Il contenuto di questo libretto (che altro non è che il testo di una conferenza tenuta da Padre Louis-Marie de Blignières o.p. alla Sala della Mutualité, a Parigi, il 16 aprile 1983, ossia tre anni prima dell'incontro interreligioso di Assisi...) verte sulla dottrina che anima gli scritti e i discorsi ufficiali di Giovanni Paolo II (1920-2005). Tale insegnamento prende spunto e sviluppa le idee guida del Concilio Vaticano II, ivi comprese anche quelle più ambigue ed erronee che tanta
confusione hanno creato tra i fedeli cattolici. di tutto il mondo (vedi
ecumenismo a 360 gradi e libertà religiosa). A fianco di tale dottrina,
l'Autore pone quella precedente il Concilio, la confronta e ne mostra
l'inconciliabilità mettendo così il lettore di fronte ad una scelta dolorosa
quanto inelluttabile: si può e si deve seguire Giovanni Paolo II o
abbiamo l'obbligo di astenerci dal farlo? E l'altra ancora più
drammatica: può un legittimo Vicario di Cristo insegnare e promuovere
errori già condannati dai suoi predecessori?
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l Nota sull'Autore
Olivier
Le Barbier de Blignières, Autore del presente libretto, è nato a
Madrid, in Spagna, l'11 aprile 1949, e vive attualmente in Francia,
presso Le Mans, a Chémeré-le Roi. La sua famiglia,
per lungo tempo radicatasi nell'Algeria francese, è particolarmente
conosciuta. Un fratello - Bruno - è sacerdote benedettino. Un altro fratello è scrittore e giornalista, con lo pseudonimo di Hugues Kéraly.
Il padre, colonnello dell'esercito, reduce delle campagne d'Indocina e
d'Algeria, fu arrestato nella sua qualità di capo di stato maggiore
dell'O.A.S. (l'esercito segreto anti-gaullista favorevole
all'Algeria francese) nel territorio metropolitano. In seguito, il
colonnello de Blignières divenne un assiduo collaboratore della rivista Itinéraires, diretta da Jean Madiran.
Dopo gli studi presso i Padri gesuiti e il conseguimento della laurea
universitaria, Olivier de Bligniéres entrò nel Monastero Saint Joseph, allora ubicato a Martigny, in Svizzera, e ora a Flavigny, in Francia. Il Superiore, Padre Augustin-Marie Joly o.s.b.,
era un ex-ufficiale divenuto benedettino olivetano dopo aver
frequentato gli esercizi spirituali di Sant'Ignazio predicati dai Padri
di Chabeuil (Cooperatori Parrocchiali di Cristo Re). Vicino agli stessi
Padri era Jean Ousset (1914-1994), autore del libro Pour qu'Il regne e fondatore del movimento della Cité Catholique, inviso all'episcopato francese per la sua posizione antiliberale. Dopo il Vaticano II, la Cité Catholique mutò il proprio nome in quello di Office
e abbandonò le proprie posizioni. Contro questo voltafaccia si era già
schierato il monastero di Padre Augustin-Marie, e il giovane de
Blignières è indicato come l'autore di un pamphlet contro la nuova posizione, intitolato Une fausse contrerévolution: l'Office 2. Nel 1975, de Blignières lasciò il Monastero per il vicino seminario di Ecône, fondato da Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), ove frequentò il quarto anno di seminario. Ma la permanenza fu breve. Ancora sotto l'influenza di alcuni elementi moderati vicino all'Office, la Fraternità Sacerdotale San Pio X non accettò la posizione intransigente di de Blignières, vicina a quella di Padre Michel Guérard des Lauriers o.p. (1898-1988), e allontanò il giovane dal seminario.
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Jean Madiran | Jean Ousset | Mons. Lefebvre |
A
questo punto, la carriera ecclesiastica di de Blignières sarebbe
finita, se non fossero intervenute in suo favore alcune personalità di
spicco dell'ambiente «tradizionalista». Naturalmente in suo favore era
il succitato Padre domenicano Guérard des Lauriers, che poteva
far pesare il suo prestigio di ex docente alla Facoltà domenicana del
Saulchoir e alla Pontificia Università Lateranense. Ma ancor più pesò
l’intervento di Jean Madiran e di dom Gérard Calvet o.s.b. (1927-2008), monaco benedettino a Bédoin (oggi Abate del Barroux, dopo la «riconciliazione» ottenuta dalla Commissione Ecclesia Dei), vicino, come Padre de Blignières, agli ambienti di Itinéraires.
Olivier de Blignières divenne così Oblato benedettino sotto l'autorità
di Dom Gérard e fu ordinato sacerdote da Mons. Lefebvre nel 1977, nella
chiesa parrocchiale di Chatelperron. In quell'occasione, Padre Guérard
des Lauriers o.p. tenne l'omelia. L'abbé de Blignières iniziò così un apostolato, specialmente di formazione dottrinale e spirituale tomista, presso la parrocchia parigina di Saint Nicolas du Chardonnet, occupata dai «tradizionalisti» guidati dall'abbé Louis Coache, ma retta dal più moderato Mons. François Ducaud-Bourget. La morte di Paolo VI (1897-1978) e di Giovanni Paolo I
(1912-1978), l'elezione di Giovanni Paolo II, la proposta di Jean
Madiran, raccolta da Mons. Lefebvre, di un'intesa basata sulla lettura
del Concilio «alla luce della Tradizione» (secondo le
stesse parole di Giovanni Paolo II) accelerò, nel 1979, la divisione e
la rottura tra la Fraternità di Mons. Lefebvre e i cosiddetti
«sedevacantisti». Fu così che de Blignières fu allontanato da Saint Nicolas du Chardonnet e che Mons. Ducaud-Bourget si pentì di un'approvazione che diede, con Dom Gérard, alla fondazione da parte del Nostro nel settembre 1979 del Priorato di Studi Saint-Thomas d'Aquin a Chémeré-le-Roi. In questo clima arroventato, de Blignières scrisse un polemico opuscolo pubblicato dal capo incontestato dei sedevacantisti francesi, Padre Noël Barbara, intitolato Un temps pour parler, contro quanti prospettavano un riavvicinamento tra i tradizionalisti e Giovanni Paolo II, in primo luogo Dom Gérard, che nel
frattempo aveva mutato orientamento. Madiran finì coll'attaccare
vivamente de Blignières per il suo sostegno a Padre Guérard des
Lauriers, ridicolizzandolo con il nomignolo di Abbé O (che indica Olivier, ma si legge... Zero). La cosa, penso, intimidì, a lungo andare, la vittima dello scherno di Madiran che tanto peso aveva avuto nella sua famiglia. L'attacco di Madiran era dovuto all'uscita allo scoperto di Padre Guérard des Lauriers e dei sacerdoti che ne
condividevano le posizioni, i quali erano stati espulsi dalla
Fraternità San Pio X (già dal 1977, Padre Guérard de Lauriers non
insegnava più ad Ecône). Nel 1979, infatti, divenne pubblica, sulla
rivista di teologia Chaiers de Cassiciacum, la tesi
di Padre Guérard des Lauriers, secondo la quale, almeno dal 1965, con la
firma dei documenti conciliari, Paolo VI non era più formalmente Papa
(non aveva l’Autorità pontificia) pur essendolo ancora materialmente (in
quanto canonicamente eletto). De Blignières, pur non collaborando alla
rivista, che incontrò l'ostilità non solo degli ambienti vicini alla Fraternità San Pio X, ma anche dei sedevacantisti che non
accettavano la distinzione adottata dal teologo domenicano, diffuse la
«tesi» e la illustrò in numerose conferenze. Nello stesso tempo, Padre
Guèrard des Lauriers gli dava l'abito religioso di terziario regolare
dell'Ordine domenicano. L'abbé Olivier divenne così Padre Louis-Marie e incominciò
ad accogliere a Chémeré-le Roi le prime vocazioni domenicane,
predicando ritiri spirituali sul santo rosario e tenendo cicli di
formazione tomista dedicati all'Enciclica Æterni Patris. Mancava però un Vescovo che ordinasse i suoi frati, tra i quali un diacono espulso da Ecône. Intanto, Padre de Blignières e don Bernard Lucien lavoravano ad uno studio teologico collettivo sugli errori del Concilio e di Giovanni Paolo II, corredato da censure teologiche e da un confronto con l'autentica dottrina della Chiesa.
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dom Gérard Calvet | Abbé Louis Coache | Abbé Bernard Lucien |
Lo
studio avrebbe dovuto essere inviato, con una lettera di presentazione,
ai Vescovi cattolici perché lo approvassero, facendolo proprio, e
invitassero Giovanni Paolo II a ritrattare gli errori, professando la
fede cattolica. In caso contrario, nella prospettiva della «Tesi di
Cassiciacum, questi Vescovi residenziali avrebbero potuto e dovuto
constatare canonicamente la «vacanza» della Sede Apostolica e
provvedere al bene della Chiesa. Lo studio, intitolato Lettre à quelques évêques,
vide la luce nel gennaio del 1983, approvato da ventotto teologi e
docenti universitari (un solo italiano, Padre Cinelli, dell'Angelicum) e da Mons. Antonio de Castro Mayer (1904-1991), Vescovo di Campos, in Brasile. La Lettre fu presentata al pubblico in una conferenza a tre (Padre de Blignières, don Lucien e il Prof. Marcel De Corte) pubblicata dai Dossier de Catholicité col titolo Une démarche catholique. Ma la finalità della démarche
non era più chiaramente quella di partenza, poiché Padre Guérard des
Lauriers era stato allontanato da tutta l'operazione, al punto che,
nel 1982, si giunse alla totale rottura dei rapporti da parte di Padre
de Blignières nei confronti dell'anziano religioso. I motivi della
rottura, resa di pubblico dominio da una dichiarazione firmata anche dagli altri sacerdoti che costituivano il «gruppo» di Cassiciacum, era dovuto alla consacrazione episcopale senza mandato romano che Padre Guérard des Lauriers aveva ricevuto dalle mani dell'Arcivescovo dimissionario di Hué, nel Vietnam, Mons. Pierre-Martin Ngò-Dinh-Thuc (1897-1984). La consacrazione, avvenuta segretamente nel 1981, era stata resa di pubblico dominio e, paradossalmente, condannata proprio dai sedevacantisti più estremisti.
