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sabato 15 dicembre 2012

Don Juan Carlos Ortiz:"Che Dio abbia pietà della Fraternità!"...

 La nuova ermneutica di Mons. Fellay

La Fraternità ha cambiato la sua posizione?

 
di Don Juan Carlos Ortiz

Don Juan Carlos Oriz è sacerdote della Fraternità da 28 anni
Questo scritto è stato pubblicato sul sito francese Avec l'immaculée

Malgrado certi recenti discorsi che vogliono essere rassicuranti, la Fraternità San Pio X continua ad attraversare la più grave crisi interna che abbia mai conosciuto, sia per la sua profondità sia per la sua estensione.
Questa crisi è particolarmente grave poiché deriva da gravi mancanze, in particolare di Mons. Fellay e dei suoi due Assistenti, nel dominio dottrinale e in quello della prudenza. È questa la causa principale della confusione tra i membri della Fraternità.

Certuni hanno provato a credere che, dal momento che fino ad oggi non vi sia stato alcun accordo pratico con Roma, il pericolo sia passato… Ma non bisogna passare subito alle conclusioni!
Malgrado le apparenze, i Superiori della Fraternità non hanno ritrattato la loro nuova concezione sul ruolo che deve svolgere la Tradizione nella Chiesa, e in particolare sui suoi rapporti con la Chiesa conciliare. Per di più, essi sono lungi dall’essersi assunte le loro personali responsabilità in questa crisi interna dovuta ai loro comportamenti imprudenti.

È opportuno soffermarsi da vicino su due aspetti molto importanti di questa crisi interna, per non sottovalutare gli effetti nefasti che essa continua a produrre nella Fraternità e nelle file della Tradizione.

Il primo aspetto, più generale, riguarda il ruolo capitale che la Fraternità giuoca nella resistenza alla Chiesa conciliare e nella salvaguardia della Tradizione cattolica.
Se cade la Fraternità, cade l’ultimo bastione della Tradizione.

Il secondo aspetto, più specifico, riguarda il grave cambiamento attuato da Menzingen a proposito del ruolo principale della Fraternità di fronte a questa crisi della Chiesa: cambiamento che si oppone nettamente a quello che le aveva assegnato Mons. Lefebvre.
E tuttavia, questo cambiamento è molto sottile e forse difficile da cogliere per certuni, poiché, pur affermando che non vogliono abbandonare la battaglia dottrinale, questi Superiori hanno fatto del riconoscimento canonico la priorità essenziale della Fraternità.
Certo, alcuni aspetti dottrinali restano ancora nella loro agenda, ma sono posti in secondo piano, così che si deve «rivedere» tutto in funzione di questa nuova priorità.

Questo cambiamento tradisce in loro il «legalismo» di cui soffrono tutte le comunità tradizionali che si sono ricollegate con Roma a partire dal 1988. Come costoro, questi Superori hanno finito col sentirsi «colpevoli» per l’essere esclusi dalla Chiesa ufficiale, con la quale sognano di essere «riconciliati» ad ogni costo.

Conosciamo l’«ermeneutica della continuità» di Benedetto XVI, con la quale egli ha concepito una nuova interpretazione che vorrebbe integrare la Chiesa conciliare nella Tradizione della Chiesa.
Le autorità di Menzingen, per giustificare il loro cambiamento di posizione, hanno anch’essi concepito una nuova «ermeneutica» o «reinterpretazione» del ruolo principale della Fraternità, con la quale vogliono integrare la Tradizione nella Chiesa conciliare.
Questa ermeneutica richiede che si faccia una «rilettura» deformata di ciò che Mons. Lefebvre intendeva come prioritario per la Fraternità, citando, per esempio, ciò che Mons. Lefebvre diceva prima della sua rottura con Roma nel 1988, oppure le sue parole più concilianti nei confronti delle autorità ufficiali della Chiesa.
In tal modo, ciò che un tempo si rigettava energicamente della Chiesa conciliare, oggi sarebbe da «ripensare» in un’ottica dell’accettazione delle idee conciliari, se non totale, quanto meno «parziale» o «a certe condizioni».
Da notare che le autorità della Fraternità tradiscono questa nuova attitudine, più per quello che, per omissione, non dicono delle autorità conciliari, che per quello che dicono.
A parte alcune frasi qui o là più ferme (per rassicurare i più «duri» di noi), si constata da lungo tempo un’attitudine «positiva» riguardo ai discorsi e ai comportamenti delle autorità conciliari e in particolare di Benedetto XVI.
Una prova recente di questo «rammollimento» è indubbiamente il boicottaggio da parte di Menzingen dei libri, giudicati troppo «duri», scritti da Mons. Tissier de Mallerais e da Don Calderón sulla Chiesa conciliare. Un altro esempio è il Simposio dell’Angelus, nel Distretto degli Stati Uniti, che quest’anno ha scelto come tema «Il Papato», mentre si sta commemorando il 50° anniversario dell’apertura disastrosa del Vaticano II!




