Pio XII:«
occorre affermare chiaramente: che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso, possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una autorizzazione di questo genere non avrebbero forza obbligatoria e resterebbero inefficaci. Nessuna autorità potrebbe darli, perché è contro natura di obbligare lo spirito e la volontà dell'uomo all'errore ed al male o a considerare l'uno e l'altro come indifferenti. Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo mandato o una tale positiva autorizzazione, perché sarebbero in contraddizione con la Sua assoluta veridicità e santità».
Disse il Cardinal Ratzinger, non ricordando cio' che disse il Suo predecessore Pio XII : “[l’Istruzione “Donum Veritatis”] afferma - forse per la prima volta con questa chiarezza - che ci sono delle decisioni del magistero che non possono essere un’ultima parola sulla materia in quanto tale, ma sono in un ancoraggio sostanziale nel problema, innanzitutto anche un’espressione di prudenza pastorale, una specie di disposizione provvisoria. Il loro nocciolo resta valido, ma i singoli particolari sui quali hanno influito le circostanze dei tempi, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche. Al riguardo si può pensare sia alle dichiarazioni dei Papi del secolo scorso sulla libertà religiosa, come anche alle decisioni antimodernistiche dell’inizio del secolo”. (Osservatore Romano, 27 giugno 1990, p. 6 ).
Ed ecco ciò che scrive il cardinale Ratzinger, ora Benedetto XVI, nel suo libro “I principi della teologia cattolica” a proposito del testo della Chiesa nel mondo (Gaudium et spes) con il titolo: “Il Vangelo ed il mondo riguardo alla questione della ricezione del secondo Concilio del Vaticano.” Sviluppa le sue argomentazioni su più pagine e precisa: “Se cerchiamo una diagnosi globale del testo, potremmo dire che è (in connessione con i testi sulla libertà religiosa e sulle religioni nel mondo) una revisione del Sillabo di Pio IX, una specie di contro-Sillabo (Dignitatis Humanæ)”.
Disse nella sua interezza questo:
"Se si deve offrire un'analisi del testo (Gaudium et Spes) nella
sua interezza, bisognerebbe affermare che esso è (insieme ai testi
sulla libertà religiosa e le religioni del mondo) una revisione del Sillabo di Pio Nono, una specie di Contro-Sillabo ... Lasciateci essere felici nel dire che il testo serve come Contro-Sillabo e pertanto rappresenta, da parte della Chiesa, un tentativo di riconciliarsi ufficialmente con la nuova era inaugurata nel 1789 ... la partigianeria della
posizione adottata dalla Chiesa sotto Pio IX e Pio X in risposta alla
situazione creata dalla nuova fase storica, inaugurata dalla
Rivoluzione Francese, è stata corretta via facti in larga
misura, specialmente in Europa Centrale, ma non esisteva ancora una
base comune su cui fondare le relazioni tra la Chiesa ed il mondo che si era venuto a creare dopo il 1789. Infatti, un atteggiamento largamente contro-rivoluzionario ha continuato ad esistere tra nazioni a forte maggioranza Cattolica. Ormai quasi nessuno nega al giorno d'oggi che i concordati con la Spagna e l'Italia si sforzano di conservare un'impostazione del mondo che non corrisponde più ai fatti. E difficilmente si può negare che, per quanto riguarda l'educazione ed il metodo
critico-storiografico della scienza moderna, vi è stato un anacronismo
strettamente legato alla fedele adesione a questa vecchia impostazione
di rapporti tra Chiesa e stato".
Quale
audacia per un Cardinale definire due dei più grandi Papi della storia
della Chiesa “partigiani” nei loro tentativi di proteggere la Chiesa
dagli errori del liberalismo e del modernismo! Secondo il Cardinale
Ratzinger, al Vaticano II la Chiesa ha fatto un “tentativo” per
“correggere” e “confutare” gli insegnamenti del Beato Pio Nono e di San
Pio X, e per riconciliarsi piuttosto con la Rivoluzione Francese e
l'Illuminismo.