Il fine giustificativo adottato da Mons. Guérard des Lauriers
(conservare il sacerdozio, innanzitutto proprio per la comunità
domenicana di de Blignières, e l'amministrazione dei Sacramenti senza essere in comunione con Giovanni Paolo II) non fu accettata da de Blignières che temeva che quel gesto di rottura avrebbe interrotto il dialogo teologico, già iniziato, con i teologi e i Vescovi conciliari. La Lettre finì pertanto in un binario morto 3, ma la traiettoria di allontanamento di Padre de Blignières dalle tesi intransigenti incominciò proprio col suo dissenso dalla consacrazione episcopale di Mons. des Lauriers. La Lettre
e la «tesi» destarono comunque preoccupazione, per il loro rigore
teologico, negli ambienti conciliari e si provvide a neutralizzarle.
Furono pubblicati, pertanto, degli studi dottrinali (come quelli di Padre Brian Harrison) che presentavano una versione edulcorata e «tradizionale» della Dichiarazione conciliare Dignitatis humanæ
sulla libertà religiosa, da poter conciliare questa novità con la
dottrina della Chiesa. Nello stesso tempo, il dialogo di Mons. Lefebvre
col Cardinale Joseph Ratzinger sembrava poter giungere
prossimamente a due esiti contrastanti: la firma di un protocollo
d'intesa, facilitato dal nuovo clima creato con la concessione
dell'Indulto per la celebrazione della Messa «tradizionale», oppure la
rottura, con conseguenti consacrazioni episcopali.
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Guérard des Lauriers | Mons. de Castro Mayer | Mons. Ngò-Dinh-Thuc |
Paventando
le consacrazioni episcopali, Padre de Blignières, ancora apparentemente
legato alla «tesi» di Cassiciacum, ma in realtà già in via di
sganciamento, pubblicò uno studio sulla sua rivista Sedes Sapientiæ (giugno 1987, supplemento dottrinale al n° 2) intitolato «Reflexionis sur l'episcopat autonome», nel quale sosteneva che ogni
consacrazione episcopale senza «mandato romano» (senza cioè
l'approvazione del Papa) è scismatica in quanto il rito stesso della
consacrazione implicherebbe la collazione della giurisdizione 5. L'antica «fobia» delle consacrazioni episcopali (che non avrebbero dovuto inquietarlo nel quadro della tesi teologica che sosteneva)
e le nuove prospettive aperte dall'Indulto prepararono il grande
cambiamento. Dopo le consacrazioni episcopali compiute da Mons. Lefebvre
e da Mons. de Castro Mayer nel giugno del 1988, la «scomunica» contro i
due Vescovi, la creazione della Commissione Ecclesia Dei
basata sul protocollo firmato da Mons. Lefebvre, la nascita della
Fraternità San Pietro, l'abbandono di Mons. Lefebvre da parte di Madiran
e dom Gérard, un religioso di Padre de Blignières «scoprì» che la
dottrina sulla libertà religiosa promulgata dal Concilio non è in
contrasto, come fino allora si era creduto, con la dottrina cattolica 6.
Contestualmente, venne abbandonata la «Tesi di Cassiciacum» sulla Sede
Apostolica «formalmente» vacante. Ma già il 22 agosto 1988, Padre de
Blignières aveva chiesto alla Commissione Ecclesia Dei,
costituita il 2 giugno dopo le consacrazioni episcopali, il
riconoscimento ufficiale della sua «Fraternità San Vincenzo Ferreri»,
riconoscimento accordato il 28 ottobre dal Cardinale Paul Augustin Mayer o.s.b. (1911-2010). Il 27 novembre, sei seminaristi
facevano professione religiosa, e il 3 dicembre venivano ordinati
sacerdoti cinque membri di detta Fraternità. Da allora, ritornato con
Madiran e Dom Gérard, Padre de Blignières è il teologo e il principale
ispiratore di quei tradizionalisti (!?) che si sono sottomessi al Vaticano II e all'insegnamento di Giovanni Paolo II. Ponga mente il lettore che la verità (e l'errore) sono indipendenti dal soggetto che li
espone; valuti dunque gli argomenti esposti in questo opuscolo in sé
stessi, senza badare eccessivamente al suo Autore, secondo l'aureo
consiglio dell'autore dell'Imitazione di Cristo: «Non voler sapere chi l'ha detto, ma poni mente a ciò che è detto».
l Introduzione
In questa conferenza, ci siamo proposti di completare e di attualizzare ciò che abbiamo detto due anni or sono, in una relazione (del 13 maggio 1981) che aveva come tema «Giovanni Paolo II e la dottrina cattolica». Nell'analizzare l'insegnamento di Giovanni Paolo II, metteremo subito in chiaro il fatto che esso non è che l'applicazione di quello del Concilio Vaticano II. In seguito, cercheremo
quale sia, secondo lo stesso Giovanni Paolo II, lo spirito del Concilio
e la sua caratteristica più profonda. Successivamente, alla luce di
quanto esposto, potremo soffermarci su alcuni dei punti salienti (ma non
tutti, per ovvie ragioni di tempo) della predicazione abituale di
Giovanni Paolo II, e confrontarli con l'insegnamento del Magistero
anteriore al Concilio.
I
Il Concilio Vaticano II
«parola dello Spirito»
l Il linguaggio autentico dello Spirito Santo
Nel suo dialogo con André Frossard (1915-1995), recentemente pubblicato 7, Giovanni Paolo II manifesta i suoi sentimenti nei confronti del Concilio in due frasi assai illuminanti: «Sono profondamente convinto che il Vaticano II ha dotato la Chiesa della nostra epoca del linguaggio autentico dello Spirito Santo [...]. Sono fiducioso del fatto che lo Spirito Santo ha rivolto la Sua parola alla Chiesa e al mondo contemporaneo tramite la voce del Vaticano II» 8.
Già in occasione della sua lettera del 25 marzo 1981, per il 1600°
anniversario del primo Concilio di Costantinopoli (381), e per il 1500°
anniversario del Concilio di Efeso (431), egli scriveva: «Noi chiederemo allo Spirito di Verità di restare in questo cammino di rinnovamento, perfettamente fedeli alla "Parola dello Spirito", che attualmente è costituita per noi dall'insegnamento del Vaticano II, e di non abbandonare questo cammino per rispetto verso lo Spirito del mondo» 9. E nell'omelia letta nel corso della solenne concelebrazione di Pentecoste, sempre del 1981, egli ha dichiarato che «il Concilio Vaticano II, il Concilio dei nostri tempi, ha abbondantemente manifestato l'opera dello Spirito Santo - che è il Signore e dà la vita - in tutta la missione della Chiesa» 10.
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A sinistra, il giornalista André Frossard; a destra, il suo libro-intervista a Giovanni Paolo II intitolato N'ayez pas peur! («Non abbiate paura»!)
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l Un dovere ineluttabile
Siccome il Vaticano II è la «Parola dello Spirito», la sua messa in pratica costituisce per coloro che hanno l'incarico di dirigere la Chiesa, il primo dei doveri. Giovanni Paolo II lo ha insegnato fin dai primi discorsi del suo pontificato: «Vogliamo
richiamare l'attenzione sull'attuale importanza del Concilio Ecumenico
Vaticano II e accettiamo il dovere ineluttabile di metterlo
accuratamente in pratica» 11. Nella già citata lettera per il 1600° centenario del Concilio di Costantinopoli, egli ha sottolineato che «i doveri della Chiesa della nostra epoca [...] sono stati espressi nell'insieme del messaggio del Concilio della nostra epoca: il Concilio Vaticano II» 12. Nel discorso alla Conferenza Episcopale Spagnola, del 31 ottobre 1982, Giovanni Paolo II ha ricordato ai Vescovi che «una
larga parte della funzione episcopale consiste oggigiorno
nell'applicare correttamente, senza deviazioni per eccesso o per
difetto, gli insegnamenti dell'ultimo Concilio Ecumenico, tenendo conto
delle indicazioni apportate dai documenti pontifici posteriori» 13. Nel suo dialogo con André Frossard, Giovanni Paolo II ha descritto il ruolo del Sommo Pontefice affermando: «È evidente che nell'ora presente, il successore di Pietro non può compiere il ministero di Pietro che nello spirito di questo insegnamento» (ossia di «tutto l'insegnamento di questo Concilio») 14. Un eclatante esempio di questa linea di condotta è costituita dalla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico: «Il Codice, non solamente nel suo contenuto, ma già dalla sua nascita, ha messo in atto lo spirito del Concilio [...]. In un certo senso, si potrebbe anche vedere in questo Codice un grande sforzo per tradurre in un linguaggio canonico la stessa dottrina dell'ecclesiologia conciliare [...]; ne consegue che ciò che costituisce la "novità" essenziale del Concilio Vaticano II, in continuità con la tradizione legislativa della Chiesa, soprattutto per ciò che concerne l'ecclesiologia, costituisce anche la "novità" del nuovo Codice» 15.
