Legislatrice che non vuol saperne di altre. Dunque è manifesto che lo spirito di questa legge ecumenica indica l'obbligazione del Celibato voluto nella Chericale milizia, a grado che se il Chierico prima di ascriversi avesse avuta una moglie gli si proibisce assolutamente la coabitazione.

E se questa prova sostanziale tratta dalla natura del Canone non bastasse a convincere, si dimanda cosa voglia intendersi per le parole subintroductam habere mulierem. Per questa voce che in Greco leggesi συνείσακτον interpretata introductam subintroductam, o come altri vogliono extraneam, sempre s'intende una donna o tenuta nascostamente, o straniera alla famiglia. La moglie legittima non è straniera, ne avvi ragione che si nasconda. Dunque, dirassi, intender convien la concubina. Se però così fosse, e qual ragione di far questo canone di proibizione pel Clero, mentre pei canoni Evangelici chiaramente è proibita la concubina a qualunque Cattolico?
Se si dicesse che il Sinodo ciò fece per togliere gli abusi introdotti nel Clero, io domando perchè ad impedimento di tali abusi tra le donne che si permettono di coabitare coi Diaconi, coi Sacerdoti, coi Vescovi non sia stata nominata prima la moglie, com'era dovere in questa ipotesi, onde e gli ammogliati introdotti nel clero sapessero il loro dovere di rispettare il Talamo, cacciandone ogni causa di macchia, ed il popolo informato di questa legge non attribuisse a colpa del Clero quello che in un canone equivoco poteva essere preso in aggravio di esso? Si permette la coabitazione colla madre, colla zia, colla sorella e con altre persone simili scevre da ogni sospetto d'incontinenza, e poi non si nomina la donna, cioè la moglie, che ha tutto il dovere e diritto di stare col marito in casa, e che talvolta anche allora poteva essere tale creduta quando non era legittima, come avviene in molte occasioni giornaliere. Alle corte. O questo è un canone misterioso, e va contro la natura della legge che dev'essere chiara (ipotesi assurda in un concilio Ecumenico da Dio illuminato), oppure convien conchiudere che in questo primo Concilio ci è la prova più luminosa della legge obbligatoria dell'Ecclesiastico celibato. Si aggiunge che in alcune versioni si legge la voce γυναὶκα indicante non solo foeminam, ma più propriamente uxorem: ragion di più per metter nell'esclusiva delle consanguinee la moglie, se il Concilio inteso non avesse di nominarla con questa voce.

Rufino poi scrittore del secolo medesimo nella sua Ecclesiastica Storia cap. VI. Lib. XI. riportando questo Canone legge così: praeterquam cum Matre, vel sorore, vel θεία, si quae sunt hujusmodi necessitudinum personae, cioè a dire necessarie al Chierico per la direzione interna della famiglia, non necessarie ad esso come marito, giacchè nè la madre nè la sorella nè la zia sono hujusmodi necessitudinum. Dunque è forza concludere che il Concilio intende proibire colle parole del Canone subintroductam habere mulierem la coabitazione colla moglie, se il Cherico l'avesse avuta prima d'entrare nel Chiericato; e che la Chiesa l'obbligò a viver celibe a grado di tenerla lungi fin dalla propria casa, onde la santità del suo stato non venisse contaminata da ombra veruna di macchia nè in faccia al Cielo nè in faccia al popolo.
Lasciando poi adesso tutte le favole di Socrate, e di Sozomeno circa il Vescovo Pafnuzio (favola dimostrata tale da tutte le regole di critica, come può vedersi appresso gli Storici più accreditati) cerchiamo fra i Padri almeno uno per ischivare la noja de' lettori, il quale autorizzi l'interpretazione da noi data al canone di Nicea.
