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giovedì 24 febbraio 2011

ALESSANDRO GNOCCHI e MARIO PALMARO "L’ULTIMA MESSA DI PADRE PIO"...

 
L’anima segreta del santo delle stigmate Redazione: Edistudio, Milano I Edizione 2010
© 2010 -EDIZIONI PIEMME Spa 20145 Milano - Via Tiziano, 32 info@edizpiemme.it - www.edizpiemme.it
Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento) 

Prologo
NEL TERRITORIO DEL DIAVOLO
Dove padre Pio viene incaricato dal Cielo di una misteriosa missione in cui dovrà opporsi alle trame dell’Anticristo e soffrire per amore della Chiesa San Giovanni Rotondo, giovedì 19 marzo 2009, festa di san Giuseppe, ore 11.30.
La prima nota sul blocco degli appunti è sconsolata ma precisa: «Non si doveva partire da qui». Il viaggio nel mondo di padre Pio sulle tracce della sua totale dedizione alla Messa, della sua dolorosa compenetrazione con il sacrificio di Cristo comincia inciampando in un enigma.
Pur essendo arrivati nel luogo dove il frate stigmatizzato è vissuto più a lungo e dove si trovano le sue spoglie mortali, si fa sempre più forte la sensazione che il bandolo di questa matassa celeste potrebbe essere altrove. È un’idea sorta orecchiando i discorsi di un gruppo di pellegrini all’uscita della nuova chiesa dedicata al santo, il mostro liturgico edificato da Renzo Piano. Questo tripudio di cemento e di modernità, stanno dicendo alcuni di loro senza parvenza di remore, non vale un centimetro quadrato del dipinto che hanno visto ieri a Campobasso. Là sì che si aveva la percezione inequivocabile di trovarsi davanti al santo e al suo segreto. Dicono proprio così: “il santo e il suo segreto”. Con tutta probabilità, stanno parlando di un’immagine che si trova nel santuario di Santa Maria del Monte, dove padre Pio arrivò nel 1905, a diciotto anni, quando non aveva ancora pronunciato i voti solenni.
«Non si doveva partire da qui»: l’idea ha preso rapidamente corpo, tanto da diventare una precisa nota sul blocco degli appunti. Non ha evidente fondamento scientifico e, a prima vista, non risponde neppure ai criteri minimi del buon senso. I pellegrini si sono dileguati in un batter d’occhio e non è stato possibile chiedere un seppur minimo chiarimento. Quanto al quadro o all’affresco di cui parlavano, buio assoluto. Nella vasta letteratura sul padre, se ve ne è traccia, non deve essere così visibile. Ma, forse, è proprio per questo che bisogna partire da là.
Se si pensava di affrontare questo viaggio con il passo misurato dello studioso, ora bisogna subito cambiare prospettiva e farsi anche un po’ investigatori e un po’ pellegrini. Il mistero si comprende solo attraverso il mistero, sovrapponendo pazientemente velatura a velatura fino quando non si palesino quelle trasparenze che gli uomini non sono capaci di immaginare da se stessi. Su questo terreno non è concesso sottrarre ma aggiungere: e quanti veli bisognerà sovrapporre l’uno all’altro, prima che nella vicenda di padre Pio sia possibile anche solo intravedere per un momento le vere ragioni di ciò che appare?

Un quadro che il pittore non voleva dipingere

Campobasso, giovedì 19 marzo 2009, ore 14.30.
Da San Giovanni Rotondo a qua ci sono centotrenta chilometri di strada non sempre agevole. Due ore buone in compagnia del malcelato timore di doversi scoprire tanto ingenui da aver dato retta inutilmente alle chiacchiere di un gruppetto di sconosciuti. Però nel santuario di Santa Maria del Monte c’è il quadro. È un raro esempio di arte contemporanea apprezzabile e raffi gura la Vergine Maria mentre appare a un giovane fra Pio indicandogli Gesù che sale il Calvario portando la croce.
L’opera è collocata dietro l’altare della cappellina laterale dedicata al santo, ricavata a destra dell’ingresso. I pellegrini di San Giovanni Rotondo avevano ragione. La precisione della scena narrata dice di un fatto realmente accaduto e, con la sua sobrietà e il suo rigore, fa da contorno e protezione a un dialogo percepibile solo ai due protagonisti. «Il santo e il suo segreto», avevano detto i nostri involontari informatori. E potrebbe persino essere il titolo del quadro.
Fu padre Pellegrino da Sant’Elia a Pianisi, il frate che rimase vicino a padre Pio fino agli ultimi istanti della sua vita terrena, a volere con insistenza quasi importuna che il pittore Amedeo Trivisonno lo dipingesse. Era il 1971. «Amedeo» spiegò padre Pellegrino all’artista «qui la Madonna è apparsa a padre Pio molte volte. Tu, che sei tanto religioso, devi dipingere un quadro per ricordare l’apparizione più importante, quella del giorno dell’Assunzione del 1905. È l’apparizione in cui il padre accettò di essere l’Alter Christus
Trivisonno era artista di buona fama anche oltre i confini italiani e, quel che più conta in tale frangente, era effettivamente molto religioso. Era legato ai cappuccini, amava padre Pio, ma non se la sentiva proprio di affrontare quel lavoro. La rivelazione di padre Pellegrino lo aveva turbato, ma tanta fu l’insistenza del frate che, a settembre, si mise al lavoro nel suo studio di Firenze e, a maggio dell’anno successivo, aveva terminato L’apparizione della Madonna a padre Pio.
La precisione della narrazione sulla tela testimonia che, parlando con l’amico artista, padre Pellegrino entrò nel dettaglio rivelando ciò che aveva intuito stando vicino a padre Pio. Non si comprenderebbe altrimenti come il pittore si sentisse turbato dal fatto che a un giovane deciso a diventare sacerdote fosse chiesto di divenire Alter Christus. La conformazione a Gesù è l’essenza di ogni chiamata al sacerdozio ma, evidentemente, a fra Pio da Pietrelcina venne chiesto molto di più: dopo la visione del 1903, che gli prospettava una vita in lotta perenne con il demonio, secondo il dipinto celato in questa cappella ora gli veniva chiesta la condivisione della croce e l’associazione al sacrificio divino fino a patire le sofferenze del Salvatore. L’unicità e la grandezza della richiesta sono testimoniate dal fatto che il santo di Pietrelcina è il primo sacerdote nella storia della Chiesa a ricevere le stigmate, il suggello dell’adesione e della dedizione assoluta alla Passione di Cristo nella riproposizione del Calvario. Tutto questo, nel linguaggio della Chiesa cattolica può essere espresso con un solo concetto: “Santa Messa”.

