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martedì 20 dicembre 2011

"Ma fin quando Pietro, per un periodo prolungato, come accade oggi, manifesta con le parole e soprattutto con gli atti di aver perso la Fede in maniera impressionante, se non del tutto - cosa che non appare lontana -, allora una organizzazione nella posizione della Fraternità dev’essere, anche per dei motivi soprannaturali, ben lungi dal pensare di precipitarsi sotto le gonne romane".

Dichiarazioni rilasciate da S. Em. Rev.ma Card. Joseph Ratzinger 
Ratzinger ai giornalisti, 

in occasione della presentazione del suo nuovo libro 

"Introduzione allo spirito della liturgia", 

a Milano, il 2 aprile 2001
(Tratte dai dispacci delle agenzie ANSA e ADNKRONOS)

Cosi' si esprimeva il futuro Papa Benedetto XVI nei confronti della fraternità San Pio X:

«Auspico, spero e prego perchè si chiuda la ferita aperta nel 1988 con il movimento dei lefevriani, ma il cammino è ancora lungo». 
«C'è un indurimento forte in questo movimento, noto una chiusura in loro stessi, e questo rende problematico il processo di riconciliazione, almeno in tempi brevi.(posizione confermata nella LETTERA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI AI VESCOVI IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE DELLA LETTERA APOSTOLICA "MOTU PROPRIO DATA" SUMMORUM PONTIFICUM SULL'USO DELLA LITURGIA ROMANA  ANTERIORE ALLA RIFORMA EFFETTUATA NEL 1970). Non c'è bisogno soltanto di un'azione diplomatica, quanto di un cammino spirituale perchè si possa risanare la frattura».
«All'interno della Chiesa le ferite si risanano meglio: se il confronto avviene fuori, le distanze rischiano invece di ampliarsi. Noi dobbiamo fare il possibile per attirare questi nostri fratelli e sorelle, per ridare loro la fiducia che non hanno più. Dobbiamo avere la generosità di accettare che all'interno della Chiesa si esprimano forme rituali diverse nella comune tradizione cristiana, e loro devono comprendere che la liturgia rinnovata è sempre la stessa liturgia della Chiesa.(questa è la più grande falsità che oggi si possa affermare, deve essere che non ha letto il "Breve esame critico del Novu Ordo Missae") Anche se il cammino non sarà breve, come in tutti i conflitti familiari, dobbiamo mettere un punto di inizio nel processo di riconciliazione».


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LETTERA DI MONS. RICHARD WILLIAMSON
ai fedeli di lingua inglese,

sui contatti fra la Santa Sede e Fraternità San Pio X

 FEBBRAIO 2001


                                                                



Mons. Richard Williamson è uno dei quattro Vescovi della Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel 1988. 


Come molti sanno, in questi ultimi mesi si sono ristabiliti dei contatti tra Roma e la Fraternità Sacerdotale San Pio X. Teoricamente dovremmo compiacercene, poiché è la prova che la Fraternità non è un’entità inesistente agli occhi di Roma, come la stessa Roma ha preteso fin dal 1988. 
Ma, in pratica, circola ogni sorta di indiscrezione e i fedeli cattolici legati alla loro Fede sono inquieti. Che sta succedendo?
Innanzi tutto, sia chiaro, che per un verso, nessuna persona ragionevole potrà aspettarsi che, nella mia posizione, io riveli tutto quello che so. Per altro verso, tutto ciò che tocca la Fraternità riguarda ogni cattolico, e quindi, a maggior ragione, ogni cattolico che come tale è impegnato con la Fraternità; ed è logico che questi sia informato, intanto per essere aiutato a comprendere la posta in giuoco, poi per partecipare alla difesa della Chiesa, sua Madre, laddove Nostro Signore l’ha voluta sul campo di battaglia.
Non faremo un rapporto dettagliato dei recenti contatti, ma esporremo alcune considerazioni generali sul quadro complessivo e sui suoi elementi qualitativi. A questo proposito, conoscere esattamente quanto sta accadendo è meno importante di sapere perché sta accadendo. Per di piú che, in questo momento, nessuno tra noi è in grado di sapere con precisione dove porteranno questi contatti. E tuttavia ognuno di noi dev’essere pronto a reagire in funzione di ciò che essi potrebbero produrre.
Prima considerazione: sia chiaro che l’iniziativa dei recenti contatti viene da Roma. È Roma che ha ripreso i contatti l’estate scorsa, e non la Fraternità. Il Cardinale Castrillon Hoyos ha aperto il fuoco con una lettera a ciascuno dei quattro Vescovi, lettere che iniziavano: “Mio caro fratello”, e dove si dichiarava che il Papa era a braccia ben aperte per accoglierci (Io giunsi quasi alle lacrime nel leggerla…).
Seconda considerazione: Era inevitabile che Roma tentasse di riprendere contatto con la Fraternità, non perché la Fraternità è la Fraternità, o per i suoi begli occhi, o per non si sa bene perché, ma a causa del fatto che, per grazia di Dio e della collaborazione umana a questa grazia, la Fraternità si trova ad avere conservato il deposito della Fede, attorno al quale le autorità ufficiali della Chiesa di Cristo piroettano come farfalle intorno al fuoco, anche se esse stesse hanno perduto questo deposito. E anche se la Fraternità perdesse questo deposito - cosa umanamente possibile - e Roma perseverasse a rigettarlo, accadrebbe che un giorno Roma volteggerebbe attorno a qualsiasi altra luce accesa da Dio al posto di una Fraternità che si fosse lasciata prendere essa stessa in trappola.
In terzo luogo, fin quando una organizzazione come la Fraternità conserverà la Fede, mentre Roma non l’avrà piú, essa manterrà una posizione preminente per tutto ciò che attiene agli affari cattolici, e ogni genere, tipo o forma di negoziato che permettesse a Roma di ritornare al posto di comando in questa condizione equivarrebbe ad un tradimento della Fede. Indubbiamente, nel momento in cui Roma ritornasse alla Tradizione, ritroverebbe il suo posto di conduttrice, perché è cosí che Nostro Signore ha edificato la sua Chiesa: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt XVI, 16). Ma fin quando Pietro, per un periodo prolungato, come accade oggi, manifesta con le parole e soprattutto con gli atti di aver perso la Fede in maniera impressionante, se non del tutto - cosa che non appare lontana -, allora una organizzazione nella posizione della Fraternità dev’essere, anche per dei motivi soprannaturali, ben lungi dal pensare di precipitarsi sotto le gonne romane. L’onere della prova spetta a coloro che affermano che sono maturi i tempi per il negoziato, non certo a coloro che affermano il contrario. Impegnarsi in trattative al termine di un tale periodo, senza prima aver prodotto questa prova, sarebbe quasi un tradimento della Fede.