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Ora per fare chiarezza sul fatto che la cosiddetta "libertà religiosa" promulgata dal modernista conciliabolo Vaticano II rompe con la dottrina della vera Chiesa Cattolica, proponiamo un eminente pensiero teologico di un rappresentante della Fraternità San Pio X, viene inoltre dimostrato che le dottrine pre concilari sono affermazioni irreformabili, a differenza di Ratzinger che afferma, in termini modernisti, che le dichiarazioni dei Pontefici pre conciliari si possono riformare. Ricordiamo inoltre che chi promulga per lettera o per discorso queste tesi moderniste incorre nella scomunica ampiamente data da i pontefici pre conciliari, San Pio X ...E chiaro che fa loro comodo dire che le dottrine pre conciliari possono essere riformate cosi' si tolgono da soli la scomunica...
(Papa Pio VI Auctorem Fidei)
...Essi conoscevano bene l’arte maliziosa propria degli innovatori, i quali, temendo di offendere le orecchie dei cattolici, si adoperano per coprire sotto fraudolenti giri di parole i lacci delle loro astuzie, affinché l’errore, nascosto fra senso e senso (San Leone M., Lettera 129 dell’edizione Baller), s’insinui negli animi più facilmente e avvenga che – alterata la verità della sentenza per mezzo di una brevissima aggiunta o variante – la testimonianza che doveva portare la salute, a seguito di una certa sottile modifica, conduca alla morte. Se questa involuta e fallace maniera di dissertare è viziosa in qualsiasi manifestazione oratoria, in nessun modo è da praticare in un Sinodo, il cui primo merito deve consistere nell’adottare nell’insegnamento un’espressione talmente chiara e limpida che non lasci spazio al pericolo di contrasti. Però se nel parlare si sbaglia, non si può ammettere quella subdola difesa che si è soliti addurre e per la quale, allorché sia stata pronunciata qualche espressione troppo dura, si trova la medesima spiegata più chiaramente altrove, o anche corretta, quasi che questa sfrenata licenza di affermare e di negare a piacimento, che fu sempre una fraudolenta astuzia degl’innovatori a copertura dell’errore, non dovesse valere piuttosto per denunciare l’errore anziché per giustificarlo: come se alle persone particolarmente impreparate ad affrontare casualmente questa o quella parte di un Sinodo esposto a tutti in lingua volgare fossero sempre presenti gli altri passi da contrapporre, e che nel confrontarli ognuno disponesse di tale preparazione da ricondurli, da solo, a tal punto da evitare qualsiasi pericolo d’inganno che costoro spargono erroneamente...
E molti si stupiscono che la Fraternità San Pio X ha rifiutato il preambolo dottrinale datogli da questa banda di modernisti?
Editoriale
di Don Régis de Cacqueray
Superiore del Distretto di
Francia e Direttore di Lettre
à nos frèfres prêtres
La questione della dottrina proposta dal Vaticano II a riguardo della
libertà religiosa nell’ordine sociale e civile, la cui sintesi
è costituita dalla Dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae, è stato
uno dei «punti caldi» del Concilio, forse il più
contestato.
Semplificando, si può dire che la dottrina di Dignitatis Humanae sulla
libertà religiosa si articola in due punti. Da un lato,
l’affermazione (del tutto tradizionale e che nessuno contesta) che
nessuno dev’essere costretto
ad abbracciare la vera fede. Dall’altro, l’affermazione (nuova e
inusitata) che nessuno dev’essere impedito
ad esprimere una qualsiasi credenza religiosa. Questo secondo punto
è contestato da noi, da sempre, non nei fatti (per molti aspetti
oggi, nell’ordine civile, è necessario tollerare l’espressione
di credenze diverse), ma per il diritto
all’errore che avrebbe la persona umana e che lo Stato dovrebbe
riconoscere.
Ricordiamo dunque, per evitare ogni equivoco, che la dottrina
tradizionale non impedisce affatto che si possa affermare che, dal
punto di vista della prudenza politica, possa essere necessario e
legittimo accordare la libertà civile in materia religiosa e
quindi non impedire o proscrivere i culti diversi da quello della
Chiesa cattolica. Questa possibilità di una tolleranza, perfino
molto ampia, è stata esplicitamente considerata dal Papa Pio XII
nel 1953.
E tuttavia, una cosa è la tolleranza di fatto, cioè una
libertà civile, altra cosa è affermare che l’uomo, per natura, possiederebbe un diritto a tale libertà.
La critica fondamentale avanzata contro tale nuova dottrina è
che essa è contraria all’insegnamento unanime e costante della
Chiesa. I documenti più evidenti della storia della Chiesa
l’attestano abbondantemente, come dimostra, almeno su certi punti, il
presente conciso dossier.