In occasione della presentazione ufficiale del nuovo Codice, avvenuta
il 3 febbraio 1983, Giovanni Paolo II è tornato su questo tema: «É certo che i postulati conciliari, come le direttive pratiche tracciate per il ministero della Chiesa, trovano nel nuovo Codice i loro esatti corrispettivi, punto per punto, usando persino gli stessi termini [...]. A fianco del libro contenente gli Atti del Concilio, ora ci sarà il nuovo Codice di Diritto Canonico, il che mi sembra un abbinamento molto importante e significativo [...]. Per concludere, vorrei tracciare sotto i vostri occhi, come uno schema
indicativo e mnemotecnico, un triangolo immaginario: in alto c'è la
Sacra Scrittura; da un lato gli Atti del Vaticano II e, dall'altro, il nuovo Codice di Diritto Canonico» .
l Né progressismo, né integrismo
Se
il Vaticano II traduce il linguaggio autentico dello Spirito Santo per
la nostra epoca, e se il dovere ineluttabile dei pastori è di applicarlo
nella dottrina e nel diritto, è chiaro allora che l'adesione di tutti i fedeli è obbligatoria. A più riprese, Giovanni Paolo II ha ricordato che non
avrebbe tollerato deviazioni su questo punto. Nell'udienza accordata ai
membri della Compagnia di Gesù, il 27 febbraio 1982, egli chiese loro «di aiutare il Papa e il Collegio Apostolico e di convincere coloro che sono, ahimè, tentati dai cammini sia del progressismo che dell'integrismo a ritornare con umiltà e con gioia alla comunione senza ombre con i loro pastori e con i loro fratelli che soffrono del loro comportamento e della loro assenza» 17. Nell'omelia tenuta allo stadio di Barcellona il 7 novembre 1982, Giovanni Paolo II ha indicato il criterio che si impone a tutti: «Volete un criterio sicuro, concreto e sistematico che vi guidi nel momento presente? Seguite la voce del Magistero e siate fedeli al Concilio dei nostri tempi: il Vaticano II.
Da una parte, senza reticenze, timori o resistenze. Dall'altra, senza
interpretazioni arbitrarie o confuse dell'insegnamento oggettivo con le
proprie convinzioni. É qui che comincia
la strada della necessaria unità voluta da Cristo. Questa corretta
applicazione degli insegnamenti conciliari, come ho già detto in diverse
circostanze, costituisce uno dei principali obiettivi del mio Pontificato» 18. É in questo spirito che, «secondo le indicazioni personali» di Giovanni Paolo II, il Cardinale Franjo Seper (1905-1981), a quel tempo Prefetto della Congregazione della dottrina della fede (ex Sant'Uffizio), il 20 ottobre 1980, «presentò (a Mons. Marcel Lefebvre; N.d.R.) alcune proposizioni». Quella inerente «l'adesione agli insegnamenti del Concilio Vaticano II» venne così formulata: «Il Santo Padre attende da Voi ciò che è anche richiesto
ad ogni singolo fedele nella Chiesa, e cioè il "religiosum voluntatis
et intellectus obsequium" ("l'adesione religiosa della volontà e
dell'intelletto") dovuto al Magistero autentico del Romano Pontefice, anche quando questi non parla "ex-cathedra", e all'insegnamento sulla fede e sui costumi espressi in nome di Cristo dai Vescovi in comunione col Romano Pontefice» 19. Il Cardinale Seper, in una lettera del 19 febbraio 1981, «in perfetto accordo» con Giovanni Paolo II, fece nuovamente sapere a Mons. Lefebvre «i punti che il Santo Padre stima indispensabili nella (sua) dichiarazione». Ciò che riguarda il Concilio venne formulato negli stessi termini e comprendeva inoltre l'esigenza di una «cessazione di ogni polemica che miri a screditare alcuni insegnamenti del Concilio Vaticano II» 20. Infine, nella sua lettera del 26 ottobre 1981, il Cardinale Franjo Seper rimproverò Mons. Lefebvre con queste parole: «Se sottoscriverete, come richiesto dal Santo Padre, specificando però in che senso dev'essere accettato il Concilio, Voi non dichiarerete pertanto la Vostra piena adesione all'insegnamento del Concilio» 21.
Cerchiamo dunque, per comprendere l'insegnamento di Giovanni Paolo II,
di capire qual'è lo spirito e la caratteristica profonda del Concilio.
II
LO SPIRITO DEL CONCILIO:
IL PERSONALISMO
l Un Concilio personalista
Fu lo stesso Cardinale Wojtyla a scrivere durante il Concilio: «Uno degli elementi che determinano il carattere del Vaticano II è il posto che la persona umana occupa nel pensiero conciliare [...]. L'uomo è stato considerato nella situazione derivante dal fatto che è
una persona. Mai, forse, fino ad ora, ciò era stato affermato in modo
così esplicito in un insegnamento. In un certo senso, si tratta di un Concilio personalista» 22. Nel suo dialogo con André Frossard, Giovanni Paolo II riprende questa espressione a proposito della fede, di cui egli dice che «il testo conciliare mette altresì in rilievo il carattere personalista» 23. Che significato assume qui questa frase? Le spiegazioni fornite dal Cardinale Wojtyla nel suo libro sul Concilio, indicano che essa designa il famoso carattere «pastorale» del Vaticano II. Sottolineando che tutti
i Concilî sono, in un certo qual modo, pastorali (in quanto, mediante
l'insegnamento della dottrina, i pastori guidano la Chiesa), egli
proponeva «una nuova distinzione» al fine di comprendere in qual senso particolare il Vaticano II è «pastorale»: «I
pastori della Chiesa si pongono come obiettivo non tanto unicamente di
rispondere a questo interrogativo: "Cosa bisogna credere? Qual'è il vero
senso di questa o di quella verità di fede"?, o cose di questo genere [...], quanto piuttosto: "Cosa significa essere credente, essere cattolico, essere membro della Chiesa"? [...]. Tale questione [...] presuppone non solamente la pura dottrina, ma anche che questa verità si situi nella coscienza dell'uomo» 24. In tal caso, il carattere «pastorale» non indica minimamente l'assenza di un insegnamento, ma un insegnamento incentrato primariamente sulla persona, sul soggetto che esercita la fede in un certo tipo di contesto ed in un determinato mondo. É ciò che precisa la nota esplicativa che precede la famosa Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: «La
Costituzione pastorale "La Chiesa nel mondo contemporaneo" consta di
due parti, ma è un tutto unitario. Viene detta "pastorale" appunto
perché, sulla base di principî dottrinali, intende esporre
l'atteggiamento della Chiesa in rapporto al mondo e agli uomini d'oggi. Pertanto, né alla prima parte manca l'intenzione pastorale, né alla seconda l'intenzione dottrinale».
l Il Concilio dell'identità dei cristiani
É con queste parole che il Cardinale Wojtyla si esprime, nell'opera citata, che tratta dell'«applicazione del Vaticano II»: «Prima
di tutto, un Concilio "puramente dottrinale" avrebbe concentrato la sua
attenzione sull'esatta definizione del senso delle verità stesse della
fede, mentre un Concilio pastorale - sulla base delle verità che proclama,
ricorda o spiega - tende in primo luogo a suggerire uno stile di vita
ai cristiani, al loro modo di pensare e di agire» 25.
Proteso verso la persona umana e verso le condizioni concrete e
particolari in cui essa si trova oggi, il Vaticano II ipertrofizza le
condizioni soggettive ed esistenziali sia dell'esercizio della fede, che della predicazione 26. É per questa ragione che i maggiori documenti del Concilio sono testi che cercano di definire, o meglio, di descrivere, seguendo uno spirito fenomenologico 27,
un'identità: quella della Chiesa, del cristiano e del credente.
Giovanni Paolo II ha ben evidenziato questa caratteristica quando ha
dichiarato ad André Frossard: «Il Vaticano II potrebbe essere definito il Concilio dell'identità dei cristiani, di ciascuno e di tutti» 28. I due documenti più importanti del Concilio, quelli d'altronde a cui Giovanni Paolo II fa costante riferimento, riguardano la Chiesa: Lumen gentium (del 21 novembre 1964), che l'allora Cardinale Wojtyla definì la «chiave del pensiero conciliare nella sua totalità» 29, e Gaudium et spes (del 7 dicembre 1965), presentata da lui stesso come «il documento complementare della Costituzione Lumen gentium» 30. Entrambi questi documenti, che si sforzano di dare una risposta all'interrogativo posto da Paolo VI («Chiesa, cosa dici di te stessa?»), hanno elaborato la «nuova visione della realtà ecclesiale che dobbiamo al Concilio» 31. E Giovanni Paolo II, nel suo dialogo con André Frossard, ha precisato che «il dovere più urgente per gli uni e per gli altri [...] è di ritrovarsi pienamente nella visione conciliare della Chiesa, come Popolo e Corpo, e di identificarsi con tale visione il più profondamente possibile» 32. Più avanti, sottolineeremo alcuni aspetti fortemente erronei di questa «nuova visione».
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Da sinistra: la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, sulla Chiesa nel mondo moderno, e la Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, sulla Chiesa.