Certuni potrebbero chiedere: perché e con quale diritto denunciare questo nuovo orientamento della Fraternità?
Io conosco bene la Fraternità e il suo scopo, essendone membro da 28 anni. Io amo profondamente la Fraternità, nella quale mi sono impegnato a vita. Ho conosciuto personalmente il suo Fondatore, che mi ha ordinato, e di cui ho sempre continuato a studiare gli scritti e i discorsi. Ed è per amore della Fraternità e per pietà filiale verso Mons. Lefebvre che credo sia mio dovere parlarne pubblicamente.

Appare evidente che da diversi anni vi sia un cambiamento fondamentale, soprattutto in Mons. Fellay e i suoi Assistenti, circa lo scopo principale della Fraternità San Pio X in  questo tempo di crisi della Chiesa: preservare integralmente la Tradizione cattolica, combattendo i nemici della Chiesa sia esterni sia interni.
Lo scopo fondamentale della Fraternità San Pio X in seno a questa crisi della Chiesa, non può essere cambiato, poiché è stato chiaramente tracciato dal suo Fondatore in molti dei suoi scritti, delle sue omelie e conferenze e dei suoi comportamenti, soprattutto a partire dal 1988. Di conseguenza, cambiare questo scopo su dei punti importanti significa allontanarsi pesantemente dal suo Fondatore e così esporre la Fraternità al suicidio, col farla cadere nelle mani della Roma modernista che la Fraternità combatte fin dalla sua fondazione.
L’esperienza ci dimostra che tutti coloro che si sono allontanati da questa linea tracciata da Mons. Lefebvre hanno finito col tradire la battaglia per la Tradizione.

Questo cambiamento nella Fraternità non ha alcuna giustificazione, poiché in questi ultimi anni nella Chiesa conciliare non abbiamo visto alcun importante cambiamento dottrinale o pratico, nel senso di un ritorno reale alla Tradizione, con la condanna degli errori o delle riforme conciliari.

Vorrei basare ciò che dico mostrando come le affermazioni e i comportamenti di Mons. Fellay e dei suoi Assistenti siano totalmente contrari a ciò che ha chiaramente affermato Mons. Lefebvre. E se anche Mons. Lefebvre non ne avesse parlato esplicitamente, i loro cambiamenti si oppongono gravemente al bene comune della Fraternità e al semplice buon senso.

1. Un’erronea nozione di visibilità della Chiesa

Per prima cosa, appare molto chiaramente che il punto di partenza del loro cambiamento si basa su un’erronea nozione della visibilità della Chiesa.
Nelle loro affermazioni pubbliche essi descrivono la Fraternità come «mancante» di qualcosa di fondamentale riguardo a questa «visibilità» della Chiesa. Essi dicono spesso della Fraternità che si troverebbe in una situazione «irregolare», «anormale», «illegale», mentre invece tutto questo è solo apparente.
Don Pfluger ha affermato chiaramente questo errore in una recente intervista: «Da parte nostra, anche noi soffriamo di un difetto, del fatto della nostra irregolarità canonica. Non è solo lo stato della Chiesa post-conciliare che è imperfetto, anche il nostro lo è».
E più avanti: «L’obbligo di lavorare attivamente per superare la crisi non può essere contestato. E questo lavoro inizia da noi, con il voler superare il nostro stato canonico anormale» (Intervista al Kirchliche Umschau, del 13 ottobre 2012).