 
E questo - siamo alla nostra quarta considerazione - perché le autorità romane sono dei maestri  nel campo dei negoziati, delle discussioni e degli artifizii, nonché degli assi nel manovrare i loro oppositori. E dalla loro vi sono delle belle teste, e tutto un insieme ben sviluppato di sottili reti d’informazione accompagnato da 2000 anni di esperienza, in grado di disarmare ogni cosa che si pone sul loro cammino. Quando tutte queste vengono utilizzate a giusto titolo al servizio di Nostro Signore, il risultato è magnifico. Ma quando, come adesso, il tutto è a servizio del Vaticano II, provare a negoziare con le autorità romane sarebbe per la Fraternità un immancabile pericolo. Certo, Nostro Signore ha detto ai suoi discepoli: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, ma questa, salvo i casi di estrema necessità, non è una ragione per gettarsi nella gola del predatore! È vero che le autorità romane possono sempre convertirsi, ma se si guarda agli ultimi 40 anni di vita del Vaticano, l’onere della prova spetta a coloro che affermano che si sono convertiti, e non certo a quelli che assicurano, sulla base dei fatti constatati a Roma, che i primi rimangono sempre dei lupi, delle volpi, dei pescecani.
Tuttavia - quinta considerazione - essendo anche Roma un disegno di Nostro Signore, il centro di comando della Chiesa cattolica, ne deriva che se una organizzazione come la Fraternità, con dei negoziati, potesse strappare delle importanti concessioni ai “pescecani”, queste concessioni potrebbero costituire un gran beneficio per la Chiesa universale; e questo è lo scenario piú ottimista che potrebbe tentare di realizzare una organizzazione come la Fraternità. Ma se i pescecani restano pescecani, per esempio al servizio del Vaticano II, come potrebbero onestamente mettere in pratica le loro concessioni? E se in cambio riuscissero a piazzare un guinzaglio e/o una museruola  alla Fraternità, che fino ad allora ha mantenuto la libertà di servire Iddio al meglio delle sue possibilità, cosa avrebbe guadagnato la Fraternità in cambio delle perduta libertà di servire Iddio?
 
Per di piú - sesta considerazione - anche se dei negoziati, per tutta una serie di motivi, ivi compresi quelli accennati prima, non portassero a niente, già il semplice fatto di averli intavolati giuocherebbe a favore di Roma e a sfavore della Fraternità. Perché ogni organizzazione cattolica che resiste ad una Roma in crisi, soffre dell’inevitabile tensione interna che deriva dal fatto di doversi mantenere vicino ad una Roma che è sempre sua madre, pur tenendosi lontana dalla sua lebbra neo-modernista. Cosí finirebbe col generarsi inevitabilmente una tensione tra i membri della Fraternità favorevoli ai negoziati e quelli contrarii. Lasciate che Roma faccia un’offerta calcolata per piacere agli uni e dispiacere agli altri, ed ecco che la Fraternità si ritroverà incastrata fino ad un punto di rottura. Roma avrà cosí diviso ciò che non era riuscita a conquistare.
Nel 1921, gli insorti irlandesi combattevano contro l’Impero Britannico, riuscendo a paralizzarlo. Astutamente gli Inglesi decisero un cessate il fuoco e proposero un trattato di pace che divideva gli Irlandesi in due. Il risultato immediato fu che nel 1922, invece di lottare contro gli Inglesi, gli Irlandesi cominciarono a combattere gli uni contro gli altri. I Britannici furono i maestri d’astuzia di un grande impero, ma paragonati alle attuali autorità della Chiesa, erano dei debuttanti.
Questo significa - settima considerazione - che ogni organizzazione che si trovi nella posizione della Fraternità ha buone possibilità di cadere in una trappola romana. Al massimo otterrebbe delle concessioni senza assicurazione, in cambio della perdita della libertà, questa sí certa. Al peggio non otterrebbe nulla e ne uscirebbe divisa. Si potrebbe dire che la tattica migliore per la Fraternità sarebbe quella di non parlare affatto con Roma…, ma per i cattolici questa è una cosa piú facile a dire che a fare.
 