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Insistiamo
unicamente al fine di far notare quanto sia profonda la novità
rappresentata da questa nuova visione. Mentre il Vaticano II era ancora
in corso, il Cardinale Wojtyla scriveva: «Il Concilio ha contribuito alla formazione di una nuova visione di tutto l'insegnamento attuale [...]. Appare con chiarezza che l'essenza del progresso non si limita ai soli dettagli, quelli cioè che sono materialmente "nuovi", ma risiede piuttosto in un approccio più pieno con tutta la verità rivelata. É in questa prospettiva che bisogna comprendere l'apertura conciliare, ovvero non in senso "materiale", ma essenziale» 33. Forse che Giovanni Paolo II non ha lodato Paolo VI definendolo «il Papa del Vaticano II» e «il Papa di questa profonda trasformazione, che altro non è che una rivelazione del volto della Chiesa, attesa dall'uomo e dal mondo d'oggi»? 34. Non ha forse esaltato il suo «carisma della trasformazione»? 35. Sì, c'è un'apertura, una «profonda trasformazione», una «novità essenziale». Tale novità consiste nel fatto inaudito che il Concilio non ha concentrato la sua attenzione su determinate definizioni delle verità di fede, ma si è soffermato sulla problematica dell'«identità», un quesito che in duemila anni la santa Chiesa non si era mai posta. Accordare la priorità alle condizioni soggettive e alla persona che è incomunicabile, significa condannarsi irreparabilmente a parlare un linguaggio «fenomenologico» che non può nutrire l'intelligenza della fede. Diceva don Victor-Alain Berto (1900-1968): «In materia di fede, la descrizione fenomenologica è radicalmente irreale» 36.
Sottolineare continuamente il ruolo e la posizione dell'individuo, ad
esempio, nell'atto di fede, si traduce nel far passare in secondo piano
l'unica cosa che può realmente unire tra loro gli individui e che si
afferma esplicitamente di non voler ricercare: la definizione esatta
del contenuto della fede. Procedere come ha fatto in tutti i suoi testi
più importanti il Vaticano II, e al suo seguito Giovanni Paolo II,
significa mettere in primo piano ed esaltare la coscienza del soggetto,
la quale praticamente, dimenticherà la necessità (talora anche richiamata,
ma sempre in secondo piano) di rettificarsi in rapporto alla legge
oggettiva. Si tratta, in definitiva, di sostituire i chiari e liberatori
enunciati dogmatici e catechistici del passato con un grave soggettivismo che semina
ovunque la confusione e la divisione. Tutto ciò non è forse confermato
dai fatti? Non vediamo forse rifiorire un po' ovunque la nozione
soggettivista di «sentimento religioso» così cara ai modernisti? Sì, il personalismo conciliare porta ineluttabilmente all'esaltazione del «vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell'azione», di cui San Pio X (1835-1914) nell'enciclica Pascendi Dominici Gregis (dell'8 settembre 1907) diceva: «Se
è utile per giocar di parole, poco interessa all'uomo, a cui
soprattutto importa conoscere se vi sia o no fuori di lui un Dio, nelle
cui mani un giorno dovrà cadere».
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Abbé Berto | Papa San Pio X | Pascendi Dominici Gregis |
l L'esigenza del dialogo
Cerchiamo
ora di chiarire uno degli aspetti più nefasti del «personalismo» del
Vaticano II. É lo stesso Cardinale Wojtyla a dirci come stanno le cose
nel capitolo intitolato «Foi et dialogue» del suo già citato libro sul Concilio: «Rispondendo alla domanda: "Cosa significa essere un membro credente della Chiesa"?, il Concilio afferma che ciò significa essere convinti del fatto che la Rivelazione è verità e, nello stesso tempo, essere capaci di dialogare» 37. Per poi precisare poco dopo con lucidità: «La comparsa di questa esigenza del dialogo indica un nuovo orientamento nella Chiesa e nella vita cristiana» 38. Infatti, il dialogo di cui parla il Cardinale Wojtyla deve riguardare «anche la questione della verità stessa della Rivelazione e la convinzione di questa verità [...]. In questo caso, il dialogo non riveste un puro significato teologico, né tanto meno "apologetico"» 39. In altre parole, non sembra che si tratti in primo luogo di convertire l'interlocutore. Si tratta invece «di rispondere all'interrogativo, di carattere essenziale, che ci chiede di sapere cosa significa essere credente e membro della Chiesa» 40. In definitiva, è «una questione di ordine pratico, e se vogliamo "di organizzazione"» 41. Perché dunque la fede può e deve essere - come afferma il Cardinale Wojtyla - «legata al principio del dialogo»? Il fatto è che la
fede, essendo essenzialmente considerata dal punto di vista
dell'esperienza personale, richiede di andare ad «elemosinare» presso
ogni persona la sua esperienza personale in questo campo. «Ciò
non riguarda unicamente alcune persone in particolare, ma vasti settori
dell'umanità contemporanea, dei "circoli di dialogo", per usare
l'espressione di Paolo VI nella sua enciclica "Ecclesiam Suam". Ci si
potrebbe separare da questi uomini e da questi circoli accontentandosi di una risposta personale a Dio tramite la fede nella Chiesa, ma il Concilio ha assunto in materia una posizione completamente diversa; e cioè che se
in passato si applicava piuttosto il principio di separazione per
conservare l'integrità della fede, il Vaticano II ha indicato un'altra strada per l'arricchimento della fede» 42. Secondo questa via del dialogo, il cristiano alla ricerca della sua identità deve «fermarsi vicino ad ogni circolo che si trova al di fuori della Chiesa e, all'interno di esso, vicino ad ogni uomo» 43, e intrecciare con lui il «dialogo della salvezza». «Non smetterà di lavorare a questo scopo - ha detto Giovanni Paolo II ad André Frossard - osservando sempre un rispetto totale per le convinzioni di coloro che la pensano diversamente da lui» 44. Pur non essendo la sede adatta, ricordiamo in questa circostanza con San Pio X che «se Gesù è stato buono verso i fuorviati e i peccatori, Egli non ha rispettato le loro convinzioni erronee, per quanto sincere esse potessero sembrare» 45.
Le conseguenze più evidenti di questa nuova strada intrapresa
(difficilmente intelligibile per gli spiriti formati alle sagge
discipline della scolastica, tanto lodata dalla Chiesa) sono il relativismo dottrinale e l'indifferentismo che, di fatto, hanno invaso il popolo cristiano sottomesso ormai ad una catechesi del dialogo e del parlare a vanvera, del «sincero rispetto per quei modi di agire e di vivere, per quei precetti e quelle dottrine» 46 delle altre religioni. Indubbiamente, possiamo supporre che questo
relativismo non è stato cercato e voluto da tutti i promotori e da
tutti gli autori del «Concilio personalista». In diverse occasioni,
alcuni di essi non hanno mancato di deplorarlo più o meno energicamente.
Tuttavia, checché
essi ne dicano, esso deriva dal primato accordato dai documenti più
importanti del Concilio alla persona umana. Ben lungi dal far trovare al
cristiano la sua «identità» (come se egli l'avesse perduta!), il «dialogo della salvezza»,
imposto come un'esigenza della fede stessa, ha sortito come effetto la
diluizione delle certezze teologali e l'indebolimento delle energie
apostoliche. Passiamo ora ad illustrare un lato impressionante della predicazione abituale di Giovanni Paolo II.
III
LA «PRAXIS» DEL PERSONALISMO
CONCILIARE IN GIOVANNI PAOLO II
l L'immersione nel mondo
Il
personalismo del Concilio si traduce, ancora prima di trovare una
giustificazione teorica, in una pratica. Come si è visto, si tratta di «plasmare uno stile di vita per i cristiani», cioè di far sì che essi ritrovino la loro identità mediante la prassi conciliare: «Vogliamo concentrare la nostra attenzione sulla presa di coscienza dei cristiani e sulle attitudini che essi devono acquisire» 47. Tutta la sollecitudine sarà dunque dedicata all'«adattamento» del contenuto della fede a ciò che il cristiano odierno può «esistenzialmente» ricevere: «Il Concilio ha definito la forma della fede conforme al cristiano dei nostri tempi» 48. Giovanni Paolo II ha usato un'espressione analoga rivolgendosi ai teologi di Salamanca: «Cercare un'intelligenza e un'espressione della fede che rendano accettabili i cristiani al modo di pensare e di parlare della nostra epoca»; questo è, secondo Giovanni Paolo II, il «criterio della riflessione teologica» 49. É esattamente in questa linea che egli situa, nello stesso discorso, il «processo di riflessione teologica» di Gaudium et spes. A questo riguardo, egli ha dichiarato ad André Frossard: «Questa Costituzione è stata definita "pastorale" [...] perché ci ha detto quale dev'essere l'atteggiamento del cristiano di fronte al suo tempo» 50. Egli ha inoltre affermato che «la forma della relazione con il proprio tempo», descritta da Gaudium et spes, «può essere considerata evangelica, come un modo di identificarsi con i tempi in cui viviamo» 51. É facile intuire come un tale linguaggio favorisca la confusione, poiché Gaudium et spes è il documento conciliare la cui «articolazione generale», il cui «metodo» e persino i cui «dettagli redazionali», manifestano un tentativo (inaudito per la Chiesa!) di «riconoscersi nel movimento del mondo», per riprendere un'espressione di Padre Marie-Dominique Chenu o.p. (1895-1990) 52. Così come ha ben sottolineato lo stesso religioso domenicano, «in un certo qual modo, il metodo è più importante del contenuto» 53. Giustamente, l'originalità principale di questo metodo consiste nell'«identificarsi con i tempi in cui viviamo», collocare la Chiesa «nel mondo d'oggi», come se essa ricevesse da tale identificazione e nuova collocazione qualcosa di essenziale per la sua identità. Forse che lo stesso Giovanni Paolo II non vuole presentare, in linea con quanto affermato poc'anzi da Padre Chenu o.p., «i rapporti con il mondo della cultura» come - secondo lui - «costituenti l'oggetto di una costante sollecitudine e un punto di riferimento obbligato del suo servizio pontificale», e tutto ciò al fine di trovare «un terreno privilegiato di dialogo tra gli uomini impegnati nella ricerca di un nuovo umanesimo per i nostri tempi»? 54. Come San Pio X a proposito del Sillon, si è in diritto di porre la seguente domanda: «Che cosa
ne verrà da questa collaborazione? Una costruzione puramente verbale e
chimerica in cui si vedranno scintillare alla rinfusa e in una seducente
confusione, le parole "libertà", "giustizia", "fratellanza", "amore",
"uguaglianza" ed "esaltazione umana", il tutto basato su di una dignità umana mal compresa [...]. Sì, veramente si può dire che il Sillon convoglia il socialismo tenendo l'occhio fisso su di una chimera» 55. Questa immersione della Chiesa nel mondo proviene da un rifiuto delle distinzioni classiche in materia e da una confusione tra il piano della natura e quello della grazia. Come ha ingenuamente ricordato Padre Chenu, al Concilio questa eliminazione è stata voluta intenzionalmente, e ciò specialmente in Gaudium et spes 56. Ecco dunque uno degli elementi caratteristici della prassi del personalismo conciliare, prassi che si colloca in una prospettiva assolutamente diversa da quella che San Paolo ci raccomanda: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo» (Rm 12, 2). Similmente a quanto detto ai teologi di Salamanca, Giovanni Paolo II ha dichiarato ad André Frossard: «Dobbiamo cercare senza sosta una forma di fede che sia a misura di un mondo che si rinnova incessantemente, e non solamente di un passato che abbiamo lasciato senza ritorno» 57. La somiglianza di questo pensiero di Giovanni Paolo II con i tentativi della nouvelle théologie, stigmatizzata da Pio XII (1876-1958) nell'Enciclica Humani Generis (12 ottobre 1950), è impressionante: «Il proposito di alcuni è quello di indebolire il più possibile il significato dei dogmi e di liberare il dogma dalla formulazione in uso nella Chiesa da così lungo tempo e dalle nozioni filosofiche in vigore presso i Dottori cattolici [...].