Le autorità ufficiali della Chiesa hanno stigmatizzato per anni la Fraternità per questi «difetti», avanzando accuse menzognere e comminando condanne ingiuste, mentre è risaputo, e lo abbiamo dimostrato chiaramente con i nostri scritti e con i nostri atti, che la Fraternità non ha mai abbandonato il perimetro visibile della Chiesa cattolica, né ha mai commesso alcun crimine canonico. Di conseguenza, noi non abbiamo bisogno di superare un qualsiasi «impedimento» ecclesiale o canonico, chiedendo oggi di essere riconosciuti dalla Chiesa conciliare.
Su questo punto, essi ripetono le stesse affermazioni erronee  di Dom Gérard e di quelli che si sono ricollegati nel 1988, ai quali Mons. Lefebvre (Conferenza del 9 settembre 1988, su Fideliter n° 66) e Don Schmidberger (Fideliter n° 65) risposero in maniera pertinente poco tempo dopo le consacrazioni dei vescovi.

A sua volta, Mons. Fellay ha affermato recentemente questo stesso errore sulla natura della vera Chiesa: «Il fatto di andare a Roma, non vuol dire che si è d’accordo con loro. Ma è la Chiesa. Ed è la vera Chiesa. Rigettando ciò che non va, non bisogna rigettare tutto. Questa resta la Chiesa, Una Santa, Cattolica, Apostolica» (Flavigny, 2 settembre 2012).
Questa stupefacente affermazione contraddice apertamente ciò che diceva Mons. Lefebvre della Chiesa conciliare, nella conferenza citata prima: «…siamo noi ad avere i contrassegni della Chiesa visibile. Se oggi vi è ancora una visibilità della Chiesa, è grazie a voi. Questi contrassegni non si trovano più negli altri».
E a Dom Gérard che, a sostegno del suo accordo con la Roma modernista, invocava la necessità di riunirsi con la «Chiesa visibile», Mons. Lefebvre rispondeva esplicitamente: «Questa storia della Chiesa visibile di Dom Gérard è infantile. È incredibile che si possa parlare di Chiesa visibile per la Chiesa conciliare, in opposizione alla Chiesa cattolica che noi cerchiamo di rappresentare e di continuare» (Fideliter n° 70, luglio agosto 1989, p. 6).


2. Ottenere la nostra «legittimità» dalla Chiesa conciliare

E come conseguenza di questo primo errore, essi affermano che alla Fraternità non basta più riconoscere la validità dell’autorità del Papa e dei vescovi attuali, né di pregare pubblicamente per loro, né di riconoscere come legittimi certi atti (quando sono in accordo con la Tradizione); occorre «andare più lontano» e chiedere alla Chiesa conciliare di darci quella «legittimità» che ci mancherebbe!
Anche qui, essi si allontanano apertamente da Mons. Lefebvre, il quale affermava che, fino a quando perdurerà la crisi della Chiesa, noi non abbiamo bisogno del riconoscimento della Chiesa conciliare, poiché l’autentica legittimità sarà confermata logicamente il giorno in cui le autorità della Chiesa ritorneranno alla sana dottrina.
Mons. Lefebvre affermava che noi non abbiamo bisogno della Chiesa conciliare per darci una qualche «legittimità»: «Con quale Chiesa abbiamo a che fare – vorrei saperlo – con la Chiesa cattolica o con un’altra Chiesa, una contro-Chiesa, o una contraffazione della Chiesa?… Ora, io credo sinceramente che noi abbiamo a che fare con una contraffazione della Chiesa e non con la Chiesa cattolica» (18 giugno 1978).

