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mercoledì 19 marzo 2014

"Fermiamo il patto con Beelzebul. Fermiamo il nuovo compromesso. Fermiamo il nuovo aborto. Fermiamo i nuovi lupi travestiti da agnelli, abbiamo o no una patente pro-life. Fermiamo lo Stato-Moloch"...

L’Aborto
 
Un giorno, padre Pellegrino chiese a Padre Pio: “Padre, lei stamattina ha negato l’assoluzione per un procurato aborto ad una signora. Perché è stato tanto rigoroso con quella povera disgraziata?”.
Padre Pio rispose: “Il giorno in cui gli uomini, spaventati dal, come si dice, boom economico, dai danni fisici o dai sacrifici economici, perderanno l’orrore dell’aborto, sarà un giorno terribile per l’umanità. Perché è proprio quello il giorno in cui dovrebbero dimostrare di averne orrore. L’aborto non è soltanto omicidio ma pure suicidio. E con coloro che vediamo sull’orlo di commettere con un solo colpo l’uno e l’altro delitto, vogliamo avere il coraggio di mostrare la nostra fede? Vogliamo recuperarli si o no?”
“Perché suicidio?” chiese padre Pellegrino.
“Assalito da una di quelle insolite furie divine, compensato da uno sconfinato entroterra di dolcezza e di bontà, padre Pio rispose: “Capiresti questo suicidio della razza umana, se con l’occhio della ragione, vedessi “la bellezza e la gioia” della terra popolata di vecchi e spopolata di bambini: bruciata come un deserto. Se riflettessi, allora si che capiresti la duplice gravità dell’aborto: con l’aborto si mutila sempre anche la vita dei genitori. Questi genitori vorrei cospargerli con le ceneri dei loro feti distrutti, per inchiodarli alle loro responsabilità e per negare ad essi la possibilità di appello alla propria ignoranza. I resti di un procurato aborto non vanno seppelliti con falsi riguardi e falsa pietà. Sarebbe un abominevole ipocrisia. Quelle ceneri vanno sbattute sulle facce di bronzo dei genitori assassini.
Il mio rigore, in quanto difende il sopraggiungere dei bambini al mondo è sempre un atto di fede e di speranza nei nostri incontri con Dio sulla terra.

Fonte: Radio Spada... 

 Francesco Agnoli e l'aborto pro-life (di Stato)
Herbert-List-1952

Riceviamo e pubblichiamo dall'amico Roberto Dal Bosco: data la delicatezza del tema sollevato, ovviamente è offerta a tutti coloro i quali si sentissero chiamati in causa da questa lettera un'ampia facoltà di risposta.

