Quali sono i frutti della nuova Messa "Novus Ordo Missae" ?
Ma mentre Gesù si preparava a morire sulla croce aveva in mente un disegno meraviglioso di amore. Voleva che il suo sacrificio non si compisse soltanto sul monte Calvario, ma che continuasse, in modo misterioso, tutti i giorni sino alla fine del mondo. Per questo dà ai suoi apostoli la facoltà di celebrare la Messa, di attuare cioè "la rinnovazione del Sacrificio della Croce, reso presente sull'altare in maniera incruenta, cioè senza spargimento di sangue". Sull'altare-Calvario si compie realmente, ma in maniera incruenta, lo stesso sacrificio che Gesù compì sulla croce. Infatti sul Calvario la vittima era Gesù, sull'altare la vittima (="hostia") è lo stesso Gesù; sul Calvario il sacerdote era Gesù che offriva se stesso all'eterno Padre; sull'altare il vero sacerdote è Gesù che offre se stesso per mezzo del prete "altro-Cristo".
Ecco, in poche parole, il significato di ciò che costituisce il sole della vita spirituale cristiana, la S. Messa. Se potessimo capire solo un poco la grandezza di questo mistero ne resteremmo abbacinati: un Dio che si fa uomo, un Dio che si fa ostia per entrare nelle sue creature, avere con loro una intimità totale, donando tutto sé stesso, la sua grazia, affinché ogni uomo possa dire, con S. Paolo: "Tutto posso in Colui che mi dà forza". Con l'Eucarestia Dio ci ha dato veramente tutto. S. Agostino esclamava: "Dio essendo onnipotente non poté dare di più; essendo sapientissimo non seppe dare di più; essendo ricchissimo non ebbe da dare di più". E S. Francesco: "L'uomo deve tremare, il mondo deve fremere, il cielo intero deve essere commosso, quando sull'altare, tra le mani del sacerdote, appare il figlio di Dio".
Ma per comprendere meglio il significato, l'essenza stessa della Messa, è bene analizzare la riforma liturgica, attuatasi dopo il Concilio Vaticano Il, e cogliere l'occasione per mettere a confronto la cosiddetta "messa tradizionale" con la cosiddetta "messa nuova".
Nell'ottica riformista del Concilio, Paolo VI pose mano, per mezzo dei suoi collaboratori, alla creazione del N.O.M (: Nuovo ordine della Messa). Non si trattò di una semplice traduzione dal latino in italiano ma di una serie di cambiamenti che lasciò scossi parecchi cattolici. Paolo VI stesso, all'udienza generale di Mercoledì 26 novembre 1969, ebbe a dire: "... le persone pie saranno quelle maggiormente disturbate... e i sacerdoti stessi proveranno forse qualche molestia a tale riguardo... Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione con la lingua voIgare è un grande sacrificio... e così perderemo gran parte di quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale che è il canto gregoriano". Ma del resto, proseguiva, bisogna comprendere il significato positivo delle riforme e fare della "Messa una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana" ("L'Osservatore Romano" 29.11.69). Quest'ultima affermazione mette bene in evidenza uno scopo che Paolo VI e i suoi collaboratori si proponevano nella istituzione del nuovo rito: creare un momento di dialogo, dare spazio alla socialità, all'uomo e alla sua natura. L'altro obiettivo, conformemente agli ideali e agli insegnamenti del Concilio, fu senza dubbio quello di formulare una cerimonia della Messa nella quale il mondo cattolico dimostrasse una maggior apertura, rispetto al passato, nei confronti dei "fratelli separati" protestanti, come testimonia del resto anche la presenza di sei pastori luterani come collaboratori nella composizione del N.O.M. C'era stata infatti fino ad allora da parte dei cattolici totale opposizione alla concezione protestante della Messa: per i primi essa costituiva una azione attuale, la rinnovazione del sacrificio della Croce, mentre per i secondi si trattava di un semplice memoriale, un ricordo della cena del Signore, durante la quale vi sarebbe soltanto una certa Sua assistenza spirituale, ma non la Sua presenza reale, la transustanziazione: trasformazione del pane e del vino nella carne e nel sangue di Cristo. Inoltre i protestanti negavano il sacerdozio e parlavano di ministro, presidente di una assemblea di fedeli che è essa stessa a celebrare il memoriale (=sacerdozio universale).
Ma ora, dopo i documenti ecumenici del Concilio Vaticano II e i cordiali contatti fra Giovanni XXIII e Paolo VI e alcuni noti esponenti del mondo anglicano e luterano, sembrò agli autori del N.O.M. di poter raggiungere entrambi gli scopi - "fare della Messa una palestra di sociologia cristiana" e "approfondire" il dialogo ecumenico con fratelli separati - prendendo spunto dalla riforma liturgica promossa in Germania da Lutero e dai suoi successori, e in lnghilterra da Cranmer, arcivescovo di Canterbury dal 1547 al 1553. Costoro, in consonanza ideale perfetta, avevano rivoluzionato completamente il rito cattolico-romano, attraverso:
2. cambiamenti operati nel canone;
3. uso della lingua volgare;
4. mutamento della concezione del sacei dozio e altri mutamenti secondari.
