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venerdì 3 febbraio 2012

Monsignor Gherardini mette i puntini sulle " I " e in un certo qual modo prende le distanze dalla San Pio X.. "la mia estraneità alla famiglia lefebvriana"..

LA NOVELLA DELLO STENTO, OVVERO LA DISPUTA SULL’INTERPRETAZIONE DEL VATICANO II...

di Mons. BRUNERO GHERARDINI....


E’ probabile che i lettori più giovani mai prima d’ora si sian imbattuti nell'espressione la novella dello stento. Da ragazzo, la udivo quasi tutte le sere, al momento in cui, dette le preghierine ed ascoltata l’ultima fiaba prima che m’addormentassi, la nonna ricominciava la novella appena terminata, premettendo: “questa è la novella dello stento, che dura tanto tempo e che non finisce mai”. C’era anche un’altra espressione per indicare l’insopportabile ripetersi di qualcosa: lungo/a come la camicia di Meo. E’ mia impressione, soprattutto leggendo certi Autori, che anche l’interpretazione del Vaticano II sia diventata “lunga come la camicia di Meo”, ripetitiva cioè e superficiale, ed appunto per questo una vera “novella dello stento”. Alludo ad Autori nei quali mai si coglie un sia pur flebile tentativo d’approfondimento, uno sforzo di comprensione alla luce delle fonti, del Magistero e dei “probati Auctores”, un’analisi contenutistica e comparata dei documenti conciliari; mai una verifica fra il dettato conciliare e le note a piè di pagina che dovrebbero confermarlo e documentarlo, oppure fra questo dettato conciliare e quello dei precedenti Concili ai quali vien fatto appello. Si ripete fin alla stanchezza, proprio come quella prodotta dalla “novella dello stento”, che il Vaticano II è infallibile anche se non è dogmatico, perché – e qui sta l’unico immane erculeo sforzo di fondazione critica – è assistito dallo Spirito Santo.

1 - Ai sostenitori d’una tale giustificazione, dai medesimi ritenuta apodittica ed indiscutibile, non passa neanche per l’anticamera del cervello ch’essa sia aprioristica sul piano filosofico e fideistica su quello teologico. Dico aprioristica non nel senso scolastico della dimostrazione “a priori”, dalla causa ch’è prima all’effetto ch’è dopo – o dall’universale che logicamente è anteriore al particolare, il quale è quindi posteriore – ; bensì nel senso moderno e kantiano del termine, vale a dire di forme che, indipendenti dall’esperienza, la condizionano e quindi la precedono. In tal senso, infatti, il predetto unico immane erculeo sforzo di fondazione critica dichiara che prima di tutto, soprattutto e prescindendo da tutto sta l’assistenza dello Spirito Santo e che tutt’il resto (ogni documento conciliare) ne dipende. Potrà mai, allora, non esser infallibile ciò che dipende dallo Spirito Santo? Ovviamente no, ma il modo d’arrivare a codesto no è kantiano, indimostrato, pre-messo, a priori: val a dire privo di forza giustificativa.
Dico inoltre fideistica la giustificazione di chi sottopone il Vaticano II, il Magistero e la Chiesa stessa all’a priori dello Spirito Santo, dimenticando o volutamente rifiutando l’insegnamento del Vaticano I, il quale esclude che la verità possa cogliersi non anche secondo la ragione, ma solamente per fede(1).
I sostenitori della giustificazione aprioristica e fideistica, privi in assoluto d’autocritica perché altrettanto in assoluto sicuri di sé, s’ergon a giudici di chiunque la pensi un po’ diversamente e sentenziano contro chi valuti il Vaticano II sulla base non d’un aprioristico e fideistico ricorso allo Spirito Santo, ma del metodo rigorosamente critico - teologico: alla luce cioè della Fede rivelata e della sua presenza nell’ininterrotto Magistero ecclesiale dagli Apostoli ad oggi. Poiché codesta medesima luce evidenzia non pochi elementi del Vaticano II o discutibili o difficilmente collegabili con la continuità del detto Magistero, il rilevarlo è considerato un peccato mortale e vien investito da veementi accuse ai limiti del non-senso: “interpretazione modernista” è la più grave così come la più assurda, oppure “interpretazioine lefebvriana”, quasi un colpo di grazia contro la reazione in agguato, che osa sfidare il Papa, il Magistero e soprattutto loro, gli aprioristi e fideisti del momento. Mi nasce il sospetto che io stesso sia per loro un “modernista” ed un “lefebvriano”. 



A dir il vero essi stessi mi combattono per ben altri motivi ed è quindi evidente il loro stato confusionale: non si rendon conto, infatti, che “modernista” e “lefebvriano” non stanno insieme: è modernista chi considera la Rivelazione non conclusa con la morte dell’ultimo Apostolo, ma tuttora in atto e riconoscibile nei movimenti del subcosciente e nell’evolversi della cultura, alla luce della quale, anzi, il modernista interpreta ed accomoda le verità del “Credo”; è “lefebvriano” chi appartiene alla Fraternità sacerdotale san Pio X, fondata dal ben noto Mons. M. Lefebvre, o anche chi, sia pur al di fuori della Fraternità, ne condivide le riserve sul Vaticano II, nonché sull’aperturismo del postconcilio e sulle avventure liturgico-teologiche degli ultimi cinquant’anni. Non credo che i suddetti sostenitori, se pur in stato confusionale, ignorino la mia posizione teologica assolutamente antimodernista e la mia estraneità alla famiglia lefebvriana. E’ vero che qualche membro di essa, secondo quanto leggo in pubblicazioni ufficiali, ha detto di me: “Non è dei nostri, ma la pensa come noi”; ciò peraltro è del tutto insostenibile. Sulla prima affermazione non c’è né se né ma che tenga: anche se amico sincero d’alcuni membri della Fraternità, appartengo al clero secolare, son incardinato nella diocesi di Prato, in servizio presso la Santa Sede fino al 1995 e membro del Capitolo vaticano dal 1994. Sulla seconda affermazione i se ed i ma son d’obbligo. Condivido con la Fraternità alcune idee di fondo: il senso della Tradizione viva perché ininterrotta, la “romanità” del Fondatore, la critica all’attuale involuzione mondana, ed altro ancora. Non però l’autonomia con cui la Fraternità “conosce” cause matrimoniali, scioglie matrimoni, riduce allo stato laicale: queste son competenze della Chiesa e dei suoi tribunali, non d’una “società sacerdotale”, oltretutto non ancora canonicamente riconosciuta. Anche sul piano teologico, nel quale alcuni lefebvriani emergono per competenza e profondità, non proprio su tutto mi sento in sintonia: p. es., non su tutte le idee recentemente esposte, in tema di Magistero ecclesiastico, dal pur bravo ed a momenti anche ammirevole abbé J. M. Gleize. Un suo ampio scritto del 2009, concettualizzando Il Magistero vivente e la Tradizione, distingue il Magistero dal punto di vista del soggetto – il Papa ed i vescovi –, dell’atto magisteriale – la forma scritta o detta –, e dell’oggetto – l’insegnamento della verità rivelata – . Distinzioni e suddistinzioni s’incrociano e si moltiplicano soprattutto per spiegar il Magistero alla luce del secondo e del terzo punto di vista; alcuni accenni al primo non mancano, manca però la spiegazione del Magistero ordinario distinto – e perché ed in che senso – dal Magistero solenne e supremo. In tal modo l’esposto sembra allontanarsi da quella “romanità” che pur vorrebbe affermare e difendere. Né, infine, posso dirmi d’accordo sul giudizio della Fraternità circa il nuovo rito della Messa. Da quando il rito c. d. tridentino è stato ripristinato, celebro quotidianamente con esso, ma mi guardo bene dal demonizzar il nuovo, affermando che non soddisfa il precetto festivo e che la presenza alla “nuova” Messa è un sacrilegio. Bastan queste poche precisazioni per convincer ognuno - ovviamente non gli aprioristi ed i fideisti - di quanto aberranti sian le loro accuse di modernismo e di lefebvrismo contro chi, come il sottoscritto, non la pensa e si compiace di non pensarla come loro.

