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domenica 27 febbraio 2011

MONSIGNOR BERNARD TISSIER DE MALLERAIS: “LA FALSA TEOLOGIA DI BENEDETTO XVI”


d. CURZIO NITOGLIA

20 febbraio 2011

 
mons. Bernard Tissier de Mallerais

Prefazione
Nell’autunno del 2010 i Domenicani di Avrillé hanno pubblicato un bel libro di mons. Bernard Tissier de Mallerais, intitolato L’étrange théologie de Benoit XVI. Herméneutique de continuità ou roupture?, ed. Le sel de la terre (p. 178, 17 euro - http://seldelaterre.fr - dominicains-avrill@wanadoo.fr - Fax: 0033.241344049).
Esso è stato tradotto in italiano e messo sul sito www.unavox.it all’indirizzo http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV143_Tissier_La_fede_in_pericolo_0.html.
Invito caldamente a studiare il libro stesso in francese o a consultarlo in italiano nel sito, anche se è abbastanza impegnativo. Ne porgo qui un breve sunto introduttivo al lettore per facilitare l’approccio all’opera completa.
***
Il problema ermeneutico di Benedetto XVI
●Secondo mons. Tissier il triplice problema che, secondo Benedetto XVI, l’ermeneutica doveva risolvere in Concilio e che ancora oggi deve risolvere è il seguente:
1°) La scienza moderna vìola i divieti della morale. Scienza senza coscienza è la rovina dell’anima. Come ridare una coscienza alla scienza? La Chiesa tempo fa si è screditata nei confronti della scienza con la condanna di Galileo; a quali condizioni può sperare di proporre alla ragione positivista dei valori e delle norme etiche?
2°) A fronte di una società laicizzata e ideologicamente pluralistica, come può svolgere la Chiesa il suo ruolo? Non certo volendo proporre il Regno sociale di Cristo, ma facendo ammettere alla ragione positivista, con una concorrenza leale, la sfida dei valori cristiani, debitamente purificati e resi assimilabili dal mondo uscito dal 1789.
3°) Di fronte alle «religioni mondiali» più conosciute e più diffuse, la Chiesa può ancora rivendicare l’esclusività dei valori salvifici e una posizione privilegiata rispetto allo Stato? No, certo. Ma essa vuole solo collaborare con le altre religioni alla pace mondiale, proponendo di concerto con esse i valori delle grandi “tradizioni” religiose.
Questi tre problemi ne costituiscono uno solo: ad una nuova epoca storica deve corrispondere una nuova relazione fra fede e ragione, ritiene Joseph Ratzinger. (1).
●Quarant’anni dopo la chiusura del Concilio, Benedetto XVI riconosce che «la ricezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile». Perché? Si chiede. «Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica». A fianco di una «ermeneutica della discontinuità e della rottura», da parte dei tradizionalisti e dei progressisti, vi è una «ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità». Questa continuità è la «continuità dell'unico soggetto-Chiesa […]; un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino».
Fede cristiana ieri e oggi: il «perché» dell’ermeneutica
«Quale è il costitutivo della fede oggi?». È questa la domanda che si poneva Joseph Ratzinger nel 1973, all’interno di un gruppo di discussione ecumenica, e che pone come primo interrogativo nel suo libro Les principes de la théologie catholique (2). «La domanda è mal posta - precisa - sarebbe più corretto chiedersi che cos’è che, dal crollo del passato, rimane ancora oggi come elemento costitutivo». Joseph Ratzinger pensa che non bisogna fare una “sintesi” degli inconciliabili, ma ricercare quale “continuità esista tra loro. Ricerchiamo quindi qual è il permanere della fede cristiana nelle fluttuazioni delle filosofie che si son succedute. È questo il tema dell’opera del professore di Tubinga, Foi chrétienne hier et aujourd’hui, [“Introduzione al Cristianesimo”] (3).
Fede oggettiva o soggettiva?
Per Benedetto XVI l’evoluzione della formulazione della fede non consiste nella ricerca della migliore precisione, ma nella necessità di proporre una formula nuova e adattata. E l’adattamento è un adattamento al credente, non un adattamento al mistero. Il compito del Concilio, dice Benedetto XVI, fu questo: la riformulazione moderna della fede; secondo un metodo moderno e seguendo i principi moderni, dunque secondo un metodo nuovo e dei principi nuovi. Poiché vi è sempre da una parte il metodo e dall’altra i principi. Applicare questo metodo e adottare questi principi sarebbe ancora, dopo quarant’anni, il compito della Chiesa. Ecco la rivoluzione operata dal Concilio. La preoccupazione del soggetto della fede che supplisce alla preoccupazione per l’oggetto della fede. Invece di cercare semplicemente di precisare ed esplicitare il dogma oggettivo, il nuovo magistero cercherà di riformularlo e di adattarlo all’uomo o soggetto umano moderno. Invece di adattare l’uomo a Dio, vuole adattare Dio all’uomo.

La “libertà religiosa”

I papi del XIX secolo hanno condannato la libertà religiosa, non solo a causa dell’indifferentismo dei suoi promotori, ma in se stessa: perché non è un diritto naturale dell’uomo: essa non è un «proprium cuiuscumque hominis ius», dice Pio IX (4), e non è uno dei «iura quae homini natura dederit», dice Leone XIII (5); e perché essa deriva da «un’idea del tutto falsa di Stato» (6), l’idea di uno Stato che non avrebbe il dovere di proteggere la vera religione contro la diffusione dell’errore religioso. Questi due motivi di condanna sono assolutamente generali, essi derivano dalla verità di Cristo e dalla sua Chiesa, dal dovere che ha lo Stato di riconoscerla e dal dovere indiretto che ha di favorire la salvezza eterna dei cittadini, non, certo, costringendoli a credere anche se non vogliono, ma proteggendoli contro l’influenza dell’errore professato socialmente, tutte cose insegnate da Pio IX e Leone XIII. Se oggi, col mutare delle circostanze, la pluralità religiosa richiede, in nome della prudenza politica, delle misure civili di tolleranza, e cioè di parità giuridica tra i diversi culti, non significa che, in nome della giustizia, potrebbe essere invocata la libertà religiosa come un diritto naturale della persona. Essa rimane un errore condannato. La dottrina della fede è immutabile, anche quando la sua applicazione integrale è impedita dalla malizia dei tempi. E il giorno in cui le circostanze ritornassero normali, quelle di una Cristianità, dovrebbero attuarsi le stesse applicazioni pratiche di repressione dei falsi culti, come al tempo del Sillabo.

Riconciliare i ‘Lumi’ e il Cristianesimo

Joseph Ratzinger ammira Kant, il filosofo dei ‘Lumi’ per eccellenza. Egli saluta «l’enorme sforzo» di chi ha saputo «cogliere la categoria del bene». Egli proclama l’attualità dei ‘Lumi’, nel suo discorso a Subiaco, il 1° aprile 2005, un mese prima di diventare Papa. Egli parla dell’attuale cultura dei ‘Lumi’, come di quella dei diritti della libertà, di cui enumera i principali, aggiungendo: «È evidente che questo canone della cultura illuminista, tutt’altro che definitivo, contiene valori importanti dei quali noi, proprio come cristiani, non vogliamo e non possiamo fare a meno». Ma, obietta nondimeno Joseph Ratzinger, questa cultura illuminista è una cultura laica, senza Dio, antimetafisica perché positivista e basata su un’auto-limitazione autonomistica della “ragion pratica”, in cui «l’uomo non ammette più alcuna istanza morale al di fuori dei suoi calcoli». Di conseguenza, «ci sono anche diritti dell’uomo contrastanti, come per esempio nel caso del contrasto tra la voglia di libertà della donna e il diritto alla vita del nascituro. […] Una confusa ideologia della libertà conduce ad un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile verso la libertà» (7). Per la sua assolutezza, «questa cultura illuminista radicale» si oppone alla cultura cristiana (8). Come superare questa opposizione? Ecco la sintesi”. Per un verso, è necessario che il Cristianesimo, religione del Logos, secondo la ragione, ritrovi le sue radici nell’originario «illuminismo filosofico» che fu la sua culla e che abbandonando i miti si volse alla ricerca della verità, del bene e dell’unico Dio. Così facendo, questo Cristianesimo nascente «ha negato allo Stato il diritto di considerare la religione come una parte dell’ordinamento statale, postulando così la libertà della fede» (9). Per l’altro verso, bisogna che la cultura illuminista ritorni alle sue radici cristiane. Ma sì: proclamando la “dignità dell’uomo”, verità cristiana: «l’illuminismo è di origine cristiana ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana». Questo fu, del resto, sottolinea il futuro Benedetto XVI, il lavoro del Concilio, la sua intenzione fondamentale, esposta nella sua dichiarazione «sulla Chiesa nel mondo contemporaneo», la Gaudium et spes. Il Concilio ha nuovamente evidenziato questa profonda corrispondenza tra Cristianesimo ed illuminismo, cercando di arrivare ad una vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti (10). Per far questo, il futuro Papa ritiene che Kant, malgrado il suo agnosticismo, possa essere tenuto in considerazione: Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della “ragion pura”, ma nello stesso tempo aveva rappresentato Dio, la libertà e l’immortalità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale. La situazione odierna del mondo non ci fa forse pensare di nuovo che Kant possa aver ragione? (11) . 

Itinerario teologico di Joseph Ratzinger

L’itinerario filosofico di Joseph Ratzinger è un vicolo cieco, poiché egli abbandona la strada della filosofia dell’essere per aderire al kantismo. Riesce l’itinerario teologico dello stesso Ratzinger ad uscirne? Riesce a trovare una via che conduca all’Essere primo, alle sue infinite perfezioni, ai suoi misteri soprannaturali? Per rispondere a queste domande occorre innanzi tutto collocare il professore di teologia di Tubinga nel quadro della teologia tedesca, dipendente dalla celebre scuola di teologia dell’università del luogo.

La “Tradizione vivente” secondo la scuola di Tubinga

Secondo il fondatore della scuola cattolica di Tubinga, Johann Sebastian von Drey (1777-1853), il divenire storico si spiega con un principio vitale spirituale: Ciò che raccoglie le diverse epoche storiche in un tutto unito o le separa invece le une dalle altre, è un certo spirito che, in un dato tempo, chiude il divenire storico in una unità piena di vita: è lo Zeitgeist, o lo “spirito del tempo”. Questo spirito è costruttore: agendo con l’uscita da sé, attira tutto intorno a sé come un centro col cerchio, che riduce le opposizioni e riorganizza secondo se stesso ciò che gli è conforme (12). La parentela di questo pensiero con quello di Dilthey è evidente, ma per Drey, lo Zeitgeist non è altro che lo “spirito di Cristo”, che coincide con lo “spirito del tempo”. La fede del teologo trasfigura il naturalismo del filosofo. Nella sua Apologetik (1838), Drey spiega che l’evoluzione è necessaria al Cristianesimo, sia come fenomeno storico, sia come Rivelazione.

