Fonte: Si SI No No
domenica 8 maggio 2011
CONCILIO VATICANO II / IL DISCORSO MANCATO...
Il Concilio della rottura con la Dottrina di sempre della vera Chiesa Cattolica...
Una “Supplica” inesaudita
Mons. Brunero Gherardini nel 2009 scrisse un libro molto interessante[1], in cui esprimeva le sue perplessità sulla continuità effettiva, e non solo dichiarata, tra la Tradizione apostolica e gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, per cui chiedeva al Papa, nella “Supplica” finale del suo libro, di togliere ogni ambiguità ai testi “contestati” del Concilio pastorale tramite l’intervento del suo Magistero dogmatico e impegnando l’infallibilità pontificia. Anche due vescovi, ossia due membri della ‘Chiesa Docente’, firmarono l’accorata “Supplica” al Papa.
Tre anni son passati, ma la risposta non è venuta. Si dialoga con tutti, nelle sinagoghe, nelle moschee, nei templi protestanti, ma ai cattolici, siano anche membri del “Collegio” episcopale, come si dice a partire dal Vaticano II, o valenti teologi che hanno insegnato per lustri nella “Università del Papa” (la Lateranense), non si dà neppure un cenno di ricezione del libro o della “Supplica”. Perciò mons. Gherardini nel suo ultimissimo libro Concilio Vaticano II/Il discorso mancato (Torino, Lindau, 2011[2]), dopo aver preso atto del “discorso mancato”, fa alcune riflessioni che sintetizzo nel presente articolo.
Il Magistero spazzato via dal Vaticano II e contestato dai Vescovi
Innanzi tutto mons. Gherardini riprende il tema della Tradizione apostolica[3], dimostrando che la Dei Verbum del Vaticano II accantona la dottrina definita dal Tridentino e dal Vaticano I sulle “due Fonti” della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), per far convergere Tradizione e Magistero nella Scrittura. Infatti, soprattutto nel paragrafo 10 della Dei Verbum, «il precedente Magistero è spazzato via all’insegna d’una radicale tanto quanto insostenibile unificazione. Unificati sono i concetti di Scrittura, Tradizione e Magistero. […]. La “reductio ad unum” della Dei Verbum, pertanto, corregge se non proprio non cancella letteralmente il dettato del Tridentino e del Vaticano I»[4].
Per quanto riguarda l’ ecclesiologia conciliare di Lumen gentium, non ostante la “Nota esplicativa previa”, mons. Gherardini osserva che «dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte»[5].
L’accantonamento della Tradizione e del Magistero a favore della sola Scriptura, contenuto nei testi del Vaticano II, è confermato anche dai fatti (“contra factum non valet argumentum”), in primis dalla contestazione dell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI del 1968 da parte di interi Episcopati[6], che criticarono apertamente il Magistero.
Collusione tra “spirito” e “contro-spirito” del Vaticano II
Mentre la “scuola di Bologna”, con Dossetti, Alberigo e Melloni, parla dello “spirito” o significato del Concilio, che sorpassa la sua lettera e rompe col passato della Chiesa, Ratzinger, già da cardinale e poi da Papa, vedeva in questa tendenza degli ultra-progressisti un “contro-spirito” che nuoceva al Concilio, poiché «poneva nel Vaticano II l’ inizio dell’anno zero e da lì proiettava la Chiesa verso la novità assoluta»[7]. Per Ratzinger il vero “spirito” del Concilio è la continuità “in una sorta di mai interrotta autoriforma”[8] della Chiesa; invece per Alberigo e soci è la rottura col passato e l’inizio di una nuovissima èra, quasi una ‘terza Alleanza’ gioachimita.
Per mons. Gherardini, entrambe le opinioni, quella della scuola di Bologna e di Ratzinger, non sono condivisibili. Infatti per l’Autore il “contro-spirito” (rottura con la Tradizione) non è in contrasto con il “vero spirito” del Concilio (continuità asserita, ma non dimostrata). Anzi egli si chiede «paradossalmente e provocatoriamente se l’autentico “spirito” del Concilio non abbia praticamente colluso con il “contro-spirito”»[9], vale a dire se la continuità, tanto conclamata da Ratzinger ma mai dimostrata, praticamente non coincida con la rottura messa in evidenza da Alberigo. In breve: rottura reale e continuità solo affermata coinciderebbero nella discontinuità, che è comune, anche se in modo diverso, all’una e all’ altra.