2 - Non contenti di ciò, con la sicumera della loro superficialità senza misura, insistono nel rimproverar a me e ad altri – p. es. al bravo prof. R. de Mattei – l’imperdonabile peccato di non aver riconosciuto e d’aver negato il raccordo tra Vaticano II e Tradizione, tra progresso e conservazione, d’aver anzi sostenuto il contrario, nonostante che lo stesso Vaticano II dichiari più volte d’avere stabilito un tale raccordo e che i Papi del postconcilio l’abbiano ininterrottamente riconosciuto. Al punto in cui stanno le cose, l’insistervi denota o un indizio di secondi fini o la presenza di limiti intellettivi. E’ evidente che un raccordo di tale natura ed importanza non può esser semplicemente declamato; va dimostrato. E dimostrato in modo tale da neutralizzare le prove della controparte relative all’inesistenza del raccordo stesso. Benedetto XVI – ma gli aprioristi ed i fideisti nemmeno se ne rendono conto – proprio questo tentò di fare con l’ormai nota allocuzione del 22 dicembre 2005, là dove parlò d’una continuità discontinua sull’asse portante, fisso, indefettibile, del soggetto Chiesa, nel quale la continuità dottrinale non viene interrotta dalla discontinuità d’atteggiamenti pratici e di scelte storiche, in risposta a determinate condizioni ed esigenze temporali. Per difender la tesi del raccordo tra Vaticano II e Tradizione, questa avrebbe potuto esser la strada maestra; ma sarebbe veramente troppo, se si chiedesse agli aprioristi ed ai fideisti di percorrerla. A loro interessa una sola cosa: che il Vaticano II sia detto un Concilio “infallibile anche se non dogmatico”, solo perché è un Concilio ed in quanto tale è garantito dall’assistenza dello Spirito Santo; donde l’infallibilità conciliare, anche in assenza di definizioni dogmatiche.
Gl’ineffabili aprioristi e fideisti son ancor e sempre a questo punto. Parlan di progresso, ma son di fatto la conservazione, incapaci di muover un passo al di là della loro comoda ed acritica posizione: il Concilio è infallibile perché tale lo rende lo Spirito Santo ed è eretico – sì, anche questo han saputo dire senz’il minimo pudore – chi dichiari il contrario. Se movessero almeno una volta quel passo, se almeno una volta si preoccupassero di confrontare la loro convinzione soggettiva con l’oggettività documentata delle altrui obiezioni, stringerei loro la mano. Per ora le mani non s’incrociano, solo perché quel passo sembra di là da venire.

3 – Proprio il modo con cui parlano d’infallibilità lo dimostra. Intendo l’infallibilità della Chiesa, del Magistero, dei Concili, delle dottrine anche non definite. A parte il fatto che qualcuno dovrebbe spiegar loro la differenza fra infallibilità, impeccabilità, inerranza ed indefettibilità, non si rendono o non vogliono rendersi conto delle condizioni alle quali soggiace “per divina disposizione” il carisma dell’infallibilità. Alcune affermazioni neotestamentarie, riferite dal quarto evangelista come detti espliciti di Gesù, dovrebbero far riflettere anche un apriorista ed un fideista. Riguardano lo Spirito Santo come dono del Padre su preghiera del Figlio Gesù Cristo, all’approssimarsi della sua ora suprema: “Pregherò il Padre, e questi vi darà un altro Paraclito, perché rimanga sempre con voi, lo Spirito della verità” (Gv 14,16). Paraclito indica la funzione che lo Spirito Santo svolgerà “in eterno” a favore della Chiesa, assistendola come “un altro” Paraclito, dopo che il primo, Cristo, se ne sia andato. Non sarà semplicemente in sostituzione di Cristo e meno ancora in competizione con Lui: sarà “un altro”, senza che altro sia il suo insegnamento, altra non essendo la verità. Proprio per questo vien chiamato “lo Spirito della verità”, per la sua funzione d’annuncio della verità, parallelo a quello di Cristo, del quale, come successivamente l’evangelista conferma, dovrà ripetere l’insegnamento e facilitarne una sempre maggiore intelligenza. “Lo Spirito Santo, il Paraclito che il Padre manderà nel mio nome, v’insegnerà e vi suggerirà tutto quanto io vi avrò detto” (14,26) […] Quando lo Spirito della verità sarà venuto, v’introdurrà nella verità tutt’intera, parlando non già per conto proprio, ma dicendo quanto avrà ascoltato […] Prenderà del mio e l’annuncerà a voi” (16,13-15). E’ qui chiaramente e perentoriamente definita la funzione dello Spirito Santo: non sarà una seconda rivelazione e men ancora una rivelazione perennemente in fieri: sarà una riproposta della rivelazione già compiuta, una reiterata memorizzazione di essa ed un suo sempre ulteriore approfondimento nel cuore della Chiesa lungo il volger dei secoli, quasi un prender la Chiesa per mano ed accompagnarla “nella verità tutta intera” – cioè senza nulla togliere e nulla aggiungere alla parola di Cristo, fosse anche “un solo iota o un solo apice” (cf Mt 5,18) –.
Quell’ “introdurre nella verità tutt’intera” – ed il verbo “introdurre” ne è una prova – non può intendersi come una meccanica ripetizione del già detto, anche se questo fu detto una volta per sempre. Si tratterà, infatti, d’una penetrazione in profondità di ciò che fu detto una volta per sempre, alla scoperta di quanto fosse rimasto in zona umbratile o ad altezze troppo superiori alle capacità dell’intelletto umano, perché, a beneficio di esso, la verità rivelata si dispieghi nella sua interezza ed in ogni sua sfumatura. In codesto quadro si capisce allora il senso di quel “vos docebit omnia” (v’insegnerà ogni cosa) e di quel “suggeret vobis omnia” (vi rammenterà ogni cosa) che, in Gv 14,26, trovan la loro estensione entro un ben determinato confine: la rivelazione cristiana. E soltanto quella!
A ciò s’aggiunga il chiaro limite posto al Magistero dal quarto capitolo della costituzione dogmatica “Pastor æternus” del Vaticano I. Per esser più esatti, il limite è posto al Magistero papale; ma poiché oggetto del Magistero insieme papale ed ecclesiale è “Fede e Morale” e poiché solo in materia di Fede e Morale – la verità rivelata in cui lo Spirito Santo aiuta a penetrare – il Magistero può sicuramente contare sull’assistenza dello Spirito Santo, ne consegue che il limite entro il quale si definisce l’infallibilità del Magistero papale è quello stesso del Magistero ecclesiale. Non a caso la medesima “Pastor æternus”, al medesimo capitolo quarto, dichiara che il successore di Pietro, in materia di Fede e Morale, “gode di quella stessa infallibilità della quale il divin Redentore volle dotare la sua Chiesa nel definire dottrine di Fede e di Morale”(2). Il Magistero, pertanto, non può contare sulla divina assistenza sempre, in assoluto, ad ogni suo intervento, ma solamente quando, direttamente o no, si colleghi con l’avvenuta Rivelazione e con quanto in essa riguarda la Fede e la Morale. Entro codesto ambito, il condizionamento assume, inoltre, i connotati della straordinarietà. L’intervento magisteriale è, in effetti, coperto dal carisma dell’infallibilità, solo se “il Romano Pontefice
1 - parla ex cathedra, ovvero come pastore e dottore di tutt’i cristiani;
2 – in forza della sua suprema autorità apostolica,
3 – per definir un dottrina di Fede o di Morale
4 – rendendola obbligatoria per la Chiesa universale”(3).
Poiché l’infallibilità è una ed indivisibile, tale condizionamento riguarda il Magistero supremo e solenne in quanto tale, sia che venga esercitato personalmente dal Papa loquens ex cathedra, sia che ad esercitarlo provveda collegialmente un Concilio ecumenico. Ma riguarda pure il Magistero ordinario, quello cioè del Papa e dei vescovi dislocati nel mondo intero ed in totale comunione col Papa stesso, qualora riproponga dottrine dogmaticamente già definite, o da queste derivanti – non importa se direttamente o no – così che anche il Magistero ordinario venga in tal modo ricollegato con la divina rivelazione.
Per aprioristi e fideisti non ci son limiti né condizioni: c’è soltanto l’infallibilità. Una volta che una dottrina, ancorché non definita, sia proposta ufficialmente dalla Chiesa, essa per loro diventa automaticamente infallibile e a chi solleva qualche obiezione o ricorda qualche precedente storico nella linea d’un antinfallibilismo soltanto apparente, rispondono con saccenteria e disprezzo. In realtà, quei precedenti – la condanna di sant’Atanasio, le parole di san Leone Magno: “Assumpta est de matre Domini natura non culpa”, il comportamento d’Onorio I nella questione monotelitica, e qualche altro caso ancora – non son prove contro l’infallibilità del Magistero. Non c’è storico della Chiesa che non ne tratti in lungo ed in largo, destituendo di fondamento l’interpretazione antinfallibilista. Chi poi non avesse tempo da dedicare ai loro trattati, potrebbe almeno legger il Denzinger-Schönmetzer sub H 2c a p. 894-895. Ognuno, insomma, può convincersi, se il pregiudizio non gli fa velo, che nessuno vuol metter in discussione il carisma ecclesiale dell’infallibilità, né le condizioni che lo circoscrivono e delimitano.