Rivelazione ed evoluzione del dogma

Questa idea della Rivelazione che «appariva ora non più semplicemente come la comunicazione di alcune verità alla ragione, ma come l’agire storico di Dio, in cui la Verità si svela gradatamente» (13), diventerà la tesi su San Bonaventura presentata per l’abilitazione all’insegnamento universitario statale da Joseph Ratzinger nel 1956. L’autore sosteneva che il Dottore serafico avesse visto nella Rivelazione, non un insieme di verità, ma un atto (cosa che non è esclusa), e che «del concetto di “rivelazione” fa sempre parte anche il soggetto ricevente» (14): dunque i fedeli fanno parte del concetto di Rivelazione, cioè parte della Rivelazione stessa. Parimenti, il candidato all’abilitazione sosteneva che «alla Scrittura è legato il soggetto credente, la Chiesa [come comunità dei credenti], e con ciò è già dato anche il senso essenziale della Tradizione» (15). E Joseph Ratzinger racconta onestamente che il suo relatore, il professore Michael Schmaus, «non vedeva affatto in queste tesi una fedele ripresa del pensiero di Bonaventura […] ma un pericoloso modernismo, che doveva condurre verso la soggettivizzazione del concetto di Rivelazione» (16).

La Fede come “esperienza religiosa”

Non è solo l’idea di Tradizione, ma anche quella di Rivelazione che Joseph Ratzinger rivisita alla luce dell’idealismo soggettivistico. Riguardo alla Rivelazione, considerata come in qualche modo attuale, Joseph Ratzinger ritiene che «del concetto di “Rivelazione” fa sempre parte anche il soggetto ricevente» (17). L’autore suppone, a torto, che il soggetto recettore sia il credente, o la Chiesa - non gerarchica - ma come comunità di credenti, e non i soli Apostoli; cadendo in un errore protestante. Riguardo alla teologia, Joseph Ratzinger ritiene che «non esiste la pura ed assoluta oggettività», sia in fisica, sia in teologia. Come in fisica «entra e s’impegna anche l’osservatore stesso» e «nella risposta è sempre incluso anche un brandello della domanda e dello stesso soggetto richiedente», così in teologia «colui che s’impegna nell’esperimento della fede ottiene poi una risposta che non rispecchia oggettivamente soltanto Dio, ma anche una parte dell’interrogativo del soggetto, comunicandogli qualche conoscenza di Dio attraverso la breccia incisa nel suo animo» (18). Riguardo alla fede stessa, Joseph Ratzinger assicura che la pura oggettività non è ugualmente possibile: Pertanto, ogni qual volta ci si imbatte in una risposta spassionatamente oggettiva, in un asserto che si erge definitivamente al di sopra di ogni prevenzione pietistica esprimendosi in modo piattamente positivo e scientifico, bisogna dire che il suo portavoce è caduto in un auto-inganno. Questo tipo di oggettività è costituzionalmente proibito all’uomo. Egli non può esistere e tanto meno indagare da semplice e freddo osservatore della realtà oggettiva ed extramentale. Chi cerca a tutti i costi di essere un mero osservatore oggettivo, non impara nulla. Anche quella realtà che si chiama “Dio” può entrare nel raggio visivo solo di colui che si impegna di persona o soggetivisticamente  nell’esperimento da fare con Dio: in quell’esperimento che noi chiamiamo fede. Solo impegnandovisi, s’impara e si prova qualcosa; solo prendendo direttamente parte all’esperimento ci si premura d’indagare, e solo chi cerca e interroga riceve una risposta (19). Si obietta che, se per avere la fede, la persona deve impegnarsi «nell’esperimento da fare con Dio», molti pochi cristiani avranno la fede. La fede, adesione dell’intelligenza al mistero divino, è una cosa richiesta per la salvezza, ma l’esperienza mistica è cosa auspicabile, però non ugualmente necessaria, e in ogni caso l’esperienza di Dio, effetto del Dono di Sapienza dello Spirito Santo abitualmente vissuto, non è richiesta necessariamente. Ma, soprattutto, se si definisce la fede tramite «l’esperimento del sentimento del subconscio da fare con Dio», che non è il gusto amoroso della presenza divina in noi tramite la grazia santificante, mediante il Dono di Sapienza, si rinnova l’eresia modernista, che consacra come vere tutte le religioni, poiché tutte pretendono di avere qualche “esperienza sentimentale e subconscia” del divino (20). Riguardo, infine, al Magistero della Chiesa, anche sulle sue decisioni e definizioni, Joseph Ratzinger ha una visione dialettica o, diciamo così, dialogante, secondo lui esse devono essere delle risposte alle domande del soggetto credente o il risultato della sua sperimentazione su Dio. Ciò posto, resta il problema fondamentale: la nostra intelligenza ci permette di cogliere o no l’essere delle cose? La verità è oggettiva? Vi è una filosofia del reale? I concetti scelti e perfezionati dalla fede sono dei concetti di una particolare filosofia: platonica, aristotelica, tomista, kantiana, personalista? O sono semplicemente i concetti della più elementare filosofia dell’essere, quella del senso comune?

Senso comune, filosofia dell’essere e formule dogmatiche

Padre Réginald Garrigou-Lagrange insegna: Le formule dogmatiche elaborate dalla Chiesa contengono dei concetti che superano il senso comune. Queste formule e concetti appartengono alla filosofia dell’essere, la quale sostiene che l’intelligenza conosce primariamente l’essere e non il suo atto di conoscere. Queste concezioni sono quanto meno accessibili al senso comune, perciò esso è la filosofia dell’essere allo stato rudimentale. Questo significa che i concetti delle formule dogmatiche appartengono alla filosofia dell’essere, la quale è il momento scientifico del senso comune. Ne consegue, e questo è verificato dai fatti, che le filosofie idealiste, che rigettano la filosofia dell’essere, si allontanano dal senso comune e diventano inadatte ad esprimere il dogma.

Senso comune, filosofia dell’essere e formule dogmatiche


Si tratta di un libero movimento di creazione vitale del nuovo senso della Scrittura. L’esegesi diviene un’arte divinatoria che indovina ciò che Dio non ha mai inteso dire: negato il significato storico, o divenuto oggetto di ostracismo, il senso individuato poggia su niente. Ora, ogni senso secondo della Scrittura, spiega San Tommaso, «è fondato sul senso primo e lo presuppone» (22). Così, per riprendere il Vangelo commentato da Joseph Ratzinger, l’evasione dell’uomo dalla zona di derelizione e il suo collocarsi nel luogo geometrico della presenza di Dio, per essere uno dei significati della Scrittura, presuppone come suo fondamento l’ascensione fisica di Gesù: «fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo» (23). Ne consegue che la negazione o il passare sotto silenzio il senso letterale costituisce la rovina di tutta l’esegesi. Fu l’errore di Origene: convinto che il senso morale o spirituale della Scrittura fosse il principale, dimenticò di spiegare il senso letterale e si perse in una interpretazione allegorica arbitraria (24). San Gerolamo si levò con forza contro questa deviazione e supplicò un suo corrispondente: «Allontánati dall’eresia di Origene!(25) ». E il cardinale Billot, che cita questo testo, dimostra come Alfred Loisy, commentando San Giovanni, pretenda che la moltiplicazione dei pani sia solo un simbolo dell’Eucarestia, mentre il fatto storico sarebbe solo una finzione (26) . Joseph Ratzinger, e la cosa è evidente da quanto abbiamo letto di lui, incorre nei difetti di Origene, in una «eresia» almeno materiale secondo San Gerolamo, e rischia di cadere nell’eresia caratteristica di Loisy. Di rimando, l’esegesi può diventare un puro atto di destrutturalizzazione: nel mistero che ci interessa, l’ascensione non è più che un’allegoria poetica puramente verbale; sotto l’apparenza dei fatti e dei gesti di Cristo, essa esprime direttamente il fatto morale del ritorno dell’anima a Dio. L’esegesi diventa soprattutto un atto di libera creazione” secondo la via dell’immanenza denunciata da San Pio X: la «trasfigurazione», da parte dello Scrittore sacro, dei suoi sentimenti religiosi in fatti favolosi, e di rimando la demitologizzazione esegetica dei fatti evangelici (27).

La Chiesa, comunione nella “carità”

