"Ho visto di nuovo la strana
grande chiesa che veniva costruita là [a Roma]. Non c’era niente di
santo in essa. Ho visto questo proprio come ho visto un movimento
guidato da ecclesiastici a cui contribuivano angeli, santi ed altri
cristiani. Ma là [nella strana chiesa] tutto il lavoro veniva fatto
meccanicamente. Tutto veniva fatto secondo la ragione umana...Ho visto
ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni. C’era
qualcosa di orgoglioso, presuntuoso e violento in tutto ciò, ed essi
sembravano avere molto successo. Io non vedevo un solo angelo o un santo
che aiutasse nel lavoro. Ma sullo sfondo, in lontananza, vidi la sede
di un popolo crudele armato di lance, e vidi una figura che rideva, che
disse: "Costruitela pure quanto più solida potete; tanto noi la
butteremo a terra"". (12 settembre 1820)
"Fra le cose più strane che vidi, vi erano delle lunghe processioni
di vescovi. Mi vennero fatti conoscere i loro pensieri e le loro parole
attraverso immagini che uscivano dalle loro bocche. Le loro colpe verso
la religione venivano mostrate attraverso delle deformità esterne.
Alcuni avevano solo un corpo, con una nube scura al posto della testa.
Altri avevano solo una testa, i loro corpi e i cuori erano come densi
vapori. Alcuni erano zoppi; altri erano paralitici; altri ancora
dormivano oppure barcollavano". (1 giugno 1820)
"Vidi molto chiaramente gli errori, le aberrazioni e gli
innumerevoli peccati degli uomini. Vidi la follia e la malvagità delle
loro azioni, contro ogni verità e ogni ragione. Fra questi c’erano dei
sacerdoti e io con piacere sopportavo le mie sofferenze affinché essi
potessero ritornare ad un animo migliore". (22 marzo 1820)
"Vidi che molti pastori si erano fatti coinvolgere in idee che erano
pericolose per la Chiesa. Stavano costruendo una Chiesa grande, strana,
e stravagante. Tutti dovevano essere ammessi in essa per essere uniti
ed avere uguali diritti: evangelici, cattolici e sette di ogni
denominazione. Così doveva essere la nuova Chiesa... Ma Dio aveva altri
progetti". (22 aprile 1823)
Nel bellisimo libro "LA BATTAGLIA FINALE DEL DIAVOLO", nel capitolo 7, con il titolo "l'abbatimento dei bastioni", viene citata una clamorosa affermazione dell'allora Cardinale Ratzinger che confermerebbe il Suo essere apertamente modernista:
"Continuando su questa linea, e citando a suo vantaggio uno dei teologi neo modernisti che più hanno aiutato a produrre questo stato di calamità nella Chiesa, il Cardinale Ratzinger ha dichiarato:
Il fatto è che come disse Hans Urs von Balthasar già nel 1952 … essa [la Chiesa] deve abbandonare molte delle cose che le hanno fin qui dato sicurezza e che ha considerato come date per scontato. Essa deve abbattere gli antichi bastioni ed affidarsi solamente allo scudo della fede. (Cardinale Ratzinger, Principles of Catholic Theology pag 391)"
Partendo da quesa clamorosa affermazione di Ratzinger, che cita un eretico patentato, vediamo ora cio' che ha riportato il trapassato "Osservatore Romano" su un documento del 1967 in cui Ratzinger mette in discussione la discesa di Gesù agli "inferi", affermazione che è contenuta nel Credo Cattolico, che Ratzinger non chiama nemmeno "inferi" ma "inferno". Si mette adirittura in discussione un articolo del Credo asserendo che: "
Diciamolo con tutta chiarezza:
nessuno è in grado di spiegarlo veramente".
Incerdibile asserire che nessuno ci ha spiegato un articolo del Credo:"[...] patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, mori e fu
sepolto; discese agli Inferi; il terzo giorno risuscitò da morte [...]", come se la Sacra Scrittura e l'autentica Tradizione della Chiesa, non abbia mai dichiarato solennemente che Gesù, dopo la morte e disceso agli "inferi" e non all'inferno.
Come è anche incredibile mettere in discussione l'esistenza degli "inferi" riducendo il tutto, perchè non posseggono una retta fede, ad un stato umano dopo la morte.
In effeti, per spiegare il perchè questi novelli teologi conciliari cambino allegramente la Dottrina della Chiesa, citiamo anche quei pagliacci modernisti della "commisione Teologica Internazionale" che abolirono il "limbo", con un pietoso documento approvato dal presente Pontefice spiccatamente modernista.