1. Sostituzione dell'altare con la tavola.
Nel rito coniato da Lutero e da Cranmer l'altare sacrificale viene sostituito con il tavolo conviviale per sottolineare il carattere di cena, di memoriale.
Lutero sosteneva infatti: "si è preteso (dai cattolici "papisti" N.d.R.) fare della Messa un sacrificio ... La Messa non è un sacrificio, non è azione di un sacrificatore... chiamiamola benedizione o Eucarestia o tavola del Signore, purché non la insozziate con il titolo di sacrificio o di azione" (Omelia della I Domenica d'Avvento). Cranmer a sua volta: "la forma di tavola è prescritta per portare la gente semplice dall'idea superstiziosa della Messa papista al buon uso della Cena del Signore. Infatti per offrire un sacrificio occorre un altare; al contrario, per servire da mangiare agli uomini, occorre una tavola". (Cfr. "Ragioni per cui il banchetto del Signore dovrebbe avere la forma di una tavola, piuttosto che quella di un altare", PARKET SOCIETY, Cranmer, VoI. II). Come conseguenze logiche di questa concezione il sacerdote perde la sua funzione di mediatore fra Dio e gli uomini e diviene semplicemente il presidente della assemblea, verso la quale si rivolge; d'altro lato la negazione della Presenza Reale porta alla abolizione del Tabernacolo.
Ebbene nella nuova Messa, cosiddetta di Paolo VI, abbiamo una ripresa perfetta della riforma protestante e anglicana: scompare l'altare, sostituito dalla tavola (solitamente di legno); il sacerdote non è più rivolto a Dio ma presiede l'assemblea. Lo svolgimento del rito è, in linea generale, orizzontale, dal celebrante ai fedeli; l'assemblea è rivolta verso il presidente e lui verso di essa. Nelle vecchie chiese, dove rimane ancora l'altare, il sacerdote volta le spalle al tabernacolo, mentre per lo più quest'ultimo viene collocato a lato dell'abside, in disparte, o, addirittura, in sacrestia. Anche la struttura architettonica della chiesa, quando è moderna e quindi costruita per il nuovo rito, contribuisce all'orizzontalità: circolare o semicircolare, non fa convergere l'occhio del fedele verso il Golgota, l'altare rialzato, e verso Gesù sacramentato, ma verso il tavolo, posto in posizione centrale, e altri uomini, in posizione frontale. Il perché di tale rivoluzione liturgica si può comprendere leggendo la prima definizione di Messa data dai creatori del N.O.M.: "La cena domenicale, o Messa è la sacra sinassi o congregazione del popolo di Dio che si raduna, presiedendo il sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Perciò riguardo alla congregazione locale della santa chiesa eminentemente vale la promessa di Cristo: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro"". (Novus Ordo, cap. II, par. 7). "La definizione di Messa è dunque limitata a quella di "cena"...; tale "cena" è inoltre caratterizzata dalla assemblea, presieduta dal sacerdote, e dal compiersi il memoriale del Signore, ricordando quel che egli fece il Giovedì santo.
Tutto ciò non implica: nè la Presenza reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell'assemblea.
Non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa (intesa in senso tradizionale N.d.R.) e che ne costituiscono pertanto la vera definizione. Qui l'omissione volontaria equivale al loro "superamento", quindi, almeno in pratica, alla loro negazione.
Nella seconda parte dello stesso paragrafo si afferma che vale "eminentemente" per questa assemblea la promessa di Cristo: "Dove sono due o tre congregati nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro".
Tale promessa, che riguarda soltanto la presenza spirituale del Cristo con la sua grazia, viene posta sullo stesso piano qualitativo, salvo la maggior intensità, di quello sostanziale e fisico della presenza sacramentale eucaristica" ("Breve esame del Novus ordo Missae" dei cardinali Ottaviani, allora prefetto del Santo Ufficio, e Bacci).
Messa tradizionale-cattolica: "il quale (Gesù) il giorno prima di patire (il sacerdote prende l'ostia) prese il pane nella sue sante e venerabili mani (eleva gli occhi al cielo), e sollevati gli occhi al Cielo a te Dio Padre suo onnipotente, ringraziandoti (benedice l'ostia) lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendetene e mangiatene tutti. (Proferisce le parole della consacrazione segretamente, attentamente e scandendo bene, chinato sopra l'Ostia)
Nello stesso modo dopo aver cenato (il sacerdote prende con entrambe le mani il calice), prendendo nelle sue sante e venerabili mani anche questo calice glorioso, di nuovo rendendoti grazie (lo benedice), lo benedisse e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e bevetene tutti. (Proferisce le parole della consacrazione chinato sopra il Calice attentamente e segretamente, tenendolo un poco elevato).
Nella Messa tradizionale tutto il testo della consacrazione tende a sottolineare l’attualità della azione sacrificale e il ruolo di alter-Christus del sacerdote.