Cari amici di Radio Spada,
la mia scorsa lettera intitolata Ecco l’aborto pro-life ha infine provocato una qualche reazione presso gli interessati.
Purtroppo, non si è avviato sul vostro sito il dibattito auspicato da quel «Nota Bene» apposto dalla redazione di Radio Spada in calce al testo. Né il dottor Puccetti né Padre Carbone hanno deciso di intervenire, preferendo mandare avanti il più grosso (per fama, per consistenza della propria militanza ed anche per altezza fisica!) del gruppuscolo, il grande Francesco Agnoli. Lo conoscerete: una vita passata su e giù per la penisola per organizzare l’antiabortismo più intransigente, autore del puntuto j’accuse contro Carlo Casini che è il libello Storia del Movimento per la Vita. Tra eroismi e cedimenti (Fede&Cultura, €13), candidato con Giuliano Ferrara nel 2008 nella lista pazza «Aborto? No Grazie» e tuttora estensore ogni giovedì su Il Foglio della colonna apolegetica chiamata «Controriforme», che a dire il vero oggidì - tra discorsi su Gauss e la «pompa a vuoto» inventata da qualche prete - è diventata un pochino sbadigliosetta. Francesco, lo ricordavo anche nell’ultima lettera, è ora, assieme al dottor Puccetti, l’organizzatore del contestatissimo Convegno della vigilia della Marcia per la Vita al Regina Apostolorum, quello zeppo di abortisti e figuri dubbi, al quale come si diceva è stato tolta la possibilità di usare il logo della Marcia per la Vita.
Ebbene, proprio lui ha implicitamente risposto alla lettera che Radiospada mi ha gentilmente pubblicato. Agnoli lo ha fatto con un bizzarro articolo pubblicato su Libertà&Persona (il suo sito). Uno scritto incerto, moscietto e un po’ ingannatorello sin dal titolo: Strategie pro life (per eradicare la 194).
Pazienza se l’autore non si è degnato né di scrivere il mio nome (ci conosciamo di persona, posso capirlo) né quello di Radio Spada, che forse da qualcuno è ritenuto come luogo «poco raccomandabile», «non citabile», «infrequentabile». Non come l’arruffato sito Libertà&Persona, gestito in prima persona da Agnoli e prodigo - come sempre nel caso di Francesco - di dolcezze nei confronti di Eugenia Roccella, Maurizio Sacconi, Carlo Giovanardi, Alessandro Pagano, insomma tutti i pupazzi del disperato rigurgito neodemocristiano chiamato NCD, creature parlamentari fiancheggiate a dovere in tante iniziative, per lo meno fino a che lo sbarramento non se le porterà via tutte.
Nonostante l’anonima mollezza, la risposta data da Agnoli è decisamente densa di spunti.
Essa si presenta di per sé come uno strano uccello: come detto sopra, essa non specifica il contesto dalla polemica, si limita dichiaratamente a ribadire con aggiunta di  spiegone le tesi del manifesto neoabortista della Bussola (di oramai quattro settimane fa) glorificandone gli autori, rispettivamente «medico e bioeticista tra i più competenti, rigorosi e coraggiosi sulla “piazza”, oltre che membro del Comitato Marcia per la vita» e «teologo moralista di enorme valore scientifico e umano, membro di Verità e Vita». Notate, oltre all’«enorme valore umano», le glosse sulla Marcia e su Verità e Vita: non sono casuali, e poi tenterò di dire perché.
Parimenti strampalata è la tentennante postilla («l’articolo potrebbe fermarsi qui, ma per maggiore chiarezza, a scanso di equivoci, per chi avesse tempo, una postilla»), che è lunga quasi quanto il testo.
Certo, per Agnoli qualcosina c’era da aggiustare, per esempio lo scivolone del duo di soci apologeti del feticidio «umanitario» riguardo alla scelta di quello stravagante maestro, l’apostata Lombardi Vallauri. Agnoli ci spiega che sì, fu proprio apostata, ma prima della apostasia - un novello Tertulliano! - fu un grande Padre della Chiesa antiabortista. Ci permettiamo di dubitarne, perché - al di là dei meriti territoriali - uno che divide tra «aborto umanitario» e «aborto libertario» ha già non uno ma due piedi dentro il compromesso con i terminatori di feti. Ma questa possiamo pure passargliela - massì. In fondo Agnoli del gruppo è quello che dovrebe saperla più lunga - fidiamoci.
Quello che risulta intollerabile è invece il fatto che per sdoganare Lombardi Vallauri venga arruolato tra i fan di quest’ultimo Mario Palmaro, lo scrittore e bioeticista cattolico scomparso la settimana passata. Palmaro - colui che più di ogni altri si battè contro i «paletti» (oggetto di tante sue divertenti invettive) e contro la deriva abortista tipica di realtà come il Movimento per la Vita (o come le posizioni di Assuntina Morresi, ospite d’onore al Convegno agnolo-puccettiano) - riportò la tassonomia del Lombardi Vallauri nella sua tesi di laurea, che divenne poi il libro Ma questo è un uomo: la riportò come mera teoria e come classificazione, tra le altre, senza certo pensare di farla propria attribuendole un giudizio di valore. Altrimenti nulla della sua battagliera storia di attivista pro-vita si potrebbe spiegare. Lasciamo poi ad altri di giudicare l’opportunità (o lo squallore) del tentativo di pervertire in questo modo il pensiero adamantino di una persona che non c'è più.
Detto ciò ci rallegriamo di una cosa: questo è il primo testo su Palmaro - suo antico compagno di lotte nel mondo pro-life, sia pure nelle divergenze emerse nell’ultimo anno - scritto da Agnoli dopo la sua morte. Ogni sito ha avuto modo di fare i suoi eulogi per la scomparsa di quello che non ho esitazioni a definire un eroe. Libertà&Persona invece si è limitata a copiare e incollare un paio di articoli di altri. Che le parole di commiato al compagno di tante battaglie siano un tentativo di manipolazione postuma mi pare umanamente drammatico.

 http://www.quieuropa.it/wp-content/uploads/2014/02/Aborto-Femminismo-Massoneria.jpg

Ma questa è una cosa personale. Veniamo a questioni più oggettive.
TRAPPOLE E TRUCCHETTI: PANNELLA È VIVO E LOTTA INSIEME A NOI!
Il testo infatti in alcuni punti nasconde trappole esiziali, è anzi quasi una summa di trabocchetti per pro-life. Il tutto con uno ed un solo fine: premasticare la materia per assicurare la digeribilità della 194 anche presso gli stomaci forti. La Pappa omogeneizzata dell’aborto servita ai duri e puri.
Bisogna smettere di demonizzare questa 194, ci va ripetendo il trio del feticidio «umanitario».

