Ratzinger ai giornalisti,
in occasione della presentazione del suo nuovo libro
"Introduzione allo spirito della liturgia",
a Milano, il 2 aprile 2001 (Tratte dai dispacci delle agenzie ANSA e ADNKRONOS)
Cosi' si esprimeva il futuro Papa Benedetto XVI nei confronti della fraternità San Pio X:
ai fedeli di lingua inglese,
sui contatti fra la Santa Sede e Fraternità San Pio X
FEBBRAIO 2001
Ma, in pratica, circola ogni sorta di indiscrezione e i fedeli cattolici legati alla loro Fede sono inquieti. Che sta succedendo?
Non faremo un rapporto dettagliato dei recenti contatti, ma esporremo alcune considerazioni generali sul quadro complessivo e sui suoi elementi qualitativi. A questo proposito, conoscere esattamente quanto sta accadendo è meno importante di sapere perché sta accadendo. Per di piú che, in questo momento, nessuno tra noi è in grado di sapere con precisione dove porteranno questi contatti. E tuttavia ognuno di noi dev’essere pronto a reagire in funzione di ciò che essi potrebbero produrre.
Per di piú - sesta considerazione - anche se dei negoziati, per tutta una serie di motivi, ivi compresi quelli accennati prima, non portassero a niente, già il semplice fatto di averli intavolati giuocherebbe a favore di Roma e a sfavore della Fraternità. Perché ogni organizzazione cattolica che resiste ad una Roma in crisi, soffre dell’inevitabile tensione interna che deriva dal fatto di doversi mantenere vicino ad una Roma che è sempre sua madre, pur tenendosi lontana dalla sua lebbra neo-modernista. Cosí finirebbe col generarsi inevitabilmente una tensione tra i membri della Fraternità favorevoli ai negoziati e quelli contrarii. Lasciate che Roma faccia un’offerta calcolata per piacere agli uni e dispiacere agli altri, ed ecco che la Fraternità si ritroverà incastrata fino ad un punto di rottura. Roma avrà cosí diviso ciò che non era riuscita a conquistare.
Infine, ottava ed ultima considerazione, “la fede è potente e prevarrà sempre”. È questa la caratteristica della Chiesa Cattolica in confronto ad ogni altra organizzazione umana sulla terra: mantenersi con la Verità e affondare con l’errore. La Roma neo-modernista affonda con gli errori del Vaticano II. La Fraternità San Pio X è riuscita, almeno fino a questo 2001, a svilupparsi grazie alla sua fedeltà alla fede tradizionale della Chiesa. Non appena Roma ritornerà alla Fede - come avverrà necessariamente - essa riprenderà nuovamente a crescere, con la piú grande gioia di tutti. Ugualmente, se la Fraternità sarà infedele alla Tradizione, essa affonderà inevitabilmente e giustamente. Ma “non aver paura, piccolo gregge”, come ha detto Nostro Signore, “il Padre vostro conosce ciò di cui avete bisogno” (Lc XII, 32; Mt VI, 32). Le ànime che cercano Dio non saranno mai prive dei mezzi per trovarlo. Perché Dio ha creato il mondo al solo scopo di attirare a Sé le ànime. Ecco perché, come dice Nostro Signore la Domenica delle Palme ai Farisei infuriati per quello che gridavano i discepoli: “Hosanna al figlio di Davide”, se gli uomini cesseranno di gridare la Fede, le stesse pietre della strada si ergeranno per proclamarla (Lc XIX, 40).
È questo che merita oggi la Fraternità? Il tempo ci darà la risposta.
Personalmente, penso che negli Stati Uniti, in Francia, e dappertutto nel mondo, molti preti della Fraternità lavorano tranquillamente alla loro santificazione e alla salvezza delle ànime, e che tale serio ed umile lavoro è benedetto da Dio. Quindi penso che molti di questi preti ed i fedeli che sono con loro, saranno protetti da Dio perché non precipitino alla corruzione con la Roma attuale. Tuttavia, anche se questa volta avessi ragione, vi sarebbero certamente altri attacchi contro la Fraternità, sia da parte del Demonio, sia da parte della “sua” Roma di oggi, e poiché questi giorni sono tali che se non fossero accorciati si perderebbero perfino gli eletti, non posso dire con certezza se la Fraternità sopravviverà con la sua forma attuale sino alla fine di questo periodo diabolico.