Infine, ottava ed ultima considerazione, “la fede è potente e prevarrà sempre”. È questa la caratteristica della Chiesa Cattolica in confronto ad ogni altra organizzazione umana sulla terra: mantenersi con la Verità e affondare con l’errore. La Roma neo-modernista affonda con gli errori del Vaticano II. La Fraternità San Pio X è riuscita, almeno fino a questo 2001, a svilupparsi grazie alla sua fedeltà alla fede tradizionale della Chiesa. Non appena Roma ritornerà alla Fede - come avverrà necessariamente - essa riprenderà nuovamente a crescere, con la piú grande gioia di tutti. Ugualmente, se la Fraternità sarà infedele alla Tradizione, essa affonderà inevitabilmente e giustamente. Ma “non aver paura, piccolo gregge”, come ha detto Nostro Signore, “il Padre vostro conosce ciò di cui avete bisogno” (Lc XII, 32; Mt VI, 32). Le ànime che cercano Dio non saranno mai prive dei mezzi per trovarlo. Perché Dio ha creato il mondo al solo scopo di attirare a Sé le ànime. Ecco perché, come dice Nostro Signore la Domenica delle Palme ai Farisei infuriati per quello che gridavano i discepoli: “Hosanna al figlio di Davide”, se gli uomini cesseranno di gridare la Fede, le stesse pietre della strada si ergeranno per proclamarla (Lc XIX, 40).
La Roma attuale potrà forse riuscire - scenario catastrofico - nel suo tentativo di neutralizzare la Fraternità San Pio X e di ridurla al silenzio, ma se ci riuscirà si tratterebbe solo del giusto castigo di Dio, e la Fede sarebbe in ogni modo soccorsa altrove in qualche parte. 
È questo che merita oggi la Fraternità? Il tempo ci darà la risposta.
Personalmente, penso che negli Stati Uniti, in Francia, e dappertutto nel mondo, molti preti della Fraternità  lavorano tranquillamente alla loro santificazione e alla salvezza delle ànime, e che tale serio ed umile lavoro è benedetto da Dio. Quindi penso che molti di questi preti ed i fedeli che sono con loro, saranno protetti da Dio perché non precipitino alla corruzione con la Roma attuale. Tuttavia, anche se questa volta avessi ragione, vi sarebbero certamente altri attacchi contro la Fraternità, sia da parte del Demonio, sia da parte della “sua” Roma di oggi, e poiché questi giorni sono tali che se non fossero accorciati si perderebbero perfino gli eletti, non posso dire con certezza se la Fraternità sopravviverà con la sua forma attuale sino alla fine di questo periodo diabolico.
Ma il problema non è di sapere se sarà cosí o in un altro modo, o di saperlo o meno. Non devo preoccuparmi oggi dei problemi di domani. “Ad ogni giorno basti la sua pena” (Mt, VI, 34). Comportiamoci il meglio possibile, giorno dopo giorno, e il resto lasciamolo nelle mani di Dio. È un suo problema.
Nessuno può agire prescindendo da Dio, anche se gli uomini hanno fatto di tutto in questo senso. Preghiamo con tutti i mezzi per la Fraternità San Pio X, perché se essa tiene tutto sarà facilitato. Ma al tempo stesso siamo preti, per il caso in cui essa finisse come ogni carne, al fine di non farci prendere dal panico. “Dio solo basta” diceva Santa Teresa d’Avila.
                                                                                                        
+ Richard Williamson
Winona - febbraio 2001
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BRANI DI UNA OMELIA PRONUNCIATA DA 
MONS. BERNARD TISSIER DE MALLERAIS

 
 MARZO 2001


 
Mons. Bernard Tissier de Mallerais è uno dei quattro Vescovi della Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel 1988. 
Attalmente presiede il Seminario della Fraternità a Ecône.

L'omelia è stata pronunciata nella chiesa di Saint-Nicholas du Chardonnet, il 25 marzo 2001, in occasione del X anniversario della chiamata a Dio di Mons. Lefèbvre. 

In essa Mons. De Mallerais ha parlato dei recenti contatti tra la Fraternità San Pio X e Roma.