S. Basilio, uno de' Padri Santi più prossimi al Niceno, così scrive nell'Epistola 198 (al 55.) al Prete Paregorio settuagenario, il quale colla scusa d'essere assistito teneva in sua casa la moglie avuta prima del sacerdozio: «Lege Canonem a sanctis nostris Patribus editum in Synodo Nicaena, qui manifeste sancivit extraneas mulieres non esse. Vita autem caelebs in eo honestatem habet, ut a convictu mulieris separetur». E qual è questa donna, la concubina, o la moglie? Oltre la voce γυνὰ usata da Basilio, che più propriamente significa moglie, apertamente si vede che la donna di cui si rimprovera questo prete era la di lui moglie, perchè segue il Santo Dottore: «Quare si quis verbo professus, reipsa quae conjugatorum sunt facit, palam est eum virginitatis quidem honestatem in nomine persequi, sed nequaquam ab indecora voluptate abstinere.» Un dei doveri dei conjugati è la coabitazione. Paregorio, benchè assicurasse che teneva questa donna in casa per le necessità della sua vecchiaja, non per altri fini, reipsa quae conjugatorum sunt faciebat. Dunqu'era sua moglie, eppure da Basilio viene rimproverato. Se tale non fosse stata, il di lui linguaggio sarebbe stato assai differente contro un concubinario, nè detto avrebbe pacatamente a Paregorio benchè in astratto, che palam virginitatis honestatem in nomine persequebatur; e nè meno luogo avrebbe quanto segue: «scimus autem quod a nonnullis recte geritur aliis esse occasionem peccandi», ch'è quanto dire; Recte geritur a laicis, che coabitino colla moglie, non già con la concubina, con cui abitando non mai recte geritur: ma ciò est occasio peccandi, cioè a te Paregorio, giacchè per quanto assicuri te esse liberiorem ab omni corporea libidine, devi sapere da Paolo il dovere di non ponere fratri offendiculum ad scandalum: scandalo che proveniva nel popolo dalla cognizione del canone Niceno il quale proibisce la coabitazione con qualunque femmina che non sia madre, o sorella o zia, o persona, senza la menoma eccezione, donde apparisce che vita coelebs d'un Prete in eo honestatem habet, ut a convictu mulieris separetur. Dunque prosegue il gran Basilio, praecepimus, Sanctorum Patrum decretum sequentes, ut a muliercula separeris. Non basta: Ejice igitur illam de tuis aedibus, et in Monasterio constitue. Se non fosse stata moglie la donna assistente di Paregorio, detto avrebbesi Ejice illam ex tuis aedibus: ma aggiunge il dovere di relegarla in un monastero, e perchè non poteva essere d'altri durante la vita di lui, e perchè il Vecchio Sacerdote non solo si mantenesse celibe, ma tale si manifestasse davvero in faccia alla Chiesa, tolta ogni ombra di sospetto contrario alla Chericale purezza. Gli s'intima la scomunica, se non obbedisce, e tutto si appoggia Basilio al Canone di Nicea, usando le stesse parole extraneas mulieres che usarono i Padri Niceni. 

Dunque è dimostrato che pel Canone di Nicea si proibisce ai Cherici la coabitazione anche colla moglie se avuta l'avessero prima della loro ordinazione, e che l'interpretazione da noi data al Canone stesso è tutta conforme all'intenzione di chi lo sancì, all'applicazion che ne fecero i Padri, alla disciplina anteriore e general della Chiesa.