In primo luogo il carattere tipografico e la punteggiatura: la narrazione ("il quale...tutti") è distinta dalla consacrazione (azione attuale) vera e propria ("Questo è infatti il mio corpo"; "Questo è infatti il mio sangue...") tramite il punto fermo, che divide nettamente, e tramite il grassetto, che, ripetiamo, evidenzia la formula sacramentale rispetto alla narrazione. Anche la posizione ("chinato sopra...") e il tono della voce ("segretamente...") del sacerdote, come indicano le didascalie in corsivo, mutano dal momento in cui ricorda le mosse di Gesù al momento in cui, come alter-Christus, le vive realizzando il miracolo della transustanziazione. Il sacerdote dice: "Questo è infatti il mio corpo" dando a queste parole un senso reale e attuale: "questo" che io ora ho in mano, "mio" perchè io sacerdote sono in questo momento alter-Christus. Inoltre la stessa parte narrativa non è prettamente tale, in quanto il sacerdote, ricordando i movimenti di Gesù, li ripete fedelmente come alter-Christus. Le numerose genuflessioni poi sottolineano la presenza fisica della Divinità sull’altare.
Infine la proposizione conclusiva "Ogni volta che farete ciò, lo farete in memoria di me" ribadisce il legame fra il ricordo, la narrazione che precede la consacrazione e l’azione attuale, presente, la consacrazione stessa.
La riforma protestante consistette nel trasformare la Messa in un semplice memoriale: scompare quindi ogni distinzione tonale (il "segretamente"), gestuale ("chinato sopra l’ostia") e tipografica appunto perchè non esiste distinzione, tutto è narrazione, ricordo di un qualcosa avvenuto un tempo, "una volta per tutte".
Ebbene nel nuovo rito di Paolo VI viene ripreso lo spirito di queste riforme generando così un rito equivoco che pur non impedendo la credenza nel sacrificio porta naturalmente alla concezione protestante: la stessa didascalia iniziale recita: "Racconto della istituzione", riducendo appunto tutto a semplice ricordo, a narrazione. Di conseguenza scompare una netta divisione tra narrazione e consacrazione, proprio perchè questa distinzione, in un memoriale, non può esistere. Scompare cioè il punto fermo a separare le due parti; poco evidente, quando esiste, la differenziazione tipografica; scompaiono le didascalie che indicano al sacerdote di ripetere i movimenti di Gesù e quelle che gli indicano una mutazione gestuale e tonale fra narrazione ed azione: il tono, dall’inizio alla fine, è uniformemente narrativo, recitativo e non intimativo, come quello di chi attua una azione personale. Ciò è dovuto anche al fatto che, mentre nella Messa tradizionale la formula consacratoria è solo l’espressione "Questo è il mio corpo", nel nuovo rito le locuzioni "Prendete e mangiatene tutti" e "offerto in sacrificio per voi" passano a far parte della formula consacratoria stessa, comunicando appunto anche ad essa il tono narrativo.
Inoltre il canone è pronunciato interamente ad alta voce: sia Lutero che Cranmer avevano fatto lo stesso, mentre il Concilio di Trento comminò la scomunica per i propugnatori di questa tesi (sessione XXII). Inoltre la proposizione "Ogni volta che farete ciò, lo farete in memoria di me", evidentissima nel suo significato, viene sostituita con la più ambigua "Fate questo in memoria di me", dove ancora una volta sembra si voglia mettere in risalto il carattere di memoriale, rispetto a quello di sacrificio. In questa direzione appare anche la trasformazione della espressione "questo calice", presente nella Messa tradizionale, in quella "il calice" che caratterizza sia il rito protestante che quello di Paolo VI. L'aggettivo dimostrativo "questo" vuole infatti significare che "il calice sul quale il sacerdote proferisce la formula consacratoria, non è un calice qualsiasi, ma è misticamente quello stesso calice impugnato da Gesù consacrante, come è misticamente una sola e medesima con quella di Gesù consacrante, l'azione consacratoria del sacerdote".
L'articolo "il", alla luce delle precedenti considerazioni, non può non far pensare alla concezione memorialistica, in quanto, determinando il calice, lo definisce come oggetto del passato, usato da Gesù e solo da lui: noi possiamo solo ricordarlo.
Sconcerta infine il fatto che "l'acclamazione assegnata al popolo subito dopo la consacrazione ("Annunciamo la tua morte o Signore....") introduca l'ennesima ambiguità sulla presenza Reale. Si proclama, senza soluzione di continuità, l'attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi proprio nel momento in cui egli è sostanzialmente presente sull'altare" (Cardinali Ottavianì e Bacci, op. cit.). Del resto tale frase è una ripresa quasi letterale della proposizione conclusiva del memoriale protestante citato. Dopo l'acclamazione dell'assemblea un altro equivoco: "Celebrando il memoriale del tuo Figlio, morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo, nella attesa della sua venuta ti offriamo, Padre, in rendimento di grazie, questo sacrificio vivo e santo". Ancora una volta si parla di memoriale, e di II venuta nel momento meno opportuno, mentre alla fine appare la parola "sacrificio" legata però all'espressione "in rendimento di grazie" che ne limita la pregnanza e la rende condivisibile anche ai protestanti: "Perciò la messa non può e non deve chiamarsi né essere un sacrificio a motivo del sacramento, ma solo a motivo del cibo raccolto e delle preghiere con le quali Dio viene ringraziato e il cibo benedetto" ("Sermone sul Nuovo Testamento ovvero sulla messa", Martin Lutero). Inoltre anche questa frase, fino al termine "venuta", riecheggia una preghiera protestante posta nella stessa identica posizione, cioè dopo la acclamazione del popolo: "Noi ricordiamo dunque o nostro Dio le sofferenze e la morte del tuo Figlio, la sua resurrezione e la sua ascensione, e attendendo la Sua venuta...".