Dunque, la nostra contestazione non consiste affatto in una
«scelta», in un giudizio «personale» che
opporremmo alla dottrina del Magistero. Al contrario, si tratta di
qualcosa che si basa sul certo, costante e obbligatorio Magistero
anteriore al Concilio, che ci permette di dire e di ribadire che la
dottrina del Vaticano II sulla libertà religiosa è
contraria alla dottrina cattolica anteriore al 1962, com’è stata
insegnata e creduta ubique, semper et ab
omnibus, secondo la celebre espressione del Commonitorium di
San Vincenzo di Lerino.
Don
Régis de Cacqueray
CONFORME ALLA STORIA
DELLA CHIESA?
I nuovi principi sulla libertà religiosa proposti dalla
Dichiarazione Dignitatis Humanae, sono veramente conformi
alla dottrina e alla pratica della Chiesa, come li conosciamo dalla
storia?
Un nuovo insegnamento, opposto a
tutta la storia della Chiesa
In maniera evidente, questa nuova dottrina è opposta a tutta la
vita della Chiesa, lungo il suo quotidiano svolgimento nel corso dei
secoli. La storia ci mostra chiaramente che le autorità
politiche cristiane, a più riprese e con modi diversi, hanno
interdetto o quanto meno limitata l’espressione delle credenze opposte
alla fede cattolica, e questo in nome di questa stessa fede cattolica e
non solamente in nome dell’«ordine pubblico».
La storia ci mostra chiaramente che le autorità ecclesiastiche,
a più riprese e con modi diversi, quando ne avevano la
potestà diretta, hanno interdetto o quanto meno limitata
l’espressione delle credenze opposte alla fede cattolica; quando non ne
avevano la potestà diretta hanno chiesto alle autorità
politiche di interdire o di limitare. La storia ci mostra chiaramente
che le autorità ecclesiastiche, non solo hanno chiesto, ma hanno
fortemente preteso che le autorità politiche agissero
così, perfino attraverso testi dottrinali e con la minaccia
delle più gravi sanzioni canoniche.
A caso, tra centinaia d’altri,
l’esempio di un papa
Prendiamo semplicemente l’esempio del Papa Adriano VI, che al momento
della sua elezione (1521) veniva considerato come un santo e che volle
essere un papa fortemente riformatore della Chiesa in capite et in membris (anche se
in ragione delle circostanze i risultati non furono all’altezza dei
suoi sforzi). Nel 1522, inviò un nunzio alla Dieta di
Norimberga, con diverse lettere da consegnare ai principi che vi erano
riuniti. In una di queste lettere egli riconosceva «gli abomini,
gli abusi (…) e le prevaricazioni» di cui si era resa colpevole
“la corte romana” del suo tempo, «malattia (…) profondamente
radicata e sviluppata», estesa «dal capo ai membri».
Questo passo è stato anche citato con elogio nel documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le
colpe del passato, emanato dalla Commissione Teologica
Internazionale il 7 marzo del 2000.
Ma tra quelle stesse lettere, questo santo papa riformatore, capace di
«pentimento», si lamentava che i principi cristiani di
Germania lasciavano che Lutero, già condannato dal Papa Leone X
con sentenza resa esecutiva in Germania con un editto imperiale,
continuasse a diffondere le sue eresie. Adriano VI esortava i principi
e i popoli, per l’onore della loro antica fede, ad opporsi a questa
grande ignominia e a non lasciarsi sedurre ulteriormente da un povero
monaco apostata, messosi fuori dal cammino degli Apostoli, dei Martiri
e dei dottori, come se solo lui avesse ricevuto la Spirito Santo, come
pretendeva l’eretico Montano. Il Sovrano Pontefice aggiungeva che era
suo vivo desiderio che le autorità tedesche impiegassero tutti i
mezzi per ricondurre con dolcezza Lutero e i suoi alla verità.
Ma se sfortunatamente le vie della mansuetudine non fossero servite,
occorreva applicare la severità delle leggi, come si estirpa col
ferro e col fuoco un membro in cancrena per la salvezza dell’intero
corpo.