Per portare verso l’abortismo neodemocristiano i senza-compromessi - un tempo l’ambiente naturale di Agnoli (non è un caso dunque che per fare questo lavoro sia stato scelto proprio lui…) - il nostro qui è là infila qualche mezza-bugia (diciamo: bugia parziale) che si è tentati di assegnare alla malafede, in quanto egli è troppo preparato (è cresciuto a pane e pensiero cattolico) per commettere certi errori.
Ci riferiamo a quando dice: «Chi conosce la storia della grande battaglia sulla vita sa che i radicali, nel 1981, proposero un referendum per abrogare la legge 194, proprio perché la volevano più aperta! Sapevano che una legge senza alcun limite, avrebbe ucciso ancora molti più bambini, come succede in altri paesi». Ad una prima lettura uno direbbe: perbacco, nel 1981 i radicali davvero volevano abolire la 194? E perché noi non gli siamo andati dietro? Se domani Pannella indice un referendum per abolire la legge sull’aborto con il progetto sgangherato di farne in parlamento (con le forze che ha...) una più tremenda, io firmo immediatamente, do il cinque a Cappato, prendo la tessera e la bacio, installo nel PC uno screensaver con la faccia di George Soros, mi dichiaro disposto addirittura all’ascolto di un’ora di Radio Radicale e perfino alla visione ripetuta della clip dove Pannella beve a bei sorsi la propria orina (bleah!). Ma scherziamo? Se i radicali vogliono abolire la 194 io mi faccio radicale subito. Chissenefrega dei paradossi: Pannella è vivo è lotta insieme a noi! Purtroppo tutta questa è una fantasia - o meglio, quanto messo in piedi da Agnoli è un trabocchetto. I radicali mai e poi mai «proposero un referendum per abrogare la legge 194», che è una legge che tuttora impugnano alla grande. Il tentativo radicale infatti non era di abrogare, ma di svuotare la 194 per «liberalizzare» (massì, cediamo alla neolingua neoabortista carbonico-puccettesca!)  ulteriormente l’aborto. Il nostro si è quindi «dimenticato» di specificare che si parlava di abrogazione parziale. Un dettaglio da niente.
Basta leggere le prime parole del quesito del referendum per capire che l’abrogazione totale  della 194 neanche passava per la testa a Pannella: «Volete voi l'abrogazione degli articoli 1; 4; 5; 6 lettera b) limitatamente alle parole...».
Cosa significa dunque presentare la situazione come fa Agnoli?
Cosa significa dipingere un resoconto così cosmetizzato di questa storia?
Semplice: significa condurre il lettore cattolico in un quadro che lo dispone ad una ulteriore accettazione della 194. Una digestione supplementare, un incipriamento non privo di una sua attrazione: se i radicali volevano abrogarla, vorrà dire che qualcosa di buono questa 194 ce l’avrà pure, no? La 194, ci viene trasmesso neanche tanto subdolamente, ci difende dalla barbarie pannelliana. Senza 194, ci sarebbero aborti agli angoli della strada, per fortuna invece grazie alla legge per «la tutela sociale della maternità» (non ridete, la 194 come noto si chiama così) le interruzioni di gravidanza, cioè gli omicidi, si fanno in ambienti asettici degli ospedali statali, e sicuramente in numero minore di quanti se ne farebbero senza legge. Strano, mi pare di aver già sentito una tale argomentazione: la legge sull’aborto di Stato avrebbe diminuito il numero di aborti, i quali quando erano clandestini erano milioni e milioni, con altrettante milioni di gestanti morte tra i ferri delle mammane (a proposisto, possibile che su 11.000 aborti clandestini alla Bonino non sia morta mai nessuna? Lo chiedo a quelli di CL, tipo Luigi Amicone di Tempi, che oramai con la Emma sono amici per la pelle, e che ovviamente saranno presenti in forze al Convegno pre-marcia agnoliano).
Ma questo della 194 che riduce gli aborti non è l’unico argomento già sentito.
Bisognerà ricordare che In quel drammatico referendum c’era da votare anche la proposta del Movimento per la Vita e della Democrazia Cristiana (quella vera: non quella ventura vagheggiata da questi suoi vacui e tristi epigoni), quella per cui si ritoccava cosmeticamente la 194 (come ho paura si voglia rifare a breve) e si tentava di limitare l’aborto a questioni «terapeutiche». Sapete tutti cosa si nasconde qui sotto questa parola: la «morte come terapia» è una specialità della medicina contemporanea. Il referendum come noto fu perso. Ora, mi è impossibile non notare che con tale nuova fandonia l’aborto «umanitario» si stia riproducendo la medesima dinamica, il medesimo compromesso di sangue, che oltre che genocida è infine pure politicamente perdente.
Ecco, la triade genocida-umanitaria Agnoli-Puccetti-Carbone diffonde a 33 anni di distanza il medesimo schema di morte, sperando che nella rete, come allora, cadano quanti più gonzi cattolici possibili: si chiamava un tempo «aborto minimale» adesso l’hanno ribattezzato «aborto umanitario», è la stessa identica cosa, e dietro sorride soddisfatto lo stesso identico uomo - l’eterno presidente del Movimento per la Vita on. Carlo Casini. L’uomo che Agnoli combatté con foga mai vista (gliene va dato atto), per poi, l’anno passato, aprirgli incredibilmente la porta della Marcia per la Vita (evento che era stato concepito proprio contro Casini e la sua linea lassista, cripto-abortista). Un episodio, questo, che sollevò un vespaio di polemiche presso la «base» degli attivisti: in una riunione a Bologna qualche settimana dopo la Marcia, la «base» espresse personalmente ad Agnoli il suo dissenso più totale. E lo fece con toni forti.
TRISTE PARABOLA NEODEMOCRISTIANA DELLA RU486
(CON FINALE TRANSUMANISTA)