4 – E’ legittimo chiedersi, dop’aver letto quanto aprioristi e fideisti scrivon al riguardo, se proprio nulla faccia velo ai loro giudizi. Sembra che in essi neanche l’ombra affiori delle surriferite condizioni. Quando c’è di mezzo un Papa, un Concilio, la Chiesa, tutto per essi è automaticamente infallibile e tale dev’esser da tutti riconosciuto. Il Papa sospira? È un sospiro infallibile. Il Concilio ha un pensiero di riguardo per l’uomo, il mondo, il progresso? È un pensiero infallibile. La Chiesa stabilisce orientamenti e decisioni pastorali d’almeno dubbia fondazione nel tesoro della sua costante Tradizione? L’infallibilità arriva sin qui, perché tutto è avvolto, esplicitamente o no, nell’ambito d’un carisma inalienabile dal dna della Chiesa. Insomma, nessun limite, nessuna condizione, nessun freno al verificarsi della sua infallibilità.
Perché non si sospetti che ciò dipenda solo da empito polemico, nel qual caso a rimanerne velato sarebbe il mio giudizio e non quello degli aprioristi e dei fideisti, mi par opportuno riportarne fedelmente alcune parole, recentemente scritte e pubblicate.
A proposito di posizioni conciliari “di tipo dottrinale”, leggo:
- “Dottrinale non nel senso della ripetizione dei dogmi già definiti, ma anche nel senso dell’insegnamento di dottrine nuove, esse pure infallibili benché non definite”(4).
- “Si tratta delle cosiddette dottrine definitive, che alla pari di quelle definite, sono immutabili, infallibili ed irreformabili”(5).
- “L’insegnamento straordinario è un insegnamento nuovo; quello ordinario è quello corrente […] E’ questo appunto il caso del Vaticano II(6)”.
- “In campo dogmatico non si può ammettere una rottura dell’insegnamento del Concilio nei confronti del passato”(7). Ma, in contrasto con un siffatto giudizio, di per sé aprioristico, ecco il suo contrario:
- “Il Vaticano II presenta un nuovo concetto di Rivelazione rispetto a quello del Vaticano I […] dobbiamo ritenere per certo che anche il Vaticano II, benché di contenuto concettuale diverso, sia a sua volta infallibile”(8).
- “Comunicare il Vangelo utilizzando un (?) pensiero moderno purificato dall’errore”(9).
- “Rahner non è riuscito a far entrare nel documento conciliare l’aspetto errato della sua concezione […] stante l’infallibilità conciliare. La presenza dello Spirito Santo nei lavori conciliari purifica il pensiero dei Padri e dei teologi, lasciando cadere le vedute errate”(10).
- “L’evidenziamento (?, parola inesistente) dell’atto e del contenuto della Rivelazione come evento interiore di coscienza, che emerge dalla visione del Vaticano II, non esclude affatto, ma comporta l’atto e il contenuto della Rivelazione come comunicazione divina al destinatario in forma di proposizioni concettuali per il tramite della realtà visibile della Chiesa. Per cui la ricezione del dato rivelato da parte del destinatario non avviene per una sua comunicazione diretta con Dio nell’intimo della coscienza, ma per il tramite della predicazione della Chiesa”(11).
- ”Il concetto di libertà religiosa, venendo fondato sulla Rivelazione, appare come verità prossima alla fede”(12).
- “Caratteristica del Vaticano II è infatti la proposta d’un immenso allargamento di mentalità, quasi a voler superare i precedenti confini della cristianità, ad andare oltre inveterate abitudini di pensiero, ad allargare la capienza dell’intelligenza cristiana, a superare anche barriere con spirito di integrazione, di assunzione e di conciliazione”(13).
- “Quando il nuovo appare nelle dottrine d’un Concilio ecumenico, il cattolico, in base al fatto che egli sa che la dottrina della Chiesa non può mai smentire se stessa, davanti a questo nuovo è certo che esso non è in rotta con l’antico, anche se ciò non appare immediatamente evidente”(14).

5 – L’Autore di queste ed altre dichiarazioni, a dir poco discutibili, dedica, bontà sua, un po’ d’attenzione anche al sottoscritto: con il suo solito metodo di lodare per stroncare, o viceversa. Gli son grato per il tempo dedicatomi, non per le alterazioni del mio pensiero. Un solo esempio, il più clamoroso, si trova là dove, a proposito del mio volume sulla Tradizione (“Divinitas”, numero unico 2010 e Casa Mariana Editrice, Frigento 2010), afferma con la solita sicumera di chi sa tutto e su tutto ha da dire l’ultima parola, che il sottoscritto “non riesce a vedere la continuità tra il concetto di Tradizione dei Concili Tridentino e Vaticano I e quello del Vaticano II, per cui parla di contraddizione, cosa che evidentemente non si può accettare trattandosi di materia di fede, dove la Chiesa non può entrare in contraddizione con se stessa, perché vorrebbe dire che essa ha abbandonato il sentiero del vero per imboccare quello del falso, il che sarebbe come pensare che Cristo l’ha ingannata quando le ha promesso di assisterla col suo Spirito sino alla fine del mondo”. Non è un esempio di scrittura traslucida; è tuttavia comprensibile. Comprendo infatti a) la mia cecità di fronte alla continuità del concetto di Tradizione del Tridentino, del Vaticano I e del Vaticano II; b) la mia empietà nel definire contraddittorio il concetto di Tradizione del Vaticano II rispetto a quello del Tridentino e del Vaticano I; c) la mia implicita blasfemia nell’accusare Cristo d’aver ingannato la Chiesa circa l’assistenza dello Spirito Santo. Ma comprendo pure che tutto questo è impossibile perché si tratta, aprioristicamente e fideisticamente, di materia di fede. Il mio censore, anche se di mestiere fa lo zitti-tutti-parlo-io, vorrà concedere a questo povero cieco, empio e blasfemo di richiamarsi a quanto ha effettivamente scritto.
A p. 186 del suddetto numero unico:
- parlo del Tridentino che, superando la distinzione del partim/partim, si concentra sull’esistenza d’una fonte scritta e d’una fonte orale, ambedue consegnate alla Chiesa dall’ininterrotta successio apostolica ed è questo il suo concetto di Tradizione;
- parlo del Vaticano I, che recepisce codesto concetto e lo innerva nella proposta magisteriale della Chiesa docente;
- parlo del Vaticano II, che opera una reductio ad unum della Rivelazione scritta e di quella orale, annullandone l’evidente distinzione dichiarata ed insegnata dal Tridentino e dal Vaticano I ed inserendo in tale reductio anche il Magistero, ovvero l’autorità che propone le verità rivelate (Tradizione attiva) e l’insieme di tali verità (Tradizione passiva).
Poiché codesti tre punti riposano sulla base rigidamente storico-filologico-teologica del cap. VI (p. 137-186), e non su quella dell’apriorismo e del fideismo, resto in pace con la mia coscienza. So di non essermi divertito a giocar a mammole, so cioè d’aver operato sulla base di dati storico-teologici inoppugnabili, di non aver aggiunto nulla e nulla tolto, d’aver quindi tratto delle conclusioni sotto l’urgenza della logica obiettiva, qual è quella che vuole irriducibile il terzo punto ai primi due del quadro sopra indicato. Che poi, come la mia povera e cara nonna, aprioristi e fideisti trovino piena soddisfazione a ricominciar sempre da capo “la novella dello stento, che dura tanto tempo e che non finisce mai”, padroni di farlo, anche se ormai la loro novella non addormenta più nessuno.
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NOTE

1
In DS 3033; cf 3009; inoltre 2751-2756, 2765-2768. Non è facile concettualizzar il fideismo, perché confluiscon in esso vari indirizzi filosofico-teologici, che i tedeschi indicarono complessivamente con l’espressione Glaubensphilosophie. In particolare, il fideismo si rivelò un’emanazione del tradizionalismo religioso, promosso da Huet, Bautain, de Bonald e Lamennais, secondo i quali solo dalla parola rivelata si ha la conoscenza della verità in assoluto. Per Lamennais e seguaci, fideista è chi raccorda con la fede, in forza d’una rivelazione divina e della sua trasmissione, e quindi al di sopra dell’umana ragione, la conoscenza della verità. Oggi son detti fideisti quanti ricorrono all’esclusivismo o al primato della fede per risolvere il problema della conoscenza e per porre le verità di fede al di sopra di quelle razionali, come gl’immanentisti, i pragmatisti e tutti gli anti-intelletualisti. Cf BAINVEL V., Foi-Fidéisme, in “Dictionnaire apologétique de la Foi catholique” (a c. di A. D’ALÈS, quattro volumi, Parigi 1911-1928) II, cc. 171-278; HARENT S., Foi, in DThC, cc. 171-236: MONTI G.-CHIETTINI E., Fideismo, in EC, V, c. 1246.