La lettera pressante del Papa
Adriano VI ai principi tedeschi
È in questo modo – scriveva Adriano VI – che l’Onnipotente
precipitò gli scismatici Datan e Abiron nelle voragini della
terra; che ordinò di punire col supplizio capitale colui che non
avrebbe ubbidito al comando del pontefice; che Pietro, il principe
degli Apostoli, pronunciò la morte di Anania e Saffira
perché gli avevano mentito, anzi avevano mentito a Dio stesso;
che gli antichi e pii imperatori colpirono con la spada gli eretici
Gioviniano e Priscilliano; che nel concilio di Costanza, i vostri
antenati fecero subire la pena prevista dalle leggi a Giovanni Huss e a
Girolamo di Praga, che oggi sembrano rivivere in Lutero, loro
ammiratore. Se imiterete il glorioso esempio dei vostri antenati, noi
non dubitiamo che Dio vi accorderà in terra la vittoria contro
gli infedeli e nell’eternità la gloria del suo regno».
Testi di questo genere, dovuti a papi e a vescovi, di cui molti sono
dei santi canonizzati, se ne potrebbero citare a centinaia e a
migliaia. Di fronte a questo formidabile esempio, che attraversa i
secoli, quella della
Dignitatis
Humanae appare proprio come una misera risposta:
«quantunque nella vita del popolo di Dio, […] di quando in quando
si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico,
anzi ad esso contrari». Il che equivale a condannare come
anticristiana, con un semplice tratto di penna, una pratica unanime,
costante e pubblica, che ha quanto meno un certo valore dogmatico di
fatto.
La dottrina tradizionale
ricordata dai papi
Dopo la Rivoluzione francese, e il suo impegno a favore della
«libertà di coscienza», i papi del XIX e del XX
secolo si preoccuparono di ricordare con chiarezza questa dottrina e
questa pratica tradizionali della Chiesa. Certo, i Sovrani Pontefici
l’hanno fatto con tutte le attenzioni necessarie e con tutti gli
adattamenti richiesti dalle circostanze dell’epoca moderna, ma l’hanno
fatto senza equivoci, sottolineando che questa dottrina non era
facoltativa o discutibile, ma propriamente inscritta nel cuore
dell’insegnamento della fede.
Citiamo solo tre testi significativi che emergono da questo ricco corpo
dottrinale.
«Altra causa di dolore ancora maggiore per il nostro cuore
e che, lo confessiamo, Ci ha grandemente afflitti, accasciati e
angosciati, è il 22° articolo della Costituzione. In esso
non solo si permette la libertà di culto e di coscienza, per
usare i termini stessi dell’articolo, ma si promette appoggio e
protezione a questa libertà e anche ai ministri di ciò
che si chiamano culti» (Pio VII, Post tam diuturnitas,
1814).
« Veniamo ora ad un'altra sorgente trabocchevole dei mali da cui
compiangiamo afflitta presentemente la Chiesa. L'indifferentismo,
vogliamo dire, ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera
degli increduli si dilatò in ogni parte, che cioè possa
in qualunque professione di fede conseguirsi l'eterna salvezza
dell'anima, se i costumi si conformino alla norma del retto e
dell'onesto. (…) E da questa corrottissima sorgente
dell'indifferentismo scaturisce quella assurda ed erronea sentenza, o
piuttosto delirio, che debbasi ammettere e garantire per ciascuno la
libertà di coscienza» (Gregorio XVI, Mirari vos,
1832).
«…in questo tempo si trovano non pochi i quali, applicando al
civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo, come lo
chiamano, osano insegnare che “l’ottimo regime della pubblica
società e il civile progresso richiedono che la società
umana si costituisca e si governi senza avere alcun riguardo per la
religione, come se questa non esistesse o almeno senza fare alcuna
differenza tra la vera e le false religioni”. Contro la dottrina delle
sacre Lettere della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare
“essere ottima la condizione della società nella quale non si
riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene stabilite i
violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda la
pubblica pace”. Con tale idea di governo sociale, assolutamente falsa,
non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa
cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio
XVI di venerata memoria chiamata delirio, cioè “la
libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di
ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben
ordinata società ed i cittadini avere diritto ad una totale
libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità
ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e
pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che
siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera”. E
mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non
considerano che essi predicano “la libertà della
perdizione”» (Pio IX, Quanta cura,
1854).
È intellettualmente e religiosamente impossibile fare come se
niente fosse, tappandosi gli occhi davanti all’evidente opposizione fra
ciò che insegna chiaramente la storia e ciò che afferma
il Concilio: pretendendo perfino che vi sia continuità laddove
la discontinuità è così evidente.