La strada sarà così aperta, pensano essi, per dare soddisfazione ai
bisogni del giorno esprimendo il dogma per mezzo di nozioni proprie
della filosofia moderna, dell'immanentismo, ad esempio, dell'idealismo,
dell'esistenzialismo o di ogni altro sistema a venire». «La fede a misura del mondo»:
è possibile intravedere gli abissi aperti dalla pratica personalista
del Concilio. La «riformulazione» delle verità di fede, l'«apertura» a
tutti i supposti valori del mondo moderno, l'integrazione nella cultura
cristiana delle linee di pensiero che le
sono più estranee; tutto ciò può avvalersi dell'insegnamento del
Vaticano II e di Giovanni Paolo II. Quest'ultimo, senza approvare tutte
le forme più apertamente azzardate di «riformulazione», garantisce
tuttavia una sorta di adulazione del pensiero moderno affermando: «Noi vivremmo male in un mondo [...] precedente a Kant» 58. E conclude questo passo con la constatazione soddisfatta che «il
Concilio ha compiuto il proprio dovere mostrando un volto della fede
cristiana all’altezza del mondo d'oggi. E del mondo di domani» 59. Parlare di adulazione del mondo moderno non sembra un'affermazione estremista allorché si viene a conoscenza di quest'altra affermazione di Giovanni Paolo II: «È necessario aiutare (l'uomo) a non perdere questa fede nell'umanesimo, nella scienza e nel progresso» 60. Leggendo queste parole tornano alla mente quelle dell'80ª proposizione condannata da Pio IX (1792-1878) nel Sillabo (dell'8 dicembre 1864): «Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a patti con il progresso, con il liberalismo e con la civiltà moderna» 61.
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Papa Pio XII | Papa Pio IX | Immanuel Kant |
l Le verità che si tacciono
Un secondo aspetto della prassi personalista del Concilio Vaticano II consiste nell'operare una determinata
selezione nella predicazione delle verità rivelate e nell'insegnamento
della dottrina della Chiesa. Si tratta di un'operazione le cui estreme
conseguenze gravano sulla fede del popolo cristiano. Come abbiamo detto,
esistono alcuni punti della dottrina che sono stati eliminati dalla predicazione abituale della maggior parte dei pastori: quelli che urtano - si dice - la sensibilità dell'uomo moderno. Tra di essi, ricordiamo la dottrina concernente il peccato originale, trasmessa a tutti gli uomini
(fatta eccezione per la Vergine SS.ma) dai nostri progenitori; la
malizia immensa del peccato mortale, il valore soddisfatorio della
Passione di Cristo; l'esistenza del giudizio particolare e universale,
del purgatorio e dell'inferno; l'elevazione e la gratuità dell'ordine
soprannaturale e la sua distinzione dall'ordine naturale; la condanna da
parte della Chiesa di tutti gli errori moderni da Pio VI (1717-1799) a Pio XII e specialmente le Encicliche antimoderniste Pascendi Dominici Gregis e Humani Generis, così come i documenti pontifici di condanna al comunismo «intrinsecamente perverso» (Enciclica Divini Redemptoris, del 19 marzo 1937), anche come sistema sociale. Quello che non sarà mai abbastanza sottolineato è che l'esempio viene dall'alto, e che l'impulso
a questa specie di rinuncia risiede nel Vaticano II o dallo stesso
Giovanni Paolo II. E quando mai, in questi testi, tali verità vengono
enunciate in modo chiaro? 62. Per ora, ci accontenteremo di due esempi riguardanti il peccato originale e i novissimi. Con molta benevolenza, André Frossard ha trovato in alcuni discorsi di Giovanni Paolo II, che citano il Concilio, «la dottrina del peccato originale» 63. Tuttavia, è sufficiente ritornare sul già citato passo di Gaudium et spes 64, per rendersi conto che non vi sono presenti né la parola, né tanto meno la realtà. «Costituito
da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo però, tentato dal Maligno, fin
dagli inizi della Storia, abusò della libertà [...] 65. Spesso rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l'uomo ha infranto il debito ordine». In tutto questo non si fà per nulla menzione di una colpa personale dei nostri progenitori che ha causato la perdita della giustizia originale, né della corruzione della natura in seguito a questa colpa, né della trasmissione
di questa colpa a tutti i discendenti di Adamo ed Eva, né della
comunicazione di una natura ferita. Sì, si può dire con Papa Pio XII che «in
disprezzo a tutte le definizioni del Concilio di Trento, la nozione di
peccato originale è stata pervertita, e nello stesso tempo, anche quella di peccato in generale» 66. Quanto ai novissimi, è assai significativo notare che si tratta di un tema pressoché assente dalla predicazione e dall'insegnamento di Giovanni Paolo II. Da quello che ci
consta, egli ha parlato in modo esplicito solamente in un'occasione
della possibilità di incorrere nella dannazione eterna. Per la
precisione è avvenuto a Fatima, il 13 maggio 1982 67.
I passi riguardanti il giudizio sono rari e molto vaghi, e quindi
completamente privi di qualsiasi efficacia pastorale. A questo riguardo,
è molto significativa la definizione di «giudizio» data da André
Frossard: «Un bisogno di ritrovarsi infine nella verità assoluta e universale. (L'uomo comprende) la necessità di una giustizia definitiva [...], di una purificazione integrale di fronte alla maestà dell'infinita Santità» 68. Questi silenzi, al pari di questi fumosi richiami, manifestano un impressionante scivolamento dottrinale che non può che generare negli uditori l'idea che, su tali questioni, la dottrina cattolica non è più la stessa che hanno appreso dal loro catechismo. Giovanni Paolo II li incammina su questa strada quando afferma che «sebbene altre volte ho preso in esame soprattutto l'escatologia dell'uomo e il mio avvenire personale nell'oltretomba, che è nelle mani di Dio, la Costituzione conciliare ha spostato il centro di gravitazione verso la Chiesa e verso il mondo, il che ha una sua piena dimensione nella dottrina dei fini umani» 69. Eccoci ancora una volta di fronte al solito personalismo, all'attenzione esasperata accordata all'uomo moderno, che si ritiene essere la causa di questo «spostamento del centro di gravitazione»: «Noi parliamo meno dell'escatologia - scriveva già il Cardinal Wojtyla - [...] perché essa dice poco all'uomo contemporaneo [...]. I problemi che toccano
l'escatologia, legati alla vita dell'aldilà, difficilmente immaginabili
per l'uomo contemporaneo, presso il quale l'immaginazione riveste una
grande importanza, hanno ceduto a poco a poco davanti ai problemi temporali» 70. Nondimeno, come ricordava Pio XII nel 1949, non si tratta di un punto facoltativo della nostra fede: «La predicazione delle prime verità di fede e dei fini ultimi, non solo non ha perso, ai nostri giorni, la sua opportunità, ma è divenuta più che mai necessaria e urgente. Lo stesso vale anche per la predicazione sull'inferno [...]. La Chiesa ha davanti a Dio e agli uomini il sacro dovere di annunciare, di insegnare, senza alcuna attenuazione, tale quale Cristo l'ha rivelata, e non esiste alcuna circostanza di tempo che possa diminuire il rigore di quest'obbligo. Essa lega in coscienza ogni sacerdote al quale, nel ministero ordinario e straordinario, è stato affidato il compito di istruire, di avvertire e di guidare i fedeli» 71. E così, limitatamente a due punti importanti della dottrina cattolica, dobbiamo constatare che la prassi personalista del Concilio e di Giovanni Paolo II li evita abilmente, e ciò a grande detrimento delle anime che periscono prive della Verità liberatrice.