Applicando alla Chiesa, il personalismo di Scheler, di Buber e di Wojtyla, Ratzinger fa vedere la Chiesa come una semplice comunione nella carità, sfumando la comunione fondamentale nella vera fede. Da qui deriva l’ecumenismo, perfino allargato a tutte le religioni, come nell’incontro eterogeneo di Assisi del 27 ottobre 1986, riproposto da Benedetto XVI per il 2011, che ha riunito i rappresentanti delle «religioni mondiali», se non per pregare insieme, quanto meno per «essere insieme per pregare». «L’unità creaturale» della «famiglia umana», assicurava Giovanni Paolo II, è più grande delle differenze di fede, che derivano da un «fatto umano». «Le differenze sono un elemento meno importante in rapporto all’unità che invece è radicale, fondamentale e dominante» (28). Certo, gli uomini sono nati tutti da Adamo, in lui riconoscono il loro padre comune e per lui formano una famiglia. Inoltre, per il fatto che l’uomo è creato a immagine di Dio, cioè dotato di intelligenza, egli è in grado, a differenza degli altri animali, di stringere legami d’amicizia con i suoi simili. Esiste dunque potenzialmente una certa fraternità universale tra tutti gli uomini (29). Tuttavia, il peccato originale, e più tardi il peccato di Babele, hanno disgregato la famiglia umana in un ammasso di «familiae gentium peccati vulnere disgregatae (“famiglie di popoli disgregati dalla ferita del peccato”)», come dice l’orazione della festa di Cristo Re. Sicché, per rendere reale la fraternità universale tra tutti gli uomini, occorre un principio riparatore che possa abbracciare tutta l’umanità. Ora, tale principio è uno solo: Cristo. «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (30) (I Cor. 3, 11). La bella orazione del giovedì di Pasqua mette bene in evidenza il contrasto naturale e la sintesi soprannaturale tra l’universalità delle nazioni e l’unità della fede: “O Dio, che raduni i diversi popoli nella confessione del tuo nome, fa che nei rinati dal fonte battesimale una sia la fede delle menti e la pietà delle opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo…” (31). Non v’è altra società universale possibile se non la Chiesa, o forse la Cristianità. La bella invocazione del Veni Sancte Spiritus lo proclama: “Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore: tu che, nonostante la diversità delle lingue, hai riunito le nazioni nell’unità della fede” (32). Lo Spirito Santo, legame di carità del Padre e del Figlio, è anche il motore dell’unità di tutti i diversi popoli, che lui riunisce nell’unità della fede. Su questa unità di fede si fonda la fraternità soprannaturale dei cristiani, di cui Gesù dice: «…voi siete tutti fratelli. […] perché uno solo è il Padre vostro, quello del Cielo» (Mt 23, 8-9) (33). Ma la pura comunione di “carità”, nella quale consisterebbe la Chiesa secondo i personalisti, non si limita ad elidere la fede, ma oscura anche la gerarchia. Eppure, se la Chiesa è militante e pellegrina in terra è perché non è ancora in uno stadio finale, essa ha sempre una finalità terrena: la salvezza eterna. È questo fine che dà la sua forma alla moltitudine dei credenti e ne fa una moltitudine organizzata; e questo fine esige anche una causa efficiente umana per la sua acquisizione: la Chiesa è dunque necessariamente gerarchica. Anche l’idea conciliare della Chiesa come «popolo di Dio» tende a falsificare ciò che resta della gerarchia, la quale è vista solo come una diversità di «ministeri» nel popolo di Dio, già costituito essenzialmente a mezzo della comunione di carità dei membri, e non come una distinzione di istituzione divina costitutiva della formazione stessa della Chiesa. I fedeli – dice il nuovo Codice di Diritto Canonico – sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo (34). Alla radice di questa democrazia religiosa che costituisce la Chiesa comunione, vi è il personalismo. Il nuovo Codice di Diritto Canonico, che ho appena citato, consacra questa rivoluzione, Giovanni Paolo II non l’ha nascosto promulgandolo, il 25 gennaio 1983. Egli descrive così quella che lui stesso chiama la «nuova ecclesiologia»: Fra gli elementi che caratterizzano l’immagine vera e genuina della Chiesa, dobbiamo mettere in rilievo soprattutto questi: la dottrina, secondo la quale la Chiesa viene presentata come il popolo di Dio e l’autorità gerarchica viene proposta come servizio (cf. Lumen gentium, 2. 3); la dottrina per cui la Chiesa è vista come «comunione», e che, quindi, determina le relazioni che devono intercorrere fra le chiese particolari e quella universale, e fra la collegialità episcopale e il primato papale (35).

La Chiesa di Cristo “sussiste” nella Chiesa cattolica

http://www.quattrobaj.com/public/stemmi/FotoVaticano.jpgA questa mal definita comunione dei membri della Chiesa si aggiunge l’idea di una comunione più o meno piena con i non cattolici, sulla base degli «elementi ecclesiali» che questi conservano malgrado la loro separazione. Fu durante il Concilio che il Pastore Wilhelm Schmidt suggerì a Joseph Ratzinger di finirla con l’affermazione dell’identità fra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica, identità riaffermata da Pio XII nella Mystici corporis (n° 13) e nella Divini Redemptoris (DS 2319). La formula proposta dal Pastore, e che Joseph Ratzinger trasmise ai vescovi tedeschi, invece di dire: «la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica», diceva: «la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica». Il relatore della commissione dottrinale spiegò che: «Subsistit in è impiegato invece di est affinché l’espressione concordi meglio con l’affermazione di elementi ecclesiali che si trovano altrove». «È inaccettabile, - protestò Mons. Carli nell’aula conciliare -, poiché si potrebbe credere che la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica siano due realtà distinte, con la prima posta entro la seconda come in un soggetto». Purtroppo l’insegnamento conciliare riconobbe alle «Chiese e comunità ecclesiali» separate una «natura ecclesiale» e la costituzione Lumen gentium sulla Chiesa adoperò il subsistit in, mentre la dichiarazione Unitatis redintegratio sull’ecumenismo, contro tutta la Tradizione, riconobbe che «queste Chiese e comunità separate, […], nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza» (UR n° 3). 

Cosa impossibile, spiegava Mons. Marcel Lefebvre durante i dibattiti del Vaticano II, in poche righe luminose depositate al segretariato del Concilio nel novembre 1963: Una Comunità, in quanto Comunità separata, non può godere dell’assistenza dello Spirito Santo, poiché la sua separazione è una resistenza allo Spirito Santo. Esso non può che agire direttamente sulle anime o usare dei mezzi che, di per sé, non portano alcun segno di separazione (36). Lo stesso cardinale Ratzinger spiega il subsistit in: la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, non si dice che essa sussista altrove. Con la parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa cattolica: esiste la Chiesa come soggetto nella realtà storica (37). Così, il subsistit significherebbe che la permanenza della Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica. Questa spiegazione non riflette l’intenzione reale del cambiamento. Del resto, Joseph Ratzinger, nello stesso testo precisa: La differenza fra subsistit ed est rinchiude però il dramma della divisione ecclesiale. Benché la Chiesa sia soltanto una e sussista in un unico soggetto, anche al di fuori di questo soggetto esistono realtà ecclesiali: vere Chiese locali e diverse comunità ecclesiali. La verità è che le Chiese e comunità separate non hanno alcuna «natura ecclesiale», poiché manca loro sia la comunione gerarchica con il Romano Pontefice, sia la comunione nella fede cattolica. La nozione di comunione invocata da Joseph Ratzinger a riguardo è del tutto inadeguata. Commentando ciò che dice San Giovanni sulla comunione di carità per Cristo col Padre (1 Gv. 1, 3-4), il cardinale dice: Qui emerge in primo piano il punto di partenza della “communio”: l’incontro con il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che nell’annuncio della Chiesa viene agli uomini. Così nasce la comunione degli uomini fra di loro, che a sua volta si fonda sulla comunione con il Dio uno e trino. Alla comunione con Dio si ha accesso tramite quella realizzazione della comunione di Dio con l’uomo, che è Cristo in persona; l’incontro con Cristo crea comunione con lui stesso e quindi con il Padre nello Spirito Santo (39).

Fede, incontro, presenza e amore

Quando Joseph Ratzinger parla della fede, non si troverà mai un richiamo né all’oggetto della fede (le verità rivelate) né al motivo della fede (l’autorità di Dio sovranamente verace). Queste cose non sono negate, ma non sono mai richiamate. Al loro posto si trova uno choc iniziale, l’incontro, la relazione interpersonale con Gesù, e il senso che questo incontro dà alla vita. Niente di tutto questo è falso, ma questa non è la fede, è una visione personalista della fede. Il teologo di Tubinga, commentando «credo in te» (in Gesù Cristo), dice: La fede cristiana […] è l’incontro con l’uomo-Gesù, per cui in tal incontro percepisce il senso del mondo come persona. […] [Gesù] è il testimone di Dio, […] Ma c’è dell’altro: egli non è soltanto il testimone al quale crediamo. Egli è addirittura la presenza dello stesso eterno in questo mondo. Nella sua vita, nel suo esistere per gli uomini senza alcuna riserva, si rende presente il senso intrinseco del mondo, che si concede a noi in veste di amore: di un amore che ama individualmente ciascuno di noi e rende la vita degna di essere vissuta» (40). Incontro, presenza, amore, non è la fede, tutto questo occulta l’oggetto della fede. Nel nostro Credo, scrive Joseph Ratzinger, la formula centrale non è «credo in qualcosa», ma «credo in te». L’affermazione è vera, noi crediamo in Gesù Cristo, persona vivente (e bisogna credere anche alla sua divinità), ma la negazione («non credo in qualcosa») non è eretica? Essa nega infatti l’oggetto della fede, gli articoli di fede, i dodici articoli del simbolo degli Apostoli. Diventato Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger descrive così il Cattolicesimo: Per questo non lo si può mai esprimere solo a parole. Si tratta di inserirsi nella vita di una compagine vitale, che abbraccia il tracciato della nostra esistenza nella sua interezza. […] Ovviamente si possono indicare alcuni punti essenziali (41). E la fede consiste nel credere in un avvenimento, non tanto in un contenuto concettuale: L’essenziale (è) […] che io divento cristiano nella misura in cui credo a questo evento. Dio è entrato nel mondo e ha agito, dunque è un’azione, una realtà, non solo un insieme di idee (42). Un amico di Benedetto XVI, già suo istitutore, ha fornito questa testimonianza molto realista sull’anti-concettualismo di Joseph Ratzinger: Lo ha sempre inquietato l’impulso a considerare la verità come un oggetto posseduto da difendere. Non si sentiva a suo agio con le definizioni neoscolastiche che gli apparivano come delle barriere, per cui quello che sta dentro la definizione è la verità, e quello che ne sta fuori è tutto errore. […] la verità è un Tu che ti ama per primo. Secondo lui, Dio non si conosce perché è un Summum Bonum che si riesce a cogliere e a dimostrare con formule esatte, ma perché è un Tu che viene incontro e si fa riconoscere (43). Questa fede senza verità di fede, senza dogmi, o che quanto meno li deprezza, è la riduzione personalista di quella che fu la fede del fanciullo Joseph Ratzinger. La sua fede è divenuta, alla maniera di Max Scheler e di Martin Buber, l’incontro col «Tu» di Cristo. La sua fede è anche la «decisione fondamentale di percepire Dio e di accoglierlo», come in Gabriel Marcel, per il quale la fede è un avvenimento strettamente personale e in questo senso incomunicabile. In tal modo la fede cattolica è messa da un lato. La fede, la ferma adesione dell’intelligenza a delle verità rivelate, è passata sotto silenzio. L’autorità di Dio che rivela è fatalmente rimpiazzata dall’esperienza religiosa di ciascuno.

