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sabato 9 marzo 2013

BENEDETTO XVI AI PARROCI ROMANI 14 febbraio 2013. Il Modernismo impenitente..

Di don Curzio Nitoglia...
 
BENEDETTO XVI AI PARROCI ROMANI
14 febbraio 2013
Il Modernismo impenitente
 http://www.mondoinformazione.com/wp-content/uploads/2013/02/1861948-papa_benedetto_xvi.jpg

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Concilio, dolce parola che mi manda in visibilio, ma – dico io – come fa un Concilio a conciliar l’inconciliabile?” (Domenico Giuliotti).
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PROLOGO
Le dimissioni di Benedetto XVI
●Dopo aver annunciato le sue dimissioni, l’11 febbraio, per mancanza di forze fisiche e morali che non gli avrebbe consentito di agire per il bene della Chiesa[1], Benedetto XVI ha incontrato il Clero di Roma, al quale - il 14 febbraio - ha proluso una “Lectio magistralis” sul Concilio Vaticano II, la sua retta interpretazione ed è tornato con la memoria ai ricordi storico/teologici della sua partecipazione da giovane teologo al Concilio, prima come teologo privato del cardinal Frings e poi come “Perito ufficiale” del Concilio.
●Più che sulle illazioni sui motivi delle sue dimissioni, che in sé sono lecite e non sono una novità in rottura con la Tradizione, mi vorrei soffermare su questo testo reale ed oggettivo, che esprime la teologia almeno materialmente modernistica di Benedetto XVI dal 1959 al 2013, testo ufficialmente diffuso dalla “Radio Vaticana”. In esso si constata che l’85nne Benedetto XVI nel 2013 è sostanzialmente identico al 38nne don Ratzinger del 1960-65. Egli, infatti, resta un convinto assertore delle novità introdotte dalla “nouvelle théologie” nella Pastorale del Vaticano II, come allora ne fu un attivo pensatore. Questa è la vera “tragedia” e non l’aver dato le dimissioni per motivi di incapacità di governare la Chiesa (ammesso che la motivazione sia realmente questa). Aver riunito ad Assisi nell’ottobre del 2102 tutte le false “religioni” assieme all’unica vera è un atto in sé inaccettabile ed in rottura con la Tradizione apostolica: basta leggere l’Enciclica “Mortalium animos” di Pio XI del 1928. È questo che occorre far risaltare oggi come nel 49 san Paolo ad Antiochia resistette apertamente in faccia a Pietro “quia reprensibilis erat” (Galati, II, 11). Aver elogiato la Collegialità, la rivolta contro gli Schemi preparatori del S. Uffizio, l’Ecumenismo, la Riforma della Messa anche nel momento che precede le sue dimissioni ed il redde rationem finale è qualcosa di molto grave, che deve aprirci gli occhi sulla mentalità di Benedetto XVI, anche quanto alla liberalizzazione della Messa tradizionale del 7 luglio 2007, per non cadere nel trabocchetto della “Continuità” tra Concilio Vaticano II e Tradizione apostolica, la quale è smentita implicitamente da ciò che dice lo stesso papa Ratzinger, il quale proclama - ma non dimostra - la ‘non-rottura’ del Vaticano II con la Tradizione, il che è proprio del modernista, che, avendo sposato la filosofia, tanto elogiata dal Vaticano II e da Benedetto XVI, della Modernità (il kantismo e l’hegelismo), si contraddice senza alcun problema per lui e pensa di poter conciliare gli opposti (Cattolicesimo e Modernità, Vaticano II e Tradizione apostolica).
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DIVISIONE
Testo e Commento
Il discorso di Benedetto XVI è bene articolato e riafferma quasi tutti i grandi temi del Vaticano II in quest’ordine: 1a Parte) la Chiesa e la Modernità (in 3 Tesi e Risposte); 2a Parte) l’Ecclesiologia (in 7 Tesi e Risposte); 3a Parte) la Riforma liturgica (in 3 Tesi e Risposte); 4a Parte) nel mezzo di questi tre grandi temi, Benedetto XVI parla di due questioni particolari: a) il ‘caso Galileo Galilei’ e gli errori della Chiesa preconciliare; b) gli ‘incontri trasversali’ dei “nuovi teologi” del “Reno”, che si gettava nel “Tevere” ed ora lo ha pienamente invaso ed occupato.
Per aiutare il lettore ho diviso il testo in ‘Quattro Parti’ e ‘15 Tesi’, (la ‘Quarta Parte’ l’ho messa in ‘Appendice’ alla fine dell’articolo in ‘2 Tesi’ e ‘2 Risposte’), esponendo le Tesi di papa Ratzinger e cercando di dare una Risposta a ciascuna di esse.
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Testo di Benedetto XVI diviso in Tesi
(© Copyright Radio Vaticana)
PRIMA PARTE
CHIESA E MODERNITÀ
Tre ‘Tesi’ e ‘Risposte
1a Tesi) Il primo punto esposto da Benedetto XVI lascia più che perplessi. Infatti esso contiene l’utopica conciliabilità tra Concilio e il mondo del Pensiero Moderno”.
Rispondo: la Modernità è caratterizzata dal Soggettivismo (religioso di Lutero, filosofico di Cartesio e socio/politico di Rousseau). Il Concilio Vaticano II ha preteso di conciliare la Modernità filosofica iniziata da Cartesio, perfezionata da Kant e ultimata da Hegel con il Cattolicesimo. Ma questa è l’essenza del Modernismo, il quale - come insegna San Pio X nell’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907) - è “lo spurio connubio di Cristianesimo e kantismo”, ossia una contradictio in terminis, che sfocia nella “cloaca di tutte le eresie” (ivi).
Infatti l’uomo, secondo il kantismo, è Supremo Legislatore di se stesso. Egli agisce moralmente soltanto quando osserva la sua propria legge; se si sottomette alla Legge divina, si ha l’eteronomia (sottomissione ad una legge estranea) che è immorale, poiché contraddice l’autonomia della morale. Kant ripete, con parole più sfumate, il non serviam di Lucifero e lo erige a sistema “filosofico”. La filosofia moderna si fonda sul principio di autonomia assoluta e di autosufficienza completa dell’uomo, ossia dell’allontanamento dell’uomo da Dio con la conseguenza dell’autodistruzione progressiva.
Dio (come pure l’essere partecipato-creaturale, la ragione umana e la logica, la morale oggettiva e naturale), soprattutto nell’epoca contemporanea, viene visto come il male da combattere, distruggere ed uccidere[2]. Eppure il Vaticano II ha voluto conciliare il Vangelo con la Modernità. Ma diceva il Giuliotti: “Concilio, dolce parola che mi manda in visibilio, ma – dico io – come fa un Concilio a conciliar l’inconciliabile?”.
L’uomo contemporaneo si sente limitato da Dio, dalla sua Chiesa, dalla vera Religione, dall’essere extra-mentale, dalla logica e dalla morale oggettiva. Quindi è impossibile conciliare Cattolicesimo e Modernità o post-Modernità, tranne che la Modernità si converta al Cattolicesimo e sconfessi se stessa o che i Cristiani abiurino il Cattolicesimo ed aderiscano alla Modernità. Purtroppo il dialogo conciliare con la Modernità ha portato i Cristiani e gli Ecclesiastici all’aggiornamento, ossia all’adattamento ed all’accettazione della Modernità soggettivistica.
L’ateismo implicito iniziale e il deicidio, come ateismo esplicito compiuto, rappresentano la natura del processo filosofico moderno, che dialetticamente prima nega Dio e, poi, nichilisticamente lo vorrebbe uccidere.
La negazione del peccato originale è una conseguenza pratica della negazione di un Dio creatore, che limita l’uomo come creatura: poiché il peccato originale infligge all’Uomo/totale o Assoluto una doppia ferita: quella della creaturalità e della vulnerabilità, che egli non è più disposto ad accettare, come avveniva in passato[3]. L’uomo si protende, invece, verso un Umanesimo integrale[4], che è ateismo e nichilismo radicale.
Da questa filosofia è nata la contrapposizione radicale tra il Cristianesimo tradizionale ed il mondo moderno-contemporaneo. Contraddizione che è stata volutamente ignorata da alcuni Ecclesiastici modernisti e che essi hanno cercato di superare nel disperato tentativo di conciliare il teo-centrismo con l’antropo-centrismo (Gaudium et spes, 22, 24). Alcuni di loro hanno detto esplicitamente che la natura esige la grazia ed implicitamente che l’uomo è Dio (Henry de Lubac, Surnaturel, Parigi, 1946). Tuttavia il mondo ha rifiutato, in larga misura, questa mano tesa da parte dell’arrendevolezza modernistica ed ha riaffermato, sempre più marcatamente, la diversità e la contrarietà tra Fede e ragione, tra Grazia e natura, tra Chiesa e Stato.
Per cui è un’utopia malsana voler conciliare l’inconciliabile, ossia un Concilio e la Modernità filosofico/teologica. Questa malsana utopia è stata esplicitata a chiare lettere da Papa Montini, che giunse a proclamare durante “l’omelia nella 9a Sessione del Concilio Vaticano II” (7 dicembre del 1965): «La religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Tale poteva essere; ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa verso ogni uomo ha pervaso tutto il Concilio. Dategli merito almeno in questo, voi umanisti moderni, che rifiutate le verità, le quali trascendono la natura delle cose terrestri, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, abbiamo il culto dell’uomo»[5]. Proprio qui, nella lettera e non solo nello spirito del Concilio, per ammissione stessa di chi lo ha promulgato, si trova la rivoluzione antropolatrica del neo-umanesimo panteistico. San Pio X nella sua prima enciclica “E supremi apostolatus” (1904) ha descritto la natura del regno dell’Anticristo finale come “culto dell’uomo”, culto che invece Paolo VI, alla luce del Concilio, asserisce di “avere più di qualunque altro”! Qui si trova, perciò, l’errore od orrore radicale ed anche la radice della spaventosa decadenza intellettuale, spirituale e morale, che da gran tempo corrompe la maggior parte dei fedeli cristiani, turlupinati e corrotti da falsi e cattivi Pastori. Padre Cornelio Fabro ha commentato: «l’antropologia [antropocentrica e antropolatrica] diventa l’asso piglia tutto. […]. Oggi […] l’uomo è il centro»[6]. Invece la liturgia della Chiesa, che è “la Fede pregata” ci fa invocare: “Cor Jesu, rex et centrum omnium cordium, misere nobis!”. Il centro, il re, il fine ultimo è Dio e non l’uomo, due centri in una stessa figura sono impossibili (“ponere duos fines haereticum esse”) e la creatura è un mezzo in rapporto al Fine, che è solo e soltanto Dio. Infatti, l’unica soluzione logicamente e dogmaticamente retta dell’errore panteistico, immanentistico e antropocentrico non consiste nel far coincidere gli opposti, come voleva Spinoza, ossia Dio e l’uomo, l’Infinito e il finito; neppure nella sublimazione della contraddittorietà mediante la dialettica hegeliana, onde tra la tesi (Dio) e l’antitesi (uomo) si giungerebbe ad una sintesi (Dio = uomo), ma nel mantenere - mediante l’analogia, la partecipazione e la causalità efficiente - l’infinita differenza tra Dio e mondo e la distinzione reale tra Infinito e finito. “O Dio o l’assurdità radicale” (R. Garrigou-Lagrange). Il cuore del “problema dell’ora presente” è propriamente la velleità di conciliare l’inconciliabile, teocentrismo e antropocentrismo, Messa romana e ‘Novus Ordo’, Tradizione divino-apostolica e Vaticano II, Collegialità episcopale e Primato di Pietro. Questa velleità è stata il cuore della teologia del giovane Ratzinger e del Pontificato di Benedetto XVI modernista impenitente sino alla fine (v. Discorso al Clero Romano del 14 febbraio 2013), speriamo non sino alla morte.