Strettamente legata alla consacrazione è la comunione. Nella Messa tradizionale il fedele si prepara a questo evento recitando il Confiteor (Confesso) e proclamando ben tre volte la propria indegnità: "O Signore non son degno che tu entri nella mia casa, ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato (3 volte)". Dopo di che, credendo che l'ostia sia veramente Gesù, la riceve, stando inginocchiato, in posizione di adorazione, nella bocca (solo il sacerdote infatti può toccarla, in quanto solo lui ha le mani consacrate).
Nella concezione protestante scompaiono il Confiteor, e il "Signore non son degno": poiché la Messa è esclusivamente memoriale, l'ostia diviene un simbolo, un pezzo di pane di fronte al quale sarebbe idolatrico prostrarsi: "L'ultima pietra da aggiungere al tumulo sotto cui giaceva l'antica credenza nell'Eucarestia fu l'attacco contro l'uso di ricevere la comunione in ginocchio. Cosa era codesto inginocchiarsi, se non idolatria?" ("Da Cranmer a Lercaro", H.R Wiliamson). Inoltre fin dalla sua prima cerimonia riformata, nella notte fra il 24 e 25 dicembre 1521, Lutero introduce l'uso di dare la comunione in mano a significare che non esiste alcuna differenza fra celebrante e fedeli, poiché tutti i battezzati sono automaticamente sacerdoti.
Ancora una volta, gli autori del N.O.M. si rifanno alla concezione luterana. Anzitutto aboliscono il secondo Confiteor (Confesso a Dio...), quello prima della comunione, che vuol significare che l'anima del fedele si deve purificare, chiedendo perdono dei suoi peccati, prima di ricevere Gesù stesso. In secondo luogo, oltre a ridurre ad una sola le tre acclamazioni di indegnità, limitandone così la forza, ne alterano arbitrariamente il significato: al posto di "che tu entri nella mia casa" - espressione evangelica che chiaramente allude all’entrata di Gesù-Eucarestia nel fedele - troviamo la proposizione "di partecipare alla tua mensa". Il termine "mensa" (prima dell’Agnus il sacerdote dirà "Beati gli invitati alla cena del Signore"), pur richiamando il principio in sè incontestabile che nella Messa, dopo il sacrificio, c’è un banchetto (Gesù che dà il Suo Corpo e il Suo Sangue in alimento), è insufficiente ad esprimere il concetto cattolico di Messa; esprime invece compiutamente l'essenza del rito protestante che è solamente ed essenzialmente "cena, mensa in ricordo di". Lutero stesso infatti esclamava: "La Messa... chiamiamola benedizione o Eucarestia o tavola del Signore o cena del Signore, purché non la insozziate con il titolo di sacrificio o di azione"(Omelia della I domenica di Avvento).
Infine, esattamente come Cranmer e Zwingli, i creatori del N.O.M. hanno abolito l'uso di ricevere la comunione in ginocchio e introdotto quello di riceverla in mano, diminuendo così il rispetto e la venerazione nei confronti della Eucarestia e dando un ulteriore colpo ai dogmi della Presenza Reale e del Sacerdozio ministeriale. Il fedele, infatti, come abbiamo dimostrato, è già portato da mille motivi a ritenere di essere di fronte ad un semplice memoriale: il ricevere Gesù-Eucarestia in piedi, da pari a pari, senza che l'atto esteriore dell'inginocchiarsi gli ricordi la grandezza e l'importanza di Chi viene a lui, può rafforzare o insinuare in lui il convincimento che l'ostia sia solo un simbolo, la conclusione di una cerimonia commemorativa. San Luigi IX re di Francia, ad una valletta che gli offriva un inginocchiatoio, disse: "Nella Messa Iddio si immola, e quando Dio si immola anche i re si inginocchiano sul pavimento".
Del resto mentre nella Messa tradizionale la comunione rappresenta il culmine del rito e dopo di essa vi è il ringraziamento e il colloquio personale dell'anima con l'Ospite Divino, in quella riformata la liturgia della parola, come fra i protestanti, prende il sopravvento, in termini temporali almeno, sulla liturgia eucaristica. In tal modo la Comunione è relegata all'ultimissima fase del rito, e anche questo contribuisce a svalutarne l'importanza; il ringraziamento, l'accoglienza all'Ospite Divino diviene qualcosa di extraliturgico, lasciato alla libera volontà del singolo e non raccomandato. Fra i protestanti, è utile ribadirlo, ringraziamento e accoglienza non ci sono proprio perché l'Ostia è un semplice pezzo di pane, e il riceverla solo un gesto simbolico. Del resto, se la messa è una cena, come ad una cena bisogna comportarsi.