Vi è poi nel testo agnoliano un interessante passaggio che riguarda il flagello della RU486. In merito ai termini posti dalla 194, Agnoli scrive che «questi limiti (...) sono poca cosa, un piccolissimo varco nell’abortismo libertario, ma ci sono, e per quanto possibile vanno: 1) utilizzati; 2) gradualmente ampliati. Utilizzati: perché sappiamo che i 7 giorni, se fossero fatti rispettare, quando sono fatti rispettare, salvano bambini. Perché se la Ru 486 non si vende in farmacia, è perché qualcuno ha rilevato che farlo, sarebbe stato contro la legge (ora non è chi non veda che se la Ru486 si vendesse in farmacia, gli aborti crescerebbero esponenzialmente)». Fa un po effetto leggere queste parole, perché non si capisce perché non stia scritto invece che sarebbe stato ancora meglio se la RU486 non si fosse introdotta, e basta. È poi ridicolo pensare che questa non finirà prima o poi in farmacia - o peggio: ordinabile su Amazon.it -  se non le si fa un’opposizione assoluta. A questo proposito va ricordata la parabola della deputata NCD Eugenia Roccella, ex radicale socia di Agnoli in alcune iniziative come il comitato dallo sconclusionato nome «Di Mamme [sic, plurale] ce n’è una sola», un ente che dovrebbe occuparsi di uteri in affitto (l’abortista Assuntina Morresi parlerà al Convegno pre-marcia proprio per conto di questo comitato dal nome non irresistibile, con quanta coscienza del problema non si sa, visti suoi recenti articoli piuttosto confusi). La Roccella è nota per la battaglia che annunciò contro la RU486 (tipo: «Tranquilli, abbiamo detto che è mortale, non passerà mai») e che probabilmente non iniziò neppure, pur vantando risultati strabilianti (tipo:«la danno solo in ospedale, siamo salvi»). La fine è nota: le donne assumono la RU486 e abortiscono nel cesso di casa. Bel lavoro Eugenia.
Un ulteriore finale roccelliano sulla questione della pillola della morte - un recente episodio non ancora noto ai più - viene invece da un documento di Commissione Parlamentare Affari Sociali arrivatomi in mail la settimana scorsa. La Commissione, di cui la Roccella è  membro come quell’altro genio opusdeino della Binetti, richiede per la RU486 «l’omogenea distribuzione su tutto il territorio nazionale». Brava Eugenia. Bis.
Ma all’Agnoli la RU486 non sbuca copiosa solo dai pori del suo rapporto con la Roccella. La nemesi della pillola assassina torna anche dal più vasto caso del NCD, il partito dove militano tanti bravi deputati che Agnoli sostiene energicamente (Giovanardi, Sacconi, etc.) con attività varie ed ospitate a Radio Maria. Ad introdurre la RU486 a Trento, città di residenza di Agnoli, fu Lorenzo Dellai, onnipotente presidente catto-progressista (scaturisce da una delle prime putrefazioni del cadavere della DC, la Margherita - la ricordate?) della ricca provincia autonoma. Agnoli lo attaccò in tanti articoli, e giustamente: Dellai si dice cattolico e poi introduce la pillola dell’aborto facile in casa sua? Eppure, è notizia di un paio di settimane fa, ora alle europee di maggio Dellai - l’anno passato intruppato da qualche vescovo con Monti nel fallimento di Scelta Civica - si presenta con gli alfanoidi del NCD. Ecco l’unità cattolica tanto agognata - un grande abbraccio tra «cattolici» che ordiscono l’importazione di droghe feticide. Un partito che si è liberato del pregiudicato Berlusconi (la cassazione lo ha condannato, sai che cosa imperdonabile) ma che ora accoglie a braccia aperte un narcotrafficante di morte - qualcuno che introduce nella sua regione il traffico di sostanze che uccidono i bambini, come altro chiamarlo? Un Erode-pusher, uno Scarface della necrocultura. Il compianto Pablo Escobar, ammettiamolo, era di gran lunga più innocente di Dellai, che ora fa lingua in bocca con i neoDC, pardon, «neocid».
Agnoli ora che farà? Continuerà la sua storica lotta contro il serpente Dellai? Lo dubitiamo, anche perché probabilmente questa lotta l’ha mollata da un pezzo. Uscì l’anno passato sulla Bussola un interessante articolo, che insinuava che Dellai, tramite una apposita mascherata mediatica (che ha coinvolto perfino la trasmissione TV Unomattina!), avesse messo in piedi in Trentino un laboratorio che si occupava della forma di bioingegneria più estrema che esista, la cosiddetta «Vita Artificiale», o «Biologia Sintetica»: una branca della ricerca biologica la cui liceità anche negli USA provoca non pochi dibattiti. In breve, a Trento c’è uno scienziato americano che, novello Frankenstein molecolare, vuole creare materia vivente partendo da quella inorganica. Dellai questo progetto l’ha sostenuto (forse non solo a parole) e lanciato pubblicamente. Questo laboratorio di blasfema alchimia biotecnologica è probabilmente a pochi metri da casa Agnoli, il quale nella sua esistenza avrebbe pure scelto di occuparsi di bioetica. Sul perché il bioeticista non abbia mai deciso di raccogliere questo stimolo di Frankenstein-Dellai, per indagare, approfondire, creare una piccola campagna di opinione territoriale ad hoc  - magari proprio nell’anno in cui nella provincia autonoma si sono svolte le elezioni - rimane per chi scrive un mistero. Forse la stesura di articoli per Il Foglio su Gauss e sulle «pompe a vuoto» e l’organizzazione degli irrinunciabili Mendel Day sono effettivamente priorità rispetto al transumanismo a spese del contribuente perpetrato poco oltre lo zerbino di casa.
L’ABORTO PUBBLICO E LO STATO-MOLOCH
Ma vi è, nella lettera di Agnoli, un altro spunto che merita di essere svolto e meditato. Si tratta di quando il nostro scrive: «il fatto che per la legge 194 l’aborto non deve avvenire dentro le strutture pubbliche ha impedito la nascita, da noi, del più grande motore dell’aborto nel mondo, che si chiama Planned Parenthood, e il sorgere di decine e decine di cliniche abortiste private che porterebbero il numero degli aborti nel nostro paese a moltiplicarsi più volte».
Si tratta qui di una questione importante, con risvolti corposi, in alcuni casi perfino abissali.
Ritengo questo ragionamento fallace e pericolosissimo, lo ritengo dannoso come poco altro, e credo fermamente che la sua ripetizione giovi solo a coloro che vogliono mantenere lo status quo della 194, cioè la posizione che pare avere infine assunto anche Francesco Agnoli.