2
Constit. Dogm. “Pastor æternus”, cap. IV DS 3074.

3
Ibid.

4
Tutto dipende dalla natura e dal senso dell’aggettivo nuove. Se con esso s’intendesse qualcosa d’eterogeneo rispetto al dogma già definito, si sarebbe di fronte alla prova della discontinuità dottrinale. Se invece s’intendesse qualcosa di pienamente omogeneo e già contenuto, se pur in modo latente, nella definizione precedente, si sarebbe di fronte ad un vero e proprio esempio di progresso dogmatico “in eodem sensu eademque sententia”. E’ dottrina del Vaticano I: si veda DS 3020, 3043, già presente nella Bolla dogmatica del beato Pio IX “Ineffabilis Deus”, 8 dic. 1854, DS 2802, e riproposta dal motuproprio di san Pio X, 1 sett. 1910, DS 3541; dall’enciclica “Ad beatissimi Apostolorum” di Benedetto XV, 1 nov. 1922, DS 3626; e dall’enciclica “Humani generis” di Pio XII, 12 agosto 1959, DS 3886. Al di fuori del Magistero, è dottrina che risale al ben noto monaco san Vincenzo da Lerins, morto verso il 450, e precisamente al suo Commonitorium primum, cap. 23 PL 50, 668A.

5
Se per definitive s’intenda ciò che s’intende con la formula definitive tenendæ, ovvero dottrine sulle quali il Magistero ha pronunciato la sua ultima e definitiva parola benché non in modo definitorio, allora si è davvero di fronte a dottrine “immutabili, infallibili ed irreformabili”. Ma non consta affatto che quelle del Vaticano II siano state concepite dai Padri come definitive tenendæ. Ne fa fede la notificazione dell’Ecc.mo Segretario Generale, Mons. P. Felici, in data 16 nov. 1964, il quale, circa la mancanza negli asserti conciliari di note teologiche, dichiarò che essi devon interpretarsi “secundum regulas generales, ab omnibus cognitas” ovvero “utpote Supremi Ecclesiæ Magisterii doctrinam” da accogliere “iuxta ipsius S. Synodi mentem, quæ sive ex subiecta materia, sive ex dicendi ratione innotescit, secundum normas theologicas interpretationis”.

6
Queste parole figurano subito dopo altre, che dicono:“Il grado supremo dell’autorità del Magistero corrisponde a quello che solitamente si chiama Magistero solenne o straordinario, mentre il grado inferiore corrisponde al Magistero semplice ed ordinario”. Da ciò discende lapalissianamente una conseguenza gravissima, soprattutto dopo le ripetute esaltazioni del Vaticano II: da Magistero solenne e supremo, qual è ogni Concilio ecumenico, vien degradato a Magistero ordinario, anche se un Concilio ecumenico non può affatto, per sua intrinseca natura, esser ridotto a Magistero ordinario. Troviamo conferma di tale degradazione anche qualche pagina dopo: “Il Vaticano II ha fatto avanzare (?) la dottrina della fede nella modalità dell’insegnamento ordinario”.

7
Non si tratta d’un argomento generico ed astratto (“non si può ammettere”), bensì concreto: c’è o no la rottura? Alle prove addotte da lefebvriani e compagni di viaggio, che cosa risponde, al posto di “non si può ammettere”, un apriorista e fideista?

8
Vaticano I e Vaticano II son messi su un piano di parità, che il II negò fin dall’inizio. Il testo prosegue affermando che il contenuto dei due Concili è diverso non perché insegnino cose diverse, ma perché con “due dottrine diverse” fanno “avanzare la conoscenza […] della Rivelazione”. Qui il principio di non contraddizione va a farsi benedire: d’un medesimo soggetto non si può predicare il si insieme con il no. O sbaglia il predicante, o è sbagliato il predicato. All’Autore di queste dichiarazioni la responsabilità d’aver riconosciuto nel nuovo concetto di Rivelazione del Vaticano II “il ricupero di quanto di valido esisteva ed esiste nella concezione modernistica, nella c. d. apologetica dell’immanenza di Maurice Blondel, nella tradizione protestante (???!!!), nella filosofia idealistica, esistenzialistica e fenomenologica”

9
Se l’errore del pensiero moderno è d’esser immanentista, tolto codest’errore, che cosa rimane del pensiero moderno?

10
L’infallibilità della dottrina conciliare è dunque un assoluto, conseguenza d’un altro assoluto, l’assistenza dello Spirito Santo. La compresenza dei due assoluti giunge a dissociare i singoli Padri conciliari in soggetti infallibili nell’aula conciliare, e fallibilissimi appena l’abbian abbandonata. Quando si dice la fantasia al posto del fondamento neotestamentario e di quello dogmatico, sopra indicati, e dei connessi condizionamenti a salvaguardia del carisma dell’infallibilità dal pericolo d’una risibile banalità, come quella alla quale sto riferendomi.

11
Il balletto del sic et non continua per far capire che la Rivelazione non è, ma è; l’atto interiore della coscienza (ma c’è anche un atto esteriore della coscienza?) è anche comunicazione divina al destinatario: di che cosa? di nulla, perché tale comunicazione assume un contenuto solo quando glie lo dà l’attività magisteriale della Chiesa sotto forma di “proposizioni concettuali”. Conveniamone tutti e mettiamoci il cuore in pace, questo del Vaticano II, così come ci è stato così autorevolmente spiegato, è davvero un bel progresso dogmatico!

12
E’ vero che la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa indica il fondamento di essa nella divina Rivelazione e nella dignità della persona umana. La conclusione che ne vien tratta, suffragata dall’idea di fondo che nel Concilio tutto è infallibile, identifica nella libertà religiosa una verità prossima alla fede. Se invece d’affidarsi alla supposta infallibilità qualcuno s’affida alla verifica delle fonti e della documentazione addotta, scoprirà che nessun elemento portato a riprova della detta fondazione biblica è pertinente. E’ una verifica che il sottoscritto ha già fatto e che sarà di pubblico dominio nel volume, ormai quasi pronto, Alle radici d’un equivoco. Decade, perciò, miseramente la proposta di verità prossima alla fede.

13
La visione conciliare che sorregge queste parole sarà dettata dall’entusiasmo, ma non dalla realtà dei fatti, che è questa: “Anche la Chiesa ha le sue assemblee legislative ordinarie e straordinarie, parziali e universali: esse sono i concili, assemblee di Vescovi della Chiesa Cattolica, convocati per discutere i più gravi problemi di dottrina o di disciplina cristiane”, PALAZZINI P., Introduzione a PALAZZINI P.-MORELLI G. (a c.di), Dizionario dei Concili, Istit. Giovanni XXIII, P.U.L., Roma 1963, p. XI. Poiché il Vaticano II fu animato non dall’intento di metter a fuoco “i problemi di dottrina o di disciplina cristiane”, ma da “spirito d’integrazione, d’assunzione e di conciliazione”, non ne deriverà il risultato rimproverato dai lefebvriani d’un cristianesimo che integra in sé il secolo, che ne assume la forma mentis e si concilia con i suoi errori?

14
E’ l’ennesimo appello all’infallibilità pregiudiziale del Concilio ch’è la voce dello Spirito Santo. Punto e basta. I grandi teologi che hanno discettato in ogni tempo se un Concilio ecumenico possa sbagliare hanno perso ed hanno fatto perder del tempo prezioso. Per fortuna c’è oggi questo nuovo campione del pensiero teologico cattolico il quale sa rimetter le cose a posto.

29 commenti:

  1. Sono d'accordo ma non condivido l'ennesima presa di distanza dai lefebvriani, anche da Mons. Gherardini trattati come scismatici ed eretici, mentre invece sembrerebbe che solo lui abbia capito tutto della situazione.
    "Alle prove addotte da lefebvriani e compagni di viaggio"
    Davvero un pessimo modo di esprimersi!
    Mi sembra sia la solita storia di stare nel mezzo nè troppo in qua nè troppo in la.
    Per il resto concordo e sono contento di una bella "mazzata" a certi teologi modernisti che si spacciano cattolici insultando gli altri e credo di aver capito anche a chi si riferisca sebbene io averi fatto il nome visto i riferimenti virgolettati.
    Siamo alle solite si parla di fideismo ma non ci si rende conto di esserlo.
    CVCRCI

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  2. da più parti, ed in alcuni casi in modo totalmente infamante, si sta cercando di isolare la FSSPX, all'inizio hanno tentato di spaccarla ( tramiti i vari siti pseudo-cattolici-tradizionalisti, facendo credere che ci sono correnti moderniste vs sedevacantiste, ecc... ) adesso visto che la Fraternità va avanti nonostante tutto, cercano di isolarla come lo era qualche anno fa...
    Dall'esterno ma anche da Sacerdoti fuoriusciti o fedeli fuoriusciti tentano
    di infangarla.
    Tutto normale Nostro Signore Gesù ci ha sempre avvertiti che
    chi Lo vuole seguire deve essere pronto a portare la sua Croce...
    Non facciamoci ingannare dai falsi profeti, continiuamo a seguire, pregare e difendere la Fraternità e quei pochi rimasti fedeli, purtroppo è triste dirlo oramai pochi cattolici ( un cattolico è per forza tradizionalista e viceversa ).

