mercoledì 5 ottobre 2011
"Quello che più ci importa è la Chiesa cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche noi ripetiamo le parole di San Paolo: «Tradidi quo et accepi», trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo ricevuto".
Stuttgart: Intervista con don Niklaus Pfluger
Traduzione DICI. Intervista completa in versione originale su wwww.pius.info.
Sul sito del distretto di Germania, don Niklaus Pfluger, primo Assistente generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X ha risposto il 29 settembre 2011 a qualche domanda sulla riunione del 14 settembre a Roma e sui documenti consegnati al Superiore generale della Fraternità.
Fonte: DICI
Si sa che è stato consegnato un preambolo dottrinale di grande interesse. Benché Lei sia obbligato alla riservatezza sul contenuto del documento, può dirci come vede questo testo?
Il testo proposto ammette delle correzioni da parte nostra. E questo è necessario, se non altro per eliminare chiaramente e definitivamente la minima ombra di ambiguità o di malinteso. Da parte nostra, adesso dobbiamo consegnare a Roma una risposta che rifletta la nostra posizione e manifesti senza ambiguità le preoccupazioni della Tradizione. In forza della nostra missione di fedeltà alla Tradizione cattolica, noi non dobbiamo fare dei compromessi. I fedeli, e ancor più i sacerdoti, sanno molto bene che le offerte romane fatte nel passato alle diverse comunità conservatrici erano inaccettabili. Se adesso Roma fa un’offerta alla Fraternità bisogna che questa sia chiaramente e inequivocabilmente per il bene della Chiesa e acceleri il ritorno alla Tradizione. Noi facciamo nostri il pensiero e il modo d’agire di tutta la Chiesa cattolica: la sua missione universale, e questo fu sempre l’ardente desiderio del nostro fondatore: che la Tradizione rifiorisse dovunque nel mondo. È questo che potrebbe giustamente favorire un riconoscimento canonico della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Certi critici dicono che Roma, con questo preambolo, vorrebbe tendere una trappola alla Fraternità: una Fraternità legittimamente integrata potrebbe apportare alla Chiesa moderna il suo “carisma della Tradizione”, ma dovrebbe anche accettare altri percorsi e il pensiero conciliare, nel senso del pluralismo.
Questa critica è del tutto giustificata e dev’essere presa sul serio. Noi non possiamo escludere l’impressione che si stabilirebbe una accettazione silenziosa, che condurrebbe in effetti a quella diversità che relativizza la sola verità: è proprio questa la base del modernismo.
Assisi III e più ancora l’infelice beatificazione di Giovanni Paolo II, insieme a molti altri esempi, dimostrano chiaramente che le autorità della Chiesa non sono sempre pronti ad abbandonare i falsi principi del Vaticano II e le loro conseguenze. Di modo che ogni offerta fatta alla Tradizione deve garantirci la libertà di continuare sia la nostra opera sia la nostra critica nei confronti della «Roma modernista». E per essere franchi, questo sembra molto, molto difficile. Ancora una volta, dev’essere escluso ogni compromesso falso e pericoloso.
È inutile comparare la situazione attuale con gli incontri del 1988. A quell’epoca, Roma voleva impedire ogni autonomia della Fraternità San Pio X, il vescovo che si voleva concedere, forse sì o forse no, avrebbe dovuto dipendere in ogni caso da Roma. A Mons. Marcel Lefebvre questo appariva troppo aleatorio. Se egli avesse ceduto, Roma avrebbe potuto veramente sperare che una Fraternità senza vescovi «propri», una volta o l’altra avrebbe finito con l’orientarsi verso la linea conciliare. Oggi la situazione è tutt’altra. Vi sono quattro vescovi e 550 sacerdoti sparsi nel mondo, mentre le strutture della Chiesa ufficiale si sbriciolano sempre più velocemente. Roma non può più confrontarsi con la Fraternità come fece più di vent’anni fa.