La Messa non può mutare

Non è stata davvero una scelta avventata quella di aver dato credito ai discorsi dei pellegrini di San Giovanni Rotondo. Quel giovane frate in contemplazione della Madonna, con le braccia aperte nell’attesa di essere inchiodate sulla croce che Cristo sta portando al Calvario, trasmette davvero la sensazione quasi fi sica di trovarsi al cospetto di un evento unico. Basta guardare la scena narrata nel quadro per comprendere l’attaccamento di padre Pio alla Messa, il desiderio bruciante di stare quanto più possibile sull’altare, le celebrazioni che duravano ore e ore nello spasimo della crocifi ssione e nella contemplazione dell’ostia consacrata, l’urgenza di offrire quante più messe possibile in riparazione dell’incuria e dell’indifferenza con cui le celebravano tanti, troppi sacerdoti. E, con ancora maggiore chiarezza, si comprende l’attaccamento del santo all’immutabilità del rito con cui Gesù, ogni volta che un sacerdote consacra il pane e il vino, si fa presente come vittima perfetta sull’altare.
Al vecchio frate cappuccino bastarono i prodromi della riforma liturgica che sarebbe entrata in vigore nel 1969, dopo la sua morte, per averne un sacro orrore. In tutta la sua vita obbediente fino al martirio, l’unica richiesta che osò avanzare all’autorità della Chiesa fu quella di essere esentato dalle novità della riforma liturgica incombente. E lo fece alla persona del papa che poi avrebbe promulgato il nuovo messale, Paolo VI. Non era la bizzarria di un vecchio originale confinato in un passato che non voleva passare, era il grido di un uomo di Dio che vedeva il futuro.
«La mia missione» confidò a Luigi Peroni, che fu direttore dei suoi gruppi di preghiera «finirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa.» E in altre occasioni aveva detto: «Il mondo potrebbe stare anche senza sole, ma non senza la Santa Messa». Che cosa aveva mostrato il Cielo a quel giovane frate nel giorno dell’Assunzione del 1905 e poi nelle tante visioni celesti che seguirono se i messaggi che lui consegnava all’umana comprensione erano così inquietanti?
Per quanto porsi una simile domanda sia legittimo, sarebbe temerario anche solo ipotizzare di rispondervi. Ciò che se ne può trarre senza timore di nominare Dio invano è il sentore dell’incommensurabilità della Messa rispetto a quanto di più grande delle povere creature possano immaginare. E ciò basta per giustificare le umiliazioni, le sofferenze, le soperchierie che padre Pio accettò durante tutta la sua vita dentro la Chiesa da parte di tanti uomini della Chiesa. Trattato da impostore e isterico a causa delle stigmate, da ladro e profi ttatore a causa della sua opera di carità in soccorso dei sofferenti, da plagiatore e negromante a causa delle ore trascorse in confessionale, da fanatico e integralista a causa del suo amore e della sua devozione alla santa dottrina cattolica: tutto a maggior gloria della Chiesa, immacolato Corpo Mistico di Nostro Signore Gesù Cristo, che gli dava ogni giorno il privilegio di essere fedele alla missione di salire all’altare e morire ancora una volta in croce con Gesù.
Quella Chiesa dentro le cui mura, fino alla fi ne dei tempi, ci sarà sempre qualcuno che tenta di oscurare il sole. Qualcuno che, come segno ultimo dell’aggressione alla sposa immacolata di Cristo, si adopererà per distruggere la Messa e impedire il sacrificio che regge il mondo.