    Sursum corda

    Matteo

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  3. Gentile Stefano Gavazzi,

    ho molte volte pensato al fatto che per dire le come per quel che sono bisogna essere liberi.

    Mons. Lefebvre aveva un grandissimo senso della giustizia e, nello stesso tempo, era una perona libera: non aveva paura d'essere ricattato o estromesso da qualche istituzione che lo manteneva.

    Se uno è libero inizia a dire quel che vede in verità, proprio per perservare se stesso ed altri da situazioni carcerogene.

    Il fatto che mons. Lefebvre abbia vissuto così tanto in Africa lo ha reso estraneo ai fermenti modernisti che stavano maturando in Europa e che conquistavano i chierici.

    Tutte queste cose assieme - o anche una sola tra esse - hanno fatto in modo che mons. Lefebvre NON ABBIA POTUTTO ESSERE come mons. Gherardini.

    Uno può nascondersi dietro a libri, cattedre, insegnamenti ed avere pure un grande cervello ma, alla fine, o è libero di dire le cose per quel che sono o non lo è.

    Se è libero, è utile alla guarigione, se non è libero non serve e, anzi, può peggiorare il male che pensa di sanare!

    D'altronde fa parte di un'ampia sensibilità italiana quella di non schierarsi e impegnarsi in grandi battaglie. Dietro c'è pure un poco di pusillanimità nascosta dall'idea d'essere "mediatori" in situazioni nelle quali non c'è NULLA da mediare.

    Tra ortodossia ed eresia non c'è nulla da mediare, infatti: o si accetta l'una e si combatte l'altra o si annulla la prima e si cade nell'altra.

    Ma questo modo consequenziale di ragionare ripugna a molti cattolici, "tradizionalisti" compresi. Vedasi il caso di Cordialiter.

    Paradosi

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    1. su cordialiter...giudizio molto pesante! Non accetta eresie!

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    2. pienamente concordo con Paradosi riguardo al difetto tipicamente italiano, di "mediare"...

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  4. VATICANO II E CHIESA

    Non vorrei parervi relativista, d'altra parte indico dei dati storici che è possibile verificare.

    L'infallibilità di un concilio legittimo è un dato de fide.

    Tuttavia, la riconoscibilità di tale legittimità (che per essere tale s'esercita solo nell'ambito della tradizione di sempre) nei secoli non è così immediata come viene stabilito nel periodo moderno.

    Nell'alto Medioevo e nell'antichità, ad esempio, un concilio si riteneva realmente accolto nella Chiesa e infallibile SOLO quando, con la convocazione del successivo, lo si decretava. Prima il riconoscimento, che avveniva dopo la sua celebrazione, non era sempre facile. Investiva TUTTO IL CORPO DELLA CHIESA che se riconosceva in quel nuovo concilio il suo proprio sangue, allora lo assimilava. In caso contrario, lo rigettava.

    Nel primo caso - col senso dello Spirito - si riconosceva lo Spirito che parlò in quel Concilio. Nel secondo caso - col senso del medesimo Spirito - si riconosceva che lo Spirito non aveva parlato in quel Concilio.

    Questo sta avvenendo, com'è giusto che sia, anche nel mondo Cattolico più libero d'esercitare quest'antica "diakrisis" (discernimento) di cui abbiamo ampia testimonianza nella vita antica della Chiesa.

    (Si pensi ad esempio all'esultanza della popolazione quando trionfo' il titolo di "Madre di Dio", "Theotokos").

    Ed è solo con questo che la Chiesa cattolica avrebbe la libertà di rigettare i testi ambigui e pericolosi del Vaticano II senza venire meno nella sua infallibilità.

    Questo modo di riconoscere ed assimilare un concilio comporta l'attivazione di tutta la Chiesa, non solo dei suoi vescovi. E' per questo che i fedeli hanno il cosiddetto "sensus fidelium". Se non si esercita anche in queste cose [imponendo loro solo di pregare rassegnati], non è più un luogo teologico ma un archeologismo (come oramai è in gran parte divenuto).

    Il rischio che dei vescovi - in nome dello Spirito - impongano cose estranee è allora possibile.

    Ma i vescovi potranno mai convenire su tutto ciò? Temo proprio di no! Di conseguenza la crisi continuerà.

    [Io tempo che nel perdurare della Crisi si solidifica un altro tipo di chiesa, contraria a quella della Tradizione, cosa che era stata preconizzata a suo tempo dallo stesso mons. Lefebvre].

    Paradosi

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  5. GHERARDINI DICE:

    - “Quando il nuovo appare nelle dottrine d’un Concilio ecumenico, il cattolico, in base al fatto che egli sa che la dottrina della Chiesa non può mai smentire se stessa, davanti a questo nuovo è certo che esso non è in rotta con l’antico, anche se ciò non appare immediatamente evidente”.

    _________


    Aprite un libro di storia della Chiesa riguardo ai dibattiti cristologici dei primi secoli, ai concili e ai pseudo-concili che si facevano.

    Se quanto affermato da Gherardini fosse vero, non ci sarebbe stata tensione alcuna e neppure lotte. Che senso avrebbero avuto? La posizione di Gherardini non è "di fede" ma "di fideismo"!!!

    Per fideismo, Massimo il Confessore avrebbe dovuto soggiacere ai dettami imperiali che imponevano di NON PARLARE né a favore né contro il monotelitismo e, forse, lo stesso concilio del "latrocinio" di Efeso non sarebbe stato sconfessato.

    No, la storia è profondamente diversa da questa imposizione fideistica che CEMENTIZZA l'anima.

    Lo Spirito quando suggerisce una dottrina (anche con termini nuovi) nei vescovi, ha bisogno dello Spirito nei fedeli per poterla riconoscere. E' TUTTO IL CORPO DELLA CHIESA CHE DEVE SOLLECITARSI, non solo una parte!!

    Se i fedeli rigettano una nuova dottrina (appellandosi in modo coerente alla Tradizione di sempre) è tutto da rifare e non ci si può appellare ad una obbedienza "esteriore" quando "interiormente" lo Spirito non vincola e, anzi!, rifiuta!!

    (La "messa nuova" appena fu promulgata ebbe una forte opposizione un poco ovunque. Fu l'imposizione clericale dei vescovi che la anniento'. Penso ad esempio alla reazione che si ebbe in Spagna; penso pure a mons. Gianneschi, vescovo di Lucca, che dovette lavorare non poco per imporre il Vaticano II a preti e fedeli che lo rifiutavano. E' un altro piccolo esempio poco noto).

    Lo Spirito non è solo nella gerarchia che insegna (quando c'è!) ma anche in chi è chiamato a riconoscere e a imparare. Non a caso san Bendetto invita l'abate ad ascoltare anche l'ultimo del monastero nel quale potrebbe parlare lo Spirito.

    Questa concezione VIVA E DINAMICA di Chiesa è stata decisamente smarrita ai giorni nostri con danni incalcolabili per la vita della Chiesa.

    Paradosi

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  6. errata:
    mons. Gianneschi, vescovo di Lucca, che dovette lavorare non poco per imporre il Vaticano II a preti e fedeli che lo rifiutavano.

    corrige:
    Mons. Bartoletti, vescovo di Lucca, che dovette lavorare non poco per imporre il Vaticano II a preti e fedeli che lo rifiutavano.

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  7. Chiamare i membri della FSSPX Lefebvriani mi sembra quasi dispregiativo. Sarebbe molto meglio chiamarli Fraternita' S.PioX, anche perche' non fanno parte di altre religioni ma sono cattolici.

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    1. Il fine dell'orrido termine "lefebvriani" è appunto quello d'insinuare, in una sola parola, che la dottrina di mons. Lefebvre non è affatto quella cattolica il che è totalmente errato.

      "Lefebriani" si modella su "Lefebvre", come "ariani" si modellava su "Ario", "Giacobiti", su "Giacomo Baradeo", "pelagiani" su "Pelagio", "luterani" su "Lutero".

      Trattasi di un profondo abuso linguistico nato dai "modernisti", questi sì, non in comunione con la tradizione e il dogma Cattolico.