3. Necessità di un accordo puramente pratico

Partendo dal loro doppio errore, essi propugnano quindi la necessità assoluta di un accordo pratico con le attuali autorità, senza alcun preventivo accordo dottrinale, contravvenendo così a quanto aveva affermato esplicitamente Mons. Lefebvre, soprattutto dopo il 1988, e che lo stesso Capitolo generale aveva deciso nel 2006,  Capitolo generale che, ricordiamolo, ha più autorità di loro.
La loro attuale ricerca di un accordo puramente pratico è tanto più sorprendente per quanto si sa che i recenti colloqui dottrinali tra la nostra commissione teologica e il Vaticano sono giunti alla conclusione che un accordo dottrinale con la Chiesa conciliare è impossibile!
Quindi, da parte della Fraternità, ricercare un accordo pratico con la Roma attuale, che continua ad essere nell’errore, equivale ad una «operazione suicida», poiché noi ci troveremmo «integrati» nella Chiesa conciliare, le cui intera struttura, non solo ha origine nel Concilio, ma è fatta per realizzare le riforme conciliari e post-conciliari.
Conosciamo a sufficienza che ne è stato delle otto comunità tradizionali che sono rientrati in questa Chiesa conciliare senza un preventivo accordo dottrinale, per non essere consapevoli che anche a noi accadrà ineluttabilmente la stessa cosa…

Mons. Lefebvre, soprattutto dopo la consacrazione dei vescovi, poneva chiaramente come condizione preventiva per ogni dialogo futuro con la Chiesa conciliare, quella di risolvere innanzi tutto la questione dottrinale: «Porrò la questione sul piano dottrinale: Siete d’accordo con le grandi encicliche di tutti i papi che vi hanno preceduti? … Siete in piena comunione con questi papi e con le loro affermazioni? Accettate ancora il giuramento antimodernista? Siete per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo? Se voi non accettate la dottrina dei vostri predecessori, è inutile parlare. Fintanto che non avrete accettato di riformare il Concilio, tenendo conto della dottrina di questi papi che vi hanno preceduti, non v’è dialogo possibile. È inutile. Le posizioni saranno sempre più chiare» (Fideliter n° 66, nov-dic 1988, pp 12-13).

4. Il miraggio di «fare un bene più grande»

In seguito, allo scopo di trovare una giustificazione «positiva» per negoziare con la Roma conciliare, essi affermano che questo accordo puramente pratico permetterebbe di fare un bene più grande, poiché, trovandosi nella «Chiesa visibile», potrebbero convertire la Chiesa conciliare alla Tradizione… È esattamente lo stesso argomento utilizzato da Dom Gérard e dai sacerdoti di Campos per giustificare il loro ricollegamento con la Roma conciliare!
A questa prospettiva presuntuosamente «ottimista», il nostro Fondatore rispondeva con molto realismo, dicendo: «Cosa significa mettersi all’interno della Chiesa? E innanzi tutto, di quale Chiesa parliamo? Se della Chiesa conciliare, significherebbe che noi, che abbiamo lottato per vent’anni perché vogliamo la Chiesa cattolica, rientreremmo in questa Chiesa conciliare per renderla, per così dire, cattolica? Si tratta di una totale illusione! Non sono gli inferiori che cambiano i Superiori, ma i Superiori che cambiano gli inferiori» (Fideliter n° 70, luglio agosto 1989).
E i fatti ci dimostrano che il poco bene che hanno potuto fare coloro che sono rientrati dopo il 1988, non giustifica il più gran male che hanno fatto abbandonando la loro critica degli errori conciliari e della nuova Messa e giustificando i comportamenti dei papi post-conciliari, ecc.




5. Condizioni previe sufficienti?

E ancora, per giustificare questo accordo, essi affermano che, per non cadere nelle stesse trappole in cui sono incappate le comunità rientrate, sarebbero sufficienti delle condizioni previe come quelle fissate dall’ultimo Capitolo generale del luglio 2012.

Ora, a parte il fatto che queste condizioni sono irrealistiche e insufficienti, per proteggerci da una «assimilazione» e da una «neutralizzazione» da parte della Chiesa conciliare, il Capitolo generale ha dimenticato le due condizioni più importanti, chiaramente richieste da Mons. Lefebvre: la conversione delle autorità ufficiali della Chiesa, e cioè la condanna esplicita da parte loro degli errori conciliari, e l’essere esentati dal nuovo Codice di Diritto Canonico.