Questa «collusione tra ‘spirito’ e ‘contro-spirito’ del Concilio»[10] a prima vista potrebbe sorprendere. Infatti, mentre il “contro-spirito” dichiara da se stesso di aver operato un taglio netta tra Concilio e Tradizione, è più difficile dimostrare «che perfino lo “spirito” vero del Concilio, quello che si riprometteva di evitare i temuti strappi dal passato e di operare la ricucitura dei medesimi laddove fossero stati compiuti, fu responsabile della stessa radicale rottura»[11]. In realtà, però, lo “spirito” del Concilio fu anch’esso un “contro-spirito” poiché contrappose, generalmente, il Concilio non solo alle direttive ufficialmente dichiarate da Giovanni XXIII, ma soprattutto “a quanto la Chiesa aveva finora accreditato come suo pane quotidiano, in particolare ai Concili di Trento e del Vaticano I”[12].
L’antropolatria della “Gaudium et Spes”
L’Autore dimostra, nel presente libro, quanto ha affermato in particolare con l’ antropolatria di Gaudium et spes, la quale tratta dei rapporti tra Chiesa e mondo moderno e contemporaneo: «l’uomo è in terra la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa (“propter se ipsam”[13])» (24, § 4). Mons. Gherardini osserva che, mentre San Pio X si era proposto di “instaurare omnia in Cristo”, “ricentrare tutto in Cristo”, Gaudium et spes, vuol “instaurare omnia in homine”; “ricentrare tutto nell’uomo”; essa, perciò, rappresenta un Magistero tutto orientato in direzione dell’ uomo e proteso ad abbassare Cristo al livello del puramente naturale, disarcionandoLo dal trono della sua Divinità[14]. Quale rottura più radicale di questa?
La dottrina cristiana, riassunta nel “Catechismo di San Pio X”, insegna che «Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e goderlo poi nell’altra in Paradiso». Il Concilio Vaticano II, invece, insegna quasi a sostituire «l’ adorazione della creatura a quella del Creatore e, tutto teso all’esaltazione della dignità pressoché infinita della persona umana, confonde il valore fondante con quello fondato. Mi chiedo – prosegue mons. Gherardini – come si possa sostenere, senza rotture con la Tradizione più pura, con la retta ragione e con lo stesso buon senso, l’affermazione che l’uomo “è in terra la sola creatura che Dio abbia creata per se stessa”»[15]. E nella nota 3 a pagina 36 scrive: «È un testo assurdo e blasfemo. […]. Il “per se stessa” sovverte i valori, sottoponendo il Creatore alla creatura» e alla pagina 37 commenta: «la conseguenza farebbe di Dio il tributario dell’uomo, un suo sottoposto, e dell’uomo il valore primario, condizionando la libertà assoluta di Dio all’assolutezza di codesto valore, imponendo a Dio un’assurda e contraddittoria determinatio ad unum»[16]. Com’è evidente, qui lo “spirito” del Concilio collude col “contro-spirito”.
Il paragrafo 22 di Gaudium et spes che recita: «Con l’Incarnazione il Figlio di Dio s’unì in un certo qual modo ad ogni uomo» è così qualificato dall’Autore: «Parole in libera uscita, […], eco di lontane apocatastasi, […]; in essa risuona, ancor più percepibile, un’altra eco non meno assurda e fuorviante, quella dei “cristiani anonimi” di rahneriana memoria. Qui il gegen-Geist (il “contro-spirito”) è semplicemente devastante»[17]. Nella Dei Verbum, poi, «il gegen, cioè l’intento contrario a buona parte di quanto era stato dogmaticamente stabilito dal Tridentino e ripetuto poi dal Vaticano I, è di un’evidenza palmare»[18].
Secondo l’Autore il discorso serio, pacato, scientifico e poi magisterialmente obbligante sul Vaticano II è mancato perché «si è preferito continuare una volgata infinitamente più comoda, che non era però, né poteva essere, la vera ermeneutica conciliare. C’era troppo, in essa, d’inautentico, di prevenuto, di non documentato»[19]. L’esito del discorso fatto per bene, non sarebbe stato, secondo Gherardini, il frazionamento dell’unità della Chiesa, ma «avrebbe solo aperto un dibattito su natura e limiti del Vaticano II [quale Concilio pastorale e non dogmatico], ben lungi dal timore o dalla prospettiva di un nuovo caso Lefebvre. È proprio vero che la prudenza è una grande virtù, quando non è un’immotivata paura»[20].