Un “anti-programma” inaugurale

Emmanuel Kant, imbevuto del suo agnosticismo, nel 1793 scrisse un libro intitolato “La religione nei limiti della semplice ragione”, nel quale considerava già i dogmi come dei puri simboli di idee morali. Cent’anni dopo, al seguito dei protestanti liberali Friedrich Schleiermacher (1768-1834) e Adolf Harnack (1851-1930), fu un prete cattolico, subito scomunicato, Alfred Loisy (1857-1940) ha sostenere le stesse teorie, e venne denunciato da San Pio X nel 1907, nella Pascendi. E cent’anni dopo la Pascendi, nel 2007, sono dei teologi cattolici, di cui uno è divenuto papa, che, imbevuti della filosfia di Kant e di quella del XIX e XX secolo, di Hegel, Dilthey, Husserl, Heidegger, Scheler, Jasper, Buber, Marcel, Mounier e Maritain, hanno avuto l’ambizione di purificare, correggere, arricchire la dottrina della fede, e di generare il suo progresso con la rilettura filosofica attualizzata. Nel Medioevo, San Tommaso d’Aquino aveva felicemente risolto ciò che allora sembrava un’antinomia: effettuare la sintesi fra la fede cristiana e la filosofia di Aristotele. Nel XX secolo, sembrava che toccasse al Concilio Vaticano II e ai suoi teologi fare la sintesi fra la fede e la nuova filosofia. Benedetto XVI ne ha riproposto la teoria e ne ha di nuovo proclamato il programma nel suo discorso del 22 dicembre 2005. Ora, se è vero, come ha scritto Joseph Ratzinger nei suoi Principes de la théologie, che il Vaticano II, con la Gaudium et spes, ha enunciato una «sorta di contro-Sillabo» nella misura in cui questo testo conciliare «rappresenta un tentativo di riconciliazione ufficiale della Chiesa col mondo come era diventato a partire del 1789» (44), allora è anche vero che il discorso del 22 dicembre 2005, il quale presenta la teoria della riconciliazione e della mutua fecondazione della fede rivelata e della ragione agnostica, è l’anti-programma della quasi enciclica inaugurale di Benedetto XVI. Così facendo, gli avvocati di un tale anti-programma disincarnano, de-crucifiggono e de-tronizzano Gesù Cristo con una verve maggiore di Kant e di Loisy. Ma la loro fede soggettiva è «alle prese con i flutti del dubbio» di cui parla Joseph Ratzinger nel suo libro Foi chrétienne (45).

Scetticismo rassegnato e demoralizzante

Questa fede “crede” o meglio “pensa” di incontrare Dio invece di credere semplicemente in Lui. Questa fede “crede” di entrare in interazione con Dio invece di aderire semplicemente al suo mistero. Questa fede si consegna alla sua esperienza soggettiva e subcosciente su Dio invece di affidarsi all’autorità di Dio che rivela. Questa fede è resa fragile dalle sue ragioni umane. Essa è alle prese con il dubbio, poiché Joseph Ratzinger dice che il credente, come il miscredente, è sempre minacciato dal dubbio sulla sua posizione: «allo stesso modo in cui il credente [è] continuamente minacciato dall’incredulità […] così la fede resta per l’incredulo una continua minaccia (46)». Ad un mondo senza Dio, in pericolo di perdersi, può un tale credente proporre ancora la salvezza eterna e, come fonte di tale salvezza, il «Dio di Nostro Signore Gesù Cristo»? Ebbene, no! Egli può solo proporgli un garante dei valori e delle norme sorte dai ‘Lumi’ – che sono i Diritti dell’uomo – un Dio nominalmente considerato come la Ragione creatrice dell’universo e convenzionalmente chiamato il dispensatore dei Diritti dell’uomo. Questo Dio ipotetico è diverso dal Dio ideale postulato, secondo Emmanuel Kant, dall’etica? Un Dio, come confessa lo stesso Kant, «di cui non si potrebbe affermare che esiste al di fuori del pensiero razionale dell’uomo» (47). È questo Dio provvisorio dei Diritti dell’uomo che la Chiesa dovrebbe predicare ai musulmani, secondo l’auspicio espresso da Benedetto XVI di ritorno dalla Turchia, per permettere loro di operare l’aggiornamento dell’Islam per mezzo dei ‘Lumi’, invece di convertirli alla «vera luce che illumina ogni uomo». In fondo, è la religione dei ‘Lumi’ che si confarebbe meglio a questa umanità di oggi. Al tempo dei ‘Lumi’, si è cercato di stabilire delle leggi universali valide come se Dio non esistesse; oggi, consiglia Joseph Ratzinger, bisognerebbe invertire questa parola d’ordine e dire: Anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse (48). Ecco la soluzione sociale per riportare l’ordine nel mondo: «L’uomo dovrebbe cercare di vivere e di organizzare la sua vita come se Dio ci fosse», non perché Dio esiste e perché Gesù Cristo è Dio, no. Si tratta dell’esito ultimo del modernismo kantiano. Il modernismo condotto allo scetticismo, cioè a dei cristiani che non sono più sicuri di ciò che credono; e ai quali ci si accontenta di consigliare: agite, kantianamente, come se credeste!

Ermeneutica dei “Fini ultimi”

Quarant’anni separano Foi chrétienne [“Introduzione al cristianesimo”] di Joseph Ratzinger e Spe salvi di Benedetto XVI (enciclica del 30 novembre 2007). Il pontefice teologo ha ritrattato le sue opinione del passato?

Ritrattazioni di Benedetto XVI?

Benedetto XVI sembra aver cambiato la sua opinione sulla Redenzione e sulla Passione di Cristo: L'uomo ha per Dio un valore così grande da essersi Egli stesso fatto uomo per poter com-patire con l'uomo, in modo molto reale, in carne e sangue, come ci viene dimostrato nel racconto della Passione di Gesù. [Spe salvi, n° 39]. In fin dei conti, questa sporcizia è già stata bruciata nella Passione di Cristo. [Spe salvi, n° 47]. «L'Oriente non conosce una sofferenza purificatrice ed espiatrice delle anime nell’“aldilà”» (n° 48), dice Benedetto XVI, a significare che invece l’Occidente la conosce benissimo. Ma ecco che l’offerta delle pene quotidiane, che raccomanda nella Spe salvi, è vista da lui più come una compassione che come un’espiazione propriamente detta, che avrebbe invece un aspetto «malsano»: Faceva parte di una forma di devozione, oggi forse meno praticata, ma non molto tempo fa ancora assai diffusa, il pensiero di poter «offrire» le piccole fatiche del quotidiano, […] conferendo così ad esse un senso. In questa devozione c’erano senz’altro cose esagerate e forse anche malsane, ma bisogna domandarsi se non vi era contenuto in qualche modo qualcosa di essenziale che potrebbe essere di aiuto. Che cosa vuol dire «offrire»? Queste persone erano convinte di poter inserire nel grande com-patire di Cristo le loro piccole fatiche, che entravano così a far parte in qualche modo del tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno. In questa maniera anche le piccole seccature del quotidiano potrebbero acquistare un senso e contribuire all’economia del bene, dell’amore tra gli uomini. Forse dovremmo davvero chiederci se una tale cosa non potrebbe ridiventare una prospettiva sensata anche per noi. [Spe salvi, n° 40]. La timidezza di questo «forse» e l’evidente nostalgia per queste pratiche imperfette non fanno che rafforzare l’evidenza del cambiamento di religione: l’offerta delle pene non è più riparatrice né espiatoria, poiché questo era esagerato e malsano; essa è solo una preoccupazione compassionevole, un senso di solidarietà, cioè una fraterna partecipazione alle sofferenze degli uomini, cosa di cui l’umanità ha bisogno per uscire dalla solitudine della mancanza d’amore. È solo a titolo di solidarietà che la nuova religione «potrebbe forse» recuperare questa offerta delle pene, così debitamente rivedute e corrette da una nuova «corretta ermeneutica». Voler fuggire o sopprimere la sofferenza, aggiunge Benedetto XVI, significa «sprofondare in una esistenza vuota» in cui si trova «l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine»: Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore [Spe salvi, n° 37]. Ma qual è questo «senso»? Perché Cristo ha sofferto? Benedetto XVI su questo tace. Gesù Cristo ha sofferto per espiare i nostri peccati: ecco ciò che la nuova religione rigetta; essa esclude assolutamente il tesoro dei meriti e delle soddisfazioni sovrabbondanti di Cristo. In fondo, Benedetto XVI non manifesta alcun pentimento, egli continua a non accettare il mistero della Redenzione, il mistero del riscatto tramite la sofferenza. Le esigenze della giustizia divina gli fanno sempre paura; egli è vittima dell’emotività dei suoi tempi. E questa emotività passa per progresso, il quale dovrebbe condurre la dottrina della fede a «nuove sintesi», come diceva il Concilio: Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine delle cose a una concezione più dinamica ed evolutiva. Ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove. [Gaudium et spes, n° 5, § 2]. Con questo la Chiesa apriva ufficialmente al marxismo. Ed è in ossequio a questo spirito del Concilio che i teologi di punta abbracciarono l’evoluzionismo di Teilhard de Chardin e rilessero in chiave esistenziale il mistero della Redenzione.

Il Limbo rivisitato dall’ermeneutica soggettivistica

La dottrina comune della Chiesa, non definita, certo, ma comunemente ammessa, insegna che anime dei bambini morti senza battesimo, a causa del peccato originale da cui non sono state purificate, sono private della visione beatifica di Dio, ma, in forza dell’assenza in loro di ogni peccato personale, sono esentate dal fuoco dell’Inferno e poste in uno stato o luogo chiamato Limbo. Ora, ecco il punto di partenza del ragionamento ermeneutico: I genitori [dei bambini morti senza battesimo] provano un grande dolore e un senso di colpa […] trovano sempre più difficile accettare che Dio sia giusto e misericordioso se poi esclude dalla felicità eterna i bambini, siano essi cristiani o meno, che non hanno peccati personali (49). La premessa sentimentale si amplifica in un’asserzione teologica che cerca la sua giustificazione in un testo scritturale citato fuori dal suo contesto: “Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia!” [Rm. 5, 20] Così proclama la Scrittura, ma il concetto di Limbo sembra limitare questa sovrabbondanza. [n° 91]. Che ne è qui degli altri testi scritturali che affermano l’universalità del peccato originale e la necessità del Battesimo per la salvezza? Se la necessità del Battesimo è de fide, devono invece essere interpretati la Tradizione e i documenti del Magistero che ne hanno riaffermato la necessità. [n° 7] Risulta quindi necessaria una riflessione ermeneutica su come i testimoni della Tradizione (i Padri della Chiesa, il Magistero, i Dottori, i teologi approvati) hanno letto e utilizzato i testi e le dottrine della Bibbia con riferimento al tema qui trattato. [n° 10]. In altre parole, l’hermeneia tradizionale è troppo semplicista, essa ha dedotto troppo rudemente il Limbo dall’asserzione che solo il battesimo cancella il peccato originale. Ad essa bisogna preferirle l’ermeneutica nella quale la reazione alla parola di Dio del soggetto credente del XXI secolo, la sua «nuova riflessione» e il suo nuovo «rapporto vitale» con essa sfociano in una «sintesi di fedeltà e di dinamismo» che sarà la «giusta interpretazione» (si veda il discorso del 22 dicembre 2005). In tal modo l’ermeneutica purifica l’hermeneia dalla sua primitiva ingenuità e l’arricchisce con i valori delle sue reazioni emotive.