L’UOMO LIBERATO DA OGNI
COSTRIZIONE?
La Dichiarazione sulla libertà religiosa afferma senza
esitazione, non che l’uomo dev’essere per quanto possibile liberato
dalle costrizioni che avviliscono la sua libertà interiore (cosa
evidentemente molto desiderabile), ma che deve essere affrancato da
ogni costrizione da parte di altri, quali che siano, e in ogni
circostanza. Da questo punto di vista, i testi della Dignitatis Humanae sono davvero
impressionanti, almeno da come si possa leggerli in francese nella
traduzione più usuale, quella delle edizioni del Centurion del 1967.
Gli uomini devono agire «mossi dalla coscienza del dovere e non
pressati da misure coercitive» (1 § 1). Essi hanno diritto
alla «immunità dalla coercizione nella società
civile» (1 § 3), alla «immunità dalla
coercizione esterna» (2 § 2); «gli esseri umani devono
essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di
gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano» (2 § 1).
Hanno «il diritto all'immunità dalla coercizione esterna
in materia religiosa (9). Mentre «la persona nella società
deve essere immune da ogni umana coercizione in materia
religiosa». (12 § 2).
Che va a lavorare ogni giorno
unicamente per dovere?
Ma si può seriamente affermare che l’uomo conduce la sua vita
propriamente umana, vita di intelligenza e di volontà, a
fortiori vita religiosa, a prescindere da ogni costrizione? Ci troviamo
nel mondo reale o nella favola? Chi oserebbe pretendere, senza
arrossire, che egli va a lavorare ogni mattina «non sotto la
spinta di una costrizione, ma guidato esclusivamente dalla coscienza
del suo dovere»? Chi? Una parte dei nostri motivi non riguardano
l’abitudine, o il desiderio di essere pagati alla fine del mese, o la
spinta a vedere qualcuno, o il timore di essere licenziati, o
semplicemente l’insieme di motivi diversi, compresa la coscienza del
proprio dovere? Ma stiamo parlando di un uomo reale o di una finzione?
I ragazzi felici di Summerhill?
Se un ragazzo non vuole andare a scuola, dev’essergli garantita l’
«immunità da ogni costrizione esterna»? Chi oserebbe
affermare una tale fesseria, a parte i ragazzi cresciuti nelle famiglie
descritte nel noto libro utopico degli anni ’60, I ragazzi felici di Summerhill?
Io ho conosciuto un ragazzo intelligente e simpatico che, il mattino
della maturità decise che la giornata era perfetta per andarsene
a spasso e quindi, naturalmente, non si presentò agli esami.
Ancora oggi, dozzine di anni dopo questa scelta veramente stupida, egli
ne paga le conseguenze nella sua vita professionale e famigliare. Si
può dire che colui che quel giorno l’avesse «preso per il
collo» per condurlo «manu
militari» là dove doveva essere, agli esami,
avrebbe violato il suo diritto «all’immunità da ogni
costrizione»?
La considerazione degli altri
non è già una certa costrizione?
La paura della considerazione degli altri non è già una
costrizione giornaliera, impossibile da evitare? Se passo davanti ad
una edicola e ho timore di segnarmi, io che sono un sacerdote e porto
già il mio abito religioso, ecco che incomincio a temere cosa
possano dire o pensare, forse sì e forse no, le persone che
eventualmente possono vedermi.
Noi arrossiamo o impallidiamo o abbiamo una qualche esitazione per
un’azione del tutto semplice, senz’altro rischio che un sorriso di
commiserazione o uno sguardo ironico da parte di uno sconosciuto. E
talvolta si arriva perfino a rinunciare a tale azione per il timore di
questa conseguenza. Non si tratta allora di un insopportabile
«costrizione da parte di individui o di gruppi sociali»?
Affermare una dottrina della libertà religiosa basandosi su una
finzione così inverosimile come quella di una reale
immunità per l’uomo da ogni costrizione, significa spingere il
fumo con una pertica.
LO STATO SENZA COMPETENZE
RELIGIOSE?
La Dichiarazione sulla libertà religiosa si fonda in particolare
sulla tesi (implicita) della incompetenza religiosa dello Stato. Questa
tesi sostiene che lo Stato (ogni Stato) non ha la competenza per
discernere la verità religiosa, per effettuare legittimamente
degli atti religiosi o per prescrivere (o interdire) ai suoi cittadini
il compimento di certi atti religiosi.