Benedetto XVI e la critica al solo post-concilio
L’Autore nota che la critica delle deviazioni dottrinali e morali recenti e contemporanee fatta da papa Ratzinger, come da Paolo VI e Giovanni Paolo II, non ha mai toccato il Concilio, ma bensì che «sotto i colpi della sua critica cadeva soltanto il postconcilio»[21], mentre da lui il Concilio non ha «ricevuto che elogi»[22]. Perciò l’Autore puntualizza: «se si vuol continuare ad incolpare solo il postconcilio, lo si faccia pure, perché effettivamente esso non è affatto privo di colpe; ma bisognerebbe anche non dimenticare ch’è figlio naturale del Concilio e che dal Concilio ha attinto quei princìpi sui quali, esasperandoli, ha poi basato i suoi più devastanti contenuti»[23].
Mons. Gherardini ricorda che «il Vaticano II s’iniziò con un atto di rottura nei confronti di schemi preparati alla luce della Tradizione»[24] dal S. Uffizio sotto la guida del card. Alfredo Ottaviani. Ora il rifiuto di siffatti Schemi preparatori, con il quale il Concilio prese l’avvio, non poteva generare che quei documenti, con quel loro indirizzo neo-modernistico, quelle loro aperture alle novità eterogenee del dogma. E da queste non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura reale con il passato, ossia con la Tradizione apostolica. Quindi l’esatto opposto della continuità affermata e non dimostrata, perché indimostrabile: la coincidenza di “spirito” e “contro-spirito” all’interno del Concilio, nei suoi stessi testi, sicut litterae sonant.
Il Magistero della Chiesa
Per capire qual è il valore teologico del Vaticano II occorre esporre l’essenziale della dottrina cattolica sul Magistero ecclesiastico. Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale o Papale.
●Magistero Solenne Conciliare è l’ insegnamento di “tutti” (totalità morale, non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente - in maniera non abituale o non permanente e non stabile - in Concilio Ecumenico sotto il Papa.
●Magistero Solenne Personale Pontificio è il magistero del Papa che, in quanto Maestro universale (o seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”), definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e/o la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.
Magistero Ordinario
●Innanzi tutto Magistero Ordinario significa che quanto al modo di esercizio non è solenne, non è eccezionale o straordinario, ma è normale, abituale, comune. Quindi non è il Magistero dell’insieme dei Vescovi riuniti straordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché un Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, non abituale, non in pianta stabile, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è neppure il Magistero del Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria una verità di Fede, ma è il Magistero del Papa che trasmette la Rivelazione, contenuta nella Tradizione e nella Scrittura, in maniera non solenne, non cattedratica. Ciò non vuol dire che non sia Magistero vero, autentico, ufficiale e persino infallibile, se adempie a tutte le condizioni perché sia assistito infallibilmente da Dio, ossia se vuole definire una questione controversa e obbligare a credere, anche se si esprime in maniera comune, ordinaria o semplice quanto al modo di insegnare (ad esempio con un’ Enciclica). In tal caso il Magistero, anche se ordinario, trasmette realmente il Deposito della Rivelazione e in ciò non può errare, pur non impiegando la pompa magna o la forma straordinaria e solenne nella trasmissione della divina Rivelazione.
Il Magistero Ordinario si suddivide in Magistero Ordinario Universale e Magistero Ordinario Pontificio:
●Magistero Ordinario Universale è la trasmissione delle verità divinamente rivelate fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo e cioè residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e uniti intenzionalmente o in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.
●Magistero Ordinario Pontificio è la trasmissione delle verità rivelate fatta dal Papa in maniera ordinaria. Inoltre il Papa è infallibile quando riprende, ripete ed enuncia una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (“quod semper, ubique et ab omnibus creditum est”): in tal caso la sua infallibilità è l’eco dell’infallibilità della Chiesa.