http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2013/02/ratzinger-dimissioni-benedetto-xvi-papa.jpg 

2a Tesi) «Speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse una nuova Pentecoste, una nuova èra della Chiesa» (Benedetto XVI).
Rispondo: questa Tesi ecclesiologica della Nuova èra dell’economia della salvezza e di una Nuovissima Chiesa pneumatica già venne espressa da Gioacchino da Fiore, di cui J. Ratzinger come dottore privato è un profondo conoscitore. Essa, però, è stata condannata dalla Chiesa. San Tommaso d’Aquino, risponde e confuta (meglio di ogni altro) gli errori millenaristi di Gioacchino e della sua scuola. Nella Somma Teologica dimostra che la Nuova Alleanza e la Chiesa di Cristo fondata su Pietro durerà sino alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Infatti, la Nuova Alleanza è succeduta alla Vecchia, come il più perfetto al meno perfetto. Ora, nello stato della vita umana in questo mondo, nulla può essere più perfetto di Cristo e della Nuova Legge, poiché qualcosa è perfetto in quanto si avvicina al suo fine. Ora, Cristo ci introduce – grazie alla sua Incarnazione e morte – in Cielo. Quindi, non vi può essere – su questa terra – nulla di più perfetto di Gesù e della sua Chiesa.

Per quanto riguarda lo Spirito Santo, come perfezionatore dell’opera della Redenzione di Cristo, esso è inviato proprio da Cristo per confessare Cristo stesso, che ha promesso formalmente ai suoi Apostoli: “Lo Spirito Santo che Io vi manderò, procedendo dal Padre, renderà testimonianza di Me”. Quindi, il Paraclito non è l’iniziatore di una terza èra, ma testimonia e spiega Cristo agli uomini e li rafforza per poterlo imitare. Onde, dopo l’Antica e la Nuova Legge, su questa terra non vi sarà una terza Alleanza, ma il terzo stato sarà quello dell’eternità, sempre felice nel Cielo o sempre infelice nell’Inferno. Gioacchino erra nel trasportare la realtà ultramondana o eterna su questa terra. Il Regno, di cui parla l’abate da Fiore, non riguarda questo mondo, ma l’aldilà. Infatti, lo Spirito Santo ha spiegato agli Apostoli (il giorno di Pentecoste del 33) tutta la verità che Cristo aveva predicato e che loro non avevano ancora capito appieno. Il Paraclito non deve insegnare una nuovissima Legge o un altro Vangelo più spirituale di quello di Cristo, ma deve solo illuminare e dar forza per ben conoscere e ben vivere la dottrina cristiana, che ha perfezionato quella mosaica (S. Th., I-II, q. 106, a. 4). Inoltre la Vecchia Legge, non fu solo del Padre, ma anche del Figlio (raffigurato e prefigurato da Mosè); come pure la Nuova Legge non fu solo del Figlio, ma anche dello Spirito promesso e inviato da Cristo ai suoi Apostoli. La Legge di Cristo è la Grazia dello Spirito santo, che illumina, vivifica e irrobustisce per potere osservare la Legge divina. Così come già nell’Antico Testamento era lo Spirito Santo ad illuminare e corroborare i Patriarchi e i Profeti, i quali, pur vivendo sotto la Vecchia Legge, avevano già lo spirito della Nuova e la vivevano eroicamente mediante la grazia dello Spirito Santo (per attribuzione). Quando Gesù insegna agli Apostoli che “Il Regno dei Cieli è vicino”, non si riferisce – spiega san Tommaso – solo alla distruzione di Gerusalemme, come termine definitivo della Vecchia Alleanza e inizio formale della Nuova, ma anche alla fine del mondo (S. Th., I-II, q. 6, a. 4, ad 4; ivi, III, q. 34, a. 1, ad 1; ivi, III, q. 7, a. 4, ad 3 et 4). Infatti, il Vangelo di Cristo è la ‘Buona Novella’ del Regno (ancora imperfetto) della ‘Chiesa militante’ su questa terra e del Regno (oramai e per sempre perfetto) della ‘Chiesa trionfante’ nei Cieli. Inoltre, nel Commento a Matteo sul discorso escatologico di Gesù (XXIV, 36), san Tommaso postilla: “Qualcuno potrebbe credere che questo discorso di Cristo, riguardi solo la fine di Gerusalemme; però sarebbe un grosso errore riferire tutto quanto è stato detto solo alla distruzione della Città santa e quindi la spiegazione è diversa, … cioè che tutti gli uomini e i fedeli in Cristo sono una sola generazione e che il genere umano e la fede cristiana durerà sino alla fine del mondo” (Expos. In Matth. c. XXIV, 34). L’Angelico, si basa su tale testo per confutare l’errore gioachimita, secondo il quale la Nuova alleanza o la Chiesa di Cristo non durerà sino alla fine dei tempi; egli riprende l’insegnamento patristico (specialmente del Crisostomo e di San Gregorio Magno) e lo sviluppa anche nella Somma Teologica (I-II, q. 106, a. 4, sed contra). Perciò, il cristianesimo durerà sino alla fine del mondo e non ci sarà bisogno di una ‘terza Alleanza pneumatica e universale’(Catolikòs), ma la Chiesa di Cristo è il Regno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (con buona pace di Gioacchino e seguaci) né occorre sognare il rimpiazzamento del cristianesimo, basta solo viverlo sempre più intensamente.
I teologi renani del Vaticano II erano imbevuti di questa malsana ideologia che attendeva una Chiesa di una ipotetica “Terza Alleanza”, del Pentecostalismo, del Carismatismo, del Rinnovamento dello Spirito, del Cammino Neocatecumenale e del Sentimentalismo religioso. È Ratzinger stesso che lo ricorda.
3a Tesi) «Si sentiva che la Chiesa non andava avanti, ma sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro» (Benedetto XVI).
Rispondo: qui si tocca il problema dei rapporti tra la Chiesa, e specialmente il Concilio Vaticano II, e la Tradizione. Per questo motivo affronto questo problema nella ‘prima parte’ dell’articolo: “Concilio e Modernità” e non nella ‘seconda parte’ sulla “Ecclesiologia”.
Infatti la Chiesa per andare avanti omogeneamente e non eterogeneamente deve rifarsi alle sue radici o alla sua Tradizione, “vita e giovinezza della Chiesa” (B. Gherardini), che assieme alla S. Scrittura è una delle due fonti della divina Rivelazione. Ora parlare di una Chiesa tutta protesa in avanti e svalutarne il passato storico (per esempio il preteso errore sul caso Galileo) equivale a tagliare le radici di un albero e condannarlo alla morte.
Tradidi quod et accepi” (1 Cor., XV, 3): non si può dare null’altro se non ciò che si è ricevuto, l’Autorità nella Chiesa ha il compito di custodire, e trasmettere inviolato il ‘Deposito della Rivelazione’, senza cambiamenti sostanziali ed oggettivi, ma approfondendo la Fede, però sempre in eodem sensu. Come si vede la questione non è un bizantinismo, ma è di estrema attualità. Infatti il pontificato di Benedetto XVI si è proteso ad affermare di leggere il Concilio Vaticano II non in discontinuità, ma in continuità con la Tradizione della Chiesa, mentre in realtà vi è una “continua discontinuità” tra il Vaticano II e la Tradizione apostolica. Onde occorre sapere qual è la vera nozione di Tradizione e mettere a confronto la dottrina ricevuta e trasmessa dagli Apostoli sino a Pio XII con l’insegnamento del Vaticano II per vedere se tra essi vi è continuità e sviluppo omogeneo oppure eterogeneo. Non basta conclamare verbalmente la continuità perché essa esista realmente. Ove si riscontra contrarietà e novità oggettiva, intrinseca ed eterogenea vi è rottura, che è la morte o l’interruzione della Tradizione, in quanto non si consegna ciò che si è ricevuto dagli Apostoli, ma nuove dottrine (“nova non nove/ cose nuove e non le stesse cose dette in maniera nuova”), ossia una “contro-tradizione”. Non si può sostituire la verità di ieri con quella di oggi a lei contraria o difforme, poiché la verità è una ed immutabile sostanzialmente ed oggettivamente “heri, hodie et in saecula”. Perciò, se è lecito e doveroso rileggere oggi la Tradizione per capire meglio e più profondamente ciò che ci fu detto ieri dagli Apostoli, non è mai lecito piegare l’insegnamento apostolico alle filosofie moderne immanentistiche e modernistiche e cambiarlo sostanzialmente in senso soggettivistico e relativistico. Ora, per fare un