La vita eterna, immersione nell’amore

La vita eterna, insegna Benedetto XVI, non è «una vita interminabile», idea «che fa paura»; essa è, come dice Sant’Agostino, «la vita beata». E in che consiste? Sarebbe - spiega Benedetto XVI - il momento dell'immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. […] un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia [Spe salvi, n° 12]. Perché questo condizionale «sarebbe»? Che cos’è quest’«oceano dell’infinito amore»? Che cos’è questa «vastità dell’essere»? Non si rimane molto rassicurati da queste immagini, né dalla loro dimensione. È solo nella pagina seguente che apprendiamo che il Cielo consiste nel «vivere con Dio per sempre». È vero che la vita eterna, cominciata in terra per la grazia santificante, è una vita con Dio, ma in che consiste la differenza in Cielo? Solo nel «per sempre»? Benedetto XVI non è in grado, se non di dare una definizione del Cielo, almeno di darne una descrizione esatta! Perché ci tace che la vita in Cielo è la “visione beatifica” di Dio stesso, la visione de visu di Dio, Dio visto faccia a faccia, «facie ad faciem» (1 Cor. 13, 12), cioè senza intermediari creati? È San Giovanni, l’Apostolo dell’amore, che insegna: «Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come Egli è» (1 Gv. 3, 2). San Paolo spiega che alla fede, conoscenza «come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor. 13, 12), succederà la visione immediata di Dio. È questa visione che beatificherà l’anima dell’eletto. Forse che questa visione è troppo precisa per lo spirito di Benedetto XVI, recalcitrante ad ogni definizione? In ogni caso, il Pontefice precisa una condizione preliminare della vita beata: il non vivere isolati dagli altri, come indicato da Henri de Lubac, dice lui. Basandosi sui Padri, Lubac avrebbe provato che «la salvezza è stata sempre considerata come una realtà comunitaria» (Spe salvi, n° 14). Essa [la vita beata] presuppone, appunto, l’esodo dalla prigionia del proprio «io», perché solo nell’apertura di questo soggetto universale [gli altri] si apre anche lo sguardo sulla fonte della gioia, sull’amore stesso su Dio (Spe salvi, n° 14).

Il Purgatorio accorciato

Benedetto XVI accoglie l’«idea vetero-giudaica della condizione intermedia [tra morte e resurrezione]» uno stato in cui le anime «non si trovano semplicemente in una sorta di custodia provvisoria, ma subiscono già una punizione, […] o invece godono già di forme provvisorie di beatitudine» (Spe salvi, n° 45). Questo equivale, molto semplicemente, a ripetere l’errore condannato ex cathedra da Benedetto XII, che definì che le anime dei giusti «subito dopo la loro morte, e la purificazione di cui si è detto in coloro che erano bisognosi di tale purificazione […], furono, sono e saranno in Cielo, nel Regno dei Cieli e nel celeste Paradiso, con Cristo, associate alla compagnia degli Angeli santi» (50). E infine - prosegue Benedetto XVI - non manca il pensiero che in questo stato siano possibili anche purificazioni e guarigioni, che rendono l’anima matura per la comunione con Dio. La Chiesa primitiva ha ripreso tali concezioni, dalle quali poi, nella Chiesa occidentale [cioè nella Chiesa cattolica], si è sviluppata man mano la dottrina del Purgatorio [Spe salvi, n° 45]. Di fronte a questa eresia dello stato intermedio (miscuglio dello sheol vetero-giudaico e del limbo dei patriarchi) e a questa teoria di un’origine vetero-giudaica del Purgatorio, Benedetto XVI propone un’alternativa moderna che, decisamente, gli piace di più: Alcuni teologi recenti sono dell’avviso che il fuoco del Purgatorio che brucia e insieme salva, sia Cristo stesso, Giudice e Salvatore. L’incontro con Lui è l’atto decisivo del Giudizio. Davanti al suo sguardo si fonde ogni falsità. È l’incontro con Lui che, bruciandoci, ci trasforma e ci libera per farci diventare veramente noi stessi [Spe salvi, n°47]. Non si tratta affatto di un debito rimanente da pagare, né di una pena temporale da purgare, si ignora di quale purificazione si tratterebbe: quella dal peccato? Comunque sia, qui si tratta di una liberazione per ridiventare se stessi: una trasformazione esistenzialista: Il suo sguardo [di Cristo], il tocco del suo cuore ci risana mediante una trasformazione certamente dolorosa «come attraverso il fuoco» [come dice San Paolo: 1 Cor. 3, 12-15]. È, tuttavia, un dolore beato, in cui il potere santo del suo amore ci penetra come fiamma [Spe salvi n° 47]. Invece la sofferenza del Purgatorio è prima di tutto una certa pena del danno: il ritardo all’accesso alla ‘visione beatifica’, e inoltre una pena del fuoco o del senso inflitta da Dio per purificare l’anima dai suoi legami disordinati con la creatura. Questa spiegazione, che concorda appieno con la natura del peccato – “allontanamento da Dio e adesione alla creatura” – è troppo “cristallina” per Benedetto XVI? Il fatto è, molto semplicemente, che il fuoco dell’amore è più appagante, per consumare «la sporcizia» dell’anima, più di un fuoco inflitto dal supremo Giudice! Il Purgatorio diventa così assai simpatico, visto che lo stesso fuoco dell’amore vi consuma, come sulla terra, le brutture dell’anima. E tuttavia i santi non sono dello stesso avviso, essi hanno la fede e sostengono, come Santa Teresa di Lisieux, che «il fuoco dell’amore è più santificante del fuoco del Purgatorio»: il che significa che non si tratta dello stesso fuoco. Certo, il vantaggio della teoria patrocinata dal Pontefice sta nel fatto che questa purificazione istantanea dovuta allo sguardo di Cristo, accorcia enormemente il Purgatorio, agli occhi della nostra generazione tormentata. Ecco un cristianesimo comodo. Ecco una religione «più facile», come la concepiva un riformatore inglese. Ecco il «regno di Dio», direbbe Kant, «in cui la fede ecclesiastica viene superata e rimpiazzata dalla fede religiosa, vale a dire dalla semplice fede razionale» (51). Del resto, aggiunge Kant, «se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore [...] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso» (52). (Testi citati in Spe salvi, n° 19, senza che il Pontefice precisi che Kant li giustifica e li accetta). Benedetto XVI, tuttavia, precisa qualcosa su questo momento del Purgatorio: È chiaro che la «durata» di questo bruciare che trasforma non la possiamo calcolare con le misure cronometriche di questo mondo. Il «momento» trasformatore di questo incontro sfugge al cronometraggio terreno, è tempo del cuore, tempo del «passaggio» alla comunione con Dio nel Corpo di Cristo [Spe salvi, n° 47]. Dunque, è confermato: il Purgatorio è un momento, un passaggio. Non si tratta affatto di poter «restare in Purgatorio fino alla fine del mondo».

Un “Giudizio particolare” umanizzato

Il Giudizio di Dio è speranza - afferma Benedetto XVI - sia perché è giustizia, sia perché è grazia. Se fosse soltanto grazia che rende irrilevante tutto ciò che è terreno, Dio resterebbe a noi debitore della risposta alla domanda circa la giustizia, domanda per noi decisiva davanti alla storia e a Dio stesso. Se fosse pura giustizia, potrebbe essere alla fine per tutti noi solo motivo di paura [Spe salvi, n° 47]. No, se la giustizia è desiderabile è perché essa ricompensa non il «terreno», ma i nostri meriti, cioè le nostre opere buone compiute in stato di grazia. Ma, Benedetto XVI è proprio al merito che non crede: Il Regno di Dio è un dono, e proprio per questo è grande e bello e costituisce la risposta alla speranza. E non possiamo – per usare la terminologia classica – «meritare» il Cielo con le nostre opere. Esso è sempre più di quello che meritiamo, […] Tuttavia, con tutta la nostra consapevolezza del «plusvalore» del Cielo, rimane anche sempre vero che il nostro agire non è indifferente davanti a Dio [Spe salvi, n° 35]. Ci si ricordi dell’anatema del concilio di Trento: “Se qualcuno afferma che […] con le buone opere da lui [l’uomo giustificato] compiute […] non merita realmente […] la vita eterna […]: sia anatema” (53). Del pari, se la giustizia divina del Giudizio «ci fa paura» non è perché essa potrebbe essere «pura giustizia», ma perché può infliggerci delle pene, la pena eterna a coloro che muoiono in stato di peccato mortale e le pene del Purgatorio per gli altri. Ma tutte queste distinzioni superano Benedetto XVI, come vedremo ancora oltre; la sua teologia è ridotta e annebbiata, ai suoi occhi la distinzione tra naturale e soprannaturale è troppo forte e troppo chiara.

L’opzione fondamentale e il “peccato mortale”

Secondo la dottrina tradizionale della fede, infatti, l’anima perde la grazia santificante anche per un solo peccato mortale (DS 1544) e merita l’Inferno eterno, mentre il peccato veniale comporta solo una pena temporale e può essere espiato con ogni opera buona. Tuttavia, questa distinzione non è conforme al sentimento dei nostri contemporanei. Essi ritengono che, a parte i criminali di guerra e gli autori dei genocidi, che hanno «vissuto nell’odio» e in cui «tutto è menzogna», e tolti i santi «che si sono lasciati penetrare totalmente da Dio» e hanno vissuto «totalmente aperti al prossimo», per il resto vi è « la normalità», quella della «gran parte degli uomini», e il bene e il male sono insieme presenti, con a volte il male più del bene. Ma, malgrado ciò rimane presente nel più profondo della loro essenza un’ultima apertura interiore per la verità, per l’amore, per Dio. Nelle concrete scelte di vita, però, essa è ricoperta da sempre nuovi compromessi col male, molta sporcizia copre la purezza, di cui, tuttavia, è rimasta la sete e che, ciononostante, riemerge sempre di nuovo da tutta la bassezza e rimane presente nell’anima [Spe salvi, n° 46]. In questa teoria non v’è più l’uomo giusto, né l’uomo ingiusto (teologicamente), non vi è più lo stato di grazia, né lo stato di peccato mortale. Ogni peccato o stato di peccato lascia posto alla salvezza, posto che si conservi l’opzione fondamentale per Dio, con la «sete di purezza», «l’apertura interiore per la verità, per l’amore, per Dio». In questo caso «l’esistenza cristiana» costruita su Gesù Cristo è un «fondamento [che] non ci può più essere sottratto» (n° 46). Una tale anima potrà essere salvata passando per il fuoco che consuma le opere cattive (n° 46; 1 Cor. 3, 12). In fin dei conti, Benedetto XVI ripropone l’errore protestante dell’«uomo ad un tempo giusto e peccatore».

L’Inferno, stato d’animo o luogo?