Il colpo da maestro del Nemico

Padre Pio se ne era accorto presto. Aveva raccolto con dolore le confidenze penose di Cristo costretto a chiamare “macellai” i sacerdoti che celebravano indegnamente la rinnovazione della sua morte in croce. Ma, con l’andare degli anni, aveva visto che il pericolo si sarebbe fatto sempre più incombente, sempre più concreto, sempre più diffuso. Le singole indegnità personali, per quanto numerose potessero essere, non bastavano più alla strategia del Nemico. Le antenne spirituali del santo captavano un disegno volto a mutare la natura stessa della Messa che, se fosse riuscito, avrebbe distolto anche i buoni sacerdoti dall’essenza del loro ministero illudendoli di continuare a servire il Signore: zelanti ministri di Dio indotti in errore per virtù d’obbedienza con l’effetto di propagare l’infezione fino ai fedeli. Un vero e proprio colpo da maestro. Là dove non era riuscito il modernismo di inizio Novecento, che con i suoi libri e i suoi trattati era rimasto un fenomeno elitario, ce l’avrebbe fatta un neomodernismo che, grazie a una nuova liturgia, fosse divenuto un fenomeno popolare. Nei disegni anticristici, la crisi della Messa avrebbe impresso una svolta epocale alla crisi della Chiesa, già provata da teologie palesemente eretiche al confronto delle quali, disse nel 1966 ne Il contadino della Garonna un insospettabile Jacques Maritain, il modernismo era stato un raffreddore da fi eno.
Non erano i timori di un povero visionario, ma la lucida prospettiva del pericolo cui la Chiesa dovrà fare fronte sino alla fine dei tempi e che, dalla metà degli anni Sessanta del secolo scorso, si andava facendo sempre più concreto. Nel XIX secolo l’aveva ben descritta dom Prosper Guéranger, restauratore dell’ordine benedettino e cultore della liturgia, in un ciclo di conferenze sulla Messa tenute ai suoi monaci: «Dai termini che adopera la Chiesa comprendiamo quanto la Santa Messa s’allontani dalle devozioni private. Deve dunque venire prima di tutte, e le sue intenzioni devono essere rispettate. Così la Chiesa fa partecipe di questo grande sacrificio tutti i suoi membri; questo fa sì che, se il Santo Sacrificio della Messa cessasse, non tarderemmo a ricadere nell’abisso di depravazione in cui si trovavano i pagani, e questa sarà l’opera dell’Anticristo. Questi metterà in pratica tutti i mezzi possibili per impedire la celebrazione della Santa Messa, affinché questo grande contrappeso sia abbattuto, e così Dio metta fine a tutte le cose, non avendo più ragione di farle sussistere».
Negli ultimi anni della sua vita, padre Pio fu segnato più duramente dalla consapevolezza che la visione di dom Guéranger si stesse mostrando sempre più chiaramente attuale. Ma, quanto più la sua consapevolezza si faceva chiara, tanto più attorno a lui trovava gente pronta a oscurarla. Si parlava, in certi casi persino volentieri, dell’unicità della sua Messa, ma non se ne spiegavano le ragioni, quasi fosse un’originale variazione su un tema sempre più libero e non, invece, il canone a cui attenersi. E meno ancora si faceva cenno al suo attaccamento al rito di sempre, una liturgia dalle radici millenarie, quasi che per lui fosse stata la stessa cosa «stare appeso sulla croce come Cristo» e vedersi ridotto al rango di presidente di un’assemblea.
Più invecchiava, più perdeva le forze, e più l’eloquenza della realtà costringeva questo santo votato al dolore a una sofferenza persino difficile da offrire poiché vi contemplava il pericolo per troppe anime.