esempio, la “Dei Verbum” del Concilio Vaticano II rigettò lo schema della Commissione preparatoria “De fontibus Revelationis” (avvenimento salutato con entusiasmo da Benedetto XVI sino al 14 febbraio 2013), che riprendeva le definizioni del Tridentino e del Vaticano I ed era stato preparato sotto la direzione del card. Alfredo Ottaviani vice-Prefetto del S. Uffizio (il cui Prefetto - si badi bene - era il Papa), e ciò per annacquare il peso della Tradizione a tutto vantaggio della sola Scrittura, in vista del dialogo interreligioso col protestantesimo, che aborrisce la Tradizione. Col Vaticano II non si parla più di duplice fonte della Rivelazione. Con il Vaticano II si misurò la Tradizione in base alla Scrittura: tutto ciò che non era scritto non poteva essere ritenuto come vero; in breve si ribaltò la dottrina comune e definita della insufficienza della sola Scrittura nei confronti della Tradizione. Col Tridentino e il Vaticano I la Tradizione era accolta perché proveniente da Gesù e dagli Apostoli, col Vaticano II (DV) è accolta se sono i teologi a riconoscere tale provenienza fondandosi sulla S. Scrittura, omologando Tradizione e Scrittura. La loro distinzione invece era stata ribadita anche dopo il Vaticano I da S. Pio X nel Decreto Lamentabili (1907) e poi da Pio XI nell’enciclica Mortalium animos (1928). Il problema è quindi di vedere se realmente la dottrina dell’unica fonte scritta della Rivelazione (Dei Verbum) sia contenuta nella Tradizione apostolica o sia una novità del Concilio (pastorale e non dogmatico) Vaticano II.
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SECONDA PARTE
L’ECCELSIOLOGIA
Sette Tesi e Risposte
1a Tesi) «I Vescovi avrebbero letto testi già preparati, e i membri del Sinodo avrebbero semplicemente approvato e così si sarebbe svolto il Sinodo. I vescovi hanno concordato di non fare così in quanto loro stessi sono i soggetti del Concilio. Il primo momento nel quale questo atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno» (Benedetto XVI).
Rispondo: La fase preparatoria iniziò il 5 giugno del 1960 e durò sino al 20 giugno del 1962; in essa si approntarono circa 70 schemi da discutere in Concilio, redatti in massima parte dal S. Uffizio, il cui Prefetto era il Papa ed il vice-Prefetto il card. Ottaviani. Questi 70 schemi rispondevano ai “Vota” che i Vescovi, sparsi nel mondo nelle loro proprie Diocesi, interpellati dal S. Uffizio, avevano inviato in Vaticano. Essi, quindi, come fece notare il card. Ottaviani, avevano un valore paragonabile al Magistero Ordinario Universale, ossia all’insegnamento impartito dai Vescovi sparsi nel mondo unitamente al Papa.
Il Concilio iniziò l’11 ottobre 1962 e terminò l’8 dicembre 1965. Sin dal 20 novembre 1962 (appena un mese dopo l’inizio del Concilio) si assisté al “colpo di mano” (elogiato con pertinacia ed ostinazione da Benedetto XVI il 14 febbraio 2013) del rifiuto della fase preparatoria (elaborata da papa Giovanni XXIII[7] e dal S. Uffizio, che rispondevano ai ‘Desideri’ dei Vescovi del mondo intero) e all’inizio di una nuova fase, sia cronologica che dottrinale. Infatti i documenti poi partoriti dal ‘62 al ‘65 furono improntati alla dottrina della nouvelle théologie di alcuni ‘teologi’, dei quali Benedetto tesse l’elogio (“grandi figure”) nel suo discorso del 14 febbraio 2013, i quali, però, erano stati condannati 10 anni prima da Pio XII con l’Enciclica Humani generis (12 agosto 1950). Anche qui dove sta la continuità?
Per ‘la collegialità episcopale’ «efficacissimo fu l’intervento del card. Frings, per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger, il quale ancor oggi ne è un convinto assertore. Si trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo schema [preparatorio del S. Uffizio[8]: il “mito della continuità” è smentito in verbis et in factis dal giovane Ratzinger e da Benedetto XVI, in piena continuità con se stesso, ma in ‘discontinuità-continua e costante’ con la Tradizione della Chiesa. Benedetto XVI rappresenta l’incarnazione della “discontinuità-continua”, come il cattolico liberale è “l’incoerenza stessa sussistente” (card. Louis Billot).
Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe Frings con Ottaviani sulla collegialità, che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin, Ratzinger e ad Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia»[9]. Ottaviani rispose a Frings che “chi vuol essere una pecora di Cristo deve essere condotto al pascolo da Pietro che è il Pastore, e non sono le pecore [i Vescovi] che debbono dirigere Pietro, ma è Pietro che deve guidare la pecore [i Vescovi] e gli agnelli [i fedeli]”. L’idea collegialista di Frings-Ratzinger non era comune neppure a tutto l’Episcopato tedesco. Infatti in un resoconto del perito conciliare belga mons. Albert Prignon si legge: «Per quanto riguarda le conferenze episcopali, Döpfner non era d’accordo con Frings al quale successe nel 1965 come presidente della “Conferenza Episcopale Tedesca”»[10].
Paradossalmente durante il Concilio, spiega mons. Prignon[11], il card. Frings col suo giovane teologo J. Ratzinger appartenevano all’ala del collegialismo duro e addirittura “violento” per quanto riguarda l’apertura alla modernità e quindi essi furono più oltranzisti di Döpfner e Rahner, che allora erano collegialisti sfumati o mitigati. Infatti furono proprio Frings e Ratzinger a bloccare nell’8 novembre del 1963 gli schemi preparatori dogmatici del S. Uffizio e ad indirizzare il Concilio verso la “pastoralità” modernistica e la riforma della Curia romana (1967). Tuttavia dopo il Concilio, forse per il mutar dei ruoli e dei posti, Ratzinger specialmente è divenuto il “moderato”, l’interprete del Concilio alla luce della Tradizione (a parole ma non a fatti) e lo sponsor dell’ermeneutica della continuità. Ciò che stupisce è il fatto che ancora dopo cinquanta anni si caschi nelle stesse trappole, fidandosi di chi ha dissimulato per mezzo secolo.
La dottrina sulla ‘collegialità’ venne attaccata dalla rivista diretta da mons. Antonio Piolanti “Divinitas” n. 1 del 1964 tramite due articoli, l’uno di Sua Ecc. mons. Dino Staffa e l’altro di mons. Ugo Emilio Lattanzi (che citava, confutandolo, anche il teologo J. Ratzinger), i quali vennero fatti distribuire in Concilio sotto forma di estratti dal card. Ottaviani.
La Collegialità episcopale è stata costantemente condannata dal Magistero ecclesiastico sino a Pio XII, il quale ancora tre mesi prima di morire nell’enciclica Ad Apostolorum principis (29 giugno 1958) ribadì per la terza volta, dopo la Mystici Corporis del 1943 e la Ad Sinarum gentem del 1954, che la giurisdizione viene ai vescovi tramite il Papa. Il gallicanesimo o conciliarismo, invece, tende ad assegnare al Concilio ecumenico una funzione suprema eguale se non superiore a quella del Papa.
Mons. Prignon scrive: «Sembra che si sia arrivati al punto di minacciare di far saltare il Concilio nel caso passasse il testo votato sulla Collegialità. Si è accusato papa Montini come dottore privato di inclinare verso l’eresia»[12]. Infatti il card. Arcadio Maria Larraona il 18 ottobre 1964 inviò una lettera a Paolo VI in cui fra l’altro scrisse: «sarebbe nuovo, inaudito e ben strano che una dottrina [collegialità episcopale] passasse improvvisamente […] a divenire più probabile, anzi certa o addirittura matura per essere inserita in una Costituzione conciliare. Questo sarebbe cosa contraria ad ogni norma ecclesiastica, sia in campo di definizioni infallibili pontificie sia di insegnamenti conciliari anche non infallibili. […]. Lo schema [sulla collegialità] cambia il volto della Chiesa; infatti: la Chiesa diventa da monarchica, episcopale e collegiale, e ciò in virtù della consacrazione episcopale. Il Primato papale resta intaccato e svuotato. […]. Il Pontefice romano non è presentato come la Pietra sulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo (gerarchia e fedeli)[13]; non è descritto come Vicario in terra di Cristo; non è presentato come colui che solo ha il potere delle chiavi. […]. La Gerarchia di Giurisdizione, in quanto distinta dalla Gerarchia di Ordine, viene scardinata. Infatti se si ammette che la consacrazione episcopale porta con sé le Potestà di Ordine ma anche, per diritto divino, tutte le Potestà di Giurisdizione (magistero e governo) non solo nella Chiesa propria ma anche in quella universale, evidentemente la distinzione oggettiva e reale tra Potere d’Ordine e Potere di Giurisdizione, diventa artificiosa, capricciosa e paurosamente vacillante. E tutto ciò – si badi bene – mentre tutte le fonti, le dichiarazioni dottrinali solenni, tridentine e posteriori, proclamano questa distinzione essere di diritto divino. […] La Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino […]. Gli ortodossi ed in parte i protestanti avrebbero dunque avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato»[14].