Una tesi implicita nella Dignitatis Humanae
Basta leggere la Dichiarazione sulla libertà religiosa per
cogliere senza difficoltà questa tesi, almeno implicita,
dell’incompetenza religiosa dello Stato: «Inoltre gli atti
religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con
decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura
l'ordine terrestre e temporale delle cose. Quindi la potestà
civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune
temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei
cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume
di dirigere o di impedire gli atti religiosi» (DH 3 § 5).
Il fatto che «nell'ordinamento giuridico di una società
[venga] attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale
posizione civile», è cosa che agli occhi della
Dichiarazione può essere ammessa solo in presenza di
«circostanze peculiari dei popoli» (DH 6 § 3).
In essa si afferma anche che «il potere civile deve provvedere
che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al
bene comune della società, per motivi religiosi non sia mai
lesa, apertamente o in forma occulta, e che non si facciano fra essi
discriminazioni» (DH 6
§ 4). Da cui deriva «che non è permesso al pubblico
potere imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri
mezzi la professione di una religione qualsivoglia oppure la sua
negazione» (DH 6 §
5).
Una tesi contraria a tutta la
storia
Questa tesi è prima di tutto contraria a tutta la storia umana.
Riguardo all’affermazione che «gli uomini lungo i tempi»
abbiano riconosciuto «più largamente e meglio la
dignità della propria persona», non è inutile
ricordare che la “laicità”, in tutte le sue forme, è
un’invenzione molto recente. Tutti i popoli, tutte le società,
tutti gli Stati, fino a poco tempo fa, hanno praticato pubblicamente
una religione. E molti continuano tranquillamente a farlo ancora oggi.
Bisognava quindi aspettare il 1965 perché la Chiesa se ne
accorgesse e condannasse come insopportabile una pratica così
diffusa e così evidente?
Questa tesi è poi contraria a tutta la storia cristiana. Gli
Stati cristiani di tutti i secoli (e furono numerosi ed anche diversi)
hanno affermato la verità religiosa, hanno effettuato degli atti
religiosi, hanno prescritto o interdetto degli atti religiosi ai loro
cittadini. E questo con l’accordo tacito o espresso del clero
cattolico, e più sovente a richiesta della stessa gerarchia
ecclesiastica, al bisogno accompagnata dalla minaccia di pene canoniche.
Senza dubbio, visto che gli uomini continuano ad essere dei peccatori
anche in un regime cristiano, si saranno potuti verificare certi
eccessi, certe esagerazioni, certe oppressioni della legittima
libertà interiore ricordata dal principio morale e canonico:
«Nessuno, contro la sua volontà, dev’essere costretto ad
abbracciare la fede». Ma queste «sbavature» sono
accidentali in relazione alla pratica unanime della religione come
realtà pubblica, pratica fondata sul convincimento che lo Stato
possiede esattamente una competenza in materia religiosa.
Una tesi contraria alla dottrina
insegnata prima del Concilio
«La storia è maestra di vita», amava ripetere il
vecchio professore di storia ecclesiastica che fu Giovanni XXIII. Ma
oltre alla storia, che ci mostra la pratica della religione di Stato
attraverso i secoli della Cristianità, è lo stesso
Magistero che ricorda solennemente l’obbligo per la società
umana, presa nel suo insieme, di rendere un culto pubblico al vero Dio
nel quadro della vera religione, la cattolica: cosa che stabilisce una
reale e obbligatoria competenza religiosa dello Stato.