Mons. Lefebvre affermò che se anche la Roma modernista ci avesse accordato certe condizioni, questo non sarebbe stato sufficiente per firmare un accordo con loro. Ecco cosa disse al Card. Ratzinger: «Vede, Eminenza, anche se ci accordate un vescovo, anche se ci accordate una certa autonomia nei confronti dei vescovi, anche se ci accordate tutta la liturgia del 1962, se ci accordate di continuare con i seminari e la Fraternità come facciamo adesso, noi non possiamo collaborare, è impossibile, impossibile, perché noi lavoriamo in due direzioni diametralmente opposte: voi lavorate per la scristianizzazione della società, della persona umana e della Chiesa, e noi lavoriamo per la cristianizzazione. Non ci si può intendere» (Ritiro a Ecône, 4 settembre 1987).

E Mons. Lefebvre poneva la conversione di Roma come condizione essenziale per un accordo, anche quando scrisse le seguenti parole ai quattro futuri vescovi: «Vi conferisco questa grazia confidando che quanto prima la Sede di Pietro sarà occupata da un successore di Pietro perfettamente cattolico, nelle mani del quale voi potrete rimettere la grazia del vostro episcopato perché egli la confermi» (29 agosto 1987).

Riguardo al Codice di Diritto Canonico, che Mons. Lefebvre diceva che essere «peggiore della riunione di Assisi», come conserveremmo la nostra identità nella continuazione della nostra battaglia, sotto il regime della legge comune della Chiesa conciliare, che è questo nuovo Codice?
Non si accorgono che il nuovo Codice è stato concepito proprio per applicare le riforme conciliari e non per salvaguardare la Tradizione?

6. Il Vaticano II è superabile!

Per superare il problema dottrinale costituito dal Vaticano II e dal «magistero» post-conciliare, si è intravisto nelle loro conferenze, nei loro sermoni e nelle loro interviste, un preciso disegno diffuso e ripetuto, volto a minimizzare gli errori conciliari, al fine di preparare gli animi alla riconciliazione con la Roma conciliare.

Non abbiamo ascoltato, stupefatti, Mons. Fellay che in un’intervista al Catholic News Service ha affermato: «Il Concilio presenta una libertà religiosa che in realtà è molto, molto limitata; molto limitata»? E acoltato pure che la conclusione dei colloqui dottrinali con Roma permetteva di dire che «noi vediamo che molte delle cose che abbiamo condannate come derivate dal Concilio, in realtà non vengono da esso, ma da una comprensione comune del Concilio»? O ancora: «Il Concilio dev’essere collocato nella grande Tradizione della Chiesa, dev’essere compreso all’interno di essa e in relazione con essa. Queste sono affermazioni con le quali noi siamo totalmente d’accordo, totalmente, assolutamente» (11 maggio 2012).

E il solo testo noto (incompleto) dell’ultimo preambolo dottrinale che hanno presentato a Roma in aprile, richiamato da Don Pfluger in una conferenza, tradisce lo stesso desiderio di non solo minimizzare gli errori conciliari, ma perfino di accettarli: «…l’intera Tradizione della fede cattolica dev’essere il criterio e la guida per la comprensione degli insegnamenti del concilio Vaticano II, il quale a sua volta chiarisce certi aspetti della vita e della dottrina della Chiesa, in essa implicitamente presenti e non ancora formulati» (Conferenza a St. Joseph des Carmes, 5 giugno 2012).

Il fatto che essi abbiano lasciato passare la riunione interreligiosa di Assisi III senza condannarla energicamente, non è anch’esso un segno rivelatore?
Essi hanno anche chiesto a certi membri della Fraternità di non condannarla.

E ciò che è più inquietante è che questa minimizzazione degli errori del Concilio sembra venire da lontano… poiché Mons. Fellay, già nel 2001 (!), affermava in un’intervista: «Accettare il Concilio non è un problema per noi», «Detto così sembra che noi rigettiamo in toto il Vaticano II; mentre invece ne conserviamo il 95%» (Intervista al quotidiano svizzero La liberté, dell’11 maggio 2001).