«L’Inferno sono gli altri», diceva Jean-Paul Sartre. Benedetto XVI insegna il contrario di questo egoismo diabolico. L’Inferno è l’egoismo irrevocabile, quello delle persone che «hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore». Egli spiega che: In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola Inferno [Spe salvi n° 45]. Vi è un equivoco. Bisognerebbe precisare che colui che è in stato di peccato mortale si trova già nello stato di dannazione, ma questa dannazione è irrevocabile solo dopo la morte. È allora che si ha l’Inferno, luogo e stato delle anime dannate, sia per la loro colpa sia per la sentenza del giusto Giudice. Mancando questa distinzione si rimane nell’equivoco, mischiando lo stato di dannazione revocabile del peccatore e lo stato e il luogo di dannazione irrevocabile dell’Inferno. Non sapendo di che cosa si parla, si mette l’Inferno al condizionale: esso «sarebbe» lo stato di un uomo irrimediabilmente chiuso alla verità e ripiegato su se stesso. Il che è inquietante per quegli egoisti che siamo noi tutti: ma chi è totalmente egoista? Insomma, chi può essere veramente all’Inferno? E in ogni caso l’Inferno è uno stato d’animo. Frutto della sua ermeneutica, la religione di Benedetto XVI è una religione che si presenta come più amabile, ma è una religione al condizionale.
  
d. CURZIO NITOGLIA

20 febbraio 2011


17 commenti:

  1. Ho fatto studi classici e quindi ho studiato filosofia tanti anni fa.Dopo aver letto tutte queste informazioni mi sono sentito molto triste perchè le analisi di D.Curzio sono terribili nella loro logica. E mi sono chiesto quanti possano leggere e capire e quindi salvaguardarsi dal pensiero deviato di J.Ratzinger. Già, ma J.Ratzinger non è soltanto un filosofo kantiano dei nostri giorni, J.Ratzinger è il "nostro" papa ! Che fare?Quanti si perderanno per tutto ciò che deriva dalle sue idee? Quanti avendo letto i suoi libri,avendo capito appieno quanto intende dire, cresciuti quindi nelle sue visioni e sicuri del fatto loro, si perderanno l'anima ?Perchè è arrivato ,J.Rtazinger a sfornare libri su libri, invece di tacere di più e ragionare meglio ed impostare meglio, con maggior prudenza i pensieri altrui?Non sa che un libro, secondo l'impostazione che gli si da', può comportare la salvezza o la dannazione, se è libro di religione? Ora, da papa, prosegue a sfornare libri..Cosa ottiene? E' indubbio pensi di fare del bene, ma i libri vengono letti da un'elite culturale fondamentalmente più superba perchè più colta, quindi tendenzialmente più a rischio di dannazione.I suoi libri sono illuminanti per la Fede? Sembra di no, sembra che siano ancor più disperdenti. Forse un tempo sarebbero stati messi all'Indice, cioè esclusi dalla Chiesa poichè contenenti eresie dottrinali e pericolosi per i fedeli. A questo siamo giunti? Ad un papa che propone dottrine eretiche e le diffonde anche con libri ? E' TERRIBILE TUTTO CIO'! Signore aiutaci tu perchè siamo dispersi!

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  2. Posto una lettera del Santo Curato d'Ars indirizzata a dei fedeli incaricati di occuparsi della buona stampa cattolica. Sono parole dure, prive di compromesso e rispetto verso chi propaga l'errore. Parole da non dimenticare.
    “Il principio di una grande opera deve essere piccolo. Non è la questione finanziaria che vi deve affliggere. Tutto ciò che Dio vuole si aggiusta, non si sa come. Avrete l’aiuto necessario e anche se vi mancasse questo, dovete iniziare.
    Viviamo in un mondo miserabile. Dovete esporre questa miseria e dire la verità senza eccezione di persone. C’è un ammasso di bugie e errori che dovete dissipare, senza riguardo delle persone che le propagano.
    Dovete combattere l’errore anche tra i cattolici, dato che questi hanno meno diritto – se posso parlare di diritto – degli altri di predicare idee errate.
    Amate i vostri avversari. Pregate per loro, ma non dovete fargli dei complimenti. È tempo perso. Non cercate di gradire a tutti, non potrete a tutti gradire. Cercate di gradire a Dio e i suoi Angeli e Santi: ecco il vostro pubblico!
    Dunque, figli miei, mano all’opera! Coloro che si allontanano da voi, che vi censurano per mancanza d’amore, intimamente vi danno ragione, a volte vi difendono pubblicamente.
    Se gli uomini potessero vedere come io tratto “Grappin” (così il Santo chiamava il diavolo) direbbero che non lo amo. Gli faccio paura, lo butto a terra, gli causo spavento, e gli dico : “Grappin, tu mi attacchi; ebbene, io mi difendo”.
    Ma voi, figli miei, mi direte: gli uomini non sono demoni. Senza dubbio, molti non lo sono. Ma in tutti quelli che non sono uniti intimamente a Cristo, c’è qualcosa latente di diabolico: è contro questo che dovete alzarvi come esecutori di giustizia.
    L’errore è un ostacolo per l’unione.
    Dio mio, quanto è inesorabile la verità, quanto è incorruttibile e colma di vita!
    Lo dico ancora una volta: non smettete mai di combattere l’errore. Ecco perché ho usato tanto il vostro tempo. Iniziate dunque e perseverate!
    Non vi lasciate intimidire dalla contraddizione. Essa non vale niente. Farete del bene e molto bene”.
    Patrizia

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  3. bellissima e pregiatissima analisi di Don Curzio!!
    e pensare che il papa da cardinale scrisse un libro dal titolo blasfemo: " il Dio di Gesù Cristo" edito dalla Queriniana... e non dico altro!!

    Grazie per questo bellissimo blog scovato per caso.

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  4. Grazie a te Raffaella,
    benvenuta fra noi... :-)

    A. Rita

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  5. Carissima A.Rita grazie infinite del benvenuto, spero di essere utile alla causa della difesa della Frde e della Verità, smascherando certe malefatte cattomoderniste che ammorbano la Nostra Santa Madre Chiesa. Ad essere sincera sono molto amareggiata per il trattamento subito su di un "blog" che si dice cattolico ma che in realtà E'MODERNISTA al 100% .... uno specchietto per le allodole. I "moderatori" mi hanno risposto di adeguarmi altrimenti meglio che me ne vada. Questo "blog" si chiama messainlatino ...... ma poi mi spiega lei che cosa vorrà mai dire quel adeguarsi? Come mai alcuni creano siti dal nome cattolico aperto al pubblico e poi CENSURANO le persone scomode? Adeguarsi a cosa? Come se a difendere la Fede e la Verità ci si debba adeguare ..... pazzesco!!!!

    Un caro saluto e ancora complimenti!!!

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  6. cari amici, è dura al giorno d'oggi esprimere certi pensieri paurosi circa la tremenda realtà che osserviamo....ma qui forse possiamo farlo, e ne ringrazio i gestori, veri fedeli a Nostro Signore e alla Madre Celeste.
    Tante volte mi sono chiesta se in questo scivolamento terribile verso l'eresia da parte del più alto vertice della Chiesa non corrisponda a quello che viene detto nel 3. segreto di Fatima: cioè che dovremmo riconoscere un falso insegnamento in un Papa che apparentemente è "giusto" perchè validamente eletto ed insediato, ma che insegna nei suoi discorsi un mix di cose vere (quelle di sempre) e cose false (quelle moderniste favorite/volute dal concilio), presentate come evoluzione del Magistero, che si è dovuto adeguare ai tempi e al mondo che cambia, secondo i venti di dottrine e ideologie umane....ma quindi appare come un "Pietro" che in tal modo si fa complice e schiavo di quel potere occulto che, ispirato dal massonismo satanico di remota fondazione storica, sta manovrando gli eventi ecclesiali fin dal Concilio.
    Man mano che si svelano sempre più le macerie della grande illusione conciliare, mi sembra che anche fedeli semplici e incolti come me riescano a vedere chiaramente il disastro che travolge in primis le menti, poi i cuori dei ministri di Dio che credono di vedere e si accecano sempre di più, avverando le parole di tanti passi del Vangelo e della Bibbia ! (una fra tutte: Ciechi e guide di ciechi!)
    Mi direte voi allora se sbaglio nel percepire queste tremende realtà....Sogno o son desta ?
    Vedete anche voi quello che vedo IO ? NON CREDIAMO ai nostri occhi, perchè tanti ci dicono "Non esagerate ! non seminate panico tra la gente ! non seminate divisione ! dite che tutto è OK !".....ma certo io mi accorgo che più osservo ad occhi aperti questo incubo reale in cui viviamo da mezzo secolo, più riesco a definirlo, raccontarlo con parole di "cronista" che osserva il terrremoto, e più HO PAURA, vi dico la verità, di PARLARE AD ALTA VOCE, come se chi sta vicino a me, chi dirige un blog, spaventato dalla mia descriziione, potesse dire: "Zitta, silenzio, cosa fai ? evochi sciagure ? silenzio...silenzio, non lo dire, tientelo per te, magari così se stiamo zitti la SCIAGURA SI ALLONTANERA' DA NO!"
    poveretti, penso io .... ma non capiscono che è una fatale illusione quella di dire "Meglio non vedere per non soffrire, e non descrivere il disastro, NON DIRLO AD ALTA VOCE, speriamo così di cancellare la realtà" ?
    non si accorgono che fanno come uno che continuasse a dormire, mentre gli sta crollando la casa addosso ?

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  7. Qui ora leggo alla fine della analisi di don Curzio questa conclusione: in ogni caso l’Inferno è uno stato d’animo.
    Cioè...per favore, ditemi se ho capito bene: questo è ciò che si evince dal pensiero teologico di J. Ratzinger, che egli seguiva e segue anche adesso che è Papa ?
    Io ho bisogno che voi mi aiutiate a capire tante cose che ci confondono la mente, ci spengono la Fede annacquandola da tanto tempo, cose che in parrocchia nessuno si sogna di spiegarci, anzi !
    ma lo sapete che quella convinzione è proprio la stessa cosa che mi sono sentita dire in confessione da un sacerdote, con cui io discutevo richiamandolo alla necessità che noi fedeli abbiamo, come figli, come genitori, di sentirci ammonire nei peccati, ricorddare le verità di sempre, i Novissimi, che la Chiesa non ha voluto più neanche nominare.....e lui mi ha detto proprio così, che io non dovevo pensare che l'Inferno sia un luogo, ma è uno "stato" che ci prepariamo noi, ma con vaghe parole mi ha confuso la mente, e iio lo contraddicevo perchè mi ricordavo di aver imparato da piccola che è anche un luogo di tormenti dell'anima e del corpo....ma voi credete che quello fosse un prete della generazione 68ina ? ? NO, ragazzi, vi dico che era un sacerdote di oltre 95 anni di età, che per altro mi diceva tante buone cose all'antica, ma su certi argomenti mi è parso perfettamente allineato col pensiero psot-conciliare....vi rendete conto della potenza satanica di questa deviazione ideologizzata di quasi tutta la Madre Chiesa, che ha cominciato a insegnare (da pulpiti e seminari) da 45 anni un sacco di stupidaggini, in modo così suadente da riplasmare pure i venerandi preti di "prima" del Concilium maximum ?
    Che Dio ci aiuti ! il guaio è che la punizione per l'allontanamento dei docenti e pastori dovranno subirla molto di più le pecore innocenti, le nuove generazioni ignare dovranno pagare le colpe dei padri....vi pare giusto ?
    VALERIA

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  8. Qui ora leggo alla fine della analisi di don Curzio questa conclusione: in ogni caso l’Inferno è uno stato d’animo.
    Cioè...per favore, ditemi se ho capito bene...