Ma andiamo con ordine, prima gli "inferi" poi il "limbo" citando affermazioni di Santi e di Papi:
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"INFERI"
Sempre San Pio X, alla domanda
"Dopo la morte, che fu di Gesù Cristo?", rispose affermando "Dopo la
morte, Gesù Cristo discese con l'anima al Limbo, dalle anime dei giusti
morti fino allora, per condurle seco in Paradiso; poi risuscitò,
ripigliando il suo corpo che era stato sepolto".
Ed ancora: "Sepolto
il corpo, Egli [Gesù] coll'anima santissima discese al Limbo per
liberar le anime dei giusti ivi trattenute in attesa della redenzione".
Anche il Catechismo pubblicato dal Papa San Pio V per Decreto del Concilio di Trento, in maniera chiarissima dice:
"
Poi
si dovrà‚ insegnare come Gesù Cristo nostro Signore disceso nel Limbo,
per condurre seco in cielo i santi Padri e tutti gli altri uomini pii,
liberandoli dal carcere, dopo aver strappato al demonio la sua preda; il
che fu da lui compiuto in maniera ammirabile e con gloria grande".
A questo deve aggiungersi il favore, tacito o espresso, del Magistero Pontificio, che per bocca di Pio VI ha difesa come ortodossa la credenza nel Limbo contro l'eretico sinodo di Pistoia: «La dottrina che rigetta come favola pelagiana quel luogo degli inferi (che i fedeli ovunque chiamano con il nome di Limbo dei bambini), nel quale le anime di coloro che sono morti con il solo peccato originale sono punite con la pena del danno [privazione della visione di Dio] senza la pena del fuoco [...] è falsa, temeraria, ingiuriosa per le Scuole cattoliche» (DB 1526).
"LIMBO"
San Pio X, nel Catechismo Maggiore, affermava che "I bambini
morti senza Battesimo vanno al Limbo, dove non è premio soprannaturale
né pena; perché, avendo il peccato originale, e quello solo, non
meritano il Paradiso, ma neppure l'Inferno e il Purgatorio".
Spiega inoltre San Tommaso sulla questione del limbo, che contraddice il pietoso documento della Commissione Teologica Internazionale:
«per la medesima ragione per la quale essi [i bambini morti senza battesimo] non sono puniti con un dolore sensibile che li affligge dall'esterno, non devono soffrire un dolore interiore. Poiché il dolore della pena corrisponde al piacere della colpa. Ora, mancando ogni piacere nel peccato originale, va escluso ogni dolore da parte della pena corrispondente.
Ecco
perché altri affermano che i bambini non battezzati avranno la
conoscenza perfetta di quanto rientra nella conoscenza naturale, e
conosceranno di essere esclusi dalla vita eterna e la causa di tale esclusione, senza tuttavia provare afflizione alcuna per questo. Vediamo subito come ciò sia possibile.
Si deve dunque riflettere che se uno è dotato di retta ragione [e tali sono —ha spiegato più su— le anime del Limbo, che libere dall'infermità del corpo, conosceranno "almeno quelle cose che si possono investigare con la ragione ed altre ancora"] non si affligge per il fatto di mancare di quanto sorpassa la propria condizione, ma solo per la carenza di quanto in qualche modo era a lui proporzionato. Nessun uomo saggio, per es., si affligge di non poter volare come un uccello, oppure perché non è re o imperatore, non essendo ciò a lui dovuto, ma si affliggerebbe se venisse privato di ciò cui in qualche modo era predisposto. Ebbene tutti gli uomini dotati dell'uso del libero arbitrio sono proporzionati a conseguire la vita eterna, perché sono in grado di prepararsi alla grazia, per cui si consegue la vita eterna. Se quindi costoro non la rag- giungono, ne devono provare un dolore grandissimo, perché perdono quanto sarebbe stato loro possibile [è la condizione dei dannati]. I bambini, invece, non furono mai proporzionati a conseguire la vita eterna: poiché essa non era loro dovuta per i principii naturali, superando ogni capacità della natura; né ebbero mai la possibilità di avere atti propri, con i quali conseguire un bene così grande. Perciò essi
non si addoloreranno affatto per la mancanza della visione di Dio: anzi
godranno di partecipare in molte cose della bontà divina e delle
perfezioni naturali.