Il latino è la lingua che ha diffuso il cristianesimo fino agli estremi confini della terra, la lingua che ha unito nella Fede e nella cultura italiani, irlandesi, inglesi, germanici.., la lingua dei padri della Chiesa occidentale, di S. Agostino e di S. Tommaso, la lingua del canto gregoriano, della Roma di Pietro e Paolo e della Roma dei papi.
Nella sua liturgia Lutero ha subito introdotto l'uso del volgare, del tedesco. Perché lo ha fatto? Lutero sapeva benissimo che l'apostolo dei germanici, San Bonifacio, aveva diffuso fra i tedeschi, insieme alla Fede, e come suo veicolo, la lingua latina, meritandosi il titolo di "Grammaticus germanicus": sapeva che per i tedeschi latinità, cristianità e civiltà avevano la stessa data di nascita: abolendo il latino avrebbe tagliato i ponti col passato, con la tradizione, strappato le radici cattoliche della sua gente, messo fuori uso il suo patrimonio di canti, inni poetici, preghiere, composti in ottocento anni di fede cattolica. Inoltre vedeva nel volgare un linguaggio più adatto al dialogo fra presidente e assemblea, ad una cerimonia totalmente umana, un memoriale, una cena.
Gli autori del N.O.M. hanno fatto la stessa cosa, hanno "dimenticato" duemila anni di tradizione cattolica, di inni e di invocazioni a Dio, hanno introdotto l'uso del lingua della conversazione quotidiana fra uomo e uomo, non fra uomo e Dio; lingua adatta ad una cena fra uomini, non al Sommo Sacrificio: fare della messa una "palestra di sociologia" (Paolo VI), qualcosa più umano e di meno divino, di più sociologico e di meno soprannaturale!
Il prete possiede un vero sacerdozio che gli dà poteri che gli altri fedeli non hanno.
No, non c'è sacerdozio fuori di quello che possiedono tutti i battezzati.
Il nuovo "Ordo" (: la nuova Messa) stabilisce una confusione tra il sacerdozio gerarchico e quello dei fedeli, sia nel rito, sia in vari numeri dell"'lnstitutio" (: documento introduttivo della nuova Messa).
1. Nell'"Ordo" tradizionale, il "Confiteor iniziale è detto, in primo luogo, dal prete, e poi dall'accolito, in nome del popolo. Questa distinzione segna chiaramente la differenza esistente tra il celebrante e i fedeli. Nel nuovo "Ordo", il "Confiteor" iniziale è detto simultaneamente da sacerdote e popolo. Tale modifica tende a insinuare un'identità tra il sacerdozio del presbitero e quello dei laici. E' stata soppressa l'assoluzione data dal prete alla fine del "Confiteor": altra innovazione che contribuisce a rendere meno precisa la distinzione tra il sacerdozio gerarchico e la condizione dei semplici fedeli.
Tra il "Confiteor" della Messa Nuova e quello dei luterani, ci sono tratti comuni che richiamano l'attenzione. Anche Lutero fece del "Confiteor" una preghiera comune del sacerdote e dell'assemblea. Il pastore luterano L. Reed indica la portata dogmatica di questi cambiamenti: "Riconoscendo il principio del sacerdozio di tutti i fedeli, si è fatto della Confessione un atto dell'assemblea e non soltanto del sacerdote" (Luther D. Reed, The Lutheran Liturgy, p. 257).
2 Nella nuova Preghiera eucaristica III ("Veramente santo") è detto addirittura al Signore: "Voi non ricusate o Signore di riunire a voi il popolo affinché dal sorgere del sole fino al tramonto sia offerta un'oblazione monda al Vostro nome", ove l"'affinché" fa pensare che l'elemento indispensabile alla celebrazione sia il popolo anziché il sacerdote, e cioè l'altro-Cristo: e poiché non è precisato, neppure qui, chi sia l'offerente, il popolo stesso appare investito di poteri sacerdotali autonomi (cfr. "Breve Esame Critico", V, I).
3. Il n. 7 dell"'Institutio", anche dopo essere stato corretto, afferma che è il popolo che celebra il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico.
Si noti, infatti, che l'agente del "celebrandum" non è "sacerdos" o "Christus", ma bensì "populus Dei".
"Nella Messa o Cena del Signore, il popolo di Dio è riunito, sotto la presidenza del sacerdote che fa le veci di Cristo, per celebrare il memoriale del Signore, o sacrificio eucaristico". (Institutio n. 7).
4. Nel n. 10 dell"'lnstitutio" si dichiara che la Preghiera Eucaristica costituisce una "preghiera presidenziale". Ora lo stesso numero classifica le "preghiere presidenziali" come quelle che "sono dirette a Dio in nome di tutto il popolo santo e di tutti i circostanti". Qualsiasi lettore sarà portato, in questo brano, a pensare che nella Consacrazione il prete parla principalmente in nome del popolo. Ma la parte principale della Preghiera Eucaristica, che è la Consacrazione, dovrebbe essere detta dal sacerdote esclusivamente in nome di Nostro Signore. Il n.12 inoltre afferma che "la natura delle parti presidenziali (pertanto anche la Consacrazione nel nuovo rito) esige che siano pronunciate a voce alta e distinta e da tutti attentamente ascoltate".