Nessuno può agire prescindendo da Dio, anche se gli uomini hanno fatto di tutto in questo senso. Preghiamo con tutti i mezzi per la Fraternità San Pio X, perché se essa tiene tutto sarà facilitato. Ma al tempo stesso siamo preti, per il caso in cui essa finisse come ogni carne, al fine di non farci prendere dal panico. “Dio solo basta” diceva Santa Teresa d’Avila.
+ Richard Williamson
Winona - febbraio 2001
MONS. BERNARD TISSIER DE MALLERAIS
MARZO 2001
Mons. Bernard Tissier de Mallerais è uno dei quattro Vescovi della Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel 1988.
Attalmente presiede il Seminario della Fraternità a Ecône.
L'omelia è stata pronunciata nella chiesa di Saint-Nicholas du Chardonnet, il 25 marzo 2001, in occasione del X anniversario della chiamata a Dio di Mons. Lefèbvre.
In essa Mons. De Mallerais ha parlato dei recenti contatti tra la Fraternità San Pio X e Roma.
La battaglia di Mons. Lefèbvre per il sacerdozio si concretizza ben presto nella battaglia per la Messa. Nel 1969, piú di trent’anni fa, fu istituita dal Papa Paolo VI una nuova Messa. Una Messa ecumenica, una Messa ambigua, una Messa protestantizzata, e quindi Mons. Lefèbvre disse: no. Egli rifiutò questa nuova Messa, e la criticò. Diede inizio a delle iniziative per impedirla, per farla fallire fin dal suo nascere. Ma non ci riuscí. Essa venne imposta con la forza. Molti preti ne morirono di dispiacere. Un martirio spirituale del dovere: o obbedire e dire la nuova Messa o rifiutarsi di dirla e dar segno di disobbedire al proprio Vescovo, cosa che non vollero fare. Lo stesso martirio spirituale che colpí mons. Lefèbvre. Nel 1974, in visita a Ecône, diceva all’abbé Aulagnier: “Prevedevo che ci sarebbero stati dei contrasti, e avrei preferito morire piuttosto che oppormi al Papa”. Ecco lo spirito con cui ha combattuto mons. Lefèbvre: “Avrei preferito morire piuttosto che oppormi al successore di Pietro, e tuttavia è necessario”. E mons. Lefébvre fu anche l’uomo suscitato dalla Provvidenza per resistere a Pietro, come già Paolo resistette a Pietro: “Tu non segui la verità del Vangelo”. Fu cosí che ebbe inizio la contrapposizione col Papa, contrapposizione che ancora perdura.
Un anno fa mons. Fellay, successore di mons. Lefèbvre, ha scritto una lettera a Sua Santità Giovanni Paolo II, rimproverandogli di non aver fatto penitenza, di non essersi pentito per Assisi. Non v’è stato alcun pentimento per il pentimento. Tuttavia, non disperiamo. Chissà che un giorno non vedremo i segni inequivocabili di un ritorno di Roma alla tradizione. Non sappiamo se questi segni ci si presentano oggi. Siamo molto prudenti e inquieti. Non siamo di quelli che, presi da un entusiasmo esagerato, pensano che da qui a qualche settimana o a qualche mese tutto si aggiusterà. “È necessario che la tradizione ritorni a Roma”, diceva mons. Lefèbvre nel 1988 prima delle consacrazioni. Non basta che ci diano la Messa, occorre che l’accettino con convinzione. Diceva mons. Lefèbvre: non basta che si tratti di una manovra, occorre che la concedino con convinzione: che la dichiarino libera, perfettamente libera, con una certa stima a causa della tradizione. A queste condizioni avremo un primo segno della Provvidenza: il cielo della Roma eterna, oscurato dalle tenebre del modernismo, incomincia a schiarirsi.