La battaglia di Mons. Lefèbvre per il sacerdozio si concretizza ben presto nella battaglia per la Messa. Nel 1969, piú di trent’anni fa, fu istituita dal Papa Paolo VI una nuova Messa. Una Messa ecumenica, una Messa ambigua, una Messa protestantizzata, e quindi Mons. Lefèbvre disse: no. Egli rifiutò questa nuova Messa, e la criticò. Diede inizio a delle iniziative per impedirla, per farla fallire fin dal suo nascere. Ma non ci riuscí. Essa venne imposta con la forza. Molti preti ne morirono di dispiacere. Un martirio spirituale del dovere: o obbedire e dire la nuova Messa o rifiutarsi di dirla e dar segno di disobbedire al proprio Vescovo, cosa che non vollero fare. Lo stesso martirio spirituale che colpí mons. Lefèbvre. Nel 1974, in visita a Ecône, diceva all’abbé Aulagnier: “Prevedevo che ci sarebbero stati dei contrasti, e avrei preferito morire piuttosto che oppormi al Papa”. Ecco lo spirito con cui ha combattuto mons. Lefèbvre: “Avrei preferito morire piuttosto che oppormi al successore di Pietro, e tuttavia è necessario”. E mons. Lefébvre fu anche l’uomo suscitato dalla Provvidenza per resistere a Pietro, come già Paolo resistette a Pietro: “Tu non segui la verità del Vangelo”. Fu cosí che ebbe inizio la contrapposizione col Papa, contrapposizione che ancora perdura.
Un anno fa mons. Fellay, successore di mons. Lefèbvre, ha scritto una lettera a Sua Santità Giovanni Paolo II, rimproverandogli di non aver fatto penitenza, di non essersi pentito per Assisi. Non v’è stato alcun pentimento per il pentimento. Tuttavia, non disperiamo. Chissà che un giorno non vedremo i segni inequivocabili di un ritorno di Roma alla tradizione. Non sappiamo se questi segni ci si presentano oggi. Siamo molto prudenti e inquieti. Non siamo di quelli che, presi da un entusiasmo esagerato, pensano che da qui a qualche settimana o a qualche mese tutto si aggiusterà. “È necessario che la tradizione ritorni a Roma”, diceva mons. Lefèbvre nel 1988 prima delle consacrazioni. Non basta che ci diano la Messa, occorre che l’accettino con convinzione. Diceva mons. Lefèbvre: non basta che si tratti di una manovra, occorre che la concedino con convinzione: che la dichiarino libera, perfettamente libera, con una certa stima a causa della tradizione. A queste condizioni avremo un primo segno della Provvidenza: il cielo della Roma eterna, oscurato dalle tenebre del modernismo, incomincia a schiarirsi.
Ma fino ad ora non possiamo dire che è giunto questo momento. Rimaniamo molto prudenti, cari fedeli.
Ricordiamo con attenzione le parole di mons. Lefèbvre: “La corruzione della S. Messa continua a corrompere il sacerdozio cattolico”. Vorremmo che Roma lo comprendesse: non si può conservare la nuova Messa che è l’espressione di un nuovo sacerdozio, del sacerdozio comune dei fedeli, un sacerdozio che nasce dal popolo di Dio e non un sacerdozio tutto divino, derivante da una scelta di Dio, da uno speciale Sacramento, quello dell’Ordine, il quale conferisce al prete un potere spirituale che nessun altro cristiano possiede col suo battesimo. È questo che si è voluto confondere con la nuova Messa: il sacerdozio comune dei fedeli, consistente nel loro battesimo, e quindi nella possibilità di ricevere i sacramenti, col sacerdozio gerarchico del prete che consiste nel poter celebrare la Messa e nel tenere sull’altare la divina Vittima del Calvario. Sono due cose del tutto diverse. Lo vedete bene, cari fedeli. Non possiamo confondere il sacerdozio per eccellenza, il sacerdozio del prete, col sacerdozio in senso lato, in senso metaforico, il sacerdozio dei fedeli. È questo che si è voluto fare con la nuova Messa, nella quale l’altare è capovolto, tutti stanno intorno all’altare, si stabilisce un dialogo tra il presidente e il popolo radunato, nella quale non esiste piú quella espressione gerarchica dell’unicità del prete che solo può celebrare la Messa, mentre i fedeli possono solo unirsi al sacrificio di Gesú Cristo. È questa la battaglia essenziale: la battaglia per la Messa. Ed allora è necessario che Roma comprenda questa battaglia, l’ammetta, torni indietro. Non basta che ci conceda la Messa, occorre che l’abbracci, che la stimi. È arrivato questo giorno?
Mons. Lefèbvre diceva anche: “Io sono solo un Vescovo cattolico che ha trasmesso la fede, e sulla mia tomba saranno incise queste parole: Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Ecco la tradizione che mons. Lefèbvre ha dato ai suoi figli, ai preti e ai Vescovi che ha consacrato. Trasmettere ciò che lui stesso aveva ricevuto dalla Chiesa. È questo, cari fedeli, il ruolo del Vescovo, del prete: non farsi apostoli di una nuova dottrina, ma predicare ciò che è stato sempre predicato, insegnare ciò che è stato sempre insegnato. E anche per il Santo Padre, il successore di Pietro, il Vicario di Gesú Cristo - e Dio sa se siamo legati al soglio di Pietro - non dimentichiamo che il suo potere è contenuto entro dei limiti: e cioè nel trasmettere fedelmente e nel conservare santamente il deposito della Fede, e non certo nello scoprire una nuova dottrina per mezzo dello Spirito Santo. Ora, quali sono queste nuove dottrine? La nuova Messa, la Messa del popolo di Dio radunato, l’ecumenismo, la libertà religiosa. Occorre che anche su questi argomenti Roma si converta, occorre che Roma riconosca di aver sbagliato strada con l’ecumenismo, riconoscendo la divinità del paganesimo, dichiarando che Cristo è il compimento di tutte le religioni, errore, questo, molto grave, una eresia, riunire tutte le religioni ad Assisi per far pregare i loro falsi dei e compiere i loro falsi culti. Occorre che vi sia un pentimento sull’ecumenismo, cosí come occorre che vi sia un pentimento per la libertà religiosa, che è un insulto a nostro Signore Gesú Cristo, il solo che abbia diritto di regnare pubblicamente nella società, diritto che non appartiene alle altre religioni, tranne forse quello di essere tollerate per il bene pubblico, ma non certo un diritto naturale che verrebbe loro dall’essere religione; ed allora si saprà chiaramente che si tratta di false religioni, che distolgono le ànime dalla vera religione, dalla grazia di nostro Signore Gesú Cristo, dall’adesione al magistero di Pietro.
Ecco, cari fedeli, una battaglia che dobbiamo continuare a combattere: ricordare Roma a Roma.
Nostro Signore Gesú Cristo ha fondato la sua Chiesa, una Chiesa una, unica. Ciò che il Catechismo del Concilio di Trento chiama la verità della Chiesa. In questo magnifico Catechismo vi è un intero capitolo sulla verità della Chiesa. Occorre che Roma creda nuovamente nella verità della Chiesa cattolica, e di conseguenza nella falsità delle altre chiese, che si pretendono tali, ma non sono la Chiesa. Ecco, miei carissimi fedeli, in cosa consiste la nostra speranza circa dei piccoli segni di un ritorno di Roma a Roma. Ringraziamo il buon Dio, ma senza entusiasmi esagerati o mal riposti, perché conosciamo la battaglia che resta ancora da combattere.
Ierusalem qui aedificatur ut civitas. Gerusalemme è edificata come una città.
Ripetiamo quindi col nostro venerato fondatore: “Ho passato la mia vita a fondare la Chiesa. Non voglio cooperare con gli altri a distruggerla”. Siamo cosí costruttori, carissimi fedeli, e continuiamo a costruire la Chiesa: grazie alla Messa, alle nostre scuole cattoliche, alle nostre famiglie, alle nostre vocazioni sacerdotali e religiose, e, speriamo, grazie all’intercessione del nostro venerato fondatore, e grazie anche a l’intercessione di San Pio V, come ho scritto un po’ di tempo fa al Cardinale Castrillon! “Rendiamo grazie, Eminenza, a San Pio V e a mons. Lefèbvre che ci hanno conservato questo tesoro e ce l’hanno trasmesso: il tesoro del sacrificio della Messa, del sacrificio di nostro Signore Gesú Cristo”. Spero che egli comprenda. Preghiamo, preghiamo perché egli comprenda che senza la Messa non vi è seminario, senza la Messa non vi è prete, senza la Messa non si può ricostruire la Chiesa. Ecco l’intenzione speciale di oggi: il ritorno di Roma alla tradizione, affinché Roma ridiventi Roma per intercessione della Santissima Vergine Maria. Cosí sia.
+ Bernard Tissier de Mallerais
Parigi, 25 marzo 2001
X anniversario della chiamata a Dio del nostro venerato fondatore mons. Marcel Lefèbvre 
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BRANI DI UNA OMELIA PRONUNCIATA DA 
MONS. ALFONSO DE GALARRETA

 
 GIUGNO 2001



 
Mons. Alfonso de Galarreta è uno dei quattro Vescovi della Fraternità San Pio X consacrati da Mons. Lefèbvre nel 1988. 
Attalmente è Superiore del Distretto di Spagna e Portogallo della Fraternità San Pio X
il Seminario della Fraternità a Ecône.
L'omelia è stata pronunciata nel Seminario di Ecône, il 3 giugno 2001. 
In essa Mons. De Galarreta ha parlato dei recenti contatti tra la Fraternità San Pio X e Roma.