Il Calvario di padre Pio e l’archivio ritrovato

Roma, sabato 30 aprile 2005, festa di san Pio V.
A questo punto, bisogna fare un salto all’indietro di quattro anni perché questo viaggio, in realtà, comincia in un pomeriggio romano, a undici giorni dall’elezione di papa Benedetto XVI. Su una bancarella di libri usati poco lontano da San Pietro stanno in bella evidenza due grossi volumi rilegati in tela rossa: Il Calvario di padre Pio, recita il titolo in fregi dorati. L’autore è Giuseppe Pagnossin, un industriale padovano. È un fi glio spirituale del santo di Pietrelcina che ha votato tutti i suoi averi e buona parte della sua vita alla difesa del padre dalle calunnie e dalle persecuzioni. Una rapida occhiata ai due volumi mostra subito che sono una vera e propria miniera di documenti, riproduzioni fotostatiche, fotografi e mai viste, oltre a una ricostruzione della vita del santo che nessuno aveva mai raccontato in particolari così minuziosi e dettagliati. Non c’è indicazione di un editore o di un tipografo. Meglio comprarlo, non si sa mai.
Nelle cartellette dei libri in lavorazione sulla scrivania non c’è ancora nessun “Progetto padre Pio”, ma quei due grossi volumi messi a riposare negli scaffali chiedono attenzione. Fino a quando prende corpo la domanda più ovvia: se Pagnossin ha dato dignità di stampa a tanto materiale, doveva averne molto di più, un vero e proprio archivio, ma dove? Il quesito si fa tanto più intrigante quando si scopre che Il Calvario di padre Pio, circolato in poche copie curate dallo stesso autore, è rimasto inedito. Questa scoperta genera una seconda domanda: se da qualche parte c’è un archivio di Pagnossin, che cosa contiene?
Un po’ di fortuna, un po’ di amicizie e un po’ di mestiere portano rapidamente a scoprire che l’archivio è stato donato dalla famiglia dell’industriale padovano alla Fraternità sacerdotale san Pio X e ora si trova ad Albano Laziale, residenza del superiore del distretto italiano. Perché sia lì è presto detto: dopo la morte di padre Pio, Giuseppe Pagnossin andò in cerca di qualcuno che fosse legato alla Messa e alla dottrina cattolica di sempre come vi era legato il santo di Pietrelcina e lo trovò in monsignor Marcel Lefebvre, il fondatore della Fraternità san Pio X. Non lo spaventarono le accuse riversate addosso al vescovo francese per la sua opposizione alle innovazioni in corso nella Chiesa a partire dagli anni Sessanta. E neppure gli strascichi canonici della vicenda che culminarono in una scomunica latae sententiae del 1988 e revocata solo nel 2009. Anzi, come molti altri fi gli spirituali di padre Pio, trovò un approdo sicuro nella tradizione, dove, a garanzia della fedeltà alla dottrina e alla Messa di sempre, vigeva una profonda devozione per san Pio X, il papa in onore del quale il giovane Francesco Forgione da Pietrelcina prese il nome al momento di farsi religioso.
Così, giusto per essere chiaro, tra le notazioni del suo dossier, Pagnossin scrive: «Ma l’attacco di Satana, più dolorosamente, si svolge anche all’interno della Chiesa, dove proprio taluni successori degli apostoli contestano la tradizione, il dogma e il papa, sulla ragione più falsa della temeraria argomentazione luterana del libero esame inteso come negazione della parola rivelata, in una dialettica che nulla più ha di ortodossa ispirazione dottrinale, ma tutto di estemporanea inventiva sovvertitrice. Si ripete il fenomeno eretico della contestazione nel seno della Chiesa di Cristo riguardo alla tradizione di verità che avvenne nel Sinedrio riguardo alla verità delle scritture profetiche».

Il frate e l’arcivescovo

Albano Laziale, giovedì 1° ottobre 2009, festa di santa Teresa di Gesù Bambino.
C’è voluto del tempo, si sono dovuti onorare altri impegni di lavoro prima che sulla scrivania facesse la sua comparsa una cartella intitolata “Progetto padre Pio”. E ora siamo davanti all’archivio di Giuseppe Pagnossin. Una parete intera di libri, faldoni pieni di documenti, ricordi, ricostruzioni, fotografie e filmati: adesso bisogna metterci mano. La prima curiosità da soddisfare, data la storia di questa raccolta e dato il luogo in cui è custodita, riguarda l’incontro tra monsignor Lefebvre e padre Pio, di cui si è spesso parlato senza che fosse mai menzionato nelle biografie del santo. È citato solo da Cristina Siccardi nel suo recente, documentato e coraggioso Mons. Marcel Lefebvre. Nel nome della Verità. L’evento, ritenuto ancora politicamente e teologicamente scorretto, continua a essere sbianchettato proditoriamente dalle pagine di cronaca e di storia nel timore di dare la patente di “tradizionalista” al Santo di Pietrelcina. Ma basta levarsi il paraocchi per capire quanto quell’incontro tra lui e monsignor Lefebvre fosse del tutto naturale e coerente visto l’attaccamento dei due protagonisti alla Messa e alla dottrina cattolica di sempre, e viste le incomprensioni e le persecuzioni che ne ricavarono all’interno della Chiesa stessa.
In una cartellina intestata laconicamente “Mons. Lefebvre” si trovano le foto e le testimonianze dell’incontro, tra cui un ritaglio del bollettino ufficiale della Casa sollievo della sofferenza, l’ospedale fondato dal santo a San Giovanni Rotondo. La nota è datata 31 marzo 1967, il giovedì dopo Pasqua: «È venuto in visita da padre Pio monsignor Marcel Lefebvre, arcivescovo di Synnada (Frigia), superiore generale della Congregazione dello Spirito Santo, e inoltre consultore delle Congregazione di Propaganda Fide. Monsignor Lefebvre ha assistito alla Messa di padre Pio e s’è quindi incontrato con lui (vedere foto). La Congregazione dello Spirito Santo ha duecentosessantaquattro anni di vita. La casa generali-zia è stata recentemente trasferita da Parigi a Roma». 
 
Oltre alla foto pubblicata nel bollettino, che testimonia la cordialità dell’incontro in cui l’arcivescovo ha chiesto al santo cappuccino la benedizione per l’imminente capitolo generale della congregazione degli spiritani, nella cartellina ce n’è un’altra in cui padre Pio bacia devotamente l’anello al successore degli apostoli.
«Ebbe da me la richiesta di una benedizione» racconta in una memoria monsignor Lefebvre «cui egli si sottrasse volendo invece baciare con umiltà il mio anello pastorale, e insistendo, per converso, a ottenere, lui, la mia benedizione.»