    Cara Valeria l'inferno è sicuramente un luogo dove l'anima dannata vive un stato d'anima terribile perche' separata eternamente da Dio...


    Santa SUOR FAUSTINA KOWALSKA

    Dal suo diario apprendiamo quanto segue… 20.x.1936. (II° Quaderno)

    Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia di Dio per loro. O mio Gesù, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo peccato.

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  9. Continua...

    Prove dell'esistenza dell'inferno:

    FATIMA

    Fatima. Nella terza apparizione della Beata Vergine, 13 giugno 1917, a Francesco, Giacinta e Lucia, i tre pastorelli di Cova di Iria, (i primi due fatti santi il 13 ottobre 2000 da Papa Giovanni Paolo II) sono stati testimoni della reale esistenza dell’inferno… Racconta la veggente Lucia e tutt’ora vivente… “Dicendo queste ultime parole, la Signora aprì le mani, come aveva fatto durante i due mesi precedenti. La luce proveniente da esse sembrava penetrare la terra e vedemmo un mare di fuoco. Immersi in questo fuoco c’erano demoni e anime che sembravano tizzoni trasparenti, alcuni neri o bronzei, in forme umane, portate intorno dalle fiamme che uscivano da essi assieme a nuvole di fumo. Essi cadevano da tutte le parti, proprio come le scintille cadono dai grandi fuochi, leggere, oscillanti, tra grida di dolore e di disperazione, che ci atterrirono fino a farci tremare di paura. (Deve essere stata questa vista che mi fece gridare; la gente infatti dice di avermi sentita dare un grido). I demoni potevano essere distinti dalla loro somiglianza a orribili ripugnanti e sconosciuti animali, incandescenti come carboni accesi. Atterriti e come per supplicare aiuto, alzammo gli occhi verso Nostra Signora, la quale ci disse con gentilezza, ma anche con tristezza: “Avete visto l’inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Al fine di salvarli Dio desidera di stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato””… Lucia, Francesco e Giacinta

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  10. Infine per confermare che l'inferno, come anche il Pardaiso e il Purgatorio, siano un luogo:

    MEDJUGORJE

    Nel 1981, i veggenti abitavano tutti nello stesso quartiere di Bijakovici, ai piedi del Podbrdo. Un pomeriggio Jakov e sua cugina Vicka erano sfuggiti alla sorveglianza generale con uno dei loro trucchi, tornavano da Citluk e decisero di andare nella casa dove Jakov abitava con sua mamma, perché avevano fame. La mamma di Jakov, Jaka, era estremamente povera e tutti e due vivevano in due minuscole stanze, senza acqua corrente, nella scomodità caratteristica del Medjugorje antecedente le apparizioni della Madonna. Vicka e Jakov sono arrivati a casa senza fiato e hanno detto a Jaka che avevano fame. Poi si sono messi in un altro angolo per parlare insieme, mentre Jaka preparava loro un piccolo spuntino frugale: dopo dieci minuti li chiama… nessuna risposta! Erano esattamente le 15,20. Jaka entra nell’altra stanza… nessuno! Il sangue le monta alla testa, perché era impossibile che fossero usciti senza che li avesse visti passare. Ha un bel ripensare a ogni minuto passato dopo il loro arrivo, non serve a niente, è incomprensibile… dovrebbero essere là! D’altra parte li aveva sentiti parlare poco tempo prima. Un abisso di angoscia l’afferra. La milizia… ma no, come avrebbe potuto prenderli senza passare dalla cucina? Esce spaventata e trova la mamma di Ivan che scende per il sentiero.– Non hai visto Jakov e Vicka?– No! –

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  11. continua...

    Sale per il sentiero e interroga gli altri vicini, arriva fino ai genitori di Vicka. – No… - risponde Zlata, la mamma di Vicka, scuotendo la testa. Subito si spande la voce che Jakov e Vicka sono spariti e i cuori si serrano per l’angoscia perché gli abitanti di Bijakovici considerano i veggenti come loro figli, come la pupilla dei loro occhi. Passano i minuti, i ragazzi si sono letteralmente volatilizzati; la madre di Vikia è categorica: non sono passati da qui. D’altra parte non li ha visti nessuno. Jaka rientra a casa sua disperata; gira e rigira per la cucina, poi torna nella camera vuota, là dove erano ultimamente, nell’assurda speranza di ritrovarli, di risvegliarsi dall’incubo. Ma non c’è nessuno! Rimuove i due piatti ormai freddi, sistema la vecchia casseruola, mentre nella sua mente passano velocemente le peggiori scene che un’immaginazione di madre possa concepire. Esce e va a sedersi sotto l’alberello vicino a casa. Da lì potrà spiare… Quando ad un tratto alle 15.50 le sembra di sentire un rumore, Non crede alle sue orecchie, viene dalla casa! – Sei tu Jakov? Jakov salta fuori tutto felice e grida a sua madre: - Mamma, mamma! Siamo andati in Cielo! Abbiamo visto il Cielo! – Il Cielo?!! No… non è possibile! Non posso credere che siate andati in Cielo. “Jakov , raccontaci…” chiedono i pellegrini. – La Gospa (Madonna) è venuta e ci ha portato con Lei. Vicka era con me, andate a chiederle, vi racconterà lei… - Vicka non si fa pregare due volte per raccontare il “suo viaggio nell’aldilà”: - Non ce l’aspettavamo – dice – la Gospa è venuta in camera mentre la mamma di Jakov ci preparava la colazione in cucina. Ci ha proposto di partire tutti e due con Lei per vedere il paradiso, il purgatorio e l’inferno. Questo ci ha molto sorpresi e in un primo momento né Jakov né io abbiamo detto di si. – Porta piuttosto Vicka con te – le ha detto Jakov – lei ha molti fratelli e sorelle, mentre io sono l’unico figlio di mia madre. – Infatti, dubitava che si potesse ritornare vivi da una simile spedizione! – Da parte mia – aggiunge Vicka , - mi dicevo – “Dove ci ritroveremo? E quanto tempo ci vorrà? “ Ma alla fine vedendo che il desiderio della Gospa era di portarci con se, abbiamo accettato. E ci siamo ritrovati lassù. – Lassù? – ho chiesto a Vickia, - ma come ci siete arrivati? – Appena abbiamo detto si, il tetto si è aperto e ci siamo trovati lassù! – Siete partiti con il vostro corpo? – Si, come siamo ora! La Gospa ha preso Jakov con la mano sinistra e me con la mano destra e siamo partiti con Lei. Per prima cosa ci ha mostrato il paradiso. – Siete entrati così facilmente in cielo? – Ma no! – mi ha detto Vickia – siamo entrati dalla porta. – Una porta come?- Mah! Una porta normale! Abbiamo visto San Pietro vicino alla porta e la Gospa ha aperto la porta… - San Pietro? Come era? – Mah! Come era sulla terra! – Cioè? – Circa sessanta, settant’anni, non molto alto ma nemmeno piccolo, con i capelli grigi, un po’ ricci, abbastanza tarchiato… - Non vi ha aperto lui? – No la Gospa ha aperto da sola senza chiave. Mi ha detto che era San Pietro, lui non ha detto niente, ci siamo salutati così semplicemente. – Non è parso sorpreso di vedervi? – No, perché? Capisci, eravamo con la Gospa. –

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  12. continua...

    Vicka descrive la scena come se si parlasse di una passeggiata fatta non più tardi di ieri, con la famiglia, nei dintorni. Non sente nessuna barriera fra “le cose di lassù” e quelle di quaggiù. E’ perfettamente a suo agio fra queste realtà. Stranamente non si rende conto che la sua esperienza rappresenta un tesoro per l’umanità e che il linguaggio del cielo così famigliare per lei, apre una finestra su un mondo completamente diverso per la nostra società attuale,per noi che siamo “non-veggenti”. – Il paradiso è un grande spazio senza limiti. C’è una luce che non esiste sulla terra. Ho visto tanta gente e tutti sono molto felici. Cantano, ballano… comunicano fra loro in un modo per noi impensabile. Si conoscono nell’intimo. Sono vestiti di lunghe tuniche e ho notato tre colori diversi. Ma questi colori non sono come quelli della terra. Assomigliano al giallo, al grigio e al rosso. Ci sono anche degli angeli con loro. La Gospa ci spiegava tutto. “Vedete come sono felici. Non manca loro niente”. – Vicka puoi descrivermi questa felicità che vivono i beati in cielo? – No non posso descriverla, perché sulla terra non esistono parole per dirlo. Questa felicità degli eletti, la sentivo anch’io. Non posso parlartene, non posso che viverla nel mio cuore. – Non hai avuto voglia di restare lassù e di non tornare più sulla terra? – Si! Risponde sorridendo. Ma non si deve pensare soltanto a se stessi! Sai la nostra più grande felicità è quella di rendere la Gospa felice.

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  13. continua...