l Gli errori che si favoriscono
Nondimeno, a fianco di questi silenzi, che sono molto gravi in quanto spingono il popolo cristiano a non vivere più di queste verità di fede, esistono anche, come frutto avvelenato della prassi conciliare, gli errori che vengono così favoriti. Essi sono tali a causa sia dell'impiego di espressioni gravemente equivoche (in un campo in cui la chiarezza è indispensabile), sia per l'assenza totale di condanne esplicite. Anche in questo caso, ci limiteremo solamente a due o tre esempi. Innanzitutto, la perversione della vera nozione di soprannaturale. É risaputo come questo punto sia una delle caratteristiche più importanti del modernismo, e più in generale, una tendenza di numerosi settori della teologia moderna. Nell'Enciclica Humani Generis, Papa Pio XII si lamentava del fatto che alcuni «corrompono la vera gratuità dell'ordine soprannaturale, perché ritengono che Dio non possa creare degli esseri dotati d'intelligenza senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica». In diversi discorsi di Giovanni Paolo II sono presenti delle affermazioni sorprendenti che, a causa della loro stessa formulazione, lasciano il campo aperto all'interpretazione modernista: «L'umanità, di cui fanno parte tutti gli uomini,
figli del primo Adamo, contiene l'intimo desiderio della gloria, e cioè
l'attitudine e la tendenza a divenire gloriosa ad immagine di Cristo
risorto» 72. Non si afferma forse che c'è «nella
natura umana, a riguardo dell'ordine soprannaturale, non solo una
capacità e una convenienza, ma una vera e rigorosa esigenza», affermazione che San Pio X ha fermamente condannato nell'Enciclica Pascendi Dominici Gregis? Tuttavia, anche se si cercasse di salvare questa proposizione presentandola come una formulazione un po' larga, ma ortodossa, della dottrina agostiniana, rimane il fatto che essa è oggettivamente aperta ad una lettura in senso eterodosso. D'altronde,
il senso di una proposizione equivoca viene «deciso» dal contesto in
cui viene espressa. In questo caso, il contesto è il riferimento
costante al Vaticano II, dov'è stata volontariamente eliminata la distinzione tra «natura e grazia». Il contesto è rappresentato dalla Costituzione Gaudium et spes, in cui il destino soprannaturale della Chiesa è talmente legato alla «costruzione del mondo» che l'ordine della grazia non appare praticamente più distinto da quello della natura. Il contesto è inoltre determinato da tutta una serie di atti che chiariscono le parole. Cosa c'è di più illuminante in questo campo della nomina cardinalizia di Padre Henri de Lubac s.j. (1896-1991)? Il Cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), nel suo libro Gethsemani, Réflexions sur le Mouvement Théologique contemporain 73,
ha messo ottimamente in luce il ruolo d'importanza capitale giocato
dalle opere di Padre de Lubac s.j. nella confusione dei due ordini:
«(Padre de Lubac s.j.) affermava che l'ordine soprannaturale è necessariamente implicato nell'ordine naturale» 74. Nominandolo Cardinale, Giovanni Paolo II ha esaltato «la sua profondità spirituale, teologica e patristica» e lo ha presentato come «un punto sicuro a cui fare riferimento» 75. D'altronde, vano sarebbe ricercare negli insegnamenti ufficiali di Giovanni Paolo II - e specialmente nelle sue encicliche - il richiamo alla dottrina cattolica contro i pelagiani 76 (Concilio d'Orange); contro gli pseudo-soprannaturalisti come Michel De Bay (1513-1589), detto Baïus, il teologo giansenista francese Pasquier Quesnel (1634-1719) e i giansenisti del Sinodo di Pistoia (1786), che presentavano la Grazia come una conseguenza della creazione; contro i naturalisti moderni, che negano la soprannaturalità essenziale dei misteri
della fede (Vaticano I); contro i modernisti, i quali distruggono tutto
l'ordine soprannaturale sostituendolo con un sentimento religioso che scaturisce dal subcosciente (Encicliche Pascendi Dominici Gregis e Humani generis). In un epoca in cui questi errori brulicano, un simile silenzio tinge di una luce piuttosto sinistra le espressioni disseminate nell'insegnamento di Giovanni Paolo II su tali questioni. A questo proposito bisognerebbe anche menzionare la lettera di encomio inviata il 12 maggio 1981 dal Cardinale Agostino Casaroli (1914-1998), a nome di Giovanni Paolo II, in occasione del centenario della nascita di Padre Pierre Teilhard de Chardin s.j. 77. L'influenza del suo pensiero in seno al Concilio è un fatto innegabile. Padre Yves Congar o.p. (1904-1995), che ha
giocato un ruolo molto importante nella preparazione dei testi
conciliari più significativi (e per questa ragione elevato al
cardinalato), ha riconosciuto che essi «coincidono completamente con la sua (di Teilhard) visione cosmologica e cristologica» 78. Le «ambiguità, e persino gli errori gravi in materia filosofica e teologica, tali da offendere la dottrina cattolica» che pullulano nell'opera di Padre Teilhard e che hanno fortemente contribuito a confondere completamente l'ordine della natura e quello della grazia, non possono che essere
incoraggiati da un'esaltazione del loro autore e dalla «promozione» al
cardinalato del loro maggiore difensore: Padre Henri de Lubac s.j.. Un
secondo esempio ci viene fornito dalla questione del marxismo, o più
esattamente, dal comunismo. É veramente molto scandaloso ed è una grave
mancanza di carità verso quegli uomini che ancora oggi gemono sotto il giogo comunista, che ormai da vent'anni non si provveda a ricordare la dottrina cattolica a riguardo.
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Henri de Lubac | Cardinale Siri | Pasquier Quesnel |
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Cardinale Casaroli | Teilhard de Chardin | Yves Congar |
Ciononostante, essa permane chiara e obbligatoria; da Pio IX, che nel 1846 condannò il comunismo definendolo una «dottrina mostruosa, completamente contraria allo stesso diritto naturale» 79; a Papa Pio XII, il quale nel 1955 affermò: «In virtù della dottrina cristiana, Noi rifiutiamo il comunismo anche come sistema sociale» 80; per finire alla famosa sentenza di Papa Pio XI del 1937: «Il comunismo è intrinsecamente perverso; e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civiltà cristiana» 81.
Il blocco dell'insegnamento pontificio sul comunismo è esente da
incrinature. Ciò nonostante, non una sola parola su questa spaventosa
realtà - vera piaga del mondo moderno - nel «Concilio personalista» che si rivolge al mondo dei nostri tempi! Non una sola frase di condanna esplicita nei documenti ufficiali o nei discorsi - anche se prolissi e numerosi - di Giovanni Paolo II! Anzi, la famosa enciclica Laborem exercens presenta una concezione del lavoro e della sua dignità così prossima alla visione che ne ha dato Karl Marx (1818-1883) che, a questo riguardo, si è potuto scrivere: «L'uomo
(mediante il suo lavoro) umanizza la natura e, umanizzandola, umanizza
se stesso. La natura diventa l'essere umano dell'uomo. Prima di ogni
altra ideologia, questa fu l'intuizione di Marx. Leggendo il primo capitolo della Genesi, aldilà delle ideologie moralizzanti, Giovanni Paolo II incontra, nell'economia cristiana, le stesse prospettive». L'autore di questa analisi non è don Georges de Nantes (1924-2010) - che aveva definito «marxista» questa enciclica 82 - ma Padre Marie-Dominique Chenu! 83. Questo accostamento, sommato all'assenza di qualsiasi condanna del comunismo, anche come sistema sociale, costituisce un prezioso e oggettivo incoraggiamento all'errore. Tale analisi è d'altronde
corroborata da numerosi fatti: il silenzio di Giovanni Paolo II
relativamente al «messale marxista» imposto nel 1983 dal'’Episcopato
francese 84; l'appoggio dato anche a quei Vescovi apertamente filo-marxisti come un dom Hélder Câmara o.s.b. (1909-1999) 85;
il disconoscimento, fatto per compiacere il Patriarcato ortodosso di
Mosca infeudato ai sovietici, dei cattolici ucraini uniati, in seguito
al Sinodo del 1980 86; la mitigante presentazione del comunismo come «sistema che fà appello al lavoro umano come al valore fondamentale della vita, della società e dello Stato» nel corso dell'udienza accordata a Solidarité, il 15 gennaio 1981 87, ecc... Forse si obietterà che questi
silenzi sono motivati da ragioni prudenziali. É possibile condannare le
idee teilhardiane e moderniste, così universalmente disseminate
tra il clero e tra gli intellettuali cattolici? É possibile riaffermare
le vecchie condanne del comunismo, quando molti sacerdoti e Vescovi
hanno optato per la collaborazione pratica con esso? Senza approvarli,
ci dicono alcuni, Giovanni Paolo II pazienta e cerca di ricondurli
all'ovile mediante l'esposizione positiva della dottrina. In realtà,
questa obiezione non tiene conto dell'appoggio oggettivo che la
dottrina, gli atti e i silenzi di Giovanni Paolo II apporta ai fautori
dell'errore in questi due campi e in tanti altri (quello della catechesi, ad esempio). Non si tratta qui di giudicare le intenzioni soggettive, note solamente a Dio. Si tratta invece di constatare che la condanna degli errori fà parte dell'essenza del Magistero della Chiesa e del ministero del Papa. San Gregorio VII (1020-1085) ha definito come un «tradimento alla fedeltà giurata a Gesù Cristo»
il silenzio di fronte agli artefici dell'errore. Ecco quanto dichiarava
questo grande Papa in occasione del Sinodo romano ai tempi del
conflitto tra sacerdozio e Impero: «É meglio morire per le Leggi del Signore che abbandonare i diritti della Chiesa girando le spalle davanti a coloro che li invadono e li distruggono; poiché non combattere tali uomini equivale a rinnegare la fede giurata a Gesù Cristo» («Christi fidem planissime est negare») 88.