Sempre sulla ‘collegialità’ Rahner, e soprattutto Ratztinger, specificarono «ciò che era necessario per far parte del collegio» dei vescovi: secondo Ratzinger «si fa parte del collegio “vi consecrationis” […]. Non fu raggiunta, invece, l’intesa sulla necessità di ripetere la formula del Vaticano I sul primato del Papa: Salaverri e Maccarrone la avrebbero inserita nel paragrafo sulle relazioni tra Papa e collegio, mentre Rahner e Ratzinger non aderirono»[15].
Anzi, spiega Alberigo, se per la Collegialità Congar fece appello al senso di responsabilità dei Padri conciliari, perché non si aggiungesse altro disagio a quello che il Papa aveva già con le contestazioni del Coetus Internationalis Patrum[16], invece «Ratzinger è favorevole ad azioni dure per ottenere almeno un dibattito libero sulla questione»[17]. Quindi Ratzinger sulla Collegialità era più radicale di Congar e persino di Karl Rahner.
2a Tesi) «Frings ha detto che il Papa ha convocato i Vescovi nel Concilio ecumenico come un Soggetto che rinnovi la Chiesa.[…]
Un’esperienza della universalità della Chiesa e della realtà concreta della Chiesa, che non semplicemente riceve imperativi dall’alto, ma cresce e va avanti – naturalmente – sotto la guida del Successore di Pietro» (Benedetto XVI).
Rispondo: Il Soggetto del Magisterium e dell’Imperium nella Chiesa è il Papa, che, se vuole, può - come Principe dei successori degli Apostoli - interpellare ab alto i Vescovi nelle loro Diocesi e pronunciarsi insieme con loro nel “Magistero Ordinario Universale”, oppure li riunisce straordinariamente o eccezionalmente in Concilio Ecumenico e li fa partecipare al suo Munus docendi et imperandi nel “Magistero Straordinario Universale”. Il Soggetto supremo del potere di governo e d’insegnamento nella Chiesa è uno solo: il Papa; non ce ne sono due: Papa e Vescovi, e ciò per volontà di Dio che ha detto: “Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la Mia Chiesa” (Mt., XVI, 18). Si badi: Gesù ha detto “Tu … su Te”, non ha detto: “Voi siete il Mio Collegio e su Voi …”. Non si può negare che il Papa imperi dall’alto ai Vescovi, con buona pace di Frings e Ratzinger, senza negare il Primato di Pietro e dei suoi successori, infallibilmente definito de Fide divino-catholica dal Vaticano I.
3a Tesi) «Il primo momento nel quale questo atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno. Erano state previste, per questo primo giorno, le elezioni delle Commissioni ed erano preparate in modo imparziale le liste, i nominativi. E queste liste erano da votare. Ma subito i Padri hanno detto: “No, non vogliamo semplicemente votare liste già fatte. Siamo noi il soggetto”» (Benedetto XVI).
Rispondo: abbiamo già visto che questo atteggiamento è stato definito un “colpo di mano” contro le decisioni del S. Uffizio diretto dal Papa con la vice-gerenza di Ottaviani in risposta ai “Vota” dei Vescovi della Chiesa universale. Un atto grave sia dal punti di vista disciplinare che dottrinale. I Vescovi renani dissero: “noi siamo il Soggetto” del Sommo potere di Magisterium e di Imperium nella Chiesa, non è il Papa coadiuvato dalla Curia romana e dalla Prima e Massima Congregazione del S. Uffizio, non sono neppure i “Desideri” dei Vescovi sparsi nel mondo ciascuno nella sua Diocesi, ma siamo noi! La Chiesa è stata fondata “su di Noi e non su Pietro”; il Vangelo, quindi, ha sbagliato …
4a Tesi) «Non era un atto rivoluzionario, ma un atto di coscienza, di responsabilità da parte dei Padri conciliari» (Benedetto XVI).
Rispondo: invece era proprio un atto rivoluzionario, un “colpo di stato o di … Chiesa”, che mostrava l’avversione dei Padri renani verso Roma, il Papato, la struttura monarchica della Chiesa voluta da Dio, il S. Uffizio ed i “Vota” dell’Episcopato universale, quando non concordava con le loro opinioni neomodernistiche. Anche la Collegialità episcopale va interpretata: se esprime la nuova teologia modernistica va bene; invece, se rimane fedele alla teologia tradizionale, allora non va più bene. Quindi vi è un Episcopato buono (quello renano/modernista) ed uno cattivo (quello romano/antimodernista).
La Fede, contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione, ci insegna che i Vescovi debbono ricevere dall’Alto, ossia dal Papa, che è il Primo e il Principe degli Apostoli, sia la Giurisdizione nella loro Diocesi, la quale viene assegnata loro dal Papa, sia la partecipazione al Sommo Magistero per la Chiesa universale, che non hanno come Vescovi ma solo quando il Papa li vuol unire a sé nel Magistero Universale, sia Ordinario che Straordinario. Un Vescovo senza Papa è acefalo, successore solo materiale e non formale degli Apostoli.
5a Tesi) «Il Papa ha ricordato che il Concilio Vaticano I si era interrotto a causa della guerra franco-tedesca e così aveva sottolineato solo la dottrina sul primato, che è stata definita grazie a Dio in quel momento storico, e per la Chiesa era molto necessaria per il tempo seguente. Ma era soltanto un elemento in una ecclesiologia più vasta» (Benedetto XVI).
Rispondo: in realtà furono i bersaglieri dei Savoia ad entrare a Roma nel 1870 e ad interrompere il Vaticano I. È chiaro che per Benedetto XVI occorreva andare oltre la dottrina del Primato, la quale, storicisticamente parlando, era buona per il 1870, aggiornandola con la Collegialità che, come abbiamo visto, contesta il Primato petrino.
6a Tesi) «Con la dottrina del Corpo mistico di Cristo si voleva dire che la Chiesa non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale, è anche questo, ma è un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo della Chiesa come tale. In questo senso, Pio XII aveva scritto l’Enciclica Mystici Corporis Christi, come un passo verso un completamento della ecclesiologia del Vaticano I » (Benedetto XVI).
Rispondo: La Chiesa è un “Corpo”, quindi è un’organizzazione o Società giuridica. Pio XII nell’Enciclica del 1943 sul “Corpo Mistico di Cristo” non ha parlato di una Chiesa pneumatica, ma ha condannato questo errore insegnando che essa è il Corpo o la Società dei battezzati, che partecipano agli stessi Sacramenti, sono sottomessi ai legittimi Pastori o Vescovi e specialmente al Principe dei Pastori, il Romano Pontefice. Certamente la Chiesa è anche un’entità spirituale e mistica, fondata da Dio, che porta in Cielo e conferisce la Grazia santificante mediante i Sacramenti.
7a Tesi) «C'era questa idea di completare l’ecclesiologia in modo […] strutturale, cioè accanto alla successione di Pietro, alla sua funzione unica, definire anche meglio la funzione dei vescovi, del corpo episcopale. E per fare questo è stata trovata la parola 'collegialità', molto discussa con discussioni accanite, direi, un po’ esagerate anche. Ma era la parola che serviva per esprimere che i vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del corpo degli Apostoli» (Benedetto XVI).