    Noi sappiamo che vuole tenerci sulla terra ancora per un po’ di tempo per portare i suoi messaggi. E’ una grande gioia condividere i suoi messaggi! Finché ha bisogno di me, io sono pronta! Quando vorrà prendermi con sé sarò pronta ugualmente! E’ il suo progetto, non il mio… - I beati, potevano vederti anche loro? – Certamente ci vedevano! Eravamo con loro! – Come erano? – Avevano circa trent’anni. Erano molto, molto belli. Nessuno era troppo piccolo o troppo grande. Non c’erano persone magre o grasse o malate. Tutti stavano molto bene. – Allora perché San Pietro era più vecchio e vestito come sulla terra? – Breve silenzio da parte sua… la domanda non le era mai venuta in mente. – E’ così, ti racconto ciò che ho visto! – E i vostri corpi erano in cielo con la Gospa non c’erano più sulla terra, in casa di Jakov? – No, certo! I nostri corpi sono spariti dalla casa di Jakov. Tutti ci hanno cercato! E’ durato venti minuti in tutto. – Dopo il paradiso, la Gospa ci ha portati a vedere il purgatorio. E’ un luogo molto scuro e noi non potevamo vedere quasi niente perché c’era come un fumo grigio, molto spesso del colore della cenere. Sentivamo che c’era una quantità di gente ma non potevamo vedere i volti per via di questo fumo. Potevamo però sentire i gemiti e le grida. Sono molto numerosi e soffrono molto. Sentivamo anche delle specie di urti, come se persone si scontrassero. La Gospa ci diceva: “Vedete come queste persone soffrono! Aspettano le vostre preghiere per poter andare in cielo”. Dopo il purgatorio – continua Vicka – la Gospa ci ha mostrato l’inferno. E’ un posto terribile. Nel mezzo c’è un gran fuoco, ma non come quello che conosciamo sulla terra. Abbiamo visto gente assolutamente normale, come quelli che si incontrano per la strada, che si gettavano da soli in quel fuoco. Quando ne uscivano assomigliavano a belve feroci che gridavano il loro odio e la loro ribellione e bestemmiavano… Era difficile credere che fossero esseri umani, tanto erano sfigurati, cambiati… Davanti a questo spettacolo eravamo spaventati e non capivamo come una cosa così orribile potesse succedere a quella gente. Fortunatamente la presenza della Gospa ci rassicurava. Abbiamo anche visto una ragazza molto bella gettarsi nel fuoco: dopo sembrava un mostro. La Gospa allora ci ha spiegato quello che avevamo visto e ci ha detto: - Quella gente è andata all’inferno di sua volontà. E’ una loro scelta, una loro decisione. Non abbiate paura! Dio ha donato a ciascuno la libertà. Sulla terra ognuno può decidersi per Dio o contro Dio. Certe persone sulla terra fanno sempre tutto contro Dio, contro la sua volontà, pienamente consapevoli: cominciano così l’inferno nel loro cuore; quando viene il momento della morte, se non si pentono, è lo stesso inferno che continua. – Gospa – le abbiamo allora chiesto – queste persone, un giorno, potranno uscire dall’inferno? – L’inferno non finirà, coloro che sono là non vogliono ricevere più niente da Dio, hanno scelto liberamente di essere lontani da Dio, per sempre! Dio non vuole forzare nessuna ad amarlo. – Allora chiedo a Vicka: - Se Dio ha il cuore buono, non gli importa lasciare che i suoi figli si perdano così, per sempre? Perché non mette una barriera davanti all’inferno, per esempio, o perché non prende nelle sue braccia tutti quelli che si apprestano a gettarsi nel fuoco per convincerli ad andare con lui invece che con Satana? - Ma Dio fa di tutto per salvarci! Tutto! Gesù è morto per ognuno di noi e il suo amore è grande per tutti. Ci invita sempre ad avvicinarci al suo cuore ma cosa può fare quando non si vuole accettare il suo amore? Niente! L’amore non si può imporre! - Alla fine la Gospa affida loro una missione: Vi ho mostrato tutto questo, perché sappiate che esiste e lo diciate agli altri. Come siete tornati a casa? – Nello stesso modo! Siamo ridiscesi attraverso il tetto e ci siamo ritrovati in camera di Jakov!

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  14. ...questo è ciò che si evince dal pensiero teologico di J. Ratzinger, che egli seguiva e segue anche adesso che è Papa ?

    Purtroppo e' cosi', leggiti per esempio quello che dice del Purgatorio:

    http://nullapossiamocontrolaverita.blogspot.com/2011/01/il-papa-il-purgatorio-non-e-un-luogo-ma.html

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  15. Vorrei far presente a Raffaella, che, avendo cercato sul web notizie su quel libro da lei indicato, ho trovato questo con uguale titolo:
    http://www.fedeecultura.it/file/brunoforte.pdf
    scritto da mons. Bruno Forte, libro di cui al link citato si legge una severa e prudente recensione di mons. Brunero Gherardini, che ne rileva l'aspetto di oggettiva blasfemia contenuta nel titolo, sottolineando il dovere di dare su di esso un giudizio negativo, senza che questo sia una condanna per partito preso, lasciando aperta l'ipotesi della "buona intenzione" dell'autore, mi pare, dicendo:
    Una bestemmia è sempre, in sé e per sé, una bestemmia, anche se pronunciata paradossalmente per render gloria a Dio. Una tale premessa era necessaria per capir il giudizio, certamente ed irriducibilmente negativo, che sto per pronunciare. Il giudizio non riguarda né le persone che han detto certe cose, né le intenzioni per le quali le han dette, ma esclusivamente le cose che sono state dette, anche se son pervenute all'orecchio e all'intelligenza di qualcuno solo perché qualcun altro le ha dette. Nel sottolineare chi, metto in luce di esse il soggetto con le sue circostanze di luogo e di tempo, senza peraltro condannarlo, nemmeno se - come nel caso di cui qui m'interesso - la mia coerenza teologico-morale mi porta alla condanna inequivoca di ciò ch'è stato detto.
    Vorrei sapere quale relazione culturale e cronologica c'è tra i due libri con lo stesso titolo; per me, che non mi intendo di teologia (ma vorrei capire gli errori emergenti in quei testi) si tratta di scoperte tutte nuove, e poco piacevoli, che accrescono l'amarezza per i tempi di confusione dottrinale in cui ci tocca vivere.
    Valeria

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  16. Cara Valeria, lei ha centrato il problema ossia la confusione dottrinale in cui ci tocca vivere!
    Inoltre condivido in toto anche il suo commento precedente a questo.

    E' proprio così, e umanamente parlando noi non possiamo fare molto, tanto è grave la situazione. La Santa vergine a Fatima lo disse e disse anche che l'apostasia comincerà dai vertici della Chiesa, ma si sà Fatima NON la vollero e NON la vogliono considerare. A questo ci pensò il Giovanni XXIII il papa l'ottimista che miseal bando qualsiasi analisi critica sui tempi e tacciò chiunque avesse il coraggio di denunciare o di mettere in guardia, come profeti di sventura....infatti lui lo soprannominarono il papa buono....come se gli altri prima di lui NON lo fossero stati, e guarda caso fu il papa ottimista che indisse il CVII.... Non ho letto il libro del Papa Benedetto XVI, e mi assale un brivido alla schiena nel leggerlo, (tra l'altro porta la data del 2005....anno della sua elezione.
    Detto ciò anche se al suo interno non si trovasse nulla di compromettente (e sto supponendo perchè non l'ho letto) mi rifaccio al titolo blasfemo. Già è di per sè grave la frase "il Dio di Gesù Cristo" che non servono molti studi in teologia per capire che siamo di fronte a qualcosa di molto anomale messo in bocca del papa.

    Quello che è certo che dopo di lui hanno scritto e detto più volte quella bestemmia altri noti "teologi" e a tirarne le conclusioni negative non è poi così difficile.

    Oltre al libro criticato da il grande Mons. Gherardini ossia il Dio di Gesù Cristo di un certo Davide d'Alessio ( 2008), a seguire emulando la bestemmia si è cimentato anche il famoso e fumoso Kasper che ha scritto un libro dallo stesso titolo blasfemo il Dio di Gesù Cristo (2008) edito anch'esso dalla Queriniana. Ravasi altro famoso e fumoso non ha scritto libri con questo titolo ma a lui il compito di portare avanti lo scempio e la NEGAZIONE (perchè di questo si tratta) del DOGMA PIU' IMPORTANTE DELLA FEDE CATTOLICA OSSIA GESU' E' DIO UNICO CON IL PADRE E LO SPIRITO SANTO!!

    A Fatima la Santa Vergine disse che SOLO in Portogallo si salverà il Dogma della Fede. Ricordo inoltre che E' satana che NEGA la Divinità di Gesù Cristo.

    N.B. NON è un caso che chi pronuncia queste bestemmie sia anche un convinto ecumenista!!!

    Coraggio Valeria anche se siamo in pochi l'importante è riconoscere la VOCE del Buon Pastore e rimnere a debita distanza, dai lupi travestiti da agnello.

    http://www.queriniana.it/libro/il-dio-di-gesu-cristo/206

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  17. Voglio esprimere un grazie di cuore a Gianluca per i brani da lui riportati, illustranti la realtà soprannaturale dell'inferno, su cui purtroppo la Chiesa dal concilio in poi ha deciso di non istruire più i fedeli, come invece sarebbe necessario, frequente e salutare ammonimento. E' bello rileggerli sul web, a vantaggio di tante anime di giovani, che non ne sanno nulla, probabilmente....
    Ero già da piccola a conoscenza delle rivelazioni fatte dalla Madonna di Fatima ai pastorelli, dei quali è noto che Lucia disse che proprio la terribile visione dell'inferno fu motivo di profonda consapevolezza della ferita inferta al Signore dai peccati dell'uomo e della necessità di ripararli, anche con i loro piccoli sacrifici, per salvare i peccatori dalla perdizione, in unione al Sacrificio della Croce, e che fu perciò, pur tremenda "molla" qual era, un pensiero costante che li spronò alla preghiera, al perfezionamento personale e al desiderio della santità e del Paradiso.
    Una volta (fino al mitico concilio) per tutti i bambini e anche per gli adulti queste meditazioni sui Novissimi erano pressochè pane quotidiano e di certo aiutavano a guardarsi dalle cadute piccole e grandi, visto che le coscienze erano sensibilissime al PECCATO, alle sue conseguenze nella perdita della Grazia e della Fede e nell'offesa recata a Nostro Signore, che è in agonia fino alla fine del mondo a causa di essi.
    Ma pare che tutto ciò sia passato di moda ! tristissimo a dirsi.
    Anche le visioni di Santa Faustina con lo svelamento dello sconfinato amore di Gesù per noi, che pur ci mostra di essere Egli infinita Giustizia, inscindibile dalla sua Misericordia (rifiutata in eterno dai dannati) mi sono state di grande conforto e tuttora di aiuto spirituale in momenti difficili della vita.
    Mantengo invece una certa riserva sulla realtà di Medjugorie, che , dopo un periodo di entusiasmo che aveva contagiato anche me, mi sembra ora avviata decisamente ad un fenomeno che ha molti risvolti di business, che lo rendono sospetto.
    Comunque: tenersi stretti a Maria SS.ma per non perdere Gesù: questa è la chiave del Paradiso, faticosa certo, ma facile se non ci allontaniamo, quanto più si fa buio il cammino, come oggi, guardandosi intorno, constatiamo sgomenti. Grazie, Gianluca, a te e A.rita per la vostra forte fede, che non vacilla e non si scoraggia anche in mezzo alle durezze e incomprensioni che incontra in tanti cuori, sia di pecore che di pastori....immagino.
    Valeria

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