Ma fino ad ora non possiamo dire che è giunto questo momento. Rimaniamo molto prudenti, cari fedeli.
Ricordiamo con attenzione le parole di mons. Lefèbvre: “La corruzione della S. Messa continua a corrompere il sacerdozio cattolico”. Vorremmo che Roma lo comprendesse: non si può conservare la nuova Messa che è l’espressione di un nuovo sacerdozio, del sacerdozio comune dei fedeli, un sacerdozio che nasce dal popolo di Dio e non un sacerdozio tutto divino, derivante da una scelta di Dio, da uno speciale Sacramento, quello dell’Ordine, il quale conferisce al prete un potere spirituale che nessun altro cristiano possiede col suo battesimo. È questo che si è voluto confondere con la nuova Messa: il sacerdozio comune dei fedeli, consistente nel loro battesimo, e quindi nella possibilità di ricevere i sacramenti, col sacerdozio gerarchico del prete che consiste nel poter celebrare la Messa e nel tenere sull’altare la divina Vittima del Calvario. Sono due cose del tutto diverse. Lo vedete bene, cari fedeli. Non possiamo confondere il sacerdozio per eccellenza, il sacerdozio del prete, col sacerdozio in senso lato, in senso metaforico, il sacerdozio dei fedeli. È questo che si è voluto fare con la nuova Messa, nella quale l’altare è capovolto, tutti stanno intorno all’altare, si stabilisce un dialogo tra il presidente e il popolo radunato, nella quale non esiste piú quella espressione gerarchica dell’unicità del prete che solo può celebrare la Messa, mentre i fedeli possono solo unirsi al sacrificio di Gesú Cristo. È questa la battaglia essenziale: la battaglia per la Messa. Ed allora è necessario che Roma comprenda questa battaglia, l’ammetta, torni indietro. Non basta che ci conceda la Messa, occorre che l’abbracci, che la stimi. È arrivato questo giorno?
Mons. Lefèbvre diceva anche: “Io sono solo un Vescovo cattolico che ha trasmesso la fede, e sulla mia tomba saranno incise queste parole: Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Ecco la tradizione che mons. Lefèbvre ha dato ai suoi figli, ai preti e ai Vescovi che ha consacrato. Trasmettere ciò che lui stesso aveva ricevuto dalla Chiesa. È questo, cari fedeli, il ruolo del Vescovo, del prete: non farsi apostoli di una nuova dottrina, ma predicare ciò che è stato sempre predicato, insegnare ciò che è stato sempre insegnato. E anche per il Santo Padre, il successore di Pietro, il Vicario di Gesú Cristo - e Dio sa se siamo legati al soglio di Pietro - non dimentichiamo che il suo potere è contenuto entro dei limiti: e cioè nel trasmettere fedelmente e nel conservare santamente il deposito della Fede, e non certo nello scoprire una nuova dottrina per mezzo dello Spirito Santo. Ora, quali sono queste nuove dottrine? La nuova Messa, la Messa del popolo di Dio radunato, l’ecumenismo, la libertà religiosa. Occorre che anche su questi argomenti Roma si converta, occorre che Roma riconosca di aver sbagliato strada con l’ecumenismo, riconoscendo la divinità del paganesimo, dichiarando che Cristo è il compimento di tutte le religioni, errore, questo, molto grave, una eresia, riunire tutte le religioni ad Assisi per far pregare i loro falsi dei e compiere i loro falsi culti. Occorre che vi sia un pentimento sull’ecumenismo, cosí come occorre che vi sia un pentimento per la libertà religiosa, che è un insulto a nostro Signore Gesú Cristo, il solo che abbia diritto di regnare pubblicamente nella società, diritto che non appartiene alle altre religioni, tranne forse quello di essere tollerate per il bene pubblico, ma non certo un diritto naturale che verrebbe loro dall’essere religione; ed allora si saprà chiaramente che si tratta di false religioni, che distolgono le ànime dalla vera religione, dalla grazia di nostro Signore Gesú Cristo, dall’adesione al magistero di Pietro.
Ecco, cari fedeli, una battaglia che dobbiamo continuare a combattere: ricordare Roma a Roma.