Né
si può dire che essi erano proporzionati a conseguire la vita eterna per
l'opera altrui, anche se non propria, perché avrebbero potuto essere
battezzati da altri, come molti altri bambini nelle stesse condizioni,
che cosi hanno conseguito la vita eterna. Infatti si deve a una grazia sovrabbondante il fatto che uno sia premiato senza un atto personale. Perciò la mancanza di una tale grazia non causa, nei bambini non battezzati, una tristezza maggiore di quanta ne causi nei saggi il fatto che a loro non vengono concesse molte grazie che invece sono concesse ad alcuni del loro rango» (Summa Th. Suppl. App. II a.2).
Insomma, se il Limbo non è il Paradiso,
non è, neppure l'inferno dei dannati e, se le anime non vi godono della
visione beatifica, godono tuttavia d'una felicità accidentale e
secondaria, possedendo senza dolore dei beni naturali, nient'affatto
disprezzabili, al primo posto la conoscenza e l'amore naturale di Dio, come spiega San Tommaso:
«Benché i bambini non battezzati siano separati da Dio, quanto all'unione mediante la gloria, non sono tuttavia totalmente separati da Lui. Anzi sono uniti a Dio per la partecipazione dei beni naturali e così possono anche godere di Lui per la naturale cognizione ed il naturale amore» (In IV Sent. l.II, dist.XXX, q.II a.2, ad 5).
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Questi personaggi hanno in se "un orrore istintivo al Dogma (Marcel Lefebvre"...) non ci si può stupire di quello che dicono e che fanno, oramai sonno personaggi che pubblicamente o per iscritto rigettano ciò che la Vera Chiesa Cattolica ha affermato solennemente.
Quindi ricapitolando, 1°, gli "inferi non sono un luogo ma uno stato", 2°, anche il Purgatorio non è un luogo ma è uno stato" (articolo che già trattammo in passato che riproponiamo). Ci mancha solo che Ratzinger metta in discussione il Paradiso e la frittata è fatta, verrebbe cambiata radicalmente la dottrina millenaria della Chiesa per passare oltraggiosamente ad un altra religione.
Ratzinger e il mistero del Sabato santo
In occasione del centenario della
nascita di William Congdon è in corso a New Haven, in Connecticut, al
Knights of Columbus Museum, la mostra «The Sabbath of History: William
Congdon». In esposizione sessantacinque opere che illustrano come il
percorso artistico di Congdon sia segnato da una profonda meditazione
spirituale che ha trovato, tra l'altro, consonanza con le riflessioni di
Joseph Ratzinger proprio sul tema del Sabato santo. La mostra -- aperta
fino al 16 settembre e curata da Rodolfo Balzarotti e da Daniel Mason
-- accosta infatti alle opere di Congdon le meditazioni di Ratzinger che
risalgono ad alcune lezioni tenute nel 1967 poi raccolte nel 1998 nel
libro Il sabato della storia (Jaca Book) scritto insieme a William Congdon. Pubblichiamo stralci di una di quelle meditazioni.
Il nascondimento di Dio in questo
mondo costituisce il vero mistero del Sabato santo, mistero accennato
già nelle parole enigmatiche secondo cui Gesù «è disceso all'inferno».
Nello stesso tempo l'esperienza del nostro tempo ci ha offerto un
approccio completamente nuovo al Sabato santo, giacché il nascondimento
di Dio nel mondo che gli appartiene e che dovrebbe con mille lingue
annunciare il suo nome, l'esperienza dell'impotenza di Dio che è
tuttavia l'Onnipotente -- questa è l'esperienza e la miseria del nostro
tempo.
Ma anche se il Sabato santo in tal
modo ci si è avvicinato profondamente, anche noi comprendiamo il Dio del
Sabato santo più della manifestazione potente di Dio in mezzo ai tuoni e
ai lampi, di cui parla l'antico Testamento, rimane tuttavia insoluta la
questione di sapere che cosa si intende veramente quando si dice in
maniera misteriosa che Gesù «è disceso nell'inferno».
Diciamolo con tutta chiarezza:
nessuno è in grado di spiegarlo veramente. Né diventa più chiaro dicendo
che qui inferno è una cattiva traduzione della parola ebraica shêol,
che sta a indicare semplicemente tutto il regno dei morti, e quindi la
formula vorrebbe originariamente dire soltanto che Gesù è sceso nella
profondità della morte, è realmente morto e ha partecipato all'abisso
del nostro destino di morte. Infatti sorge allora la domanda: che cos'è
realmente la morte e che cosa accade effettivamente quando si scende
nelle profondità della morte?
Dobbiamo qui porre attenzione al
fatto che la morte non è più la stessa cosa dopo che Cristo l'ha subita,
dopo che egli l'ha accettata e penetrata, così come la vita, l'essere
umano non sono più la stessa cosa dopo che in Cristo la natura umana
poté venire a contatto, e di fatto venne, con l'essere proprio di Dio.