Intravede la possibilità di una risposta positiva? E che la Fraternità sottoscriva il preambolo?
Qui la diplomazia svolge un ruolo importante. All’esterno, Roma vuole salvare la faccia. Il Papa ha già ricevuto troppi rimproveri per aver rimesso la “scomunica” ai nostri vescovi senza preamboli. Se fosse dipeso dalla maggioranza dei vescovi tedeschi, la Fraternità avrebbe dovuto prima firmare un riconoscimento in bianco del Concilio. Del resto, è quello che essi esigono oggi. Il Papa Benedetto XVI non l’ha fatto. Lo stesso dicasi per la liberalizzazione della Messa tridentina, l’altra condizione chiesta dalla Fraternità. In tal modo Roma ha acconsentito per due volte ai desideri della Fraternità. È evidente che oggi si chiede un testo che possa essere presentato al pubblico. La questione sta nel capire se questo testo si possa sottoscrivere. Fra una settimana, i Superiori della Fraternità San Pio X si riuniranno a Roma per discutere della cosa. Ovviamente, dev’essere chiaro al Cardinale Levada e alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che non possono pretendere un testo che a sua volta la Fraternità non potrebbe giustificare di fronte ai suoi membri e ai suoi fedeli.
A chi hanno apportato maggiore vantaggio i colloqui: a Roma o alla Fraternità San Pio X?
È un punto molto interessante, quindi insisto: per noi non si tratta di acquisire un vantaggio. Noi vogliamo rendere nuovamente accessibile a tutta la Chiesa il tesoro che Mons. Lefebvre ci ha trasmesso. Su questo punto, uno statuto canonico sarebbe un beneficio per tutta la Chiesa. Per esempio, si può supporre che un vescovo conservatore possa chiedere ad un sacerdote della Fraternità di venire ad insegnare nel suo seminario diocesano. In più, una regolarizzazione della nostra posizione potrebbe anche significare che dei cattolici, che in altre occasioni si sono lasciati dissuadere da etichettature infamanti, a quel punto osino unirsi a noi. Ma non è di questo che si tratta, da 41 anni la Fraternità si è sviluppata regolarmente, e questo malgrado il pesante argomento della “scomunica”. Quello che più ci importa è la Chiesa cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche noi ripetiamo le parole di San Paolo: «Tradidi quo et accepi», trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo ricevuto.
Ho avuto la possibilità di consultare e tradurre il comunicato di un'Agenzia di informazioni cattolica francese (UNEC), che diffonde un dispaccio settimanale di notizie cristiane. Oggi, essa riferisce su recenti riflessioni di Mons. Fellay, alla vigilia dell'incontro con i superiori dei distretti ad Albano.
Lo trascrivo di seguito, perché possiamo ricavarne spunti che ci fanno entrare in alcune pieghe della difficile questione, che siamo in molti amanti della Tradizione a seguire con attesa piena di speranza e anche di apprensione, a causa dei noti risvolti problematici che tutti conosciamo e che vengono in parte evidenziati da Mons. Fellay, in questa circostanza apparso molto serio e non scherzoso come suo solito. Il che non potrà che dare sostanza e incentivo alla nostra preghiera.
VILLEPREUX/VERSAILLES (ru, 3 octobre 2011). Il 1 ottobre, in occasione della festa delle associazioni della Tradizione cattolica, Mons. Fellay Superiore della FSSPX, ha tenuto una conferenza sulle relazioni tra Roma e la Fraternità.
E' un momento cruciale per la Fraternità, poiché il 14 settembre, dopo tre anni di discussioni teologiche, il card. Levada ha loro consegnato, per la sottoscrizione, un protocollo dottrinale, chiamato « preambolo », che sotto alcuni aspetti ha l'aria di un ultimatum. Si comprende che per il Cardinale è quello o niente per essere « pienamente integrati » nella Chiesa.