Mi spiego: il matrimonio infernale tra lo Stato e l’aborto, così come avvenuto in Italia, è quanto di più mostruoso si possa immaginare, perché di fatto incentiva l’aborto più della soluzione privatista à la Planned Parenthood, e al contempo scoraggia ogni possibile vera opposizione a questa strage assoluta.
L’aborto in strutture pubbliche ha di fatto impedito la creazione di vero, lucido, concreto movimento di protesta pro-life in Italia.
Mi spiego per punti.
1) L’aborto di Stato è un incentivo economico verso chi desidera uccidere il figlio che porta in grembo. Innanzitutto, c’è una questione di costo: in America, dove l’aborto viene effettuato in cliniche private, la terminazione di gravidanza - stando al sito di Planned Parenthood - costa, se entro il primo trimestre, tra i 300 e i 950 dollari. Certo, non tutte si fanno scoraggiare da questa cifra, però qualcuna forse sì. Ecco, quella ragazza porta a termine la gravidanza e magari si tiene il pargolo, o lo dà in adozione. Tutte vite salvate dall’entry level dell’aborto americano, dal prezzo di questo biglietto di morte. In Italia l’aborto di Stato rende totalmente gratuito il giro in questa giostra assassina.
2) L’aborto di Stato provoca meno facilmente una reazione di repulsione nei confronti della struttura nella quale poi avviene il feticidio. Il pensiero qui va al film Juno. Ricordate come la protagonista, entrata in una clinica apposita per abortire, ne esce turbata dall’ambiente non esattamente accogliente (la segretaria che mastica la gomma, il silenzio, la cappa emotiva …): «non posso fare una cosa del genere in un luogo che odora di smalto per unghie» era la battuta che riassumeva il senso di disumanità che la ragazzina provava all’interno della clinica privata.
Ora, questo senso di discontinuità dell’aborto rispetto ad ogni altra pratica medica è del tutto mancante nell’aborto di Stato italiano: la Nazione stessa, incarnata nella sua istituzione preposta alla cura, il nosocomio, si offre per questo atto barbaro, che tanto barbaro non deve essere ritenuto - viene da pensare - se avviene a pochi metri da dove i bambini invece nascono. L’ospedale, nonostante i tanti pensieri sulla malsanità, è un luogo in cui il cittadino ripone la sua fiducia. La struttura che cura tuo nonno è la stessa che uccide tuo figlio. Un unico insensato continuum, sulla cui follia pochi in realtà si interrogano davvero. Per la psiche del cittadino medio, praticare l’aborto negli stessi luoghi dove ti disinfettano un taglietto alle dita, rende per forza di cose l’aborto come qualcosa di ulteriormente accettabile.
L’ospedale non genera ripulsa, anzi instilla fiducia. La facilità con cui si ricorre al feticidio in Italia dipende anche dalla perversione di questo affidamento della cittadinanza alla struttura medica.
3) L’aborto di Stato ospedalizzato rende impossibile disglobare l’aborto dalla questione medica, con l’inconscio connotato di fondo che conosciamo: l’aborto come atto medico, ed infine il bambino come malattia. Se l’aborto è parte dell’ospedale esso è una legittima parte della medicina e del sistema di cure che lo Stato deve prevedere naturalmente. Questo rende difficile per i movimenti pro-life agire molte strategie di protesta, in quanto l’aborto arriva quindi a identificarsi con la sanità - è il frame dell’aborto, la sua cornice sociopsicologica, ad essere qui spostata e solidificata, resa legittima dall’identità con l’ospedale e con lo Stato.
4) L’aborto di Stato ospedalizzato rende quindi assai difficoltose azioni concrete di disturbo da parte del movimento pro-life. Protestare contro un aborto può equivalere, in Italia, al reato di interruzione di pubblico servizio, un attacco ad un ganglio fondamentale della vita sociale. Negli USA, dove l’aborto è privato, la faccenda è decisamente diversa.
Inoltre, c’è da considerare che il lavoro ossessivo ma assai fertile dei picchettatori americani fuori dalle cliniche ha portato più di qualche risultato: si pensi ad Abby Johnson, ex proprietaria di una clinica abortista che finì per capire le ragioni di chi protestava fuori dal suo ufficio ed è ora una leader del movimento pro-life americano. I picchetti innanzi agli ospedali italiani, sia pur meritori come le recite di rosari e le «maratone» di preghiera, purtroppo non producono risultati incisivi per il semplice motivo che davanti ad essi non c’è solo un luogo dove si praticano gli aborti, ma un intero ospedale dove in effetti la gente viene anche curata, e quindi l’obbiettivo - e il messaggio - va perdendosi. Non si può veicolare un messaggio preciso di opposizione ad una struttura che, oltre all’abominazione degli aborti, in effetti produce anche del bene: ossa aggiustate, ferite rimarginate, malattie guarite.
Penso al caso di un gruppo pro-vita che ho incontrato recentemente, divenendone mio malgrado una sorta di membro onorario all’estero - i Probikers for Life. Un gruppo di cattolicissimi motociclisti - attrezzati di Harley Davidson, giacchetta jeans con toppe a base di fiamme e teschi, borchie, barbone, stazza imponente, tutto l’armamentario del biker che conosciamo - che si battono per la vita prenatale. La loro ultima trovata, della quale mi aggiornano quasi quotidianamente («oggi ne abbiamo salvati 3», «oggi ne abbiamo salvati 4») è di una chiarezza illuminante: con le moto circondano le cliniche abortiste, vorticando infinite volte attorno ad esse in stormi sempre maggiori, fermandosi a parlare con le ragazze che vedono entrarvi, le quali sono ovviamente incuriosite da questo inaspettato spettacolo motoristico. Ultimamente, il loro obbiettivo è la Margaret Sanger Clinic di New York, l’epicentro assoluto dell’aborto americano, in Lower Manhattan. I Probikers for Life mai potrebbero fare lo stesso per opporsi all’aborto italiano: circondare con i rombi delle loro moto un ospedale farebbe uscire, perfino legittimamente, la Polizia, i Carabinieri, i Vigili Urbani, l’ACI,  Legambiente, Italia Nostra, L’Enpa, il Touring Club, la Pro Loco, il parroco (pardon, l’«operatore pastorale»). Come si può protestare contro un ospedale?