Nostro Signore Gesú Cristo ha fondato la sua Chiesa, una Chiesa una, unica. Ciò che il Catechismo del Concilio di Trento chiama la verità della Chiesa. In questo magnifico Catechismo vi è un intero capitolo sulla verità della Chiesa. Occorre che Roma creda nuovamente nella verità della Chiesa cattolica, e di conseguenza nella falsità delle altre chiese, che si pretendono tali, ma non sono la Chiesa. Ecco, miei carissimi fedeli, in cosa consiste la nostra speranza circa dei piccoli segni di un ritorno di Roma a Roma. Ringraziamo il buon Dio, ma senza entusiasmi esagerati o mal riposti, perché conosciamo la battaglia che resta ancora da combattere.
Ierusalem qui aedificatur ut civitas. Gerusalemme è edificata come una città.
Ripetiamo quindi col nostro venerato fondatore: “Ho passato la mia vita a fondare la Chiesa. Non voglio cooperare con gli altri a distruggerla”. Siamo cosí costruttori, carissimi fedeli, e continuiamo a costruire la Chiesa: grazie alla Messa, alle nostre scuole cattoliche, alle nostre famiglie, alle nostre vocazioni sacerdotali e religiose, e, speriamo, grazie all’intercessione del nostro venerato fondatore, e grazie anche a l’intercessione di San Pio V, come ho scritto un po’ di tempo fa al Cardinale Castrillon! “Rendiamo grazie, Eminenza, a San Pio V e a mons. Lefèbvre che ci hanno conservato questo tesoro e ce l’hanno trasmesso: il tesoro del sacrificio della Messa, del sacrificio di nostro Signore Gesú Cristo”. Spero che egli comprenda. Preghiamo, preghiamo perché egli comprenda che senza la Messa non vi è seminario, senza la Messa non vi è prete, senza la Messa non si può ricostruire la Chiesa. Ecco l’intenzione speciale di oggi: il ritorno di Roma alla tradizione, affinché Roma ridiventi Roma per intercessione della Santissima Vergine Maria. Cosí sia.
+ Bernard Tissier de Mallerais
Parigi, 25 marzo 2001
X anniversario della chiamata a Dio del nostro venerato fondatore mons. Marcel Lefèbvre
MONS. ALFONSO DE GALARRETA
GIUGNO 2001
Mons. Alfonso de Galarreta è uno dei quattro Vescovi della Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel 1988.
Attalmente è Superiore del Distretto di Spagna e Portogallo della Fraternità San Pio X
il Seminario della Fraternità a Ecône.
L'omelia è stata pronunciata nel Seminario di Ecône, il 3 giugno 2001.
In essa Mons. De Galarreta ha parlato dei recenti contatti tra la Fraternità San Pio X e Roma.
Roma ha presentato una risposta ufficiale per iscritto, in cui rifiuta le due condizioni che abbiamo poste.
Fin dall’inizio noi volevamo una discussione sui problemi della Fede, sull’attuale apostasia, sulla dottrina, sulla teologia…
Le autorità romane hanno invece impresso ai contatti un orientamento pratico, puramente pratico. Cosa che non ci interessava, anche perché sapevamo bene quale sarebbe stato lo sbocco.
In questa lettera, il Vaticano pone in maniera implicita le condizioni di sempre, e cioè l’accettazione del Concilio, della nuova Messa, della nuova liturgia. In breve: l’accettazione di tutte le riforme e di tutti gli sviluppi derivati dal Concilio. Come vedete, si ritorna alle condizioni di sempre. Cosa che, evidentemente, è impossibile da accettare. Ci si dà tutto e ci si toglie tutto: è solo un inganno. Ci si propone di riconoscerci per quello che siamo, ma ci si vieta di opporci a tutte le riforme. Mentre per noi si tratta di una condizione sine qua non.
Diciamo loro: visto che volete porvi da un punto di vista puramente pratico, lasciando da parte la dottrina, riconosceteci per quello che siamo e dateci la libertà di parlare contro tutte queste cose. Essi invece pongono la stessa condizione, ma al contrario. Dunque il problema di fondo rimane.