      Paradosi

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    2. Eh Paradosi mi trovi nuovamente d'accordo, essi pensano che noi non sappiamo che il loro intento sia proprio questo, per questo motivo insisto sempre nel correggere questo uso vergognoso ed offensivo del termine, non in quanto preso da Mons. ma proprio per l'uso fattone artatamente.
      CVCRCI

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    3. La storia e vecchia: con le parole si sono sempre insinuati slogan con forza micidiale. D'altronde se io sono costretto ad usare quel termine lo metto sempre tra virgolette, per indicarne l'assoluta improprietà.

      E PERCHE' "LEFEBVRIANI" E NON KIKIANI??? KIKO HA UNA DOTTRINA NON CATTOLICA DUNQUE IN QUESTO CASO KIKIANI SAREBBE PERFETTO. EPPURE....

      Paradosi

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  8. Vi segnalo un'Omelia pronunciata ieri 2 febbraio da Mons. Fellay, dove tra l'altro dice:
    "...[Roma] apre le chiese ai protestanti e le chiude a noi..[....]
    Ma noi siamo cattolici e vogliamo rimanere cattolici."
    .....
    You would treat us much better! Look at the Protestants, how they open the churches to them. To us, they close them. And we say, we don’t care. We do things in front of God. We suffer from the Church, fine. We don’t like that, of course. But we ought to stay there in the truth. And we have to maintain that we do belong to the Church.
    We are Catholics. We want to be and we want to stay Catholic, and it is very important to maintain that.


    l'estratto dell'omelia di Mons. Fellay
    è pubblicato su:
    http://stas.org/publications/announcements-archive/552-extract-from-sermon-of-bishop-fellay-on-february-2nd-2012.html
    riportato e commentato su:
    http://rorate-caeli.blogspot.com/2012/02/holy-see-sspx-reading-comprehension.html
    http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2012/02/santa-sede-fraternita-san-pio-x-ce.html
    ------------
    Gradirei leggere le vostre impressioni sul discorso di Mons. Fellay.
    Ester
    (correggete anche quelle 2 frasi se ho capito male....spero poi di rileggerlo con calma visto che il testo non è difficile, ma intuitivo)

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    1. Fondamentalmente sono sempre i soliti concetti che tornano e ritornano, pur con qualche spruzzata di novità formale, qua e là.

      Dalla parte di mons. Fellay c'è l'idea (corretta) che i vantaggi materiali ricevuti dalla fraternità non devono oscurare il motivo per cui la fraternità è nata: la liturgia e la coerenza dogmatica cattolica. Se per i vantaggi materiali la Fraternità viene meno al motivo per cui è stata creata, rinnega se stessa con conseguenze disastrose, sia sul piano della sua identità, sia sul piano della sua affidabilità.

      Da parte di Roma c'è l'idea ossessiva di sempre: il Concilio vaticano II non può essere scalfito. Al limite si può accettare una comuità che non lo osservi a patto, però, che non lo critichi (ecco la Fraternità san Pietro).

      Il disperato attaccamento di Roma a questo concilio non tiene conto del fatto che, nella storia, i Concili hanno bisogno d'essere assimilati nel corpo della Chiesa (e questo non si fa con imposizioni!) e che se per caso alcuni non lo fanno con sensata ragione, tutto è da rimettere in discussione. La Chiesa non sono solo quelli che indicano un concilio, sono anche coloro che lo devono riconoscere!

      Ma questo Roma non lo capisce perché tende ad avere un concetto clericale (in senso stretto ed asfissiante) di Chiesa. Per lo stesso concetto clericale Paolo VI dichiarò "abolita" la Messa tradizionale e non volle sentire ragioni contrarie.

      In conclusione, mi rallegro per la presa di posizione di mons. Fellay. Tutto questo, anche se non è chiaro ai "benpensanti", continuerà a conservare il cattolicesimo tradizionale e a non assorbirlo in un corpo che tende ad apparirci sempre più come alterato e alterante. Poi a Dio sono sempre possibili i miracoli e il capovolgimento di questa incredibile situazione.

      Paradosi

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  9. E' cattolico chi mantiene la fede cattolica, non chi sembra cattolico esteriormente.

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  10. ...quam nisi quisque
    fideliter firmiterque crediderit
    salvus esse non poterit.

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  11. Altro passo di mons Fellay nella predica di ieri (tradotto direttamente dall'inglese):

    "...E' molto importate capirlo: noi vogliamo avere uno spirito cattolico, non siamo un gruppo indipendente. perfino lottando contro Roma, noi cerchiamo di essere con Roma, noi lottiamo con Roma. Possiamo essere contro Roma ma, allo stesso temo, con Roma. E noi ribadiamo di continuare ad essere Cattolici. Noi vogliamo essere Cattolici. Molte volte io ho detto a Roma: "Voi cercate di tenerci fuori e sarebbe più facile per noi essere fuori. Avremo molti più vantaggi. Sarebbe molto meglio. Guardate i protestanti: aprono le chiese a loro! A noi, invece, le chiudono. E noi diciamo: "Non ci importa. Guardiamo a Dio". Noi soffriamo per la Chiesa. Bene, è ovvio che non ci piace ma dobbiamo stare NELLA VERITA' e dobbiamo mantenere quanto appartiene alla Chiesa. Siamo cattolici, vogliamo essere e rimanere cattolici. E' molto importante conservare ciò".

    http://stas.org/files/audio/bpfellaysermon.mp3

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    1. E' MOLTO IMPORTANTE TRADURLO TUTTO.

      Paradosi

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  12. Mons. Gherardini, carissimo professore e maestro non dimentichiamo che la FSSPX è vissuta nel bunker fino al 2007. Non è stato facile per loro uscire allo scoperto, ma sono sicuro che avrà apprezzato, come ho apprezzato io, il loro stupore nel vedere che nella Chiesa Ufficiale non ci sono solo modernisti... ma buoni anzi ottimi cattolici (preti e laici anche se pochi) che - come loro ma come una sorta di quinta-colonna - non si sono mai arresi, al modernismo. Io personalmente sono amico, come lei, di ottimi sacerdoti, ma a differenza sua io essendo nato dopo il Koncilio è stato grazie a loro se ho imparato a celebrare la Santa Messa e a recitare l'Ufficio divino. Senza di loro il mio aprire gli occhi e il mio collocarmi nel solco della Tradizione sarebbe stato molto, ma molto più difficile.

    Circa poi la questione liturgica, il tutto è molto complesso.
    Non mi trovo in accordo con la FSSPX sulla loro scelta di "compromesso" nel adottare le rubriche riformate di G23 che compongono il famigerato Messale del 1962. E' un Messale spurio già contaminato con le manomissioni di Bugnini. Dopo un adeguato studio confrontandomi con non pochi esperti ritengo che vada rigettato senza se e senza ma la FSSPX per paura di essere considerata sedevacantista (perchè questi utilizzano le Rubriche fino all'ultima riforma OMOGENEA di Pio XII, cioè fino al 1952) rifiutano senza alcuna possibilità ogni discussione al riguardo, anche se per la Settimana Santa non disprezzano usare la liturgia del 1952 almeno ad Econe.

    Sulla Liturgia riformata di P6, credo che lo spirito giusto sia di TOLLERANZA sia per chi celebra sia per chi assiste nella misura in cui il Rito Riformato non diventi una buffonata pazzasca. Gherardini è abituato alle solennità della Basiliche Romane come San Pietro e Santa Maria Maggiore ma non credo avrebbe la stessa benevolenza verso il Rito nuovo se capitasse per caso in certe parrocchie appena fuori San Pietro. E poi c'è sempre la questione Neocatecumenale. Soddisfa il precetto domenicale la Messa del Sabato notte? Secondo tutti si, ma non si spiega quello strano fenomeno che coinvolge non pochi adepti della setta eretica-esoterica-giudeo-evangelica recentemente approvata dal Papa romano che li vede frequentare di nascosto la Messa "normale" della domenica (dopo essere stati la sera prima presenti alla loro cerimonia) perchè secondo questi, interrogati, rispondono un po' imbarazzati che "a Messa e come se non ci fossero andati".

    Da ultimo la questione teologica... sulla questione abbé Gleize VS Mons Ocáriz, una parola chiara e assolutamente convincente l'ha data mons Gherardini che non è della FSSPX (e poi don Nitoglia-sìsìnono) questo a significare che gli esperti della FSSPX sono esperti ma quando si affrontano temi teologici anche nel mondo extra Fraternità si trovano teologi cattolici assolutamente conformi alla Tradizione e sostenitori della medesima battaglia.

    Concludo dicendo che le differenze ci sono ma la battaglia è la stessa contro lo stesso nemico per giungere alla stessa e medesima, se Dio vorrà -ma ne sono sicuro- Palma della vittoria.