Naturalmente Mons. Fellay, che ha convocato a Roma per il 7 ottobre per discuterne tutti i suoi superiori dei distretti del mondo, non poteva dire nulla di definitivo a quell'uditorio. Tuttavia egli ha evidenziato un certo numero di argomenti da prendere in considerazione.
Innanzitutto lo stato assolutamente deprecabile della Chiesa - disperato se lo si guarda con occhi umani -. La mancanza di vocazioni assume livelli catastrofici. Quest'anno solo un centinaio di nuovi preti, nell'ambito di TUTTE le diocesi francesi! Egli ha citato una diocesi francese che aveva 700 parrocchie e che è stata riorganizzata in non più di 70 « affinché ognuna di queste parrocchie possa avere un sacerdote ».
Mons. Fellay ha richiamato la difficoltà per alcuni fedeli di trovarsi in tal modo a 50 Km dal più vicino luogo di Messa. Si dice che l'anno passato l'età media dei preti era di 70 anni e quest'anno di 71. Di questo passo, tra 10 anni, l'età media dei preti sarà di 80 anni, dal momento che il calo allarmante delle vocazioni non arriva a ribaltare la corsa verso la sparizione dei preti cattolici in Francia.
Riguardo al « preambolo », Mons. Fellay ha riepilogato l'evolversi della questione. Ha ricordato che all'inizio la Fraternità aveva chiesto diverse condizioni per « ritrovare la fiducia nei confronti di Roma » : la reintroduzione dell'Antica Messa detta di San Pio V per tutti i sacerdoti del mondo, l'annullamento delle scomuniche dei 4 vescovi della Fraternità di San Pio X, e la costituzione di una commissione teologica per discutere gli errori introdotti nella Chiesa dal Vaticano II.
Mons. Fellay non ha continuato questa riflessione davanti al suo uditorio, ma si può in termini di logica intuirne il seguito: tutte queste condizioni sono state osservate, ma ciò è sufficiente per dare fiducia a Roma? Soprattutto pensando al rifiuto assoluto nei confronti della Fraternità manifestato, oggi più che mai, dall'insieme dei vescovi tedeschi e francesi, si può comprendere la gravità della questione della fiducia.
Già una volta il card. Ratzinger, più di 20 anni fa, aveva ottenuto la firma di Mons. Lefebvre su un accordo similare, ma l'indomani Mons. Lefebvre si sentì obbligato a ritirare la sua sottoscrizione temendo un astuto artificio del Vaticano.
Questa ambiguità vaticana certamente non è assente dal « preambolo » elaborato dallo stesso dicastero romano, cioè la Congregazione della Fede. Ma Mons. Fellay ha nello stesso tempo ricordato che non bisogna più lasciar solo il Papa, perduto tra i Modernisti che intendono distruggere la Chiesa dall'interno.
Tutti questi argomenti sono da ponderare e riflettere prima di rispondere al card. Levada; compito difficile e delicato.
Si potrebbe considerare che i negoziatori delle due parti in causa non fossero del tutto consapevoli di muoversi in una sorta di vicolo cieco che, umanamente parlando, dopo un minimo accordo, porterà a gravissimi dissensi, sia nell'ambito vaticano che in quello della Fraternità.
Perché non si è preferito lo statu quo continuando tranquillamente e pazientemente le discussioni teologiche, attendendo giorni migliori? A noi poveri laici resta un'arma potente: la preghiera del rosario in questo mese di Ottobre, sapendo che la Tuttasanta Vergine Maria schiaccerà sotto il suo tallone il fumo di Satana, sia all'interno che all'esterno della Chiesa.
Del resto è il tema dell'omelia sugli angeli e sul rosario che mons. Fellay ha pronunciato l'indomani, domenica 2 ottobre, a Villepreux. Non siamo infatti in piena battaglia Lepanto II ?
- O.A.M.D.G. -
http://www.radio-silence.tv/index.php?menug=9&menuh=1&idRu=869
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