La recente pubblicazione della Dichiarazione Dottrinale, indirizzata dal Consiglio Generale della Fraternità San Pio X alle autorità della Chiesa a Roma, il 15 aprile dell’anno corso, conferma i nostri peggiori timori.
Abbiamo aspettato quasi un anno per sapere cosa contenesse.
Essa prova una volta per tutte che l’attuale dirigenza della Fraternità San Pio X intende condurre quest’ultima lontano dalla direzione fissatale da Mons. Lefebvre, e verso le idee e gli ideali del Concilio Vaticano II.
Nonostante siate occupati col vostro ministero quotidiano, la cosa finisce col riguardare anche voi, perché sta ad indicare che, sotto la guida dei Superiori, le anime affidate alla vostra cura, e voi stessi, venite guidati verso e anche nella grande apostasia dei tempi moderni.
Ricordiamoci che sono i Superiori che fanno i sottoposti e non viceversa.
Non abbiamo visto un certo numero di buoni sacerdoti della Fraternità rinunciare, uno dopo l’altro, alla battaglia per la Fede, dove sappiamo li aveva condotti Mons. Lefebvre, e muoversi invece con la corrente, secondo quel deciso e molto diverso andamento che da alcuni anni fluisce dai vertici verso la base della Fraternità?
Un’analisi dettagliata conferma il pericolo rappresentato da ognuno dei paragrafi della Dichiarazione, come indicato solo brevemente qui di seguito: -
I - La fedeltà promessa alla “Chiesa cattolica” e al “Romano Pontefice” oggi può facilmente essere mal diretta verso la Chiesa conciliare come tale e verso i Pontefici conciliari. Per evitare la confusione sono necessarie delle distinzioni.
II - L’accettazione degli insegnamenti del Magistero in conformità con Lumen Gentium 25, tenuto conto della Professione di Fede del 1989 menzionata nella nota a pie’ di pagina della Dichiarazione, può facilmente essere intesa come implicante l’accettazione delle dottrine del Vaticano II.
III, 2 - Il riconoscimento del Magistero come il solo interprete autentico della Rivelazione comporta il grave rischio di sottomettere la Tradizione al Concilio, specialmente quando si rigetta automaticamente ogni rottura tra i due (cfr. il seguente punto III, 5).
III, 3 - Definire la Tradizione “la trasmissione vivente della Rivelazione” è cosa altamente ambigua, e tale ambiguità è sufficientemente confermata dalle parole vaghe riguardo alla Chiesa e dalla successiva citazione dell’altrettanto ambiguo paragrafo 8 della Dei Verbum.
III, 4 - L'affermazione che il Vaticano II “illuminerebbe” la Tradizione, “approfondendo” ed “esplicitando”, è decisamente hegeliana (da quando le contraddizioni spiegano e non si escludono a vicenda?), e rischia di falsificare la Tradizione aggirandola per soddisfare le molteplici falsità del Consiglio.
III, 5 - Il riconoscimento che le novità del Vaticano II debbano essere interpretate alla luce della Tradizione e che non sia accettabile alcuna interpretazione implicante una rottura tra le due, è una follia (Tutte le camicie devono essere blu, e ogni camicia che non sia blu dev’essere considerata come blu!). Questa follia non è altro che l’“ermeneutica della continuità” di Benedetto XVI.
III, 6 - Dare credito alle novità del Concilio Vaticano II come fossero legittima materia di dibattito teologico significa sottovalutare gravemente la loro dannosità. Esse sono suscettibili solo di condanna.
III, 7 - Il giudizio che i nuovi riti sacramentali siano stati legittimamente promulgati è gravemente fuorviante. Specialmente il nuovo Ordo Missae è troppo nocivo per il bene comune della Chiesa perché possa essere una vera legge.
III, 8 - La promessa “di rispettare” il nuovo Codice di Diritto Canonico come legge della Chiesa equivale a rispettare una serie di presunte leggi in diretto contrasto con la dottrina della Chiesa.
Reverendi Padri, chiunque studi questi dieci paragrafi nel loro testo originale può solo concludere che i loro autori hanno rinunciato alla battaglia per la Tradizione di Mons. Lefebvre e nel loro intento hanno fatto proprio il Vaticano II. Voi e i vostri greggi volete essere guidati da tali Superiori?
Non si dica che i primi due paragrafi e gli ultimi tre sono stati ripresi dal Protocollo del 5 maggio 1988 di Mons. Lefebvre, così che questa Dichiarazione gli sarebbe fedele. È risaputo che il 6 maggio egli rigettò tale Protocollo, perché riconobbe di aver fatto troppe concessioni rispetto alla possibilità per la Fraternità di continuare a difendere la Tradizione.
Altro errore è dire che il pericolo è passato perché la Dichiarazione è stata “ritirata” dal Superiore Generale. La Dichiarazione è il frutto avvelenato di quella che è divenuta una mentalità liberale dei vertici della Fraternità, e tale mentalità non è stata riconosciuta, nonostante questo ritiro.