Che se si opponesse essere mal condotta la dimostrazione perchè troppo si pruova, parlando il Concilio non solo dei Diaconi, de' Sacerdoti, de' Vescovi, ma di tµtti i Cherici anche minori colle voci nec alicui omnino qui in clero est, si risponderà che nulla c'è di nuovo in ciò; anzi che questo mostra lo spirito della Chiesa sempre uguale nel voler celibi i ministri suoi in qualunque grado: prima perchè gl'inferiori Cherici possono e potevano rinunziare al Clero volendosi ammogliare, od ammogliati prima dovevano a questo canone sottomettersi; poi perchè intorno ad essi a norma delle circostanze si riservava la Chiesa stessa di dispensare nella mancanza di persone Vergini atte a fungere i minori uffizj del Chericato. Ciò tanto è vero vero che nell'Ecumenico Sinodo Calcedonese can. 14. si dice Cum in quibusdam provinciis, concessum sit lectoribus et cantoribus uxorem ducere: non dunque in ogni luogo potevano i Cherici minori aver moglie: non dunque era ciò lecito ai gradi degli Ordini superiori, conchiudo io. Ed oltre S. Epifanio, che nell'Eresia IX. ripete le voci de' Padri Calcedonesi, oltre il Concilio III. Cartaginese che nel canone 19. prescrive: «Placuit ut lectores cum ad annos pubertatis pervenerint cogantur aut uxores ducere, aut continentiam profiteri»; abbiamo l'ultimo Ecumenico ch'è il Tridentino, ove nella Sessione 23. cap. 17. così si decretò: «si ministeriis quatuor Minorum Ordinum exercendis caelibes clerici praesto non erunt, suffici possunt etiam conjugati vitae probatae, dummodo non bigami, ad ea communia obeunda idonei et qui Tonsuram et habitum Clericalem in Ecclesia gestent.» Tali discipline pei Minoristi del Clero, deve ogni saggio conchiudere, nulla ostano alla general disciplina del Celibato insinuato dagli Apostoli, praticato nei secoli anteriori al Niceno, e confermato colla prima legge, che dimostra la verità della nostra prima enunciata proposizione cioè, che il Celibato anche nella chiesa Greca si osservava dagli Ecclesiastici nei primi secoli sino al settimo secolo circa.

Gli eterodossi però, e tutti i nemici del celibato, potrebbero, insorgere contro la dimostrazione dedotta dal Canone Niceno asserendo con Elia Ehinger Augustano che i Padri di Nicea non intesero proibire che un ammogliato entri nel sacro ministero coabitando colla moglie ed usandone «sed interdicit Clericis in coelibatu spontaneo viventibus, ne foeminas secum habitantes alant cum quibus in suspicionem impudicitiae incidere queant» (ed. Viteberge An. 1614. Comment. in Can. Apost. etc.). Ma l'autorità irrefragabile di tre Romani Pontefici che, nel secolo susseguente in faccia a tutta la Chiesa Latina e Greca e nel secolo del Niceno Concilio comandarono canonicamente l'ecclesiastico Celibato, mostra evidente la falsità dell'intèrpretazione avversaria e spiega la dottrina della Chiesa troppo per sè manifesta, onde non lasciarsi imporre dai sutterfugi dell'errore. E primo di tutti si offre Papa Siricio il quale verso la fine del quarto secolo così ebbe a scrivere ad Imerio Vescovo di Taragona: «Plurimos Sacerdotes Christi atque levitas, post longa consecrationis suae tempora tam de conjugibus propriis, quam etiam de turpi coitu sobolem didicimus procreasse, et crimen suum hac praescriptione defendere quia in veteri testamento Sacerdotibus ac Ministris generandi facultas legitur attributa.» Chiama dunque delitto l'uso dei Sacerdoti colle loro mogli egualmente che il trattar colle concubine; nè poteva Siricio per tale chiamarlo se non vi fosse stata anteriormente la pratica general disciplina ed altra legge che precettasse il celibato. Prosegue quindi la legge: «Quarum Sanctionum Sacerdotes omnes atque levitae, insolubili lege constringimur, ut a die ordinationis nostrae sobrietati ac pudicitiae et corda nostra mancipemus et corpora» Dunque tutti senza distinzione: Sacerdotes omnes atque levitae. Dunque obbligo indispensabile: insolubili lege pudicitiae corpora mancipemus. Dunque non nel tempo del ministero, ma a die ordinationis suae in perpetuo, non ad esempio dei figli di Levi, coi quali si dispensò in Cielo specialmente pel gran motivo che non nisi e tribu Levi quisquam ad Dei ministerium fuerat praeceptus admitti. Le pene poi fulminate chiudono l'esame sul Canone di Siricio: «Hi vero qui illiciti privilegii excusatione nituntur, et asserunt veteri hac lege concessum, noverint se ab omni Ecclesiastico honore, quo indigne usi sunt, Apostolicae Sedis auctoritate dejectos, nec unquam posse veneranda attrectare mysteria.» Dunque non v'è più riparo pei nemici del Celibato, quando non si voglia pensare da Eretici. Un Papa del quarto secolo, secolo del Niceno, Legislator di tutta la chiesa, evidente mostra la disciplina de' secoli anteriori, obliga tutt'i maggiori ordinati del Clero «Sacerdotes et Levitae», obbliga sempre, e fulmina gli anatemi contro chiunque alla santa sua legge non presta pronta obbedienza? D'altronde tace la Chiesa, obbedisce, venera la legge del suo Capo, nessuno nemmen de' più arditi si oppone: Dunque il Celibato divenne obbligatorio per legge assoluta, general fondatissima. Dunque il Canone Niceno proibiva la coabitazione colla moglie, e sussiste la nostra proposizione.