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  13. PARTE CENTRALE DELL' OMELIA DI MONS. FELLAY - 2 FEBBRAIO 2012

    ----

    "La Fraternità san Pio X è stata fondata dalla Chiesa e nella Chiesa; sappiamo

    che questa fraternità continua ad esistere nonostante il fatto che vi sia stata la

    pretesa che non esistesse, che fosse soppressa nel 1976 (ovviamente contro

    ogni rispetto alle leggi della Chiesa stessa). E' per questo che continuiamo e il

    nostro caro Fondatore insisteva molte volte sull'importanza dell'esistenza di

    questa Fraternità. Penso che, nell'evoluzione del tempo, dobbiamo tenere

    questo in mente ed è molto importante che conserviamo lo Spirito Cattolico.

    Non siamo un gruppo indipendente. perfino lottando contro Roma, noi

    cerchiamo d'essere con Roma, noi lottiamo con Roma. Possiamo essere con

    Roma o, se volete contro Roma, ma, allo stesso temo, siamo con Roma. E noi

    ribadiamo di continuare d'essere Cattolici. Noi vogliamo essere Cattolici. Molte

    volte io ho detto a Roma: "Voi cercate di tenerci fuori e sarebbe più facile per noi

    essere fuori. Avremo molti più vantaggi. Sarebbe molto meglio!" Guardate i

    protestanti: aprono loro le chiese! A noi, invece, le chiudono. E noi diciamo: "Non

    c'importa. Stiamo davanti a Dio". Noi soffriamo per la Chiesa. Bene, è ovvio che

    non ci piace ma dobbiamo stare NELLA VERITA' e dobbiamo mantenere

    quanto appartiene alla Chiesa. Siamo cattolici, vogliamo essere e rimanere

    cattolici. E' molto importante conservare ciò. .... (continua)

    RispondiElimina
  14. ... E 'anche importante non immaginare una Chiesa cattolica frutto della nostra sola

    immaginazione, che non è più reale. Ed è proprio con ciò che abbiamo

    problemi. Questo è ciò che da maggior difficoltà: il fatto che abbiamo dei

    problemi con esso. Questo non ci permette, per così dire, di chiudere la porta. Al

    contrario, è nostro dovere andare continuamente lì, a bussare alla loro porta.

    Non per chiedere se possiamo entrare (perché siamo già dentro), ma per

    pregare che si convertano, che possano cambiare e tornare a ciò che

    costruisce la Chiesa . Si tratta d'un grande mistero, non è semplice. Poiché allo

    stesso tempo dobbiamo dire, sì, noi riconosciamo la Chiesa - quando diciamo

    nel Credo, "credo nella Chiesa cattolica" - in modo da accettare che ci sia un

    papa, che ci sia una gerarchia. Accettiamo tutto questo.

    Ma praticamente, su molti livelli, dobbiamo dire di no. Non perché non ci piace,

    ma perché la Chiesa ne ha già parlato. Addirittura molte di queste cose che

    rifiutiamo sono state condannate. E così, nelle nostre discussioni con Roma

    siamo stati, per così dire, bloccati. Il problema chiave nelle nostre discussioni con

    Roma è stato realmente sul Magistero, sull'insegnamento della Chiesa. Infatti

    essi dicono: "Noi siamo il papa, noi siamo la Santa Sede". Noi diciamo di sì.

    Allora continuano: "Abbiamo il potere supremo". Al che rispondiamo ancora sì.

    Aggiungono: "Noi siamo l'ultima istanza d'insegnamento e siamo necessari".

    Roma è necessaria per noi, per la nostra fede. Diciamo di sì. Quindi

    concludono: "Quindi obbedite". Allora diciamo no. E così ci dicono che siamo

    protestanti. "Avete messo la ragione al di sopra del Magistero odierno". Ma noi

    rispondiamo loro: "Siete modernisti. Fate finta che l'insegnamento odierno possa

    essere differente dall'insegnamento di ieri". Noi diciamo che quando ci atteniamo

    a quanto la Chiesa ha insegnato ieri, aderiamo necessariamente

    all'insegnamento della Chiesa di oggi. Poiché la verità non è legata al tempo. La

    verità è al di sopra di esso. Ciò che è stato detto una volta vincola per tutti i tempi.

    Questi sono i dogmi. Dio è così, Dio è al di sopra del tempo. E la fede è

    l'adesione alla verità di Dio. E' sopra al tempo. Ecco perché la Chiesa di oggi è

    legata e dev'essere come (non solo simile) alla Chiesa di ieri.

    In tal modo quando si vede l'attuale papa dire che ci dev'essere continuità nella

    Chiesa, diciamo: "Naturalmente! Questo è ciò che abbiamo detto sempre".

    Quando parliamo di tradizione, diamo proprio questo significato, come quando

    dicono: "Ci dev'essere Tradizione, dev'esserci continuità". Quindi, aggiungono,

    "Vi è continuità: il Vaticano II è stato fatto dalla Chiesa, la Chiesa dev'essere in

    continuità, e dunque, in questo modo il Vaticano II è la Tradizione". Allora noi

    diciamo: "Prego???". ... (continua)

    RispondiElimina
  15. ... Ma si va ancora oltre, miei cari fratelli! Quanto detto è successo durante la

    discussione. Al termine della discussione, è arrivato un invito da Roma. In questo

    invito c'era la proposta di una collocazione canonica per regolarizzare la nostra

    situazione. Posso dire che quanto viene presentato oggi, è già diverso da

    quanto era stato presentato il 14 settembre. Si può considerare come molto

    soddisfacente. Si può dire che, sul piano pratico, sono soddisfatte tutte le nostre

    esigenze. Quindi non c'è problema su quel punto. Il problema rimane ad un altro

    livello: a livello della dottrina. E lì siamo molto lontani - molto lontani, miei cari

    fratelli. La chiave consiste in un principio. Essi dicono: "E' necessario accettare le

    cose in questa maniera: per i punti che fanno difficoltà in seno al Concilio, punti

    ambigui, dove c'è una lotta, - punti come l'ecumenismo, la libertà religiosa -,

    questi punti devono essere intesi coerentemente con l'insegnamento perenne

    della Chiesa". "In tal modo, se c'è qualcosa d'ambiguo in seno al Concilio, è

    necessario capirlo come la Chiesa lo ha sempre insegnato, nel corso dei

    secoli".

    Vanno ancora oltre dicendo: "Si deve rifiutare ciò che si oppone a questo

    insegnamento tradizionale della Chiesa". Beh, questo è ciò che abbiamo

    sempre detto. Incredibile, non è vero? Che Roma stia imponendoci questo

    principio. Incredibile! Allora ci si potrebbe chiedere: perché non accettare?

    Ebbene, miei cari fratelli, vi è ancora un problema. Il problema è che in questo

    testo danno due applicazioni di cosa e come dobbiamo capire questi principi.

    Questi due esempi che ci danno sono l'ecumenismo e la libertà religiosa, come

    sono descritti nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica. E questi sono

    esattamente i punti per i quali ci rimproverano sul Concilio.

    In altre parole, Roma ci dice: "Siamo sempre stati coerenti: siamo tradizionali; il

    Vaticano II è la Tradizione. La libertà religiosa, l'ecumenismo sono la Tradizione.

    Sono in piena coerenza con la Tradizione". VI chiedo solo: dove andiamo? Che

    tipo di parole dobbiamo trovare per dire se siamo d'accordo o meno? Pure per i

    principi che abbiamo mantenuto e detto, dicono: "Sì, vanno bene si possono

    dire perché questo significa ciò che intendiamo". Ma, in realtà, è esattamente il

    contrario di ciò che NOI intendiamo!!! ...

    RispondiElimina
  16. ... Penso che non si sia potuti andare più in confusione di così! In altre parole, miei

    cari fratelli, ciò significa che essi danno un altro significato alla parola "tradizione"

    e, forse, pure alla parola "coerenza". Ed è per questo che siamo stati costretti a

    dire di no. Non abbiamo firmato questo accordo.Concordiamo con il principio ma

    notiamo che la conclusione è il suo esatto contrario. Che grande mistero,

    grande mistero! Allora, che succederà ora? Abbiamo inviato la nostra risposta a

    Roma. Continuano a risponderci che ci stanno riflettendo su, il che significa che

    probabilmente sono in imbarazzo. Allo stesso tempo, ora penso che possiamo

    vedere che cosa vogliono veramente. Vogliono veramente noi nella Chiesa o

    no? Abbiamo detto loro molto chiaramente: "Se ci accettate come siamo, senza

    cambiamenti, senza obbligarci ad accettare queste cose, allora siamo pronti. Ma

    se volete farci accettare queste cose, non lo siamo". In realtà avevamo appena

    citato l'Arcivescovo Lefebvre che disse questo già nel 1987 - anche diverse volte

    prima, seppur l'ultima volta lo disse nel 1987.