Da notare: come il teologo tedesco Albert Lang spiega bene, «non riveste importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[25]. Ossia, per l’infallibilità, il modo di insegnamento ordinario o straordinario è secondario e accidentale; ciò che è principale è la volontà di definire e obbligare a credere una verità di Fede e/o di Morale in quanto divinamente rivelata, sia che lo si faccia in maniera solenne sia che lo si faccia in maniera comune o ordinaria.
●Il Magistero è la regola prossima della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la regola remota. Infatti è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e obbliga a credere ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.
La natura e il valore teologico del Concilio Vaticano II
Dopo aver esposto l’abc della dottrina cattolica sul Magistero, si può passare a studiare come mons. Gherardini l’applichi al Concilio Vaticano II per chiarirne la natura e il valore teologico. Anche su questo tema l’Autore è molto chiaro ed esplicito.
Il Magistero Conciliare (Vaticano II compreso) è di per sé Solenne o Straordinario e Universale, trattandosi di tutti (moralmente e non matematicamente) i Vescovi riuniti in Concilio sotto il Papa, in maniera non abituale, ma eccezionale. Quindi non è né Magistero Pontificio Solenne, né Magistero Ordinario Universale, né Pontificio Ordinario[26]. «Quanto al Vaticano II – scrive mons. Gherardini – sarebbe assurdo negargli il carattere di Magistero Conciliare, quindi Solenne, non Ordinario, perché in tal caso si negherebbe il [fatto o l’esistenza del] Concilio stesso. […]. Se una cosa è, non può non essere»[27]. Ossia è un fatto, e contro il fatto non vale argomento, che il Papa ha convocato tutti i Vescovi del mondo nel Concilio Vaticano II, il quale si è svolto e si è concluso sotto la direzione del Papa. Quindi canonicamente è un Concilio Ecumenico legittimamente convocato e promulgato. Tale Concilio, però, lo si è voluto “pastorale” ossia che applicasse ai casi pratici la dottrina della Chiesa senza definire né obbligare a credere verità di Fede o di Morale. Quindi, il Vaticano II è, sì, Magistero Solenne Universale o Conciliare (quanto al modo), ma non dogmatico (quanto alla sostanza) e non infallibile, tranne nei casi ove ha riproposto la dottrina costantemente e universalmente professata da tutta la Chiesa (“quod sempre, ubique et ab omnibus creditum est”) o quando ha ripreso e riproposto dogmi già definiti[28]: «Un attento osservatore non ha difficoltà ad accorgersi che la legittimità della convocazione e della promulgazione non conferisce unità dottrinaria a nessun Concilio, nemmeno al Vaticano II. Ciò nonostante, non nutre alcun dubbio sulla qualità Conciliare del suo Magistero»[29]. Il Vaticano II è realmente Magistero Conciliare e perciò Solenne, ma non è infallibile perché non ha voluto essere dogmatico. Esso giuridicamente «ha le carte in regola che lo fanno un autentico Concilio ed esigono che sia come tale riconosciuto. Ciò [però] non comporta alcun riconoscimento sulla qualità e validità del suo Magistero […]. L’autenticità conciliare gli deriva dalla canonicità della sua convocazione, della sua celebrazione e della sua promulgazione. […]. La qual cosa non depone di per sé per la dogmaticità dei suoi asserti […], trattandosi di un Concilio che, fin dalla sua convocazione […], escluse formalmente dal proprio orizzonte l’intento definitorio»[30]. Il fatto che il Concilio Vaticano II quanto al modo di insegnare è Magistero Solenne o Straordinario non significa che ipso facto sia, quanto alla sostanza, dogmatico o che voglia definire e obbligare a credere, godendo, così, dell’assistenza infallibile di Dio[31].
Il livello innovativo del Vaticano II
Se si legge la Gaudium et spes (sulla Chiesa e il mondo contemporaneo) senza pregiudizi, si capisce che «la Chiesa diventa in tal modo un’entità in dialogo con altre entità, e finalizza il dialogo alla realizzazione di pur grandi finalità...
Fonte: Si SI No No
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Discorso così chiaro e lampante che ogni osservazione risulta superflua. Non riesco a seguire molto, personalmente, le varie definizioni sul magistero ordinario e non, perchè sanno di finezze filososfiche ed ecclesiastiche fuori dalla mia mentalità, ma credo di averne ben capito il senso.
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