Mondi lontanissimi

Il resto dell’archivio è un mare magnum in cui galleggiano piccole perle rimaste inedite. Dediche su libri e messali, brevi preghiere, riflessioni. C’è anche la versione fotostatica integrale di un trattatello mistico pubblicato in forma riveduta in appendice al quarto volume dell’epistolario del santo.
C’è sicuramente anche altro, ma ciò di cui si sta andando in cerca, letteralmente a tentoni, riguarda la Messa. L’occhio allenato nota subito il materiale già uscito in altre pubblicazioni. Pagnossin ha conservato, fotografato, trascritto tutto quanto gli era possibile. Qui ce n’è a sufficienza per far luce sull’argomento che viene da chiedersi come mai nessuno abbia pensato di farlo fino a ora.
Tra il materiale mai pubblicato, si trovano conferme saporite e consolanti di quanto padre Pio ha detto e fatto a proposito del santo sacrificio. Come questa dedica sul frontespizio del messale di Angelina Buratti, di Venezia, datata 1958:
«Nell’assistere alla Santa Messa rinnova la tua fede e medita quale vittima s’immola per te alla divina giustizia per placarla e renderla propizia. Non allontanarti dall’altare senza versare lagrime di dolore e di amore per Gesù Crocefisso per la tua eterna salute.
La Vergine Addolorata ti terrà compagnia e ti sarà dolce ispirazione.
P. Pio Capp.no».
E in un biglietto a un figlio spirituale diceva ancora:
«Nell’assistere alla Santa Messa accentra tutto te stesso al tremendo mistero che si sta svolgendo sotto i tuoi occhi: la Redenzione della tua amicizia e la riconciliazione con Dio.
P. Pio Capp.no».
Un vero e proprio trattato sulla Santa Messa condensato in poche righe che ai seminaristi di oggi farebbe molto meglio di tanti tomi di teologia sacramentaria sotto i quali soffocano le loro vocazioni. Così come sarebbe di grande consolazione leggere sulle immaginette per le nuove ordinazioni qualcosa che somigli alla preghiera che padre Pio suggeriva, con un biglietto conservato da Pagnossin, in occasione della vestizione della sorella suor Pia:
«Tenui eum nec dimittum. O Signore che nella tua bontà mi hai eletta al sublime onore di tua sposa concedi a me fedeltà perpetua, copiose effondi le tue grazie sulle mie consorelle, sui diletti genitori e su quanti partecipano al mio gaudio».
Sembrano pagine giunte da mondi lontanissimi e, invece, sono frutto della comune, semplice e immutabile fede professata dalla Chiesa di Cristo. Ma oggi sembra difficile comprenderlo, e proprio la diffusione di questa incertezza dottrinale, che non di rado sfocia in vera e propria eresia, getta luce sulla missione riparatrice di padre Pio. Se, a causa della fedeltà alla Messa e alla dottrina di sempre, molti suoi figli spirituali sono stati rigettati da quella vasta porzione di mondo ecclesiale che negli anni Sessanta si era incamminata per vie nuove, non è peregrino ipotizzare che il primo sacerdote stigmatizzato della storia avesse visto in anticipo la crisi che la Chiesa ne avrebbe patito. Un evento drammatico e inedito poiché, per la prima volta, il Corpo Mistico di Cristo veniva squassato attraverso il tentativo di rivoluzionare il sacrificio offerto sull’altare.
Come dimostrano le tante piccole perle nascoste nell’archivio di Pagnossin, padre Pio, oltre a essere innanzi tutto lui stesso uomo del sacrificio, aveva fatto dei suoi figli spirituali altrettanti alfieri della Messa. Non servivano troppi discorsi: bastavano il suo esempio e i brevi richiami inviati attraverso piccoli biglietti, dediche sui libri, moniti sui messali. In questo modo li aveva preparati a tempi difficili dei quali solo la divina sapienza ha contezza, e ne aveva fatto dei seminatori ben attenti a non disperdere la buona semente di cui lui si sarebbe servito fino all’ultimo: «La mia missione fi nirà quando sulla terra non si celebrerà più la Messa».