    In altre parole, miei cari fratelli, umanamente parlando, è difficile dire come sarà il

    futuro, ma sappiamo che quando abbiamo a che fare con la Chiesa, abbiamo a

    che fare con Dio, abbiamo a che fare con la divina provvidenza, e sappiamo che

    questa Chiesa è la sua Chiesa. Gli esseri umani possono causare alcuni disagi,

    qualche distruzione. Possono causare turbolenze, ma Dio è superiore a tutto ed

    Egli sa, da tutti questi avvenimenti - questi avvenimenti umani - queste linee

    storte, Dio sa come dirigere la sua Chiesa attraverso tali prove. ...

    RispondiElimina
  17. ... Ci sarà una fine a questa situazione ma non so quando. A volte c'è la speranza

    che giunga. A volte è come la disperazione. Dio sa quando, ma in realtà,

    umanamente parlando, dobbiamo aspettare molto tempo prima di sperare di

    vedere le cose migliorare - cinque, dieci anni. Sono convinto che in dieci anni le

    cose saranno differenti perché la generazione del Concilio sarà passata e la

    prossima generazione non ha questo legame con il Concilio. Già ora sentiamo

    diversi vescovi, miei cari fratelli, diversi vescovi che ci dicono: "Date troppo peso

    a questo Concilio, mettetelo da parte. Potrebbe essere un buon modo per la

    Chiesa per andare avanti. Mettetelo da parte, dimenticatelo. Torniamo alla realtà,

    alla Tradizione".

    Non è interessante sentire dei vescovi dire questo? E' un nuovo linguaggio! Vuol

    dire che esiste una nuova generazione per la quale ci sono cose più serie del

    Concilio Vaticano II nella Chiesa, e dobbiamo tornare a queste cose serie, se

    così si può dire. Il Vaticano II è grave a causa dei danni che ha causato. Sì lo è.

    Come tale voleva essere un concilio pastorale, ma ora è finito. Conosciamo una

    persona che lavora in Vaticano, la quale ha scritto una tesi per conseguire un

    grado accademico sul magistero del Concilio Vaticano II. Lui stesso ci ha detto

    che nessuna delle università romane era pronta a considerare quella tesi. Infine,

    si è reso disponibile un professore. La tesi era la seguente: l'autorità del

    magistero del Vaticano II è quella di un'omelia nel 1960. Tale tesi fu approvata!

    Vedremo miei cari fratelli. Per noi la cosa è molto chiara. Dobbiamo attaccarci ed

    essere aderenti alla verità, alla fede. Lo dobbiamo fare qualunque cosa accada.

    Naturalmente ora da Roma potrebbe giungerci qualche minaccia. Vedremo.

    Abbiamo messo tutte queste cose nelle mani di Dio e nelle mani della Beata

    Vergine Maria. Oh, sì, dobbiamo continuare la nostra crociata di rosari.

    Contiamo su di lei, contiamo su Dio. E poi qualunque cosa accada, che accada.

    Non posso promettere una bella primavera. Non ho idea di cosa succederà in

    questa primavera. Quello che so è che la lotta per la fede continuerà, qualunque

    cosa accada. Se saremo riconosciuti o meno, si può essere certi che i

    progressisti non saranno felici. Essi continueranno per la loro strada e noi pure

    continueremo a combatterli".

    http://stas.org/files/audio/bpfellaysermon.mp3

    http://stas.org/publications/announcements-archive/552-extract-from-sermon-of-bishop-fellay-on-february-2nd-2012.html


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    Paradosi

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  18. Grazie a don Camillo, per la messa a punto storica (che in nessuna parrocchia d'Italia potremmo mai vederci offrire), e a Paradosi per la traduzione completa, che consente di riflettere con serietà sulle gravi questioni riproposte da MOns. Fellay, inoppugnabili, poichè espongono la realtà COSì COME ESSA E', senza finzioni politico-diplomatiche e auto-illusioni del "tuttos'aggiustadasè"; parole chiare e forti che ci impongono di aprire gli occhi, in mezzo al caos (a dir poco) che sta sommergendo la Chiesa.
    Se non vogliamo cedere al "coma" spirituale indotto dall'ecumenismo interno di una Chiesa-minestrone che pretende di abbracciare tutti i culti, compresi quelli eretici e sincretisti insieme con la vera Messa di Nostro Signore. Una Chiesa "riformata" che pretende, con la scusa del concilio rinnovatore, di plasmarci tutti all'INDIFFERENTISMO religioso, sia dentro, unendoci rispettosi/accoglienti (=soccombenti laddove i movimenti sono PADRONI delle parrocchie) con tutti i modi simil-protestanti ed eretici di pregare e celebrare, sia all'esterno, con l'abbraccio buonista e NON-apostolico a tutte le false religioni: induzione purtroppo iniziata da "alti" esempi e discorsi nelle giovani generazioni già nel 1986 con Assisi1, come ben ricordo, ma favorita alla grande da movimenti del tipo focolarini, oltre che da conferenze, celebrazioni, preghiere e riunioni ecumeniste promosse con entusiasmo da tanti presuli (eventi che "fanno scuola", disperdendo l'identità cattolica nei fedeli di intere diocesi).
    Ormai, se non guardiamo con costante attenzione all'esempio di estrema vigilanza offerto dalla FSSPX (sempre ricordando che è Roma a dover risolvere il grande nodo della deriva dottrinale-apostatica, avendolo essa causato dal 1962, e avendo le chiavi per farlo) rischiamo di cadere in un torpore da "morte bianca" nella gelida disinformatjia di regime, che ci avvolge tutti, come una tormenta di neve senza fine, dove nessuno più vuole/può guardare in faccia e dire la Verità, senza mistificazioni zuccherine, tranne la FSSPX e pochi altri.

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  19. La "figura" che fa il Vaticano in queste conversazioni è assai misera.

    I "grandi" teologi del vaticano, discutendo con la FSSPX, non sono stati buoni di proporre altro che una tautologia, disseminata con qualche frase appetibile.

    a) puoi discutere quanto non ti va bene del CVII;
    b) puoi pure rifiutare quanto non ti va bene del CVII;
    c) ma lo devi fare appoggiato ai due pilastri del CVII.

    Provate, voi, a fare questo ragionamento in qualsiasi settore del mondo e vedrete se non vi sputeranno in faccia, quanto meno. Sarebbe come dire:

    a) Gli operai possono discutere sul loro contratto di lavoro;
    b) gli operai possono rifiutare un contratto di lavoro iniquo;
    c) ma gli operai lo devono fare senza allontanarsi da quanto pattuisce il contratto di lavoro.

    Sarebbe da ridere, se non ci sarebbe infinitamente da piangere!!!

    Paradosi

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  20. In Vaticano dimostrano di essere solo degli assurdi giocolieri di parole. Nient'altro!

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  21. Il Vaticano dice:

    "Vi è continuità: il Vaticano II è stato fatto dalla Chiesa, la Chiesa dev'essere in continuità, e dunque, in questo modo il Vaticano II è la Tradizione".

    E' un ragionamento talmente semplicistico che sconcerta. Sembra incredibile che sia uscito dalla bocca di "grandi teologi"! E' tutto qui, quello che possono dire?? Incredibile!!!

    Osservo:

    1) Prima di tutto nella Chiesa non c'è mai stata una ininterrotta continuità: la crisi ariana, per un certo periodo, spezzò questa continuità, tanto per fare un esempio.

    2) Ne segue che non c'è una conseguenza automatica tra la Chiesa istituzionale e la continuità teologica. Il fatto d'essere legittimi pastori, non comporta automaticamente una continuità poiché per stabilirla ci vogliono altri elementi!

    3) Perciò anche un atto solenne e legittimo della Chiesa se non ottempera ad altri elementi non gode di questo carisma di continuità magisteriale.

    Forse pure un bambino, ben formato nel catechismo, potrebbe contestare queste frasi dal "sapore magico" dei grandi teologi vaticani!

    Paradosi

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  22. per i punti che fanno difficoltà in seno al Concilio, punti ambigui, dove c'è una lotta, - punti come l'ecumenismo, la libertà religiosa -,
    questi punti devono essere intesi coerentemente con l'insegnamento perenne della Chiesa". "In tal modo, se c'è qualcosa d'ambiguo in seno al Concilio, è necessario capirlo come la Chiesa lo ha sempre insegnato, nel corso dei secoli".

    Secindo me Roma ha ragione basterebbe inodssare l'occhiale dell'ermenuta etutto sarebbe risolto!
    CVCRCI

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