Penso anche a Lila Rose, la ragazza che con il suo Progetto Live-Action va sotto mentite spoglie a filmare le infrazioni della legge all’interno delle cliniche di Planned Parenthood (da cui è considerata come nemico numero 1, con tanto di foto segnaletiche negli uffici). La Rose negli ospedali italiani non potrebbe mai operare, sarebbe indicata come nemica del Ministero della Sanità, e di certo diverrebbe seduta stante una attenzionata della Digos.
5) L’aborto di Stato infine (e qui si apre la questione più politica e più abissale del tema) comporta che lo Stato stesso - quello che ci contiene, quello cui paghiamo le tasse - diviene illeggittimo. La 194 crea uno Stato-Crono, che divora i suoi figli. Uno Stato-Erode, che massacra le sue stesse generazioni innocenti. Una forma-Stato mostruosa che non ha nemmeno una categoria di filosofia politica che la possa descrivere: non più lo Stato-Leviatano di Hobbes, che terrorizza la sua cittadinanza, ma uno Stato-Moloch, lo Stato che inghiotte i propri membri in sacrifici continui. La 194 altro non è che la fornace sacrificale dello Stato-Moloch. Uno Stato di siffatta natura, alla luce della Fede, ma più chiaramente ancora di ogni umano raziocinio, perde giocoforza ogni legittimità.
È inutile quindi fingere che attaccare l’aborto di Stato non equivalga, per lo Stato, ad attaccare lo Stato stesso. La 194 ha criptato l’aborto nel cuore stesso della Struttura-Paese, l’ha legata indissolubilmente alla Repubblica. I perenni nervi a fior di pelle sulla questione da parte delle autorità ne sono il segno più eclatante.
Perché l’aborto in Italia riguarda direttamente lo Stato, cioè letteralmente l’architettura del cosmo sociale tutto. In pratica, tutti noi.
Di quei sei milioni di aborti pubblici, permessi ed eseguiti dallo Stato italiano, siamo tutti colpevoli. Ne siamo tutti perfino finanziatori materiali tramite la tassazione.
Il compromesso della DC di Andreotti ha ottenuto questa sanguinaria eterogenesi dei fini: ha satanizzato l’intero corpo della Nazione. Il patto di Belzebù non ha altro esito: lo Stato-Nazione diviene nella sua interezza una macchina diabolica.
Anche negli USA vi è - ovvio - il grande problema dello Stato. Ma lì la mente legislativa è divisa dalla mano che macella la vita nascente. Da noi è invece lo stesso medesimo corpo a pensare, permettere, e produrre l’infinito eccidio degli innocenti. Di questo corpo mostruoso ognuno di noi, gli piaccia o no, è una cellula.
L’aborto di Stato è la perversione finale del sistema politico moderno, il quale perde quindi ogni onore, e trascina nella sua furiosa follia anche il popolo, che finisce per sguazzare nelle pozze del suo stesso sangue, e a spese proprie.
Non so se qualcun altro lo abbia detto prima di me, ma per l’Italia sarebbe stata sicuramente migliore una situazione in cui a infliggere l’aborto non è lo Stato (che diviene così, tecnicamente, genocida-suicida) ma Planned Parenthood. Sarebbe stato più facile isolarla, demonizzarla, combatterla. Espellerla come organismo estraneo al tessuto italiano: quante delle nostre donne avrebbero accettato di uccidere il loro bambino nel luogo che ha sconvolto Juno?
I numeri degli USA, dove l’aborto è privato e teleguidato da Planned Parenthood, sono certamente maggiori, ma lo sono - ritengo - perché la cultura medica americana prevede che ci si curi nelle cliniche private e perché non esiste negli USA (questo lo sento ogni volta che vado laggiù) una cultura forte della famiglia, una rete sociale reale in grado di comprenderti ed aiutarti specialmente nei momenti estremi. In Italia, dove permane una parvenza di famiglia e di senso condiviso del bene comune, l’aborto attecchisce meno anche per questi motivi, ed ho idea che la sua cifra sarebbe stato ancora più contenuta qualora le uccisioni di embrioni fossero state affidate ai loschi privati stranieri, dei quali istintivamente l’italiano non si fida più di tanto (guardate, per esempio, le carte di credito: gli italiani, diffidenti, le usano in misura molto minore di ogni altro popolo...).
Al contempo, è lapalissiano che l’aborto pubblico a spese dello Stato in America produrrebbe un ecatombe senza limiti, e la riforma medica dell’attuale Presidente è di certo un passo avanti verso questo tragico traguardo sognato da decenni dalla Lobby della morte statunitense.
Per tutti questi motivi, dico che nulla è nocivo e malvagio come l’aborto Statale sul modello della 194 - nemmeno Planned Parenthood.
Mi rendo conto del paradosso, dell’enormità che sto dicendo.
Ma ne sono del tutto convinto: meglio Planned Parenthood dell’aborto di Stato.
Se doveva farsi un immondo compromesso, quello doveva essere per uno Stato-Pilato che si lava le mani della morte più ingiusta dell’universo e lascia fare ad altri, piuttosto che per lo Stato-Erode, cioè uno Stato dove l’infanticidio è perpetrato dalle sue stesse truppe regolari. Lo Stato-Erode, a differenza dell’antico re di Giudea, non si accontenta di uccidere una generazione, ma spinge verso il fuoco dell’annietamento ogni annata di suoi figli, divenendo così quello Stato-Moloch che ha inferto alla propria popolazione un danno da guerra termonucleare: 6 megadeath, ossia 6 milioni di morti, una buona cinquantina di Nagasaki scagliate nel grembo dell’Italia innocente.
Sì, meglio Planned Parenthood dello Stato-Moloch. Laddove il Bene è separato dal Male, è possibile vincere. Laddove il Bene e il Male sono mischiati nel relativismo di Stato, no.