In lotta con il Nemico

Spinges (Bolzano), domenica 31 gennaio 2010, festa di san Giovanni Bosco.
«L’Anticristo vuole distruggere la Messa. Quando l’Anticristo sarà qui, la Messa non ci sarà più. Leggete sant’Ireneo.» Don Josef von Zieglauer, il parroco in pensione di questo paesino a un quarto d’ora da Bressanone, ha appena terminato di celebrare la Messa delle
6.30 nell’indescrivibile cappella del Santo Sepolcro e, in un tedesco domestico che affila discretamente il latino liturgico, un fedele risponde così a chi gli chiede che cosa ne sarà del Santo Sacrifi cio.
Non c’è bisogno di ripasso: dopo che lo si è letto una volta, è difficile dimenticare quanto scrive sant’Ireneo di Lione nel suo trattato Contro le eresie. La trascuratezza consiste solo nel non averlo collegato prima alla vicenda di padre Pio. Ma ora che il legame è stato allacciato si mostra in tutta la sua evidenza inquietante. «E per questo motivo» spiega Ireneo a proposito della venuta dell’Anticristo «Daniele dice ancora: “Il santuario sarà desolato: è stato offerto il peccato al posto del sacrificio e la giustizia è stata gettata a terra. Lo ha fatto e ha avuto successo”. L’angelo Gabriele […] poi, intendendo indicare anche la durata della tirannide, durante il cui tempo saranno messi in fuga i santi che offrono a Dio un sacrificio puro, afferma: “E a metà della settimana verranno soppressi il sacrificio e la libagione e nel tempio si verificherà l’abominio della desolazione e sino alla fine del tempo sarà dato compimento alla desolazione”. […] le cose […] profetizzate da Daniele riguardo alla fine dei tempi sono state comprovate dal Signore, là dove dice: “Quando vedrete l’abominio della desolazione annunciata dal profeta Daniele”.»
L’abominio della desolazione profetizzato da Daniele, comprovato da Nostro Signore ed evocato da sant’Ireneo è, inequivocabilmente, un mondo senza Messa. Non è dato sapere quali fossero i segni celesti in cui padre Pio lesse i modi e i tempi di tale evento e che rivelazioni ne avesse tratto. Certo, non possono sfuggire e non possono essere sottovalutate la forza e l’urgenza con cui difese la Messa di sempre negli ultimi anni della sua vita.
A tale proposito, è di grande e inquietante suggestione quanto dom Guéranger scriveva nel XIX secolo nelle sue conferenze sul santo sacrifi cio: «Nel Communicantes, come nel Confi teor, non si menziona san Giuseppe, perché la devozione a questo santo benedetto era riservata ai tempi ultimi». Non può sfuggire che il nome di san Giuseppe è stato inserito nel Canone sotto il pontificato di Giovanni XXIII con il decreto De S. Ioseph nomine Canone Missae inserendo del 13 novembre 1962.
Lungi dal voler dedurre anche la minima indicazione circa l’avvento dei tempi ultimi, queste considerazioni devono comunque portare a riflettere sulla missione affi data dal Cielo a padre Pio, in particolare al suo ruolo di oppositore del Nemico. Madre Eleonora Francesca Foresti, fondatrice delle religiose francescane adoratrici, di cui è in corso la causa di beatificazione, aveva conosciuto il santo stigmatizzato e, nel Diario, rivela che furono le sue preghiere a preservare l’Italia dalla rivoluzione comunista nel 1920. E poi riporta quanto Gesù le disse a proposito dell’eccezionalità di quell’uomo: «L’anima di padre Pio è fortezza inespugnabile, è cella vinaria in cui mi inebrio a mio piacere. È cielo tersissimo in cui gli angeli riflettono il loro volto stupendosi. È favo di miele! È il mio rifugio nelle ingratitudini degli uomini. È specchio della mia anima in cui mi rifletto, come un purissimo raggio di sole, attraverso il più puro cristallo! La mia voce in lui è come l’eco riprodotta tra due monti!
Il suo linguaggio è dolce e tagliente! […] misterioso come il mio: conforta e abbatte. Ha il mio stesso imperio, perché, IO, Gesù, vivo in lui. Il suo spirito è diffusivo come un fluido. Il suo gesto, la sua parola, il suo sguardo operano più di un profondo eloquio di un grande oratore. Io do valore a tutto ciò che emana da lui. È il capolavoro della mia misericordia. A lui ho conferito tutti i doni del mio Spirito, come a nessun’altra creatura. È il mio perfetto imitatore, la mia ostia, il mio altare, il mio sacrificio, la mia gloria!».

Non prevalebunt

Stante come pietra fondativa di questi discorsi il “non prevalebunt” con cui Gesù ha rassicurato i suoi circa le sorti della Chiesa cattolica, è d’altra parte insegnamento divino che, dove c’è Cristo, fino alla fine dei tempi su questa terra ci sarà sempre una presenza anticristica. Di potenza e operosità diversa, ma sempre attiva. Tanto che, nella seconda Lettera ai Tessalonicesi, san Paolo non usa vaghi giri di parole quando deve parlare del fi glio della perdizione, l’avversario che si innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio. «Adesso sapete ciò che lo trattiene» dice l’apostolo nella tutt’ora splendida e cattolica versione dell’abate Giuseppe Ricciotti «in modo che egli si manifesterà solo al tempo opportuno. Già è in azione il mistero dell’iniquità; solamente v’è colui che lo trattiene ora e lo tratterrà fino a che sia tolto di mezzo.»
L’apparizione dell’Anticristo, dunque, incontra l’opposizione di un ostacolo e di qualcuno che lo trattiene, che in lingua greca ha nome katéchon. Secondo san Tommaso d’Aquino, l’ostacolo alla comparsa dell’Anticristo di cui parla san Paolo sta nell’unione e nella sottomissione degli uomini alla Chiesa romana, trasformazione dell’antico impero temporale romano, sede e centro della fede cattolica. Ma, per beneficio di Dio, accanto a questo ostacolo, vi è un custode, il katéchon, incaricato di vegliare e di custodirlo: tale custode è il papa, vicario di Gesù Cristo.
«Finché il custode sarà riconosciuto, rispettato, ubbidito» spiega il sacerdote Agostino Lémann nel saggio L’Anticristo «l’ostacolo sussisterà, la società rimarrà fedele all’impero spirituale romano e alla fede cattolica. Ma se questo custode, il papa, viene a essere disconosciuto, messo da parte, rigettato, con lui sparirà anche l’ostacolo e l’Anticristo sarà libero di comparire.»
Legioni di intelligenze cattoliche si sono applicate all’individuazione del katéchon, tutte con argomentazioni plausibili anche se, talvolta, sono giunte a conclusioni diverse sul piano storico. Ora, sarebbe inopportuno cedere alla tentazione di inserire padre Pio nella schiera delle ipotesi. Ma riesce difficile non leggere nel quadro del disegno divino di opposizione al Nemico la sua vita di preghiera, di sacrificio, di combattimento di cui il convento di San Giovanni Rotondo è stato a lungo il teatro nascosto.