Invece di dare ascolto ai ripetuti avvertimenti che chiedevano di non firmare un accordo pratico, essi hanno sdegnosamente risposto alla lettera dei tre vescovi con parole molto dure… insinuando che fossero «sedevacantisti» e «scismatici» e che trasformavano gli errori del Vaticano II in «super eresie».

Citare altre affermazioni di Menzingen che recitano a favore di un indebolimento delle loro  posizioni dottrinali, sarebbe troppo lungo. E questo indebolimento della dottrina si constata anche in altri membri della Fraternità favorevoli agli accordi. Ho potuto constatare come certi confratelli, che conoscevo come fermi nella loro condanna del Concilio e dei papi post-conciliari, oggi abbiano delle posizioni «edulcorate» e siano molto a favore di un ricollegamento con la Roma modernista.

7. Gravi errori contro la prudenza

Oltre agli errori al livello dei princípi, si possono constatare dei gravi errori di giudizio, che sono stati anche la causa di una divisione interna, la più grave che la Fraternità abbia mai conosciuto in profondità e in estensione.
Con dei comportamenti imprudenti, essi hanno preferito sacrificare l’unità e il bene comune della Fraternità, pur di seguire l’ordine del giorno della Roma modernista, come hanno affermato nella loro risposta alla lettera dei tre vescovi della Fraternità: «Per il bene comune della Fraternità noi preferiremmo di gran lunga la soluzione attuale di status quo intermedio, ma chiaramente Roma non lo tollera più» (14 aprile 2012).

Mons. Fellay ha anche detto che era quasi «inevitabile» che una parte della Fraternità non l’avrebbe seguito nel caso di un accordo con Roma: «Non posso escludere che forse ci avrebbe una scissione [nella Fraternità]» (Intervista al Catholic News Service), assumendo così il rischio di dividere gravemente la Fraternità.

Hanno quindi preferito agire senza tenere conto degli avvertimenti degli altri tre vescovi, di certi Superiori e membri della Fraternità, nonché delle comunità tradizionali amiche, che chiedevano loro di non firmare un accordo puramente pratico.

Questo comportamento ha profondamente scioccato molti membri della Fraternità e ha creato una divisione interna che ha gravemente minato la loro credibilità di governo, mentre la fiducia delle comunità amiche è sempre più diminuita.

8. Chi ha ingannato chi?

Quando, a partire da qualche mese, si ascoltano le loro spiegazioni (scuse?) a proposito delle supposte «vere ragioni» che li avrebbero condotti alle concessioni alla Roma modernista, ci si accorge che non sono tanto le autorità romane che li hanno ingannati, quanto che si siano ingannati essi stessi! Poiché, se imprudentemente hanno deciso di scartare le risposte che venivano dai canali ufficiali del Vaticano, relative al vero pensiero del Papa, per privilegiare altri canali cosiddetti «ufficiali»: questo non migliora la loro reputazione di Superiori prudenti.

Essi hanno rifiutato di vedere che tutto quello che questi canali «ufficiali» dicevano loro, era sia del pettegolezzo sia della manipolazione, perché il loro desiderio di giungere ad un accordo era divenuto talmente ossessivo, che hanno finito col credere a tutto!
Di chi la colpa? Di loro stessi!


In un dominio così grave, come hanno potuto agire con tanta leggerezza?
In qualunque istituzione, anche secolare, un tale comportamento conduce ineluttabilmente alla dimissione dei responsabili, poiché la fiducia è stata fortemente intaccata. «Si assumano le proprie responsabilità», come minacciava Don Pfluger se gli accordi fossero falliti.
In effetti, se non hanno rassegnato le dimissioni è perché continuano a credere agli accordi. Non hanno tratto alcuna lezione dai loro comportamenti!
È evidente che. malgrado certi ostacoli, loro e il Vaticano faranno di tutto per «risuscitare» i colloqui. L’espulsione di Mons. Williamson appare dunque chiaramente come un «segno rivelatore» per rilanciare i colloqui, poiché questa espulsione, almeno per il Vaticano, era una condizione sine qua non per un accordo.