IN CONCLUSIONE: PREGHIERA PER LA MIA GENERAZIONE
Con questo chiudo questa mia lettera, sperando di aver dimostrato la fallacia delle tesi che vengono propugnate oggi da chi fino a ieri poteva permettersi di esibire un pedigree pro-life di tutto rispetto. Spero sia chiaro, il tentativo in corso di vendita della 194 come «buona legge» al granitico blocco antiabortista si fa sempre più pressante. Il senso dell’operazione di Agnoli (un tempo nome di garanzia per il Tradizionalismo italiano), di Puccetti «membro del comitato Marcia per la Vita» e Carbone «membro di Verità e Vita» sta tutto qua: sono quinte colonne dentro a realtà irriducibili, non ancora «normalizzate». Sono solventi per liquefare anche gli ultimi corpi solidi rimasti nella galassia Pro-Vita.
Dopo l’articolo sulla Bussola, e questo rinforzo dell’Agnoli su Libertà&Persona, si comprende che nei programmi non solo si prevede l’aborto «umanitario», ma anche l’ostinata perpetuazione consapevole dello Stato-Moloch - con sacralizzazione del «paletto» che vuole la IVG solo negli ospedali - e quindi, di fatto, dell’ulteriore prolungarsi dell’irriformabilità dell’aborto italiano.
Sono nato nel 1978, l’anno fatale dell’aborto in questo Paese. La mia generazione - che è una generazione di sopravvissuti, quindi - può dirsi innocente rispetto a questa catastrofe. Noi non c’entriamo con l’istituzione di questa legge di morte, ma possiamo essere proprio noi ad abbatterla. Possiamo essere coloro che vedranno la fine dell’aborto nella loro stessa vita.
Ora, se vinceranno i coboldi del nuovo compromesso, e come credo sia nell’aria, si ritoccherà la 194 senza nemmeno pensare di abrogarla totalmente (tutto è al suo posto: l’esempio Gallardón, le rotture europee con gli obiettori, un boyscout golpista al governo, il Papa «negoziabile»), per altri 35 anni non potremmo più parlarne. Si daranno più pannolini ai CAV, si stabilirà incredibilmente che l’obiettore non deve fare gli aborti, di tutto si discuterà meno che di annullare una volta per tutte la 194.
La mia generazione, insomma, potrebbe non vedere con i propri occhi la fine dell’incubo autogenocida. E questo per me è un altro incubo, è un incubo dentro ad un incubo.
Per questo, chiedo a tutti coloro che vogliano ascoltare: fermiamo questa deriva, vi prego.
Fermiamo il patto con Beelzebul.
Fermiamo il nuovo compromesso.
Fermiamo il nuovo aborto.
Fermiamo i nuovi lupi travestiti da agnelli, abbiamo o no una patente pro-life.
Fermiamo lo Stato-Moloch.
Fermiamo la strage infinita dei nostri bimbi, strage che paghiamo con le nostre tasche, strage che non abbiamo ancora avuto il coraggio di combattere davvero.
Ve lo chiedo dal profondo della mia anima.
Ve lo chiedono sei milioni di vostri concittadini annientati dalla legge democristiana,
Ve lo chiedono altri milioni di morti che verranno, macellati dalla prossima legge neodemocristiana.