Al riguardo è bene ricordare l'anatema lanciato dal Concilio di Trento: "Se qualcuno dicesse che dev'essere condannato il rito della Chiesa Romana, nel quale parte del Canone e le parole della Consacrazione sono pronunciate a bassa voce; e qualora dicesse che la Messa deve essere celebrata soltanto nella lingua volgare... sia scomunicato" (Sessione XXII).
5. La posizione del sacerdote è anche minimizzata:
a) dalla maniera di celebrare "verso il popolo", che lo presenta non come sacrificatore davanti all’altare per offrire il Santo Sacrificio, ma come il presidente di un’assemblea per distribuire, davanti ad un tavolo, il pane ai suoi fratelli.
b) dalla scomparsa, o uso facoltativo, di molti paramenti,
c)dalla molteplicità di ministri (dell’Eucarestia, lettori, commentatori, salmisti, ecc.), con la conseguente distribuzione tra i laici di funzioni di culto che erano peculiari del ministro consacrato.
d) nella definizione della "preghiera universale o dei fedeli", nella quale si sottolinea l’ "ufficio sacerdotale" del popolo, presentato in maniera equivoca, poiché si tace sulla sua subordinazione al sacerdozio del prete.
"E' necessario, Venerabili Fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge come il fatto che i fedeli prendano parte al Sacrificio Eucaristico non significhi tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali" ("Mediator Dei", Pio XII).
Vi sono poi cambiamenti di altro genere, che testimoniano la veridicità della frase di Pio XII secondo cui il latino è "un'efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina". Due soli esempi:
Rito tradizionale:
"Questo è infatti il calice del mio sangue, del nuovo ed eterno testamento (mistero di fede!) il quale per voi e per molti sarà sparso a remissione dei peccati".
"Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che prende su di sé (tollit) i peccati del mondo".
Nuovo rito:
"Prendetene, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati".
"Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo".
Riguardo all'espressione "per molti", presente nel rito tradizionale e divenuta per interpolazione umana "per tutti" nel nuovo rito, è opportuno ricordare il commento fatto dal Catechismo Romano: "Le parole 'per voi e per molti', prese separatamente da Matteo e da Luca, sono riunite dalla Santa Chiesa, ispirata da Dio, per esprimere il frutto e l'utilità della Passione. Infatti, se consideriamo l'efficace virtù della Passione, dobbiamo ammettere che il Sangue del Signore è stato sparso per la salute di tutti: ma se esaminiamo il frutto che gli uomini ne hanno tratto, ammetteremo facilmente che ai vantaggi della Passione partecipano non tutti, ma soltanto molti... Con ragione, dunque, non è stato detto "per tutti", trattandosi qui soltanto dei frutti della Passione, la quale apporta salute soltanto agli eletti" (parte II, IV, n. 24).
La sostituzione della parola "molti"', usata da Gesù stesso, con il termine "tutti" è dunque arbitraria, errata ed audace in quanto va a toccare la formula consacratoria stessa, che è, all'interno della liturgia, la parte più sacra.
Inoltre può dar adito alla credenza erronea nella salvezza universale (:di tutta l'umanità indistintamente), oggi e aIl’epoca della riforma liturgica propugnata da molti teologi; conforterebbe tale opinione l'espressione - pronunciata prima della comunione e quindi legata idealmente alla consacrazione - "toglie i peccati del mondo" (e cioè li leva via, fa sì che il mondo sia senza peccato, purificato una volta per tutte e totalmente), errata e ben diversa da "tollit", "prende su di sé (scontando ed espiando ma non cancellando) i peccati del mondo".
Che quanto fin qui affermato, e cioè l'estrema somiglianza fra la liturgia protestante-anglicana e il rito di Paolo VI, corrisponda a verità, lo testimoniano anche alcune dichiarazioni di importanti esponenti protestani: - "Uno dei frutti del nuovo Ordo sarà forse che le comunità non cattoliche potranno celebrare la santa cena con le stesse preghiere della Chiesa cattolica. Teologicamente è possibile" (Max Thurian, della Comunità protestante di Taizè: uno dei sei pastori che parteciparono alla creazione del nuovo rito: "La Croix" 3O.O5.1969),
- "Adesso, nella Messa rinnovata, non c'è niente che possa veramente turbare il cristiano evangelico" (Siegevalt, professore nella Facoltà protestante di Strasburgo. "Le Monde" 22.11.1969).
- "La maggior parte delle riforme desiderate da Lutero (e condannate dal Concilio dogmatico di Trento, N.d.R.), esistono d'ora innanzi nell'interno stesso della Chiesa cattolica... Perché non riunirsi?" (S. A. Teinone, Teologo luterano, "La Croix" del 15.05.1972).