Vorrei presentarvi il mio punto di vista circa i contatti che abbiamo con Roma.
Roma ha presentato una risposta ufficiale per iscritto, in cui rifiuta le due condizioni che abbiamo poste.
Fin dall’inizio noi volevamo una discussione sui problemi della Fede, sull’attuale apostasia, sulla dottrina, sulla teologia… 
Le autorità romane hanno invece impresso ai contatti un orientamento pratico, puramente pratico. Cosa che non ci interessava, anche perché sapevamo bene quale sarebbe stato lo sbocco. 
In questa lettera, il Vaticano pone in maniera implicita le condizioni di sempre, e cioè l’accettazione del Concilio, della nuova Messa, della nuova liturgia. In breve: l’accettazione di tutte le riforme e di tutti gli sviluppi derivati dal Concilio. Come vedete, si ritorna alle condizioni di sempre. Cosa che, evidentemente, è impossibile da accettare. Ci si dà tutto e ci si toglie tutto: è solo un inganno. Ci si propone di riconoscerci per quello che siamo, ma ci si vieta di opporci a tutte le riforme. Mentre per noi si tratta di una condizione sine qua non
Diciamo loro: visto che volete porvi da un punto di vista puramente pratico, lasciando da parte la dottrina, riconosceteci per quello che siamo e dateci la libertà di parlare contro tutte queste cose. Essi invece pongono la stessa condizione, ma al contrario. Dunque il problema di fondo rimane. 
Naturalmente noi ci atteniamo ad esso.
Occorre dire che possiamo constatare che a Roma, tra coloro che si interessano a noi, vi sono essenzialmente due diverse tendenze: quella dei modernisti speculativi, piú intellettuali e quindi piú logici, piú coerenti, e anche piú settarii, e quella dei modernisti pragmatici, piú pratici, evidentemente piú conservatori poiché si adattano alle realtà, quindi piú accomodanti nei nostro confronti, ma anche piú falsi, piú doppi. Non parlo delle intenzioni, ma parlo obiettivamente, guardando i fatti: guardando alle posizioni delle persone, indipendentemente dalle intenzioni o dai desiderii.
Il grande pericolo per noi non è che si ceda sulla dottrina - non v’è nessuno che sia prete che ceda sulla dottrina, questo è fuori discussione - non è questo il problema, quanto piuttosto di scambiare la realtà con i nostri desiderii, di credere possibile l’impossibile, e dunque di credere che Roma ci offra ciò che invece non ci offre. Attualmente le cose sono chiare come il sole, non v’è alcun possibile dubbio, poiché è Roma stessa che pone certe condizioni. 
La realtà è quella che è, vedremo se le cose andranno altrimenti. È un peccato, ma è cosí che stanno le cose.
Dunque, a Roma vi sono queste due tendenze moderniste: una speculativa e una pratica. Ma non bisogna dimenticare che il modernismo è stato imposto alla Chiesa per via pratica. La nuova Messa, per esempio, è stata allestita, è stata creata quasi dal niente, da un gruppo di teologi e di liturgisti, da una élite, e nessuno la voleva! Quando mons. Bugnini presentò ai Vescovi la sua Messa normativa, dopo il Concilio, due anni prima della promulgazione della Messa nuova, questi Vescovi la rigettarono a maggioranza; e tuttavia si trattava della stessa Messa che ha imposto Paolo VI; e questo perché questa élite aveva le sue idee e aveva approntato una liturgia, un culto, in consonanza con una nuova teologia, con una nuova religione. Ebbene, per far passare questa nuova Messa, essi hanno agito in termini pratici, nonostante la maggior parte dei fedeli, dei preti e dei Vescovi non la volessero. Il modernismo si è introdotto nella Chiesa in questo modo pratico, non per dei preventivi convincimenti. Solo l’élite era guasta. 
A suo tempo Cranmer aveva agito allo stesso modo per introdurre il protestantesimo in Inghilterra. Siamo di fronte ad una situazione identica.
Ed ecco che Roma ci tenta di nuovo. Ci dà tutto, ma vuole che noi si avalli il Concilio. Come dire alla polizia: potete parlare contro il furto, contro il crimine…, ma non potete toccare un solo ladro, un solo criminale; dovete rispettare i suoi diritti ed essi faranno come vogliono. Come se ci si dicesse: potete giuocare ai Don Chisciotte, andare contro i mulini a vento, perseguitare gli intelletti, in astratto, ma non toccate le realtà. No, noi non possiamo: è un problema di Fede, molto semplicemente. Non è una questione di persone, o di obbedienza, o di carità, né di disciplina, o di rispetto, né di questo o di quello: è un problema di Fede. E mai accetteremo un accordo pratico che avesse come condizione di far tacere la voce della Tradizione, la voce della Fede cattolica.
Non possiamo niente contro la verità, ma dobbiamo difendere la verità. Ci si chiede di tacere, e la nostra risposta non può che essere negativa. E tuttavia possiamo lasciare una porta aperta per ribadire le nostre obiezioni nel dominio dottrinale, nel dominio della Fede.
Certuni potrebbero dire: ma allora non bisognerebbe avere nessun contatto. Io dico: no, o meglio, dipende. È una questione di prudenza. Per principio occorre averli, poiché è possibile che Dio accordi la sua grazia ad alcuni di essi, noi non lo sappiamo. In questo caso è nostro dovere rendere testimonianza alla verità, e rendere ragione della nostra posizione e del nostro atteggiamento, e questo a Roma o dovunque, ma soprattutto a Roma…
+ Alfonso de Galarreta
Ecône, 3 giugno 2001  
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Posizione ufficiale della Fraternità San Pio X
sui contatti con la Santa Sede

 maggio 2001

 
 
Questo testo è apparso in Cor Unum, n. 68 (febbraio 2001). 
Questa pubblicazione della Fraternità Sacerdotale San Pio X è ad uso «privatim»
Ma vista la sua importanza essa interessa tutti i fedeli. 
Il Superiore Generale ne ha deciso la diffusione.