Rispondo: la Collegialità episcopale pretende di riformare e deformare la struttura della Chiesa monarchica per istituzione divina.
La Chiesa è un Episcopato monarchico per volontà di Dio: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (Mt., XVI, 16). Un solo Capo, una monarchia. I Padri della Chiesa sin dal II secolo hanno insegnato tale verità rivelata nel Vangelo. Vedi S. Ignazio di Antiochia (Smirn., VIII, 1-2; IX, 1); la successione ininterrotta dei Vescovi e dei Papi a partire dagli Apostoli e da Pietro è segno della vera Chiesa di Cristo (S. Giustino Martire, Adv. haer., III, 3, I); senza successione apostolica non vi è vera Chiesa di Cristo (Tertulliano, De praescr., 32). Pietro è il primo e il Capo di tutti gli Apostoli, come ha definito di Fede il Vaticano I (DB 1823).
Il Primato su tutti gli Apostoli e su tutta la Chiesa promesso a Pietro in Matteo (XVI, 16-19) gli è stato conferito quando Cristo, dopo essere risorto, disse a Pietro: “Pasci [governa] i miei agnelli [Apostoli/Vescovi], pasci le mie pecorelle [sacerdoti e fedeli]” (Gv., XXI, 15-17). In questo senso l’hanno interpretato i Padri ecclesiastici unanimemente (v. Tertulliano, De mon. 8; Cipriano, De unit. Eccl., 4; Clemente Alessandrino, Quis dives salvetur, 21, 4; Cirillo di Gerusalemme, Cat., II, 19; S. Leone Magno, Sermo IV, 2).
Pietro, per divina istituzione, ha nei Papi i perpetui successori nel primato di governo sulla Chiesa: è una verità di Fede definita dal Concilio Vaticano I (DB 1825). L’edificio della Chiesa non può sussistere senza il fondamento che è Pietro e i Papi, così insegnano i Padri della Chiesa (v. Pietro Crisologo, Ep., XXV, 2; S. Leone Magno, Sermo III, 2): «Pietro è la ‘pietra’ che conferisce saldezza, [compattezza e unità] alla Chiesa» (A. Lang, Compendio di Apologetica, Torino, Marietti, 1960, p. 310).
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TERZA PARTE
LA RIFORMA LITURGICA
Tre Tesi e Risposte
1a Tesi) «Prima intenzione iniziale – apparentemente semplice – era la riforma della liturgia, che era già cominciata con Pio XII.
Dopo la prima guerra mondiale, era cresciuto proprio nell’Europa centrale, occidentale, il movimento liturgico come "riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera che erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto della liturgia classica, in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici che pregavano nella Messa con i loro libri di preghiera, e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia» (Benedetto XVI).
Rispondo: Il caso più eclatante fu quello del 30 ottobre del 1962 quando al card. Ottaviani, che parlava in aula sulla liturgia ed aveva superato i 10 minuti di tempo, venne spento il microfono dal card. Alfrink tra gli applausi dei neomodernisti[18]. Il card. Giuseppe Siri commentava: «in lui [Ottaviani], la fermezza delle decisioni si esprimeva in aspetti oratori piuttosto forti: non aveva paura di niente, il suo temperamento in difesa della verità lo rendeva molto battagliero»[19].
Attende ancora una risposta la “Lettera di presentazione del Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” dei cardinali Ottaviani e Bacci[20], i quali scrivono che esso rappresenta «sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della S. Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino. […]. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa».
Un altro insigne giurista e canonista, il card. Alfonso Maria Stickler, ha detto ufficialmente nel 1995 che tale richiesta attende ancora una risposta che le è dovuta. Nell’estate del 1965 Ottaviani scrisse nel suo diario: «prego Dio di farmi morire prima della fine di questo Concilio, così almeno morirò cattolico»[21].
Il “Deposito della Rivelazione”, che deve essere conservato e tramandato integralmente, è la dottrina della Fede (1 Tim., VI, 20; 2 Tim., I, 14) o l’insieme della Rivelazione divina, che comprende i Dogmi, la Morale, i Sacramenti, la Liturgia, la S. Scrittura, la Tradizione e l’ordinamento gerarchico della Chiesa. Questo “Deposito” non è proprietà di colui che lo custodisce (Magistero o Chiesa docente), né di colui che lo riceve (Fedeli o Chiesa discente), ma di Colui che lo ha consegnato o rivelato (Dio), affinché venga conservato, tramandato e creduto integro e puro.
La Messa di Tradizione apostolica[22] codificata da San Pio V nel 1571, perciò, non è di Paolo VI, né dei fedeli, ma di Dio che l’ha consegnata agli Apostoli e specialmente a Pietro affinché venisse custodita, tramandata e pregata integra e pura e non riformata assieme ai Calvinisti come ha fatto Paolo VI nel 1970, il quale ha elaborato un Rito in rottura radicale con la Tradizione apostolica in materia liturgica, che fa parte del “Depositum Fidei”: “Lex orandi, lex credendi”. La Liturgia è la Fede pregata, il Papa la deve conservare e tramandare come l’ha ricevuta e non trasformarla e mutilarla alla maniera dei Luterani. È per questo motivo che i cardinali Alfredo Ottaviani ed Antonio Bacci, nella “Lettera di presentazione” del “Breve Esame Critico del Novus Ordo Missae” chiesero l’abrogazione della nuova Messa a Paolo VI medesimo, scrivendo: «Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa» (ivi). Infatti il Novus Ordo Missæ, «considerati gli elementi nuovi, […] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino» (ivi).
Si noti che le idee del Movimento liturgico elogiate da Benedetto XVI furono condannate da Pio XII nell’Enciclica Mediator Dei del 1947, della quale papa Ratzinger non fa menzione.
2a Tesi) «Le idee essenziali del Concilio:
[…] l’intelligibilità della Liturgia - invece di essere rinchiusa in una lingua non conosciuta, non parlata - ed anche la partecipazione attiva. Purtroppo questi principi sono stati anche male intesi. Infatti l'intelligibilità non significa "banalità"» (Benedetto XVI).
Rispondo: Qui si vede tutta l’inconsistenza della liberalizzazione della Messa apostolica (7 luglio 2007) da parte di Benedetto XVI, il quale è un partigiano strenuo della concezione protestantico/modernistica della Messa come Memoriale, Cena, Dialogo e non come ri-attuazione incruenta dell’Olocausto di Gesù, la quale applica sino alla fine del mondo tutti i meriti che Gesù acquistò con la sua morte cruenta il Venerdì Santo sul Calvario. La sua teologia sul Sacrificio della Messa è eterodossa e neomodernistica come quella di Paolo VI, Bugnini e Movimento liturgico[23]: dialogo faccia a faccia tra celebrante e fedeli, lingua vernacolare, partecipazione attiva come se sino al 1970 i Cristiani non avessero mai partecipato attivamente al Sacrificio della Messa.
3a Tesi) «Purtroppo questi principi sono stati anche male intesi. Infatti l'intelligibilità non significa "banalità", perché i grandi testi della liturgia - anche nelle lingue parlate - non sono facilmente intellegibili» (Benedetto XVI).
Rispondo: Il Novus Ordo Missae non è stato male applicato, è intrinsecamente nocivo. Esso, come hanno dimostrato i cardinali Ottaviani e Bacci, è nocivo in sé e non a causa degli abusi che sono stati fatti da coloro che lo hanno celebrato malamente[24].
Inoltre qui Benedetto XVI ritorna sul tema della comprensione o “intelligibilità” della Messa, come se la Messa non sia innanzi tutto il Mistero del rinnovamento mistico e del Sacrificio del Calvario, che supera ogni umana comprensione. È chiaro che anche per Ratzinger, presentato come il “paladino della Messa tradizionale”, la Messa è “la Cena del Signore, in cui, sotto la conduzione del sacerdote come presidente dell’assemblea, si compie il memoriale dell’ultima Cena e della Passione e Morte di Gesù” (Institutio generalis del Novus Ordo Missae, n. 7[25]). La realtà che viene sempre più a galla è che Benedetto XVI si è servito della Messa tradizionale per recuperare la resistenza la Modernismo: «“Assisi” val bene una Messa».