Inoltre, in Mons. Fellay, troviamo una grave mancanza di giudizio pratico sulle idee false del Papa. Come ha potuto immaginare che Benedetto XVI sarebbe stato pronto a riconoscerci «mettendo da parte la nostra accettazione del Concilio», come ha scritto nel giugno 2012?
Non sapeva che il Concilio è «non negoziabile» per la Roma modernista?
Si è trattato di ingenuità o semplicemente ha scambiato i suoi desideri con la realtà?
In ogni caso egli manca gravemente di prudenza in materia dottrinale.


9. Le ingiuste persecuzioni

Infine, per colmo di accecamento e di cocciutaggine sulla via della «riconciliazione» con la Roma modernista, essi hanno intrapreso delle ingiuste persecuzioni, allo scopo di sopprimere ogni opposizione agli accordi, sia dentro sia fuori la Fraternità. Si è vista tutta una serie di intimidazioni, di monizioni, di trasferimenti, di rinvio delle ordinazioni, di espulsioni di sacerdoti e perfino di uno dei nostri vescovi!
Essi perseguitano e rimandano implacabilmente le persone che si oppongono al loro ricollegamento con la Roma modernista e al tempo stesso affermano cinicamente che hanno l’intenzione di continuare a fare opposizione… all’interno della Chiesa ufficiale una volta che fossero riconosciuti!
In definitiva, essi hanno stabilito nella Fraternità un governo autoritario, cioè una vera dittatura, allo scopo di allontanare ogni ostacolo che si opponga ai loro piani di ricollegamento con la Roma modernista.

In tal modo si può vedere come Mons. Fellay e i suoi Assistenti abbiano cambiato radicalmente i principi e gli scopi fondamentali della Fraternità, stabiliti dal nostro Fondatore in questa crisi della Chiesa.
Sono passati sopra alle decisioni importanti del Capitolo generale del 2006, che vietava un accordo pratico con la Chiesa ufficiale senza il preventivo accordo dottrinale.
Hanno ignorato scientemente gli avvertimenti delle persone prudenti che consigliavano loro di non concludere alcun accordo pratico con la Roma modernista.
Hanno attentato all’unità e al bene comune della Fraternità, esponendola al pericolo di compromesso con i nemici della Chiesa.
Infine, si contraddicono da soli quando affermano il contrario di ciò che hanno detto solo qualche anno prima!

Essi hanno dunque tradito l’eredità di Mons. Lefebvre, le responsabilità legate al loro incarico, la fiducia di migliaia di persone, perfino di quelle che, da essi ingannate, continuano a fidarsi di loro.

Essi hanno manifestato la decisa volontà di condurre la Fraternità, costi quel che costi, al ricollegamento con i suoi nemici.

Poco importa che oggi gli accordi con la Chiesa conciliare non siano ancora conclusi o non lo saranno nell’immediato, o mai… nella Fraternità persiste un grave pericolo, perché essi non hanno ritrattato i falsi principi che hanno guidato i loro comportamenti devastanti.

Io oggi constato con dolore che essi, volendo in qualche modo identificare abusivamente i loro giudizi e le loro decisioni con la stessa Fraternità, hanno finito col confiscarla, come se fosse una loro proprietà personale e dimenticando che ne sono invece solo i servitori, nominati a tempo determinato.
Questa constatazione è ancora più dolorosa e inquietante quando si consideri che dalla fedeltà della Fraternità alla sua missione, dipende la salvezza di tante anime e perfino la restaurazione dell’intera Chiesa.

Che Dio abbia pietà della Fraternità!

1 commento:

  1. Grazie a Gianluca per tenerci sempre ben informati.

    Sottolineo un passaggio significativo che racchiude anche il mio sentire.

    >> si consideri che dalla fedeltà della Fraternità alla sua missione, dipende la salvezza di tante anime e perfino la restaurazione dell’intera Chiesa.>>



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