Prima la morte era soltanto morte,
separazione dal paese dei viventi e, anche se con diversa profondità,
qualcosa come “inferno”, lato notturno dell'esistere, buio
impenetrabile. Adesso però la morte è anche vita e quando noi
oltrepassiamo la glaciale solitudine della soglia della morte, ci
incontriamo sempre nuovamente con colui che è la vita, che è voluto
divenire il compagno della nostra solitudine ultima e che, nella
solitudine mortale della sua angoscia nell'orto degli ulivi e del suo
grido sulla croce «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», è
divenuto partecipe delle nostre solitudini.
Se un bambino si dovesse avventurare
da solo nella notte buia attraverso un bosco, avrebbe paura anche se
gli si dimostrasse centinaia di volte che non ci sarebbe alcun pericolo.
Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare un
nome, ma nel buio sperimenta l'insicurezza, la condizione di orfano, il
carattere sinistro dell'esistenza in sé.
Solo una voce umana potrebbe
consolarlo; solo la mano di una persona cara potrebbe cacciare via come
un brutto sogno l'angoscia. Si dà un'angoscia -- quella vera, annidata
nelle profondità delle nostre solitudini -- che non può essere superata
mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama.
Quest'angoscia infatti non ha un
oggetto a cui si possa dare un nome, ma è solo l'espressione terribile
della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione
spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il
miracolo santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola
di affetto? Laddove però si ha una solitudine tale che non può essere
più raggiunta dalla parola trasformatrice dell'amore, allora noi
parliamo di inferno.
E noi sappiamo che non pochi uomini
del nostro tempo, apparentemente così ottimistico, sono dell'avviso che
ogni incontro rimane in superficie, che nessun uomo ha accesso
all'ultima e vera profondità dell'altro e che quindi nel fondo ultimo di
ogni esistenza giace la disperazione, anzi l'inferno.
Jean-Paul Sartre ha espresso questo
praticamente in un suo dramma e nello stesso tempo ha esposto il nucleo
della sua dottrina sull'uomo. Una cosa è certa: si dà una notte nel cui
abbandono buio non penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi
dobbiamo oltrepassare in solitudine assoluta: la porta della morte.
Tutta l'angoscia di questo mondo è in ultima analisi l'angoscia
provocata da questa solitudine.
Per questo motivo nell'antico
Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico a
quello con cui si indicava l'inferno: shêol. La morte infatti è
solitudine assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più
illuminata dall'amore. Che è talmente profonda che l'amore non può più
accedere a essa. è l'inferno.
«Disceso all'inferno» -- questa
confessione del Sabato santo sta a significare che Cristo ha
oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo
irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine.
Questo sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale
non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini
cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci
prende e ci conduce.
La solitudine insuperabile dell'uomo
è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. L'inferno è
stato vinto dal momento in cui l'amore è anche entrato nella regione
della morte e la terra di nessuno della solitudine è stata abitata da
lui.
Nella sua profondità l'uomo non vive
di pane, ma nell'autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è
amato e gli è permesso di amare. A partire dal momento in cui nello
spazio della morte si dà la presenza dell'amore, allora nella morte
penetra la vita: «Ai tuoi fedeli o Signore la vita non è tolta, ma
trasformata» -- prega la Chiesa nella liturgia funebre.
Nessuno può misurare in ultima
analisi la portata di queste parole: «disceso nell'inferno». Ma se
qualche volta ci è dato di avvicinarci nell'ora della nostra solitudine
ultima, ci sarà permesso di comprendere qualcosa della grande chiarezza
di questo mistero buio. Nella certezza sperante che in quell'ora di
estrema solitudine non saremo soli, possiamo adesso già presagire
qualcosa di quello che avverrà. E in mezzo alla nostra protesta contro
il buio della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che
viene a noi proprio da questo buio.
(©L'Osservatore Romano 18 luglio 2012)
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Vediamo ora il Pensiero di Ratzinger (in arte Benedetto XVI) sul Purgatorio:
Ecco la “rilettura” del Purgatorio fatta da Ratzinger nell’udienza generale di ieri:
BENEDETTO XVI: UDIENZA, IL PURGATORIO COME “ESPERIENZA INTERIORE”
Il purgatorio come “esperienza interiore dell’uomo in cammino verso l’eternità”.