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QUARTA PARTE
APPENDICE
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Il caso Galileo” & “Gli incontri trasversali
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Il caso Galileo Galilei
1a Tesi: «Il rapporto tra la Chiesa e il periodo moderno dall’inizio era un po’ contrastante, cominciando con l’errore nel caso di Galileo, e si pensava di correggere questo inizio sbagliato e di trovare un nuovo rapporto tra la Chiesa e le forze migliori del mondo, per aprire il futuro dell’umanità, per aprire il vero progresso» (Benedetto XVI).
Rispondo: Galileo (cfr. G. Redondi, Galileo eretico, Torino, Einaudi, 1982) non fu giudicato per le sue teorie scientifico/astronomiche eliocentriche, ma fu accusato di aver errato teologicamente quanto alla Transustanziazione e di aver riaffermato la dottrina luterana della Companazione, condannata infallibilmente come eretica dal Concilio di Trento, poiché Galileo negava in filosofia la distinzione reale tra sostanza ed accidenti. Quindi con la Consacrazione dell’Eucarestia, siccome gli accidenti del pane e del vino permangono, vi è solo la Companazione o presenza reale e simultanea del Corpo di Cristo nel pane e non la Transustanziazione, ossia il passaggio di una sostanza (pane) in un’altra (Corpo di Cristo). Il professor Redondi, dell’Università di Milano, ha potuto studiare i documenti degli Archivi dell’Inquisizione che processò Galileo ed ha scritto un volume ponderoso in cui riporta i documenti originali dell’Inquisizione e le motivazioni reali della sua condanna. Egli è un laicista e non ha la Fede cattolica, ma ha difeso la verità storica e teologica meglio di certi Ecclesiastici, che, per piacere al mondo moderno, ripetono pappagallescamente la storiella del sole che sta fermo mentre la terra si muove attorno al sole tirandone la conclusione teologicamente eretica che la S. Scrittura non è munita di Inerranza e di Ispirazione divina, poiché in essa si legge che Giosuè esclamò: “Fermati o sole!”, mentre il sole non si muove e quindi non può fermarsi. I teologi dell’Inquisizione dissero 1°) che questo è un modo di esprimersi comune agli uomini e quindi anche a Giosuè, come pure a noi che continuiamo a dire: “il sole è sorto o è tramontato”; 2°) che la S. Scrittura non è un libro di scienze astronomiche e quindi usa il linguaggio comune degli uomini per descrivere i fatti naturali. Anche San Roberto Bellarmino, il quale presiedeva il tribunale dell’Inquisizione che giudicò Galileo, seguiva la tesi eliocentrica, sostenuta ben prima di Galileo († 1642) dall’astronomo tedesco Keplero († 1630), allievo dell’astronomo danese Tycho Brahe († 1601), che contribuì a diffondere la concezione copernicana, secondo cui la terra gira attorno a se stessa e attorno al sole. Infatti fu l’astronomo polacco Niccolò Copernico († 1547) ad individuare sin dal 1507 il sistema eliocentrico detto copernicano che ha sostituito il sistema geocentrico detto tolomaico perché sostenuto dall’astronomo di Alessandria d’Egitto Claudio Tolomeo del II secolo dopo Cristo. Galileo Galilei, invece, pubblicò le sue considerazioni eliocentriche soltanto nel 1632, circa 125 anni dopo Copernico, con l’opera intitolata Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Comunque Galileo fu condannato per eresie teologiche e non per teorie scientifico/astronomiche.
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Gli incontri trasversali
2a Tesi: «Così cominciava una forte attività di conoscenza reciproca. E questo è diventato usuale per tutto il periodo del Concilio: "piccoli incontri trasversali". In questo modo ho potuto conoscere grandi figure come padre de Lubac, Daniélou, Congar, eccetera» (Benedetto XVI).
Rispondo: questi teologi, definiti “grandi figure” da Benedetto XVI, son stati tutti (tranne Daniélou) condannati e rimossi dall’insegnamento da Pio XII con la proibizione di pubblicare libri. Non hanno accettato la dottrina proposta loro dal “terzo Sillabo” ossia dall’Enciclica Humani generis (1950) nella quale Pio XII condannava il neo-modernismo, anzi lo hanno aggravato. Quindi possono essere definiti “loschi figuri” e non “grandi figure”. Dopo la morte di papa Pacelli sono stati chiamati come “periti” nel Concilio Vaticano II; il giovane don Ratzinger faceva parte della loro “fazione” e non ne ha fatto mai ammenda, anzi oggi lo ricorda con orgoglio ed ammirazione. Anche qui dove sta la “continuità” tanto sbandierata tra Vaticano II e Magistero costante della Chiesa?
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CONCLUSIONE
«La Chiesa ha sempre voluto conservare integro, intero ed intatto il divino Deposito della Rivelazione o della Fede», ossia il Dogma, la Morale, la Liturgia, la Struttura della Chiesa gerarchica ecc. (P. Parente, voce “Articoli Fondamentali”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. II, col. 59). Quindi «sia la S. Scrittura quanto la Tradizione non permettono che un fedele accetti alcune Verità rivelate e ne tralasci altre» (P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 33)[26]. Perciò la “Lectio magistralis” di Benedetto XVI non può essere recepita dal cattolico che voglia mantenere l’integrità della Fede, senza la quale nessuno può salvarsi (Simbolo “Quicumque” di Sant’Atanasio) perché il Concilio Vaticano II presenta dei punti assai controversi che sono perlomeno teologicamente erronei, temerari, contrari alla dottrina comune, offensivi del senso religioso dei fedeli, male sonanti, ambigui, scandalosi, se non addirittura favorenti l’eresia e prossimi all’eresia.
Inoltre la prolusione di Benedetto XVI ci conferma che mai egli ha cessato di essere modernista, anche quando pareva tendere una mano ai “tradizionalisti” per portarli verso se stesso e la sua “nuova teologia, che viene dall’eresia e porta all’apostasia” (R. Garrigou-Lagrange).
Purtroppo molti “tradizionalisti” si son lasciati ingannare dalle apparenze conservatrici di Ratzinger e hanno corso il rischio di essere risucchiati nella “cloaca di tutte le eresie: il Modernismo” (San Pio X). Preghiamo la ‘Madonna del Buon Consiglio’ che li illumini e non permetta che si lascino fuorviare nella Fede dai futuri Sommi Sacerdoti del modernismo redivivo.
Ricordiamoci che il giorno del nostro Battesimo il sacerdote ci ha domandato: “cosa chiedi alla Chiesa di Dio?” e noi abbiamo risposto: “la Fede!”; allora ha continuato il Sacro Ministro: “Cosa ti dà la Fede?” e noi abbiamo replicato: “La Vita Eterna!”. Ebbene non scambiamo l’Eternità per “un posto al sole”, Gesù ci ha insegnato “ama nesciri et pro nihilo reputari” (Imitazione di Cristo): è nato in una stalla, ha fatto il garzone del falegname, è stato accusato di eresia e stregoneria, è stato scomunicato dalla Sinagoga dell’Antico Testamento ed infine confitto in Croce, ma ci ha avvertito: “quel che faranno a Me lo faranno anche a voi!”. Perciò non facciamoci illusioni e non corriamo dietro a chimere, utopie e conciliazioni dell’inconciliabile: “il vostro parlare sia: ‘sì sì no no’, quel che è di più viene dal Maligno” (Mt., V, 37).
d. Curzio Nitoglia