Naturalmente noi ci atteniamo ad esso.
Il grande pericolo per noi non è che si ceda sulla dottrina - non v’è nessuno che sia prete che ceda sulla dottrina, questo è fuori discussione - non è questo il problema, quanto piuttosto di scambiare la realtà con i nostri desiderii, di credere possibile l’impossibile, e dunque di credere che Roma ci offra ciò che invece non ci offre. Attualmente le cose sono chiare come il sole, non v’è alcun possibile dubbio, poiché è Roma stessa che pone certe condizioni.
La realtà è quella che è, vedremo se le cose andranno altrimenti. È un peccato, ma è cosí che stanno le cose.
Dunque, a Roma vi sono queste due tendenze moderniste: una speculativa e una pratica. Ma non bisogna dimenticare che il modernismo è stato imposto alla Chiesa per via pratica. La nuova Messa, per esempio, è stata allestita, è stata creata quasi dal niente, da un gruppo di teologi e di liturgisti, da una élite, e nessuno la voleva! Quando mons. Bugnini presentò ai Vescovi la sua Messa normativa, dopo il Concilio, due anni prima della promulgazione della Messa nuova, questi Vescovi la rigettarono a maggioranza; e tuttavia si trattava della stessa Messa che ha imposto Paolo VI; e questo perché questa élite aveva le sue idee e aveva approntato una liturgia, un culto, in consonanza con una nuova teologia, con una nuova religione. Ebbene, per far passare questa nuova Messa, essi hanno agito in termini pratici, nonostante la maggior parte dei fedeli, dei preti e dei Vescovi non la volessero. Il modernismo si è introdotto nella Chiesa in questo modo pratico, non per dei preventivi convincimenti. Solo l’élite era guasta.
A suo tempo Cranmer aveva agito allo stesso modo per introdurre il protestantesimo in Inghilterra. Siamo di fronte ad una situazione identica.
Non possiamo niente contro la verità, ma dobbiamo difendere la verità. Ci si chiede di tacere, e la nostra risposta non può che essere negativa. E tuttavia possiamo lasciare una porta aperta per ribadire le nostre obiezioni nel dominio dottrinale, nel dominio della Fede.
Ecône, 3 giugno 2001
sui contatti con la Santa Sede
maggio 2001
Questo testo è apparso in Cor Unum, n. 68 (febbraio 2001).
Questa pubblicazione della Fraternità Sacerdotale San Pio X è ad uso «privatim».
Ma vista la sua importanza essa interessa tutti i fedeli.
Il Superiore Generale ne ha deciso la diffusione.
Roma farebbe un decreto col quale verrebbe eretta una sorta di quasi-diocesi personale che raggrupperebbe intorno alla Fraternità S. Pio X, che ne sarebbe il nocciolo, tutte le società amiche (ed anche, se fossimo d’accordo, le comunità attualmente sotto l’Ecclesia Dei). Per le nostre attività apostoliche saremmo indipendenti dai Vescovi locali, e i fedeli sarebbero sotto una giurisdizione mista, e cioè non avrebbero bisogno di compiere alcun atto particolare per poter beneficiare dell’apostolato dei nostri preti e ricevere da essi tutti i Sacramenti. Si tratterebbe di una sorta di ratificazione in linea di diritto di ciò che noi siamo e facciamo in linea di fatto. Noi, e in particolare i Vescovi, non avrebbero niente di speciale da sottoscrivere, nessuna dichiarazione particolare, solo la professione di fede che deve pronunciare ogni persona che riceve un incarico ecclesiastico con il giuramento di fedeltà. Si tratterebbe certo della professione di fede e del giuramento di fedeltà del Cardinale Ratzinger, cosa questa che porrebbe qualche difficoltà.
Indietreggia davanti al problema e alle agitazioni che questo causerebbe certo nel mondo postconciliare. Per evitare queste conseguenze, Roma propone una soluzione identica a quella in vigore nel 1988 con la costituzione dell’Ecclesia Dei.