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Georges de Nantes | dom Hélder Câmara | San Gregorio VII |
La sollecitudine dei Sommi Pontefici nel compiere questo dovere è stata rimarcata da Pio IX nelle prime righe dell'Enciclica Quanta cura (dell'8 dicembre 1864): «I nostri predecessori [...], preoccupati, prima di tutto, della salvezza delle anime [...], non hanno mai avuto nulla di più a cuore che di scoprire e di condannare, mediante le loro sapientissime Lettere e Costituzioni, tutte le eresie e tutti gli errori». San Pio X, all'inizio dell'Enciclica Pascendi Dominici Gregis, prima di passare in rassegna gli errori dei modernisti, scriveva: «Per la qual cosa non ci è ormai più lecito tacere, se non vogliamo sembrare di mancare al dovere Nostro gravissimo». Anche Pio XII, nella sua prima Enciclica Summi Pontificatus (del 20 ottobre 1939) scriveva similmente: «Ci
sentiamo soprattutto debitori verso i Nostri tempi di rendere, con
apostolica fermezza, testimonianza alla verità: "testimonium perhibere
veritati". Questo dovere comprende necessariamente l'esposizione e la confutazione degli errori e delle colpe umane che è necessario conoscere affinché sia possibile curarli e guarirli».
IV
LA TEORIA DEL PERSONALISMO
CONCILIARE IN GIOVANNI PAOLO II
Vorremmo ora mostrare brevemente la sua preoccupazione di esaltare la persona e «di affermare l'uomo per sé stesso, e non per qualche altro motivo; unicamente per sé stesso» 89. Seguendo il Concilio Vaticano II, Giovanni Paolo II non può evitare di sostenere non poche proposizioni oggettivamente erronee. La nostra analisi non vuole qui essere esaustiva. La praxis del personalismo sfocia in una teoria incompatibile con l'intelligenza della fede.
l «La natura umana è elevata, in ogni uomo, dal solo fatto dell'Incarnazione, ad una sublime dignità»
Nella sua enciclica Redemptor hominis (del 4 marzo 1979; § 8), Giovanni Paolo II riprende una proposizione di Gaudium et spes (§ 22), di cui fà la chiave della sua meditazione sulla grandezza dell'uomo 90. Ecco questa proposizione: «Poiché in Lui (Cristo) la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata ad una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». Si afferma, dunque, che la natura umana concreta che possiede ogni uomo è, per il solo fatto (eo ipso) dell'Incarnazione elevata ad una sublime dignità. Ma ciò è assolutamente falso! La natura che ogni
uomo possiede, ad eccezione della sola Vergine SS.ma, è la natura
decaduta. Questa natura, prima di ricevere la grazia è, in ciascuno di
noi, in uno stato di indegnità derivante dal peccato originale. Quando
un essere umano riceve la grazia di Cristo, essa comincia a curare in lui alcuni dei mali conseguenti a questo stato di decadenza. Gli altri mali saranno eliminati solamente «quando avverrà il risanamento della natura mediante la resurrezione gloriosa (dei corpi)» 91. Nel frattempo, «il fomite del peccato» dimora anche nei battezzati «per il combattimento» 92.
Fintantoché la grazia (almeno quella comunicata dalla fede
soprannaturale) non è stata ricevuta, non avviene alcuna sublime
elevazione della dignità della natura concreta dell'uomo. Tramite
il Battesimo, ricevuto almeno «per desiderio», l'uomo viene elevato
alla dignità della filiazione divina adottiva. Il passaggio, il
trasferimento a questo stato di dignità non può avvenire in altro modo.
Tale dignità soprannaturale non può essere conferita senza
l'acquisizione personale (per gli adulti) delle grazie della Redenzione.
«Non è forse manifesto - scrive San Cirillo - che (il Verbo) è sceso nella natura del servitore [...] affinché noi ci elevassimo mediante la somiglianza con Lui [...] perché [...] fossimo trasformati in dèi e figli di Dio per mezzo della fede»? 93.
Al contrario, la tesi conciliare riconosce ad ogni natura umana una
dignità derivante dal solo fatto dell'Incarnazione. Questa tesi appare
come un prolungamento logico dell'eliminazione della dottrina del peccato originale, operata dalla Costituzione Gaudium et spes al paragrafo n° 13. In moltissimi passaggi del suo insegnamento, Giovanni Paolo II attribuisce la dignità della filiazione divina ad ogni uomo: «Questa dignità che ogni uomo ha raggiunto e può continuamente raggiungere in Cristo e che è la dignità della grazia dell'adozione divina» 94. «L'elevazione soprannaturale di ogni uomo in Gesù Cristo [...], la dignità dei figli adottivi di Dio di cui noi siamo gratificati in Lui» 95. «La novità che Cristo ha portato nel mondo, insegnando ad ogni uomo che Egli è figlio di Dio (Mt 6, 9-15), riscattato dal Sangue di Cristo (Ef 1, 7), coerede con Lui (Rm 8, 17)» 96. Notiamo che San Paolo si indirizzava a dei battezzati, ricordando loro che erano figli ed eredi di Dio, coeredi con Cristo 97. Egli non si immaginava minimamente che «ogni uomo» fosse coerede con Cristo per il solo fatto della sua umanità!
l «La dignità dell’uomo implica il diritto di non essere impedito nel diffondere l’errore religioso»
Questa affermazione costituisce il cuore della famigerata Dichiarazione conciliare sulla «libertà religiosa» Dignitatis humanæ (del 7 dicembre 1965). Giovanni Paolo II la fà sua e non ha cessato di ricordarne l'importanza anche recentemente:
- nel discorso ai partecipanti alla 69ª Conferenza dell'Unione Interparlamentare del 18 settembre 1982 98;
- nel suo dialogo con André Frossard 99.
In una lettera alla redazione del Tygodnik Powszechny, scritta durante il Concilio, Mons. Wojtyla sottolineava che «questa
Dichiarazione non costituisce solamente un testo a sé stante; essa
costituisce allo stesso tempo un testo a cui fare riferimento per molti
altri documenti» 100.
Il carattere certamente erroneo di questa dottrina è già stato
ampiamente documentato e dimostrato da molti autori, per cui ci limiteremo unicamente ad indicare un aspetto talvolta dimenticato di questo importante documento. In effetti, esso afferma: «I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per iscritto [...]. Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i
gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù
singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel
vivificare ogni umana attività» 101. «Che cosa bisogna pensare - scriveva San Pio X a proposito delle dottrine analoghe dei sillonisti - di
questo appello a tutti gli eterodossi e a tutti gli increduli a provare
l'eccellenza delle loro convinzioni sul terreno sociale, in una specie
di concorso apologetico, come se questo concorso non durasse già da
venti secoli in condizioni non meno pericolose per la fede dei cristiani
e tutto con onore della Chiesa cattolica»? 102.
l «La ferma credenza dei membri di religioni non-cristiane è un effetto dello Spirito di verità»
É nella sua lettera enciclica Redemptor hominis (§ 6) che Giovanni Paolo II enuncia questa proposizione. Cerchiamo ora di capire bene cos'è in causa. Giovanni Paolo II tratta dell'«avvicinamento con i rappresentanti delle religioni non-cristiane» che si esprime tra l'altro per mezzo della «ricerca dei tesori della spiritualità umana, i quali - come ben sappiamo - non mancano neppure ai membri di queste religioni».
Non si tratta, dunque, come alcuni hanno sostenuto per giustificare
questa frase, della conoscenza naturale di Dio attraverso le Sue opere (Rm 1, 18-21). Si parla delle religioni stesse e della ferma credenza dei loro membri. Il termine «credenza» non può essere ristretto, senza forzare il testo, alla sola parte inerente le dottrine di queste religioni che corrisponde,
eventualmente, alla verità nell'ordine della religione naturale. Così
come viene enunciato, esso riguarda il corpo dottrinale di dette
religioni, senza apportare alcuna distinzione supplementare. D'altronde,
se ancora ci fossero dei dubbi, essi svanirebbero dinanzi alla
dichiarazione di Giovanni Paolo II al Congresso Internazionale di
Pneumatologia, del 26 marzo 1982: «Lo Spirito Santo è misteriosamente presente anche nelle religioni e nelle culture non-cristiane [...]. Di esso, si potrebbe dire: ciascuno ne possiede una parte e tutti lo posseggono per intero, tanto la sua generosità è inesauribile» .
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Da sinistra: Kali, la dea nera della distruzione nell'induismo; Yama, il dio della morte e il signore degli inferi; Quetzalcoatl, ovvero il Serpente piumato, la sanguinaria divinità azteca alla quale venivano sacrificate ritualmente migliaia di schiavi ogni anno. Secondo l'insegnamento di Giovanni Paolo II, «lo Spirito Santo è misteriosamente presente anche nelle religioni e nelle culture non-cristiane»... O forse è Satana che regna in questi falsi culti? |
Si
tratta dunque della presenza dello Spirito Santo nelle religioni
non-cristiane. É a torto, onde giustificare tale affermazione, come fà
Giovanni Paolo II in questo discorso, che si invocano le «pietre d'attesa» o il «seme del Verbo». Questo «seme del Verbo»,
evocato dai Padri della Chiesa, era una partecipazione naturale alla
Sapienza divina; per i Padri apostolici, essa non era affatto presente
nelle religioni pagane, ma nella saggezza di alcuni filosofi,
perseguitati proprio dal paganesimo 104. In queste condizioni, parlare di «ferma credenza dei membri delle religioni non-cristiane»
come di un effetto dell'opera dello Spirito Santo, comporta
un'espressione incompatibile con la fede cattolica. Al contrario, lo
Spirito Santo lavora per dissolvere tale «ferma credenza» al fine di fare aderire la persona alla verità rivelata da Dio. Pio XII, nella sua Enciclica Mystici Corporis indica che «le impressioni della grazia divina» incitano queste persone, anche se sono in buona fede, «ad uscire da uno stato in cui nessuno può essere sicuro della propria salvezza eterna» 105. Infatti, colui che erra in buona fede, in una religione non-cristiana, non avrebbe che una semplice opinione umana relativamente agli errori del suo gruppo religioso. Non è in qualità di «membro di una religione non-cristiana», ma malgrado essa e i suoi errori, che lo Spirito Santo gli elargirebbe la grazia della fede salvifica, la quale è soprannaturale 106.