E’ una delle immagini più conosciute di santa Caterina da Genova, nata a
Genova nel 1447 e morta nel 1510. La figura della santa è stata al
centro della catechesi dell’udienza generale di oggi, al termine della
quale il Papa ha definito la santa “un incoraggiamento specialmente per
le donne che danno un contributo fondamentale alla società e alla
Chiesa con la loro preziosa opera, arricchita dalla loro sensibilità e
dall’attenzione verso i più poveri e i più bisognosi”.
Caterina “non ha mai rivelazioni specifiche sul purgatorio o sulle
anime che vi si stanno purificando”, ha spiegato Benedetto XVI, ma nei
suoi scritti “è un elemento centrale e il modo di descriverlo ha
caratteristiche originali rispetto alla sua epoca”. Il primo “tratto
originale” di santa Caterina riguarda il “luogo” della purificazione
delle anime: “Nel suo tempo – ha ricordato il Papa – lo si raffigurava
principalmente con il ricorso ad immagini legate allo spazio”, mentre
in Caterina il purgatorio “non è presentato come un elemento del
paesaggio delle viscere della terra: è un fuoco non esteriore, ma interiore”.
Caterina, in particolare, parla del “cammino di purificazione
dell’anima verso la comunione piena con Dio, partendo dalla propria
esperienza di profondo dolore per i peccati commessi, in confronto
all’infinito amore di Dio”. (segue)
Anche qui, per Benedetto XVI, c’è un “tratto originale” rispetto al
pensiero del tempo: “Non si parte dall’aldilà per raccontare i tormenti
del purgatorio e poi indicare la via per la purificazione o la
conversione, ma si parte dall’esperienza interiore dell’uomo in cammino
verso l’eternità”. L’anima, per Caterina, “si presenta a Dio ancora
legata ai desideri e alla pena che derivano dal peccato, e questo le
rende impossibile godere della visione beatifica di Dio”. In altre
parole, “Dio è così puro e santo che l’anima con le macchie del peccato
non può trovarsi in presenza della divina maestà. L’anima è
consapevole dell’immenso amore e della perfetta giustizia di Dio e, di
conseguenza, soffre per non aver risposto in modo perfetto a tale amore
e proprio l’amore stesso di Dio la purifica dalle sue scorie di
peccato”. L’immagine ripresa dalla santa è quella di Dionigi
l’Areopagita: il “filo d’oro” che “collega il cuore umano con Dio
stesso”. Quando viene purificato, cioè, “il cuore dell’uomo viene
invaso dall’amore di Dio, che diventa l’unica guida, l’unico motore
della sua esistenza”. Questa situazione di “elevazione verso Dio e di
abbandono alla sua volontà”, espressa dall’immagine del filo, viene
utilizzata da Caterina per esprimere “l’azione della luce divina sulle
anime del purgatorio, luce che le purifica e le soleva verso gli
splendori dei raggi fulgenti di Dio”.
Fonte Agenzia Sir mercoledì 12/01/2011
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Secondo il "tiepido " Fellay con la sua cerchia di accordisti questo di oggi sarebbe un Pontefice che avrebbe dimostrato un non so che atteggiamento favorevole alla tradizione, un solo commento alla Totò, per questo nefasto pensiero assolutamente non veritiero: "MA MI FACCIA IL PIACERE". Questi occupanti della Chiesa di Roma, sono evidentemente eterodossi e vanno sfuggiti per non perdere la fede. In conclusione forse in un futuro dei Consacrati retti e ortodossi dichiareranno che questi di oggi non hanno avuto nessuna assistenza dallo Spirito Santo per governare la Chiesa, ma ancora non è il tempo prima di questo arriverà il giusto castigo di Dio per queste empietà, nel frattempo continuiamo a pregare per sperare, amare e credere con una retta fede copletamente tradizionale rifuggendo tutti coloro che hanno insozzato la vera Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo....
...ergo la Sede è ovviamente vacante. Se non lo ammettiamo noi, lo grideranno le pietre. Anzi, i fatti compiuti.
RispondiEliminaRiccardo
Carissimo Riccardo, noi possiamo solo constatare che la Chiesa è stata occupata da 50 anni da dei veri modernisti, ma non abbiamo l'auotrità per affermare che questi personaggi non abbiano l'autorità Divinamente assistita, io sono profondamente convinto, dopo il giusto castigo di Dio, che tutto ciò verrà chiarito solennemente dalla Chiesa finalmente governata, umanamente dato che il vero Sovrano è Gesù Cristo, da Consacrati che saranno ritornati alla retta fede della Chiesa. Per adesso questa solenne riparazione, dei danni di questi perniciosi modernisti,non avverrà dato che la Chiesa è oramaigovernata in tutti i suoi posti di governo dai modernisti...
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