In amicizia,
Roberto Dal Bosco
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GALLERIA DEGLI ORRORI

"Era ripugnante vedere feti umani vivi (bambini prematuri) messi sotto ghiaccio mentre cercavano ancora di nuoversi e di respirare per poi essere inviati rapidamente ai laboratori"
Questo avveniva presso il Magee-Womens Hospital di Pittsburg e la dottoressa chiese di essere esonerata dal prestare la sua opera per gli aborti procurati.
    La sua richiesta "fu respinta ...  con minacce di licenziamento, intimidazioni, restrizioni nei compiti assegnati ecc...."
     Alla fine lasciò il lavoro.
(Testimony, Mrs W. Pick, anestesista, Pennsylvania. Abortion Commision.
The Pittsburg Catholic, 17 marzo 1972)  

-     I ricercatori del Medical Center dell'Università del Colorado a Denver hanno usato più di 114 prematuri per i loro esperimenti sulla mandibola. Tutti i bambini abortiti sono stati uccisi prima di essere utilizzati per gli esperimenti.
(Am. J. Anatomy, Vol. 131, 1971)

- I dottori Laphom e Marksberry hanno riferito di aver prelevato il cervello di feti umani e di averlo mantenuto in vita per ben 5 mesi in coltura. I donatori sono stati uccisi.
(Science, Agosto 1965)   

-    Il dottor Ammann dell'Università della California ha trapiantato il timo dei feti umani in due bambini. Entrambi i donatori sono stati uccisi.
(Time Magazine, 28 febbraio 1972, p. 54)

- Presso la Dalhousien University di Halifax, Nova Scotia, i reni dei bambini abortiti vengono utilizzati per lo studio delle malformazioni renali. I bambini donatori vengono uccisi.
(British Medical News,2 Aprile 1973)

-   Il dr. Goodlin della Stanford University, California, ha condotto esperimenti comprendenti "L'apertura della cassa toracica di un feto umano ancora in vita (neonato) al fine di osservare l'azione del cuore...." sono stati utilizzati soggetti anche di 24 settimane.  
(Sworn testimony to Mary Swedsen 1° giugno 1972)


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