L’ultima Messa di padre Pio

San Giovanni Rotondo, 19 marzo 2010, festa di san Giuseppe.
Dunque, bisognava tornare qui. E ci si ritorna con gli stessi interrogativi che Giuseppe Pagnossin si poneva al termine delle sue riflessioni: «Dove andare, nell’ora oscura? Soltanto incontro alla fede del “non prevalebunt!”, incontro alla fede di una parola che “non passerà” neppure quando saranno passati Cielo e terra; incontro alla fede del sangue versato perché “le anime non vengono date in dono: si comprano” ricorda padre Pio “e voi non ignorate quello che costarono a Gesù. Ora è sempre con la stessa moneta che bisogna pagarle”.
Chi le ha ricomprate col sangue, in quest’epoca, le anime a Satana, alla contestazione, all’“emancipazione”? La cronaca documenta che tra questi “acquirenti del riscatto” c’è padre Pio da Pietrelcina: il “grande negoziatore”.
È lui il “nuovo San Francesco” auspicato da Pio XII? È lui il “necessario al secolo” predestinato alla “missione grandissima” di comprare le anime in una ininterrotta agonia (“Voglio vivere morendo perché dalla morte venga la vita che non muore”) che costa sangue e sofferenze? È lui che rinnova il sillogismo di Paolo: “Sono crocifi sso con Cristo in croce, e perciò non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”? È lui che ripropone, nel momento di maggior pericolo, tutta l’ortodossia della sapienza rivelata, il mistero salvifico della Messa, dell’eucaristia, la potenza del rosario, la virtù battesimale della confessione, il valore redentivo della sofferenza, la santità del sacerdozio, la rigorosa intransigenza al peccato, la sottomissione assoluta alla Chiesa, l’obbedienza incondizionata al papa, l’“imitazione totale” al Cristo, per la gloria di Dio, per l’onore dell’ordine cappuccino?
È lui che dovevamo attendere nel timore dell’epoca, perché ci confortasse nell’epoca del timore, ricomponendo “tutte le cose che contano agli occhi Tuoi”: la fede nell’incredulità, la speranza nella disperazione, l’amore nell’odio invocando come Mosè la misericordia tra la giustizia infinita di Dio e la cattiveria degli uomini?».
Era proprio necessario tornare a San Giovanni Rotondo per capire se il bandolo di questa matassa celeste scoperto un anno fa era quello giusto. Ma, a voler essere onesti, sul blocco degli appunti bisognerebbe scrivere un’altra data: «Domenica 22 settembre 1968, festa di san Maurizio». Il nostro viaggio riparte da qui, il giorno dell’ultima Messa di padre Pio. 

Capitolo 1
DISTESO PER L’ULTIMA VOLTA SULL’ALTAR
Dove padre Pio, per somma obbedienza, sacrifica la propria vita e rende gloria a Dio, ma non viene compreso dagli uomini San Giovanni Rotondo, 22 settembre 1968. 




Sono solo le cinque del mattino e quassù, oggi, pare che non via posto se non per ciò che è folla. Vociante, curiosa, implorante, devota: la folla dei giorni di festa. È l’ora culminante del raduno internazionale dei gruppi di preghiera, è l’ora della Messa celebrata da padre Pio, il fondatore. Che cosa è venuta a vedere tutta questa gente? Una canna battuta dal vento, un uomo vestito di morbide pelli, un profeta? Non importa. Oggi, chiunque guarderà con un po’ di amorosa attenzione il padre avrà la percezione quasi fisica di trovarsi sul Calvario, nel luogo e nell’ora del supplizio di Gesù.
C’è chi urla, c’è chi prega, c’è chi trema, c’è chi trepida. Ci sono i fedeli, ci sono i discepoli, ci sono gli aguzzini. E c’è la vittima, distesa sulla croce, docile e preparata al sacrificio estremo, al dono della propria vita. Padre Pio si è consegnato al volere degli uomini, in estrema obbedienza a Dio, e le sue mani, per cinquant’anni martirizzate dalle stigmate, stanno tornando miracolosamente candide e pure come un’ostia, pronte a essere trafitte dai chiodi per l’ultima volta.
Nella chiesa illuminata a giorno dai riflettori, ha fatto irruzione una fiumana di gente che ha riempito la navata, il matroneo, il coro, i confessionali e ora rifl uisce a invadere il piazzale del convento. La marea si muove a ondate, risucchia i carabinieri che non riescono a fare argine, mentre i giornalisti e i fotografi cercano di catturare quanto possono di un evento che non possono perdere: tra poco il frate stigmatizzato canterà la Messa attorniato da una folla che piace tanto ai direttori dei quotidiani e dei rotocalchi...               Edizioni Piemme