Cari membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X
Tra gli avvenimenti che hanno segnato la vita della Fraternità in questi ultimi mesi, bisogna certamente menzionare lo sviluppo delle relazioni con Roma. Come avete potuto leggere nel nostro comunicato di gennaio, il Vaticano ci ha avvicinato alla fine dell’anno scorso, nella persona del Cardinale Castrillon Hoyos, e ci ha presentato una proposta di accordo.
Di essa erano tracciate solo le grandi linee, ed era un po’ presto per potervi comunicare qualcosa di concreto; ma alcune indiscrezioni provenienti dall’àmbito dell’Ecclesia Dei ci hanno costretti a parlarne per comunicarvi ciò di cui eravamo allora a conoscenza.
In séguito, abbiamo ottenuto da Roma delle precisazioni sul progetto. 
Roma farebbe un decreto col quale verrebbe eretta una sorta di quasi-diocesi personale che raggrupperebbe intorno alla Fraternità S. Pio X, che ne sarebbe il nocciolo, tutte le società amiche (ed anche, se fossimo d’accordo, le comunità attualmente sotto l’Ecclesia Dei). Per le nostre attività apostoliche saremmo indipendenti dai Vescovi locali, e i fedeli sarebbero sotto una giurisdizione mista, e cioè non avrebbero bisogno di compiere alcun atto particolare per poter beneficiare dell’apostolato dei nostri preti e ricevere da essi tutti i Sacramenti. Si tratterebbe di una sorta di ratificazione in linea di diritto di ciò che noi siamo e facciamo in linea di fatto. Noi, e in particolare i Vescovi, non avrebbero niente di speciale da sottoscrivere, nessuna dichiarazione particolare, solo la professione di fede che deve pronunciare ogni persona che riceve un incarico ecclesiastico con il giuramento di fedeltà. Si tratterebbe certo della professione di fede e del giuramento di fedeltà del Cardinale Ratzinger, cosa questa che porrebbe qualche difficoltà.
Ma prima di intraprendere realmente ogni discussione, abbiamo chiesto al Vaticano due condizioni: si tratterebbe di dare a tutti i preti del mondo la possibilità di celebrare la Messa tridentina, dichiarando che questa Messa non è mai stata abrogata ed è legittima. Ed abbiamo anche chiesto che sia ritirato il decreto di scomunica. Illustriamo dopo le ragioni di queste due garanzie.
Sembra che Roma non abbia difficoltà ad accettare la seconda condizione, ma per la prima ésita. 
Indietreggia davanti al problema e alle agitazioni che questo causerebbe certo nel mondo postconciliare. Per evitare queste conseguenze, Roma propone una soluzione identica a quella in vigore nel 1988 con la costituzione dell’Ecclesia Dei. 
Ogni prete potrebbe chiedere ad una commissione il permesso di celebrare la Messa antica (questa commissione il Vaticano vorrebbe porla alle dipendenze della nuova Amministrazione, una sorta di Ecclesia Dei II). È evidente che in questo modo non possiamo considerare assicurata la prima garanzia richiesta. Basta considerare il modo con cui è applicato oggi il permesso di celebrare la Messa antica nel contesto dell’Ecclesia Dei.
Cosí, malgrado l’ottima proposta avanzata da Roma, abbiamo deciso di sospendere ogni discussione per un certo tempo.
In effetti, diverse ragioni ci impongono la riserva che abbiamo adottato.
L’insieme dei fatti, al pari dell’inizio dei negoziati, richiedono numerose considerazioni, a diversi livelli: in primo luogo l’atteggiamento generale di Roma. Secondariamente il perché delle garanzie. E terzo il nostro comportamento.
 