[1] ●Per quanto riguarda il motivo delle sue dimissioni, voglio sforzarmi di attenermi a quanto ha detto lui stesso (e non fare un processo alle intenzioni, che sarebbe moralmente illecito), ossia la mancanza di forze necessarie per governare la Chiesa e conseguire il fine di Essa, ossia il bene comune spirituale. Se le cose stanno così nulla da obiettare, oggettivamente parlando, non essendo più in grado di governare la Chiesa ed ottenere il bene comune spirituali dei fedeli cattolici (“salus animarum suprema lex Ecclesiae”), egli preferisce dimettersi, per il bene della Chiesa. Il suo atto in sé è lecito, non sta a noi giudicare le intenzioni soggettive, che solo Dio conosce e solo Lui può giudicare.
●Il CIC prevede che il Papa possa dare le dimissioni. Durante la storia della Chiesa è già successo, ad esempio con San Celestino V il 13 dicembre 1294. Benedetto XVI, almeno in questo caso, non ha stabilito nessuna regola nuova in rottura con la Tradizione, ha fatto ciò che fece un Papa Santo nel 1294. Inoltre Pio XII quando nel 1954 era gravemente ammalato chiese al suo dottore: “sarò in grado di guarire ed adempiere pienamente alla mia missione? Altrimenti mi ritiro senza esitazioni” (Suor Pascalina Lehnert, Pio XII. Il privilegio di servirlo, Milano, Rusconi, 1982, p. 199). Perciò non capisco lo scandalo di fronte alle sue dimissioni e il silenzio riguardo ad Assisi 2012 o al discorso del 14 febbraio 2013. Il gesto di Benedetto XVI in se stesso non è in rottura totale con la Tradizione della Chiesa, certamente è un avvenimento eccezionale, che stupisce e pone degli interrogativi.
●Lascia perplesso, tuttavia, il discorso che ha tenuto all’Udienza generale del mercoledì (27 febbraio), alla vigilia delle sue dimissioni, in cui ha annunziato che non si ritira dalla scena pubblica, che continuerà a fare conferenze ed a partecipare alla vita pubblica della Chiesa, non più come Papa, ma come ‘Papa emerito’, vestito in talare bianca senza insegne papali e con il titolo di “Sua Santità Benedetto XVI Papa emerito”. Ciò è ben diverso da quel che disse l’11 febbraio, quando, annunziando le sue dimissioni, parlò di “ritiro a vita eremitica in un Convento della Città del Vaticano”. Ora vita eremitica e vita pubblica sono termini in sé inconciliabili, ma per Spinoza, Hegel e Ratzinger no …Qui cominciano a farsi sentir le dolenti note.
Mi sembra che il concetto del Papato proprio di Ratzinger quanto alla Collegialità episcopale spiegherebbe il perché delle dimissioni di Benedetto XVI, annunziate già nel 2011. Infatti, secondo tale concetto, il Papa è il Vescovo di Roma, ha una preminenza ma non un Primato. Quindi come stabilito da Paolo VI quanto ai Vescovi deve dare le dimissioni per limiti di età, con una decina di anni di posticipo.
●Circolano anche varie altre ipotesi, ma non sono certe. La più probabile, alla luce di quanto dichiarato all’Udienza generale del mercoledì mi sembra quella che già era stata avanzata su il Giornale del febbraio 2011 da Antonio Socci, il quale aveva preannunciato, essendone stato informato da fonte sicura, che il Papa avrebbe dato le dimissioni a 85 anni compiuti. Ora ciò farebbe pensare che la sua concezione collegiale del Papato, risalente ai tempi del Concilio, lo abbia indotto ad equiparare il Papa ai Vescovi, concedendo solo un primato di onore al Vescovo di Roma, e quindi a ritenere che, come i Vescovi debbono dare le dimissioni dal governo della loro Diocesi a 75 anni, i Cardinali non possono più eleggere il Papa ad 80 anni, così il Papa (“primus inter pares”) ad 85 anni dovrebbe rassegnare le dimissioni per limiti di età. Infatti egli ha dato la notizia delle sue dimissioni in latino: “Ingravescentem aetatem. Per età avanzata”, citando la frase iniziale del “motu proprio” (23 novembre del 1970) “Ingravescentem aetatem” di Paolo VI, che escludeva i Cardinali ottantenni dal Conclave. Certamente Paolo VI ha introdotto una nuova regola in rottura con la Tradizione e “contraria al Diritto naturale e quindi nulla come legge”. Il card. Alfredo Ottaviani rilasciò allora delle interviste in cui disse che “tale provvedimento non ha forza di legge, poiché contrario al diritto naturale”.
Se le cose stessero così ed è molto probabile che lo siano, allora andrebbe espressa tutta la disapprovazione, come va disapprovata la dottrina della Collegialità episcopale, ma non se ne ha la prova oggettiva assolutamente certa, si tratta di illazioni, si può fare soltanto un’ipotesi abbastanza verosimile et non plus ultra.
●Le altre teorie: “mandato di cattura europeo”, “farsi rieleggere dal Conclave per governare con più poteri” mi sembrano totalmente prive di prove oggettive e certe o almeno verosimili e come tali non vanno prese in considerazione seria e non sono degne di essere ipotizzate come probabili.
[2] Cfr. C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, 2 voll., Roma, Studium, 1967; A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Bologna, Il Mulino, 1964.
[3] Cfr. A. Del Noce, L’epoca della secolarizzazione, Milano, Giuffrè, 1970; C. Fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Brescia, Morcelliana, 1964.
[4] Cfr. J. Maritain, Umanisme integral, Parigi, 1936.
[5] Enchiridion Vaticanum. Documento del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale e traduzione italiana, Bologna, Edizioni Dehoniane Bologna, 9a ed., 1971, Discorsi e messaggi, pp. [282-283].
[6] C. Fabro, Introduzione a S. Tommaso, Milano, Ares, 1997, 2a ed., p. 9.
[7] Purtroppo fu il medesimo Giovanni XXIII, che aveva letto ed approvato (durante il 1960 ed il 1961) gli schemi del S. Uffizio ad affossarli (nel 1962), sostenendo la manovra dei Teologi Renani.
[8] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La formazione della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
[9] H. Jedin, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
[10] F-Prignon, n° 512 bis: relazione dattiloscritta sugli avvenimenti a partire dal 27 ottobre, pp. 10-11, cit. in G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 163, nota 100; cfr. A. S., vol. II, cap. 5, pp. 66-69.
[11] F-Prignon, cit. in G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 163-165.
[12] Nastro registrato spedito da mons. Albert Prignon al card. Suenens, fine giugno 1964, F-Prignon, 828, cit. in G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1999, vol. IV, p. 86, nota 216.
[13] Questo concetto del Papato proprio della Collegialità episcopale spiegherebbe il perché delle dimissioni, annunziate già nel 2011, di Benedetto XVI. Infatti il Papa è il Vescovo di Roma, ha una preminenza ma non un Primato. Quindi come i Vescovi deve dare le dimissioni per limiti di età, con una decina di anni di posticipo.
Questo sarebbe il “colpo di mano finale” di Ratzinger per cambiare la struttura monarchica della Chiesa. Il ‘primo colpo di mano’ fu opera dei Vescovi renani (il 20 novembre 1962), che rigettarono gli Schemi preparati dal S. Uffizio, cui seguì lo scontro tra il card. Ottaviani e il card. Frings (il cui teologo era Ratzinger) l’8 novembre 1963 sulla Collegialità. Esattamente 50 anni dopo - l’11 febbraio 2013 - Ratzinger, divenuto Benedetto XVI, annunzia le sue dimissioni ed il 14 dello stesso mese precisa che non si ritira a vita privata. Quindi lascia capire che il Papa, come gli altri Vescovi, deve andare in pensione ad una certa età e fare il “Papa emerito”. Questo sarebbe “il colpo di grazia” all’Istituzione divinamente monarchica del Copro Mistico di Cristo, se la Chiesa non fosse assistita da Dio “tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Però “Dio lascia fare, ma non strafare” diceva Sant’Alfonso de Liguori. Certamente Ratinger è un modernista lucido, teoretico ed impenitente, sa quel che vuole e lo ottiene pian piano, mettendo i fedeli davanti al fatto compiuto. La stessa astuzia la ebbe durante il Vaticano II, quando i teologi progressisti si stavano irrigidendo contro la “Nota Explicativa Praevia” voluta da Paolo VI ed avrebbero compromesso la dottrina della Collegialità mettendosi troppo apertamente contro la decisione del Papa, perciò la Collegialità sarebbe stata fatta bocciare dal Coetus Internationalis essendo usciti troppo allo scoperto i Renani contro il Papa stesso. Ma “per fortuna c’è Ratzinger” esclamò padre Yves Congar, “che con la sua perizia e prudenza ha saputo salvare ogni cosa”, facendo accettare la ‘Nota Praevia’ in quanto non votata dai Vescovi in Concilio e quindi non Documento conciliare…
[14] Cit. in M. Lefebvre, J’accuse le Concile, Martigny, Ed. Saint Gabriel, 1976, pp. 89-98.
[15] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. Il concilio adulto, settembre 1963-settembre 1964, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. III, p. 129.
[16] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965, Bologna, Il Mulino, 1998, vol. IV, p. 469.
[17] Ivi.
[18] T. Oostveen, Bernard Alfrink vescovo cattolico, Assisi, Cittadella editrice, 1973, p. 76.
[19] Citato in E. Cavaterra, Ibidem, p. 70.
[20] Quando il card. Antonio Bacci morì nel 1971, Paolo VI non si recò ai suoi funerali, come abitualmente fa il Papa per ogni cardinale di Curia, poiché Bacci nel 1970 aveva prefato il libro di Tito Casini La tunica stracciata, fortemente critico nei confronti della Nuova Messa (v. E. Cavaterra, Ib., p. 95).
[21] Citato in E. Cavaterra, Ib., p. 80.
[22] Louis Bouyer, Mensch und Ritus, 1964; A. Fortescue, La Messe, Parigi, Lethielleux, 1921; K. Gamber, La riforma della Liturgia Romana, tr. it., Roma, Una Voce, giugno/dicembre 1980.
[23] D. Bonneterre, Le Mouvement liturgique, Escurolles, Fideliter, 1980; B. Botte, Il movimento liturgico, tr. it., Cantalupa [Torino], Effatà, 2009.
[24] A. Xavier Vidigal Da Silveira, La Nuova Messa di Paolo VI. Cosa pensarne? tr. it., www.unavoce.it
[25] Questo articolo n. 7 dell’Institutio Generalis fu definito “eretico” dal card. Charles Journet.
[26] Cfr. C. Algermissen, La Chiesa e le chiese, Brescia, 1942, p. 667 s.