Il 25 febbraio, invitati dal Circolo culturale John Henry Newman, Alessandro Gnocchi e don Alberto Secci presenteranno «L’ultima Messa di Padre Pio. L’anima segreta del santo delle stigmate». L’iniziativa rappresenta la naturale prosecuzione dell’incontro precedente, dedicato al rapporto tra il Beato Newman e la Messa di sempre. Non  si possono infatti comprendere il cardinale inglese e il frate di Petralcina se non a partire dalla Messa di san Pio V. Padre Pio: il santo delle stigmate, ma anche il santo della Messa di sempre. Il frate cappuccino amava celebrare Messa perché essa rappresentava «un completamento sacro con la passione di Gesù» e, in essa, il frate subiva i patimenti provati da Cristo durante la Passione. Dal rosso delle piaghe che si formavano sul corpo del padre si innalzava la gloria a Dio e la salvezza dei fratelli.

L’incontro si svolgerà a Seregno, alle ore 21.00, presso la Sala Civica Mons. Gandini, via XXIV maggio.

5 commenti:

  1. Che bello questo video che avete mostrato. Così debole Padre Pio, così sorretto padre Pio, così incurante di ciò che aveva in intorno, così diretto alla Croce, così essenziale, così trascinante verso di Lui.

    Non verso di lui, ma verso di Lui. Indicava la strada verso Lui. Ecco il compito del sacerdote, indicare la strada verso Lui, non fare show.

    Al.

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  2. Ale...
    hai detto tutto tu...
    (ultimamente,leggere le tue espressioni, mi commuove)

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  3. Come diceva il beato Eymard, "il sacerdozio è la più grande dignità che vi sia sulla terra. Il suo impero è sulle anime, le sue armi sono spirituali, i suoi doni sono divini: la gloria, la potenza sono quelle di Gesù Cristo medesimo".
    In queste immagini, Padre Pio è davvero l'immagine viva di Gesù Cristo e dice a tutti quanti noi, come San Paolo, "imitatores mei estote, sicut et ego Christi": siate miei imitatori, come anch'io lo sono del Cristo.
    Patrizia

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  4. cara A.rita, io mi sono commosso a vedere questo filmato.

    Perchè ho vissuto un'eperienza personale con un sacerdote dalle mie parti.

    Questo sacerdote era vecchio vecchio, biascicava poverino, tremava per il morbo di parkinson probabilmente, puzzava per l'abbandono a cui era costretto. Agli occhi del mondo e anche ai miei appariva uno scarto. gli facevano celebrare la messa delle 8 la domenica, per quei 4 gatti che si svegliano presto. Dio mio come l'ho giudicato nel mio cuore, come l'ho scartato quando celebrava, come ho pensato che fosse una perdita di tempo, quasi un'offesa. Dio mio come ero cieco e malvagio. Avevo Cristo dinanzi, e non lo riconoscevo. piango ora amaro, che non vedo i tasti. Come vorrei adesso abbracciarlo, ma non posso, è morto. Come alzava l'ostia con quel tremore che ho riconosciuto in Padre Pio, ma con che onore. Don Agostino si chiamava. Ora so che riposa in pace, nella Pace di Cristo. Da lassù saprà perdonarmi ed intercedere per tutti coloro che in Cristo Eucaristia cercano la Vita, e non la gloria del mondo.

    Al.

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  5. Ale, non sai come ti ringrazio per questa tua "confessione" così sincera ...ed ancora mi hai strappato una lacrima....
    Ma come ben sai esiste la Comunione dei Santi, una profonda unione fra la Chiesa militante e quella trionfante...perciò prega con tutto il cuore Don Agostino e chiedigli di ottenerti dal Signore la totale comprensione della Santa Liturgia e di potertLa amare con tutta l'anima....vedrai che lui, che la celebrava così santamente, non mancherà di ottenerti questa Grazia...
    ...poichè ognuno di noi in realtà sarebbe chiamato ad "aiutare" Cristo Gesù a portare a salvezza tutti coloro che incontriamo nella nostra esistenza...tutte quelle anime la cui salvezza "è collegata" con la nostra...e sicuramente (tu forse non ci avevi pensato), ma l'anima di Don Agostino è stata collegata con la tua, da sempre, per divina Volontà dell'Altissimo: il Signore sapeva che sarebbe giunto il giorno in cui il ricordo della visione di questo santo Prete avrebbe toccato così profondamente il tuo cuore, per questo ha disposto che le vostre strade si incrociassero. Quello che fa molto riflettere è che forse questo santo Prete neanche se ne potrebbe essere reso conto...e questo vuol dire che siamo chiamati, oltre che a santificarci, ad attirare a Dio persone di cui conosceremo l'identità solo in Cielo...

    Grazie per la generosità delle tue parole
    :-)

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