Innocenzo I successor di Siricio circa l'anno 400 ripete e conferma il Canone del suo antecessore nel capo Proposuisti Ep. ad Exuperium c. 1. e dichiara la bella sentenza: «Incontinentes in (sacris) officiis positi omni Ecclesiastico honore priventur, nec admittantur accedere ad ministerium, quod sola continentia oportet impleri.» E nell'Epistola 2. ad Vietricium Rotomagensem soggiunge a nome di tutta la chiesa, a nome della disciplina de' secoli antecedenti, a nome dei Canoni sin allora pubblicati: «Tenere Ecclesia omni modo debet ut Sacerdotes et Levitae cum uxoribus suis non coeant, quia ministerii quotidiani necessitatibus occupantur. Scriptum est enim: Sancti estote, quoniam et ego sanctus sum, Dominus Deus vester. Nam si priscis teroporibus, de Templo Dei Sacerdotes anno vicis suae non discedebant, sicut de Zacharia legimus, nec domum suam omnino tangebant, quibus utique propter sobolis successionem uxorius usus fuerat relaxatus, quanto magis hi Sacerdotes vel Levitae pudicitiam ex die ordinationis suae servare debent, quibus vel sacerdotium vel Ministerium sine successione est, nec praeterit dies, qua vel a sacrificiis vel a Baptismatis officio vacent?» E pochi lustri dopo S. Leone il Magno fu il primo a spiegar i gradi dell'obbligazione del Celibato nei membri del Clero, sin d'allora imposto essendo (per la prima volta parlando un Pontefice Sommo in tal modo) ai Suddiaconi stessi l'obbligo della perfetta continenza «Nec Subdiaconibus (Ep. 8. al. 32. ad Anastas. Thessal. Ep. c. 4.) carnale conjugium conceditur ut et qui habent, sint tamquam non habentes, et qui non habent permaneant singulares. Quod si in hoc ordine, qui quartus a capite est, dignum est custodiri, quanto magis in primo, aut secundo vel tertio servandum est? ne aut Levitico ministerio, aut Presbyterali honore aut Episcopali excellentia quisquam idoneus existimetur, qui se a voluptate uxoria necdum fraenasse detegitur». Nel secolo sesto poi fra le altre pruove confermanti la nostra proposizione abbiamo l'autorità di S. Gregorio Magno, il qual nella sua lettera 30 (al. 39) lib. 9 così scrive ad un suo legato sotto il più serio comando. «Si qui Episcoporum cum mulieribus degant, hoc omnino compescas et de caetero eas illic habitare nullo modo patiaris, exceptis eis quas Sanctorum Canonum Censura permittit; idest matre, amìta, germana et aliis hujusmodi, de quibus prava non possit esse suspicio». Può darsi al Canone Niceno un'interpretazione legale del supremo Gerarca del Cattolicismo più uniforme a quella che noi gli demmo superiormente? Non basta ancora. Verso il fine della lettera citata vi aggiunge. «Praeterea sit curae tuae eosdem fratres nostros Episcopos hortari, ut subjectos sibi, in sacris videlicet ordinibus constitutos, quod ipsi servant ad similitudinem sui modis omnibus servare commoneant: hoc tantummodo adjecto, ut hi, sicut canonica decrevit auctoritas, uxores, quas caste debent regere, non derelinquant». Che poi pegli ordinati in sacris intendesse Gregorio Papa anche i Suddiaconi, dubbio non v'ha qualor si legga la di lui lettera sotto il numero 42., dopo la promulgazion della quale il Morino osserva che non si trova più memoria di Suddiaconi ammogliati.