3 commenti:

  1. Nelle congregazioni generali o preconclave, sembra, seguendo alcuni bloggers, che si siano costituite due cordate:
    la prima guidata da Sodano-Bertone-filoni-Re che puntano su i progressisti/liberisti/modernisti come Scherer & C. e con segretario di stato Sandri -
    la seconda piu' moderata formata dagli americani
    e appoggiata da Ruini- Scola-Vingt Trois-Pell, che puntano sui nomi di O'Malley, Dolan, Rangjit, Burk.
    Spero che venga fuori Rangjit o Burk oppure in seconda battuta, O'Malley e Dolan.

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    1. Forse sarebbero meglio quelli simpatizzanti degli "Araldi del Vangelo" altro gruppo nuovo ,ma almeno tradizionalista.
      Chi mai ne ha parlato in Italia ?
      Ssst ! Tacerne è stato l'ordine ...
      Comunque arrivano dal Brasile e sono determinati e ,dicono, potenti quasi come l'Opus Dei.

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  2. "... il “mito della continuità” è smentito in verbis et in factis dal giovane Ratzinger e da Benedetto XVI, in piena continuità con se stesso, ma in ‘discontinuità-continua e costante’ con la Tradizione della Chiesa. Benedetto XVI rappresenta l’incarnazione della “discontinuità-continua”, come il cattolico liberale è “l’incoerenza stessa sussistente” (card. Louis Billot)..."

    Bravo Don C.Nitoglia !

    Smaschera il "povero vecchio" Ratzinger come lo stesso che ,giovane, ispirò Frings nel contestare lo schema conciliare originario.
    Caparbietà teutonica, per non dire "errare umanum est....."

    Già dissi che non sembrava cambiato nulla nella sua mente del tempo del Concilio.
    Altrochè ritirarsi a riflettere!

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