l «Lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di altre Chiese o comunità ecclesiali separate come di strumenti di salvezza»
Questa proposizione, contenuta nel Decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio (del 21 novembre 1964; § 3), è stata ripresa da Giovanni Paolo II nella sua Esortazione Apostolica Catechesi Tradendæ, del 16 ottobre 1979 (§ 32). Misuriamo bene la portata di tale affermazione. Qui non si parla di quelle persone che sono in buona fede, ma delle «altre Chiese o comunità ecclesiali» come tali. E come tali, esse vengono presentate come degli «strumenti di salvezza». Il Concilio, d'altronde, precisa che «queste Chiese e comunità separate [...] nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di valore» 107. Si tratta pertanto dei gruppi religiosi come tali, e non degli individui che possono trovarvisi in buona fede. Questi ultimi,
se si salvano, grazie ai sacramenti validamente conservati nelle
comunità di appartenenza, nondimeno, non si salvano grazie a queste
comunità in quanto tali. Queste comunità, come distinte dalla Chiesa
cattolica, sono un intoppo e costituiscono un obex
(dal latino «ostacolo»; N.d.R.) al flusso della grazia. Se per un
individuo in buona fede, il sacramento è fonte di grazia, significa che questa persona - invisibilmente, ma realmente - appartiene alla Chiesa cattolica romana. É in opposizione a ciò che costituisce questi gruppi nella loro specificità e malgrado essi che quel
tal individuo giungerà alla salvezza. É dunque falso (ed è un'occasione
di profondo scandalo per la fede dei cattolici) presentare le comunità
separate come degli strumenti dello Spirito Santo e dei mezzi di
salvezza. «Ciò è sommamente contrario alla dottrina cattolica» 108.
CONCLUSIONE:
RISPOSTA AD ALCUNE OBIEZIONI
In
questo esposto, abbiamo mostrato come l'anima dell'insegnamento di
Giovanni Paolo II sia il Vaticano II e la sua prospettiva personalista.
Abbiamo anche abbozzato un'analisi delle conseguenze pratiche e teoriche di
questa prospettiva. Nell'ordine pratico: immersione nel mondo, silenzio
su alcune verità centrali della fede, e incoraggiamento oggettivo ad
abbracciare alcuni errori molto gravi. Nell'ordine teorico: almeno
quattro proposizioni false nel loro senso più evidente. Terminando questo bilancio, vogliamo rispondere, almeno succintamente, ad alcune obiezioni che non mancheranno certo di essere sollevate.
-
Ci verrà senza dubbio rimproverato di aver messo in evidenza soltanto
le ombre, passando invece sotto silenzio tutto il contenuto positivo e
conforme alla dottrina della fede dell’insegnamento di Giovanni Paolo II
(ad esempio, nel campo della morale, della pietà o di una parte della
dottrina eucaristica, ecc...). Rispondiamo a questa obiezione facendo
notare che non ci deve meravigliare il fatto che colui che è
stato eletto per essere il Dottore della Chiesa universale insegni
numerose verità della fede cattolica! Lo scopo di questo breve articolo
non è di fare un'antologia del suo pensiero, ma di mettere in luce i
punti che la fede teologale ricevuta col Battesimo ci impedisce di accettare. Se, anche su un punto solo, l'insegnamento oggettivamente dispensato è in opposizione con quello che la
Chiesa ha già infallibilmente e irreformabilmente insegnato nel suo
Magistero, quest'unico punto giustifica e legittima il rifiuto ad
aderire a tale insegnamento e la nostra protesta. É su uno solo e ben
determinato punto di dottrina che dei Santi e dei futuri Papi hanno protestato contro la mancanza passeggera di Papa Pasquale II (1054-1118) in occasione del preteso diritto di investitura laica.
- Si affermerà, senza dubbio, che a riguardo dei testi che abbiamo incriminato, ne esistono altri che affermano o che sembrano affermare le verità messe in pericolo da questi stessi testi. É il caso, si dirà, del testo di Gaudium et spes sulla dignità della natura umana (§ 22) che menziona, almeno allusivamente, la necessità di una conversione personale: «(il Figlio di Dio) ci ha anche aperta la strada; se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato». In questo caso specifico, si può rispondere che questa proposizione non dice affatto che questa
conversione è necessaria affinché la nostra natura sia elevata ad una
sublime dignità dal fatto dell'Incarnazione, ma solamente per
santificare la nostra vita e darle un nuovo significato. Rimane il fatto che, anche se
non lo seguiamo nei nostri atti, Cristo ha già (pretenziosamente)
elevato la nostra natura ad una dignità soprannaturale per il solo fatto
dell'Incarnazione. Tuttavia, più profondamente, occorre evidenziare che l'affermazione di una verità in un testo non ha il potere magico di far scomparire l'errore contenuto nello stesso testo qualche riga più sopra. «Il bene viene da una causa integra, il male non importa da quale mancanza», recita l'adagio scolastico. Anche se la miscela di affermazioni vere o erronee a riguardo dei medesimi soggetti è reale 110, anche in
questo caso, ciò costituisce una ragione in più per rifiutare questi
testi in cui il falso «passa» grazie alla presenza del vero. Ecco ciò che ci impedisce assolutamente di dare «il consenso religioso dell'intelligenza e della volontà».
- Indubbiamente, si affermerà anche che noi
leggiamo in modo preconcetto questi testi, forse difettosi nella forma,
ma ai quali Giovanni Paolo II attribuisce un senso ortodosso e che bisogna dunque interpretare pro bono o «secondo l'analogia della fede». Facciamo notare che qui non c’è in causa il senso soggettivamente inteso dall'autore. Ciò che qui è in causa è il senso oggettivamente ovvio contenuto nei termini.
E in questo caso, tenendo conto del carattere ufficiale dei documenti
in cui esso è stato espresso, un grave equivoco non è tollerabile. La
fede della Chiesa non può affermarsi mediante un linguaggio doppio o per
mezzo di restrizioni mentali. Essa ne perirebbe. D'altra parte, non si
tratta di arzigogolare su alcune espressioni infelici nella forma,
presenti in alcuni testi ufficiali che giungono nel bel mezzo di un cielo senza nubi su di una Chiesa tranquilla. Si tratta invece di aprire gli occhi e di vedere obiettivamente che il neomodernismo ha invaso sfere immense delle strutture ecclesiastiche. Se si è potuto dire, non senza buoni motivi, prima a Paolo VI e ora a Giovanni Paolo II: «Ridateci il catechismo, la Sacra Scrittura e la Santa Messa» (Jean Madiran) è perché i beni essenziali della Chiesa sono ovunque in pericolo! É in questo contesto che giunge a noi «dalla più alta sommità» un insegnamento incompleto, intaccato da parecchi errori molto gravi e disseminato
di proposizioni dubbie o quanto meno ambigue. In quale senso bisogna
intenderle? Ma nel senso della predicazione abituale dei pastori
collocati e mantenuti da Giovanni Paolo II! Non è forse stato detto
loro, a proposito della questione del catechismo modernista francese Pierres Vivantes: «In
questo campo, nelle diocesi in cui avete un incarico, nessuna persona,
né alcun gruppo privato dovrà sospettare o mettere in discussione la
vostra responsabilità primaria, o l'autorità che gli è inerente»? 111.
- Forse qualcuno ci dirà: ma che importanza
ha tutto questo? Non è sufficiente appartarci con il vecchio catechismo
di un tempo, lasciando da parte le questioni dottrinali che non
interessano a nessuno? Ma è proprio questo atteggiamento a mostrarci la
necessità di sottolineare il primato della verità e della fede nella
Chiesa. La storia della Chiesa è costellata di grandi lotte, il cui
esito è stato decisivo per la fede dei semplici. Non avete notato come i
pastori imbevuti di progressismo insistano sull'importanza
dell'«impegno nel mondo», del «sociale», ecc..., a tal punto da non dare che ormai un peso relativo ai doveri proprî del loro ministero? Ma questo è il risultato diretto e immediato della teologia di Gaudium et spes! Avete anche notato
come tali pastori esaltino senza posa la dignità soprannaturale di ogni
uomo, adottato da Dio come figlio in Cristo, senza menzionare il
peccato originale o la nostra natura decaduta? Ma questa è la
volgarizzazione della predicazione abituale di Giovanni Paolo II sull'«unione di Cristo ad ogni uomo»!
Le «questioni di dottrina», come vengono chiamate, sono vitali per la
Chiesa, poiché la fede è il fondamento della vita soprannaturale.
Possiamo lasciar credere ai nostri fratelli che accettiamo tutto questo? Possiamo disinteressarci di coloro che brancolano nell'errore a causa dei cattivi pastori? Non dobbiamo forse fare tutto il possibile per ristabilirli nella verità? «Indietreggiare davanti al nemico e restare in silenzio quando da ogni parte si elevano questi clamori contro la verità, è cosa da uomo senza carattere, o di persona che dubita della veridicità della propria fede. In entrambi i casi, una simile condotta è vergognosa ed è un'ingiuria a Dio; essa non è vantaggiosa che ai soli nemici della fede, poiché nulla imbaldanzisce di più l'audacia dei malvagi che la debolezza dei buoni» .
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