Ma chi creò la nuova Messa aveva il diritto di farlo? Potevano alcuni uomini mutare un rito che, nel suo nucleo essenziale, era stato tramandato dagli apostoli, sancito da duemila anni di tradizione e difeso contro ogni tentativo di riforma, proprio in tempi recenti, da San Pio X e Pio XII ? Potevano ignorare la Bolla dogmatica del papa San Pio V "Quo Primum Tempore", con la quale veniva promulgato il Messale Romano (:la vecchia Messa)? Tale bolla, fra l'altro, recitava:
"I - Fin dal tempo della Nostra elevazione al sommo vertice dell'Apostolato, abbiamo rivolto l'animo, i pensieri e tutte le Nostre forze alle cose riguardanti il Culto della Chiesa, per conservarlo puro, e, a tal fine, ci siamo adoperati con tutto lo zelo possibile a preparare e, con l'aiuto di Dio, mandare ad effetto i provvedimenti opportuni. E poiché, tra gli altri decreti del sacro Concilio di Trento, ci incombeva di eseguire quelli di curare l'edizione emendata dei Libri Santi, del Messale, del Breviario e del Catechismo, avendo già, con l'approvazione divina, pubblicato il Catechismo, destinato all'istruzione del popolo, e corretto il Breviario, perché siano rese a Dio le lodi dovutegli, ormai era assolutamente necessario che pensassimo quanto prima a ciò che restava ancora da fare in questa materia, cioè pubblicare il Messale, e in tal modo che rispondesse al Breviario: cosa opportuna e conveniente, poiché nella Chiesa di Dio uno solo è il modo di salmodiare, così sommamente conviene che uno solo sia il rito di celebrare la Messa.
Il - Per la qual cosa abbiamo giudicato di dover affidare questa difficile incombenza a uomini di eletta dottrina. E questi, infatti, dopo aver diligentemente collazionato tutti i codici raccomandabili per la loro castigatezza e integrità - quelli vetusti della Nostra Biblioteca Vaticana e altri ricercati da ogni luogo - e avendo inoltre consultato gli scritti di antichi e provati autori, che ci hanno lasciato memorie sul sacro ordinamento dei medesimi riti, hanno infine restituito il Messale stesso nella sua antica forma secondo la norma e il rito dei Santi Padri.
III - Pertanto, dopo matura considerazione, abbiamo ordinato che questo Messale, già così riveduto e corretto, venisse quanto prima stampato in Roma, e, stampato che fosse, pubblicato, affinché da una tale intrapresa e da un tale lavoro tutti ne ricavino frutto: naturalmente, perché i sacerdoti comprendano di quali preghiere, di qui innanzi, dovranno servirsi nella celebrazione della Messa, quali riti e cerimonie osservare. Perciò, affinché tutti e dovunque adottino e osservino le tradizioni della santa Chiesa Romana, Madre e Maestra delle altre Chiese, ordiniamo che nelle chiese di tutte le Provincie dell'Orbe cristiano: - nelle Patriarcali, cattedrali, Collegiate e Parrocchiali del clero secolare, come in quelle dei Regolari di qualsiasi Ordine e Monastero, maschile e femminile, nonché in quelle degli Ordini militari, nelle private o cappelle - dove a norma di diritto e per consuetudine si celebra secondo il rito della Chiesa Romana, in avvenire e senza limiti di tempo, la Messa, sia quella conventuale cantata presente il coro, sia quella semplicemente letta a bassa voce, non potrà essere cantata o recitata, in altro modo da quello prescritto dall'ordinamento del Messale da Noi pubblicato; e ciò anche se le summenzionate chiese, comunque esenti, usufruissero di uno speciale indulto della Sede Apostolica, di una legittima consuetudine, di un privilegio fondato su dichiarazione giurata e confermato dall'Autorità apostolica, e di qualsivoglia altra facoltà.
VI - Invece, mentre con la presente Nostra Costituzione, da valere in perpetuo, priviamo tutte le summenzionate Chiese dell'uso dei loro Messali, che ripudiamo in modo totale e assoluto, stabiliamo e comandiamo, sotto pena della nostra indignazione, che a questo Nostro Messale, recentemente pubblicato, nulla mai possa venir aggiunto, detratto, cambiato. Dunque, ordiniamo a tutti e singoli i Patriarchi e Amministratori delle suddette Chiese, e a tutti gli ecclesiastici, rivestiti di qualsiasi dignità, grado e preminenza, non escluso i Cardinali di Santa Romana Chiesa, facendone loro severo obbligo in virtù di santa obbedienza, che in avvenire abbandonino del tutto e completamente rigettino tutti gli altri ordinamenti e riti, senza alcuna eccezione, contenuti negli altri Messali, quanto antichi essi siano e finora soliti ad essere usati, e cantino e leggano la Messa secondo il rito, la forma e la norma, che noi abbiamo prescelto nel presente Messale; e, pertanto, non abbiamo l'audacia di aggiungere altre cerimonie o recitare altre preghiere che quelle contenute in questo Messale.
Anzi, in virtù dell'Autorità Apostolica noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente, l’indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa, senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena, giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui avranno la piena facoltà di servirsi liberamente e lecitamente, così che Prelati, Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari, qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque ordine appartengano, non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che Noi abbiamo prescritta, né d'altra parte. possano venir costretti e spinti da alcuno a cambiare questo Messale.