Ora poste tutte queste autorità di quattro Romani Pontefici declaratorie il Niceno Canone, e dichiaranti l'assoluto obbligo del Celibato nel Clero non solo per la metodica disciplina fin dagli Apostoli introdotta nella Chiesa di Cristo, ma per obbedienza a tante leggi Ecumeniche di Concilj e di Pontefici sommi, argomentiamo così per conchiudere la verità della nostra prima proposizione. La Chiesa Greca sempre credette al Niceno Concilio, credette ai Papi Siricio, Innocenzo, Leone, e Gregorio, credette all'autorità somma della sede di Pietro pei sette primi secoli dell'Era Cristiana, le prestò il debito omaggio di riverente obbedienza, confessandone colla dottrina e coi fatti, il primato d'onore e di giurisdizione sovra tutte le Chiese inferiori a norma dell'istituzione divina. Ma il Niceno, i citati Pontefici, l'Apostolica Sede hanno con leggi manifeste, salutari e severissime comandata dovunque l'Osservanza del Celibato perpetuo nella Chiesa: Dunque anche nella Chiesa Greca sostanzialmente osservavasi il Celibato medesimo dal Clero tutto appoggiato all'istituzion degli Apostoli, al sempre coerente linguaggio de' Padri, al Canone d'un Generale Concilio, agli Oracoli della Cattedra Apostolica, come si è finor dimostrato, e ciò dalla sua origine sino al Secolo settimo circa.
Dissi sostanzialmente praticata la dimostrata disciplina dei Greci, poichè se delle loro accidentali modalità e dell'obbedienza de' singoli individui della Chiesa Orientale parlar convenga, è di mestieri avvertire che non solo si videro manifesti abusi contro una pratica così santa e così fondata (benchè maraviglia non sia che regnino abusi dove si trovano uomini), ma crebbero essi talmente che a poco a poco divennero, quasi direi, irreparabili. Se molta fede prestar si deve allo Storico Socrate favoreggiatore de' Novaziani e Critico non sincero, egli c'insegna che alla sua epoca, cioè alla metà del secolo quinto circa (lib. I. cap. XI), molti Sacerdoti e Vescovi, etiam Episcopatus liberos ex legitimo conjugio susceperunt. Tutta la fede però prestando a S. Epifanio (Haeresi 59. 11. 4.) si sa che a dispetto de' Canoni, e dell'Apostolica istituzione alcuni del Clero in sacris, de' Sacerdoti e de' Vescovi prostituito avevano il lor ministero coll'abbandono del Celibato, e ciò in alcune chiese d'Oriente per la debolezza de' rei e di chi doveva impedire siffatte reità. «In quibusdam locis adhuc liberos gignerunt Presbyteri, Diaconi et Subdiaconi, at non est juxta canonem, sed juxta hominum mentem, quae per tempus elanguit». Enorme scandalo contro le istituzioni della Chiesa di Cristo, aggiugnendo il detto S. Padre. «Eum dumtaxat Ecclesia admittit qui ab unius uxoris consuetudine sese continuerit, aut ea sit orbatus: quod in illis locis praecipue fit, ubi Ecclesiastici canones sunt sinceri». Di questo scandalo la causa prossima apparisce dalla storia essere stata la spinta e prava familiarità colle sorelle Agapete. Fin dai tempi di S. Girolamo chiamavansi con tal nome certe sorelle di carità ossia femmine spirituali e devote, che solevano coabitare spiritualmente con uomini di timorata coscienza; coabitazione che andò in progresso a terminare assai male. Ebbe infatti a chiamare questa coabitazione il citato Massimo Dottore novum concubinatus genus (Ep. 