Il terzo fraintendimento consiste nel dire che, poiché non è stato firmato alcun accordo con gli apostati di Roma, non ci sarebbe più alcun problema. Il problema non sta tanto nell’accordo, quanto nel desiderio di un qualche accordo che garantisca alla Fraternità un riconoscimento ufficiale, desiderio che ancora persiste fortemente. Seguendo il mondo moderno nel suo insieme e la Chiesa conciliare, la dirigenza della Fraternità sembra aver perso la sua presa sul primato della verità, specialmente della verità cattolica.
Reverendi Padri, “Ciò che non può essere curato, dev’essere sopportato”. I capi ciechi costituiscono una punizione di Dio. Ciò nonostante, il minimo che si possa fare circa questa disastrosa Dichiarazione è approfondirla insieme a tutto quello che ha condotto ad essa, altrimenti la Fraternità si perde senza che ci se ne accorga. E dopo aver fatto luce su questo disastro è necessario dire la verità alle pecorelle della Fraternità, cioè esporre loro il pericolo a cui il Superiori stanno esponendo la loro fede e la loro salvezza eterna.
A tutti noi della Fraternità, voluta da Mons. Lefebvre come una fortezza della Fede in mezzo al mondo, oggi Nostro Signore pone la domanda di Giovanni 6, 67: “Forse anche voi volete andarvene?”
A tutti e a ciascuno di voi imparto di cuore la benedizione episcopale, il vostro servo in Cristo,
+ Richard Williamson, Nova Friburgo [Brasile], Giovedì Santo 2013.
L'autorità nella Chiesa non è mai fine se stessa (come si crede) e non è detto che i suoi atti siano sempre corretti e fedeli alle tradizioni ricevute.
RispondiEliminaLo si vede in questi giorni pure dal comportamento di papa Bergoglio che fornirà un lungo elenco di prove a tal riguardo.
I capi possono sbagliarsi e condurre nell'errore. Una Chiesa può benissimo trasformarsi in qualcos'altro. Successe in Inghilterra quando il cattolicesimo di quella nazione si trasformò in una creatura "altra", con altra identità liturgica ed ecclesiale.
Succede oggi nelle molte parrocchie e diverse diocesi cattoliche in cui i cattolici non sanno più cosa sono o, al più, sono una variante del protestantesimo.
E sta succedendo pure nella Fraternità. Basta poco, pochissimo e l'attenzione dalle cose celesti si sposta a quelle solo umane. A quel punto inizia la variazione.
"Con questo papa la Chiesa non sarà più come prima" diceva il rabbino di Roma. E c'è da crederci davvero!
A proposito delle analisi di mons Williamson, III, 3 III, 4 faccio mio uno splendido commento trovato sul blog "Riscossa Cristiana":
RispondiEliminaAnche
" Introvigne sostiene che “senza Magistero è impossibile identificare dove sia e che cosa sia la Tradizione o quale sia il consenso del Popolo di Dio”. Se le sue parole corrispondono al suo pensiero, il professore dice che la Tradizione deve essere interpretata dal Magistero “in corso” e che sottoporre al vaglio della Tradizione perenne il Magistero è un peccato di orgoglio e di superbia.
Ebbene invece, non è il Magistero che “giudica” la Tradizione ma la Tradizione che “giudica” il Magistero. Anche se non piace al professor Introvigne e al “suo magistero”.
Se così non fosse ci troveremmo a considerare la Tradizione alla stessa stregua di un codice di diritto composto da norme giuridiche. La norma giuridica è per definizione generale e astratta e tocca al giudice di turno interpretarla con il rischio concreto che, in una determinata fattispecie, questi fornisca interpretazione persino opposta a quella di un altro togato… Se si lasciasse che la Tradizione venisse “giudicata” dal Magistero, a seconda del Papa eletto, ci si potrebbe trovare oggi di fronte a un giudizio, domani a uno perfettamente opposto…
Basandosi impropriamente sul concetto di “tradizione vivente” quale caratteristica del deposito rivelato e trasmesso dalla Chiesa si correrebbe il rischio di produrre un Magistero che si trasforma e si adatta ai tempi e alle circostanze. La Chiesa cadrebbe in contraddizione con l’insegnamento infallibile del passato distruggendo il concetto stesso di Verità e azzerando nell’uomo il criterio per riconoscerla.
Così non può essere, evidentemente. Il deposito della fede che ci è stato dato dalla Rivelazione, ossia la parola di Dio affidata agli Apostoli la cui trasmissione è assicurata dai loro successori, è immutabile e irreformabile poiché è, appunto, un deposito divino che la Chiesa custodisce e infallibilmente interpreta alla luce della Tradizione...."
STEFANO ARNOLDI
Chiarissimo e lineare. Totalmente d'accordo.
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