XII - Nessuno dunque, e in nessun modo si permetta di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi. sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo"
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno quattordici di luglio, nell'anno mille cinquecento settanta, quinto del Nostro Pontificato.
Il suo nome lo troviamo nelle liste dei prelati che si diceva fossero affiliati alla setta, pubblicate dalla rivista cattolica francese Introibo nel luglio 1976, da Panorama del 10 agosto dello stesso anno, e dall’Osservatore Politico del piduista Mino Pecorelli, del 12 settembre 1978.
Il secondo grande protagonista della riforma liturgica fu il cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, che frequentò per tanti anni, come intimo amico e collaboratore, l'avvocato Umberto Ortolani, uno dei capi della loggia massonica P2, condannato a 19 anni di carcere per il crack del Banco Ambrosiano. Nel luglio del 1963, grazie allo interessamento dello stesso Cardinale, l'avvocato piduista verrà addirittura nominato gentiluomo di Sua Santità, carica che sarà scrupolosamente riportata nell' Annuario pontificio fino agli inizi degli anni Ottanta. Qualche anno prima, nel 1954, Ortolani aveva regalato a Lercaro una statua in grandezza naturale che ritraeva Lercaro stesso. Tale statua è ancora oggi visibile in una cappella laterale di San Petronio, cattedrale di Bologna; nella dedica in latino, posta sul basamento, si legge: "a spese del Cavalier Umberto Ortolani".
A ragione dunque il mensile cattolico internazionale "30 giorni" poteva titolare in copertina (Giugno 1992): "La massoneria e l’applicazione della Riforma liturgica".
"Non si comprende nulla della rivoluzione liturgica se non la si considera come la prima fase di una rivoluzione di tutta la religione cattolica: del dogma, della morale, del sentimento, dell'arte stessa che è il fiore che sboccia spontaneamente da una determinata fede e da una determinata forma di amare" (R. Dulac, in "Monde et Vie", Giugno 1969).
E questa rivoluzione della fede, è bene ripeterlo, ha come padrini gli apostati Cranmer e Lutero, e la Massoneria, nemica giurata della Chiesa. Su di essa, sui suoi artefici, pesa la condanna del Concilio di Trento, di San Pio X, Pio XII e, soprattutto, S. Pio V:
"Che se qualcuno avrà l'audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell'indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo".
I canoni del Concilio di Trento sul SS.Sacrificio della Messa
RispondiEliminaCan.1 - Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto significa semplicemente che Cristo ci viene dato in cibo: sia anatema.
Can.2 - Se qualcuno dirà che con le parole: "Fate questo in memoria di me" Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o non li ha ordinati perchè essi e gli altri sacerdoti offrano il Suo corpo e il Suo sangue: sia anatema.
Can.3 - Se qualcuno dirà che il sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla Croce; o che giova solo a chi lo riceve; e che non deve essere offerto per i vivi e per i morti, per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità: sia anatema.
Can.4 - Se qualcuno dirà che col sacrificio della Messa si bestemmia o si attenta al sacrificio di Cristo consumato sulla croce: sia anatema.
Ca.5 - Chi dirà che celebrare le messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la Chiesa intende, è un'impostura: sia anatema.
Can.6 - Se qualcuno dirà che il canone della Messa contiene degli errori e che quindi bisogna abolirlo: sia anatema.
Can.7 - Se qualcuno dirà che le cerimonie, i paramenti e gli altri segni esterni di cui si serve la Chiesa Cattolica nella celebrazione della Messa sono piuttosto provocazioni dell'empietà, che manifestazioni di pietà: sia anatema.
Can.8 - Se qualcuno dirà che le Messe nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente sono illecite e quindi da sopprimere: sia anatema.
Can.9 - Se qualcuno dirà che il rito della chiesa romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da condannarsi; o che la Messa deve essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell'offrire il calice l'acqua non deve essere mischiata col vino perchè ciò sarebbe contro l'istituzione di Cristo: sia anatema.
Patrizia
Amen!
RispondiEliminaCVCRCI
Brava Patrizia!
RispondiEliminaANATEMA al Vaticano!!! Tutti gli anatemi dei canoni del Concilio di Trento sul SS.Sacrificio della Messa incombono sugli uomini corrotti della chiesa. I canoni del concilio di Trento sono stati seppelliti dai TRADITORI della Chiesa!
RispondiEliminaPER DOCUMENTAZIONE
RispondiElimina"Da questo centro cattolico romano nessuno è, in via di principio, irraggiungibile; in linea di principio tutti possono e debbono essere raggiunti. Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano.
Questo Nostro universale saluto rivolgiamo anche a voi, uomini che non Ci conoscete; uomini, che non Ci comprendete; uomini, che non Ci credete a voi utili, necessari, ed amici; e anche a voi, uomini, che, forse pensando di far bene, Ci avversate! Un saluto sincero, un saluto discreto,
ma pieno di speranza; ed oggi, credetelo, pieno
di STIMA e di amore".
Paolo VI
http://www.youtube.com/watch?v=S3zmntKLPGA