L’atteggiamento di Roma.
Perché Roma avanza oggi tali proposte? Bisogna vedervi necessariamente un’intenzione maligna? 
Le spiegazioni possono essere diverse, e forse la piú probabile deriva dalla visione ecumenica del Papa. Nel corso di tutto il suo pontificato egli ha sempre ricercato “l’unità”. Ora, la controversia con la nostra Fraternità, da un lato mette in pericolo il suo progetto ecumenico a larga scala, rendendolo non credibile, e dall’altro essa è divenuta una spina dolorosa nel fianco postconciliare. Certi pensano che il gesto del Papa si possa spiegare con un rimorso di coscienza alla fine del suo pontificato. Altri ancora, diplomatici, propongono un altra risposta: la Curia vorrebbe evitare che il prossimo Papa debba portare avanti questo problema. Ancora altri ritengono che Roma, dopo aver regolato il caso della Fraternità San Pietro, voglia rivolgersi alla Fraternità San Pio X. E c’è ancora un’altra spiegazione: spaventati dal disastro attuale, alcuni cercano in noi una forza per controbilanciare i progressisti. Verosimilmente, la risposta è costituita dall’insieme di diverse delle spiegazioni precedenti.
Ma se l’intenzione dei nostri interlocutori romani giuoca un ruolo molto importante nell’esame della situazione, non si può dire lo stesso della buona fede o della buona volontà, che non vi giuocano alcun ruolo. E per risolvere la questione dell’opportunità delle discussioni romane, non basta l’esame dell’intenzione dei nostri interlocutori; occorre che ci portiamo in un dominio piú obiettivo, quello dei fatti. 
Qual è la linea che Roma segue da trent’anni? Si vedono dei cambiamenti di questa linea? La soluzione che ci viene proposta s’inquadra in questa linea? E tale soluzione corrisponde alle nostre aspettative, ci permetterà di vivere? 
Poiché è chiaro che noi non intendiamo cambiare niente della Tradizione, della Santa Messa, della santa dottrina.
Quanto alla linea generale, non vediamo alcun atto o documento che possa indicare un cambiamento di direzione a Roma. Al contrario, l’anno giubilare ha portato a termine tutto il programma previsto e annunciato dal Papa Giovanni Paolo II già da sei anni. Un’ecumenismo sfrenato che abbiamo giustamente deplorato e contestato. La richiesta di perdono, la giornata dei testimoni della fede e la beatificazione di Giovanni XXIII, ne sono gli esempii piú eclatanti; essi manifestano la volontà del Papa e dimostrano la sua determinazione, che non è diminuita malgrado la sua malattia, che avanza anch’essa. Il riferimento a cui si rinvia per giustificare gli atti e le dichiarazioni è sempre il Concilio Vaticano II e il suo spirito. In questa fine di pontificato, vi sono molti malcontenti nella Curia, e un certo numero lo sono per delle buone ragioni, ma le vere buone volontà sembrano pesare assai debolmente a fianco del male immenso che si continua a fare.
Se è vero, per esempio, che il documento del Cardinale Ratzinger, Dominus Iesus, ricorda un buon numero di verità tradizionali in una maniera inusitatamente forte, è anche vero che lo stesso documento contiene tutte le novità del Vaticano II per quanto attiene alle relazioni con le altre religioni, cristiane o no.
Inoltre, le diverse operazioni intraprese contro la Fraternità San Pietro e gli altri movimenti dell’Ecclesia Dei in questi ultimi due anni, dimostrano con molta chiarezza che l’intenzione di Roma è di giungere a far condividere a tutti i soggetti dell’Ecclesia Dei adflicta sia il Vaticano II sia la nuova liturgia. Tutte le garanzie circa la conservazione dell’“identità” non servono a rassicurarci, né peraltro rassicurano gli stessi membri della Fraternità San Pietro o di Una Voce, come certuni ci hanno fatto sapere discretamente. Non solo lo stesso Cardinale Castrillon, incaricato direttamente dal Papa per regolare la nostra questione, decapita la Fraternità San Pietro, perché «il suo Superiore ha voluto imporre un giuramento contro la nuova Messa», ma prepara delle modifiche del rito atte a renderlo chiaramente piú simile alla Messa nuova. Per quanto ne sappiamo, si tratterebbe di introdurre nella Messa tridentina il nuovo calendario e i nuovi lezionarii (Il Cardinale, con noi, ha negato tale intenzione, ma in ottobre, in una lettera a Michael Davies, egli ha parlato della preparazione di adattamenti che saranno introdotti al momento opportuno; in generale si parla dell’adozione delle rubriche del 1965). Nella stessa lettera al Presidente di Una Voce Internazionale, egli scrive che, tra le condizioni elencate nel decreto d’indulto del 1984 (Quattuor abhinc annos), la sola che l’Ecclesia Dei considera ancora in vigore è la «nullam partem»: si concederà la celebrazione della Messa antica solo a coloro che non hanno alcun rapporto con quelli che mettono in discussione l’ortodossia e la legittimità della nuova Messa.
In diverse interviste, il Cardinale Castrillon ha dichiarato la sua intenzione di far comprendere ai fedeli tradizionalisti la continuità del Vaticano II con la Tradizione.
In tali frangenti, come interpretare il gesto di Roma nei confronti della Fraternità San Pio X in questa fine del ventesimo secolo? È chiaro che l’approccio di Roma si presenta come un trabocchetto. Ed è per questo che nel nostro comunicato abbiamo parlato di «estrema sfiducia».
Tuttavia, la situazione si complica ulteriormente per il fatto che in questa fine di pontificato regna sempre piú fortemente una sorta di anarchia intorno al Papa: ognuno cerca di ottenere ciò che corrisponde ai suoi interessi, da un Papa che sembra non avere piú il controllo della situazione. In tal modo, anche se la cosa appare contraddittoria, non possiamo escludere che il Papa e/o il Cardinale Castrillon vogliano veramente giungere ad una soluzione duratura per noi.
Ci troviamo al di fuori di ogni razionalità. Vi è una parte di marcato illogismo quando sentiamo queste stesse autorità affermare e insistere che dalla Fraternità si attendono «che essa lotti contro il modernismo e il liberalismo nella Chiesa»; e quando ci si assicura che il Papa stesso si associa o si identifica con questa battaglia! Il messaggio che si tenta di far passare è il seguente: il Papa è con voi, ma non può dirlo. Egli è per la Messa antica, ma non lo dirà mai, poiché questo causerebbe troppi problemi nella Chiesa. 
Vero o falso?
Le nostre conversazioni hanno mostrato molto chiaramente che il nostro interlocutore non comprende o fa finta di non comprendere la nostra posizione dottrinale e liturgica.
Curiosamente, le ultime nomine alla Commissione Ecclesia Dei sono state fatte all’insaputa di colui che il Papa aveva inviato personalmente a regolare il nostro «problema». Si tratterebbe dei preparativi per regolare la nostra questione, parola di cardinale. La nuova Commissione eretta per sovraintendere noi sarebbe costruita con i cocci dell’Ecclesia Dei. Il Cardinale sa molto bene che noi non vogliamo sentir parlare dell’Ecclesia Dei e si è attenuto alla nostra richiesta; ma egli non è il solo a governare la Chiesa o a provare a tirare i fili. Col rischio di sbagliarci, noi pensiamo tuttavia che si tratti probabilmente di un intervento del Segretario di Stato e dei Vescovi francesi, oppure della massoneria. Dal momento che il Cardinale Castrillon gode di una relazione molto personale col Papa, e che i nostri negoziati sono connessi a questa relazione, possiamo legittimamente pensare che con queste nuove nomine, i progressisti abbiano provato a contrastare la sua azione. Altri vi scorgono semplicemente l’approntamento di un valido strumento in grado di contenere i focosi tradizionalisti e, al tempo stesso, di difenderli (versione un po’ ottimista!).
 