27. ad. Eustoch.) e pieno di zelo esclamava: Undenam in Ecclesias Agapetarum pestis introivit? La storia Ecclesiastica insegna, che massimamente nella città di Costantinopoli sotto pretesto di fraterna carità i Chierici coabitavano liberamente con donne siffatte, e che fin dai primordj del suo Patriarcato l'immortale S. Giovanni Grisostomo tutto adoperossi per istritolare questa pietra d'inciampo. I Padri Santi ed i Concilj le condannarono, specialmente il Generale Lateranese sotto Innocenzo II (vedi Macri dizion. alla voce Agapete). Ad onta però di tutte queste cure lo scandalo prese ferme radici e la corruttela dell'uman cuore trasportò molti e molti nella Chiesa d'Oriente a grado che di passo in passo si si avvicinava all'abbandono totale della pratica santa de' secoli antecedenti, dir vuolsi della Cherical purità. Questo fatto, che negar non si può senza mentire alla Storia più certa, sembra a prima vista impossibile che sia accaduto fra' Greci, i quali si gloriarono sempre e si gloriano ancora (non so con quanta verità) d'essere zelantissimi osservatori delle più antiche usanze Cristiane. Ben si vede però che nulla ostando siffatta loro vantata fermezza agli usi dell'antichità, secondarono invece l'abuso introdottosi contro l'Apostolica istituzione del Celibato del Clero e contro le relative anteriori canoniche leggi, per andar ancor più oltre colle viste d'antichità, favorendo cioè nella materia del Celibato la passione dell'uomo carnale che infatto è assai più antica dell'Evangelica virtù.

Tale favore accordato alla malnata concupiscenza, scandalosamente introdotto dai primi violatori delle pratiche proibitive anteriori, non impedito o forse tutt'al più debolmente dai Greci Prelati, prese tanta radice di opinione che per sostenerlo ancor più senza il menomo rossore, il punto si aspettava propizio di dargli una forma di legge distruggitrice della contraria.
Nè s'avvidero i Greci infelici (di ciò che ben conobbero i secoli posteriori), che a poco a poco con tal manovra preparava l'inferno la debolezza nel Clero di quella un tempo così bella porzion della Chiesa, onde rotte le barriere della sommessione a Pietro, alle Appostoliche pratiche, alle leggi più sante, ed abbandonata la sequela della virtu, tanto più presto cedesse allo Scisma fatale che nel secolo posteriore a tale innovazione, infuriò e che ancora sussiste sgraziatamente: verificandosi così la gran sentenza di Agostino il Dottore: Neminem vidi haereticum castum. E così si fa il passaggio ad enunciare ed esaminare la seconda delle proposizioni piantate fin dal principio di quest'opuscolo, ch'è la seguente.


Sac. Francesco  Bosello: Diatriba sopra la disciplina della chiesa greca circa il Celibato ecclesiastico.

Introduzione
Il Celibato anche nella Chiesa Greca si osservò dagli Ecclesiastici ne' primi secoli sino al secolo settimo circa.
Il cambiamento, della disciplina del Celibato fra' Greci ebbe un'origine apparentemente legale al tempo del Concilio Trullano, origine spuria ed erronea.
La Chiesa Romana non solo si oppose al rilassamento della disciplina del Celibato introdotta fra Greci, benchè in seguito l'abbia tollerata; ma da quell'epoca sempre più confermò la disciplina sua dagli Apostoli ereditata.

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