Ogni prete potrebbe chiedere ad una commissione il permesso di celebrare la Messa antica (questa commissione il Vaticano vorrebbe porla alle dipendenze della nuova Amministrazione, una sorta di Ecclesia Dei II). È evidente che in questo modo non possiamo considerare assicurata la prima garanzia richiesta. Basta considerare il modo con cui è applicato oggi il permesso di celebrare la Messa antica nel contesto dell’Ecclesia Dei.
In effetti, diverse ragioni ci impongono la riserva che abbiamo adottato.
Le spiegazioni possono essere diverse, e forse la piú probabile deriva dalla visione ecumenica del Papa. Nel corso di tutto il suo pontificato egli ha sempre ricercato “l’unità”. Ora, la controversia con la nostra Fraternità, da un lato mette in pericolo il suo progetto ecumenico a larga scala, rendendolo non credibile, e dall’altro essa è divenuta una spina dolorosa nel fianco postconciliare. Certi pensano che il gesto del Papa si possa spiegare con un rimorso di coscienza alla fine del suo pontificato. Altri ancora, diplomatici, propongono un altra risposta: la Curia vorrebbe evitare che il prossimo Papa debba portare avanti questo problema. Ancora altri ritengono che Roma, dopo aver regolato il caso della Fraternità San Pietro, voglia rivolgersi alla Fraternità San Pio X. E c’è ancora un’altra spiegazione: spaventati dal disastro attuale, alcuni cercano in noi una forza per controbilanciare i progressisti. Verosimilmente, la risposta è costituita dall’insieme di diverse delle spiegazioni precedenti.
Qual è la linea che Roma segue da trent’anni? Si vedono dei cambiamenti di questa linea? La soluzione che ci viene proposta s’inquadra in questa linea? E tale soluzione corrisponde alle nostre aspettative, ci permetterà di vivere?
Poiché è chiaro che noi non intendiamo cambiare niente della Tradizione, della Santa Messa, della santa dottrina.
In diverse interviste, il Cardinale Castrillon ha dichiarato la sua intenzione di far comprendere ai fedeli tradizionalisti la continuità del Vaticano II con la Tradizione.
Vero o falso?
Il primo principio che dirige la nostra azione riguarda innanzi tutto la conservazione dei beni della Tradizione dottrinale, liturgica e disciplinare. Dio ha permesso che fossimo depositari dei piú grandi tesori della Santa Chiesa: non è piú il momento di salvaguardarli, ma di conservarli a costo della vita.
Un altro principio attiene alla considerazione della indefettibilità della Chiesa, e quindi un “a priori” favorevole non ad ogni discussione, ma alla possibilità di una grazia inattesa, di cui occorre sicuramente verificare l’autenticità prima di procedere oltre.
Dal momento che la situazione romana non è ancora fondamentalmente modificata , nonostante i segni di indebolimento e di disgregazione dell’autorità siano sempre piú chiari, è la sfiducia che domina.
Si tratta di una decisione connessa alla prudenza, circa un atto che deve o non deve compiersi, e ciascuno in teoria può avere la sua opinione. Ma quando si arriva al momento dell’azione, la soluzione si colloca chiaramente nella fiducia nel generale. Siamo in mezzo ad una battaglia formidabile, difficile. Dalla scomparsa di mons. Lefèbvre, abbiamo sostenuto il nostro primo serio corpo a corpo con Roma. Questi contatti non possiamo né dobbiamo evitarli. Fanno parte della guerra. Ma è evidente che è d’obbligo la piú grande prudenza. Il terreno è talmente minato che richiede tutta l’attenzione possibile e non permette l’ingerenza della passione, della paura o dell’esaltazione; esse mimetizzano la realtà e impediscono la corretta azione a causa della cattiva valutazione della realtà stessa. Innanzi tutto, essendo la posta eminentemente soprannaturale, è necessario usare i mezzi soprannaturali, in particolare la preghiera, dei sacrifici e una piú sostenuta applicazione a compiere i doveri del proprio stato.
Esso dovrebbe urtare molti a Roma e nel mondo… Possa esso contribuire alla restaurazione della liturgia romana e della Tradizione.
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