Il perché delle garanzie.
Leggendo le osservazioni fatte dall’uno o dall’altro confratello, sembra che non tutti abbiano compreso la manovra intrapresa dalla Fraternità. Viste le contraddizioni romane, era necessario chiedere a Roma un atto concreto col quale dimostrare a tutti che essa compiva un gesto vero a favore della Tradizione. Per di piú, se giungessimo a degli accordi con Roma, sarebbe assolutamente necessario avere l’assicurazione della perennità del rito che celebriamo. Ora, la proclamazione ufficiale della non abrogazione del rito tridentino impedirebbe a Roma di “sopprimere” la Messa di San Pio V, almeno per degli anni, se non definitivamente. I benefici di una tale misura sarebbero immensi per tutta la Chiesa. Giustizia sarebbe fatta. Questo permetterebbe anche di valutare la buona volontà di Roma nei nostri confronti: poiché, se sono pronti a farsi carico dei problemi che, a livello dei Vescovi, nasceranno inevitabilmente con la reintroduzione della Messa antica, allora potremo pensare che forse sono anche pronti a far fronte alle contraddizioni e alle obiezioni che si leveranno al momento del nostro arrivo.
È inutile ricordare l’accresciuta facilità con la quale i preti che lo desiderino, ma che non osano, potrebbero celebrare nuovamente la Messa antica.
Per quanto concerne le scomuniche, esse non ci toccano minimamente. Tuttavia, il Vaticano le àgita come uno spauracchio per intimidire la brava gente che, se non ci fossero, si avvicinerebbe a noi. Questa censura è stata una delle misure piú efficaci adottate da Roma per emarginarci. È dunque nell’ordine della lealtà chiedere a questa stessa Roma che propone degli accordi, di rimuovere questo ostacolo. Ancora una volta, non si tratta di noi, o di una preoccupazione che ci riguarda direttamente, ma del bene dei fedeli. È difficile valutare l’ampiezza del bene che potrebbe essere ottenuto con tali misure, ma ho l’impressione che noi corriamo il rischio di sottovalutarlo.
 
Terzo punto: l’atteggiamento della Fraternità
Al cospetto della situazione determinata dal Vaticano, il nostro atteggiamento è semplice, non cambia: è talmente chiaro che la nostra posizione è radicalmente giusta, che sarebbe un errore cambiarla o fare qualche concessione su uno qualunque dei punti essenziali.
Il primo principio che dirige la nostra azione riguarda innanzi tutto la conservazione dei beni della Tradizione dottrinale, liturgica e disciplinare. Dio ha permesso che fossimo depositari dei piú grandi tesori della Santa Chiesa: non è piú il momento di salvaguardarli, ma di conservarli a costo della vita.
Un altro principio attiene alla considerazione della indefettibilità della Chiesa, e quindi un “a priori” favorevole non ad ogni discussione, ma alla possibilità di una grazia inattesa, di cui occorre sicuramente verificare l’autenticità prima di procedere oltre.
Dal momento che la situazione romana non è ancora fondamentalmente modificata , nonostante i segni di indebolimento e di disgregazione dell’autorità siano sempre piú chiari, è la sfiducia che domina.
In ogni caso, poiché la Chiesa si avvicina a noi, proviamo a trarne il massimo di bene per la Chiesa.
La grande maggioranza dei membri della Fraternità, pur esprimendo legittimamente i suoi timori e le sue diffidenze, ha fatto quadrato intorno alla questione, cosa di cui mi felícito.
Si tratta di una decisione connessa alla prudenza, circa un atto che deve o non deve compiersi, e ciascuno in teoria può avere la sua opinione. Ma quando si arriva al momento dell’azione, la soluzione si colloca chiaramente nella fiducia nel generale. Siamo in mezzo ad una battaglia formidabile, difficile. Dalla scomparsa di mons. Lefèbvre, abbiamo sostenuto il nostro primo serio corpo a corpo con Roma. Questi contatti non possiamo né dobbiamo evitarli. Fanno parte della guerra. Ma è evidente che è d’obbligo la piú grande prudenza. Il terreno è talmente minato che richiede tutta l’attenzione possibile e non permette l’ingerenza della passione, della paura o dell’esaltazione; esse mimetizzano la realtà e impediscono la corretta azione a causa della cattiva valutazione della realtà stessa. Innanzi tutto, essendo la posta eminentemente soprannaturale, è necessario usare i mezzi soprannaturali, in particolare la preghiera, dei sacrifici e una piú sostenuta applicazione a compiere i doveri del proprio stato.
Noi contiamo molto sul sostegno molto reale ed efficace da parte vostra. Esso ci aiuterà fortemente a prendere la decisione giusta al momento giusto. Non lasciamoci prendere dalle cose che passano. Noi, decisamente, non vogliamo spingere le cose in un senso o nell’altro. Piú che mai teniamo a seguire la linea di mons. Lefèbvre, il quale diceva di non voler precedere la divina Provvidenza. Questa si manifesta sempre al momento giusto. Non abbiamo il diritto di escludere a priori un intervento della Provvidenza, in una questione che tocca cosí da vicino la Chiesa. Ma è nostro dovere di valutare con attenzione. Giorno verrà… E su questi avvenimenti rimaniamo fiduciosi con grande serenità.
Mantenendo queste disposizioni, mentre abbiamo comunicato la nostra intenzione di sospendere ogni discussione, abbiamo inviato al Papa, tramite il Cardinale Castrillon, uno studio sulla nuova Messa, frutto del lavoro assiduo di una commissione appositamente nominata da noi due anni fa. Il risultato è ben fondato, e dimostra chiaramente la teologia deformata che sta alla base della riforma liturgica, fonte della sua eterodossia e della sua illegittimità. Questo studio dovrebbe essere pubblicato nella seconda metà di marzo, e le traduzioni seguiranno subito dopo. Noi pensiamo che si tratti di un’opera solida e speriamo che inciderà sulla storia della nuova Messa. 
Esso dovrebbe urtare molti a Roma e nel mondo… Possa esso contribuire alla restaurazione della liturgia romana e della Tradizione.
In quest’inizio di Quaresima, vi raccomandiamo tutti a San Giuseppe, patrono della Santa Chiesa, e a Nostra Signora. Approfittiamo di questo tempo benedetto per avanzare ulteriormente nelle vie della santificazione.
+ Bernard Fellay - Mercoledí delle Ceneri - 28 febbraio 2001

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