L’insegnamento di Leone XIII in Immortale Dei e Libertas
«È chiaro che una società costituita su queste basi
deve assolutamente soddisfare ai molti e solenni doveri che la
stringono a Dio con pubbliche manifestazioni di culto. La natura e la
ragione, che comandano ad ogni singolo individuo di tributare a Dio pii
e devoti atti d’ossequio, poiché tutti siamo in Suo potere e
tutti, da Lui originati, a Lui dobbiamo ritornare, impongono la stessa
legge alla società civile. (…) Perciò, come a nessuno
è lecito trascurare i propri doveri verso Dio – e il più
importante di essi è professare la religione nei pensieri e
nelle opere, e non quella che ciascuno preferisce, ma quella che Dio ha
comandato e che per segni certi e indubitabili ha stabilito essere
l’unica vera – allo stesso modo le società non possono, senza
sacrilegio, condursi come se Dio non esistesse, o ignorare la religione
come fosse una pratica estranea e di nessuna utilità, o
accoglierne indifferentemente una a piacere tra le molte; ma al
contrario devono, nell’onorare Dio, adottare quella forma e quei riti
coi quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato. Santo
deve dunque essere il nome di Dio per i Principi, i quali tra i loro
più sacri doveri devono porre quello di favorire la religione,
difenderla con la loro benevolenza, proteggerla con l’autorità e
il consenso delle leggi, né adottare qualsiasi decisione o norma
che sia contraria alla sua integrità. (…) Quale sia poi la vera
religione, senza difficoltà può vedere chi giudichi con
metro sereno e imparziale: poiché è evidente per
moltissime e luminose prove, (…) che l’unica vera è quella che
Gesù Cristo stesso ha fondato ed affidato alla sua Chiesa
perché la difendesse e la propagasse». (Leone XIII, Immortale Dei).
«Perciò è necessario che la società civile,
proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e creatore
suo proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua
sovranità. Pertanto, la giustizia e la ragione vietano che lo
Stato sia ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda la
stessa desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e gli
stessi diritti ad ognuna indistintamente. Dunque, dal momento che
è necessaria la professione di un sola religione nello Stato,
è necessario praticare quella che è unicamente vera e che
non è difficile riconoscere, soprattutto nei Paesi cattolici,
per le note di verità che in essa appaiono suggellate».
(Leone XIII, Libertas).
L’insegnamento di Pio XI nella Quas primas
«La celebrazione di questa festa [di Cristo Re], che si rinnova
ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che il dovere
di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza riguarda
non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li
richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo,
scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato,
vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo
la sua regale dignità che la società intera si uniformi
ai divini comandamenti e ai principî cristiani, sia nello
stabilire le leggi, sia nell'amministrare la giustizia, sia finalmente
nell'informare l'animo dei giovani alla santa dottrina e alla
santità dei costumi» (Pio XI, Quasprimas).
Il testo dell’inno a Cristo Re
nella nuova liturgia
Al momento dell’istituzione della festa di Cristo Re, nel 1925, il Papa
Pio XI fece comporre un inno liturgico (Te saeculorum Principem) che
costituiva come un piccolo «catechismo» della dottrina
cattolica sull’obbligo della società umana di rendere culto a
Dio.
La sesta strofa recitava: «Che
i capi dei popoli ti diano pubblico onore, ti venerino i maestri, i
magistrati; leggi ed arti a Te si ispirino». La settima
strofa recitava: «Che i
governanti trovino la loro gloria nel sottomettersi a Te; che Tu regni
con il tuo dolce scettro sulle patrie e sulle famiglie».
Quest’inno esiste ancora nella liturgia di Paolo VI, ma, in ragione
della nuova dottrina del Vaticano II, contraria alla dottrina cattolica
tradizionale ricordata fin troppo chiaramente in quest’inno del 1925,
le due strofe su citate sono state semplicemente e puramente soppresse.
LA SOCIETÀ
PUÒ VIVERE SENZA LA VERITÀ?
Un punto che colpisce nella Dichiarazione sulla libertà
religiosa è la dissociazione effettuata in seno alla
società umana tra libertà e verità. Dignitatis Humanae si esprime come se si
potesse riconoscere un «diritto alla libertà religiosa
nell’ordine sociale e civile» in modo del tutto indipendente
dalla verità, sulla quale sia la persona umana sia la
società sono chiamati a pronunciarsi in ragione di questa stessa
libertà.
Il 6 dicembre 1953, dodici anni prima del voto sulla Dignitatis Humanae (7 dicembre 1965), il Papa
Pio XII aveva proposto una esposizione completa e particolareggiata
della dottrina tradizionale relativa allo statuto giuridico,
nell’ordine sociale e civile, delle persone e delle comunità in
materia religiosa (Ci riesce,
Discorso ai giuristi cattolici italiani). Ora, questo documento
magisteriale, su questo punto cruciale della relazione tra
libertà e verità, si trova in contraddizione con la
Dichiarazione sulla libertà religiosa.
Il «dovere di
tolleranza» secondo Pio XII
Questo discorso è ben lungi dall’essere sganciato dalla
realtà di una società multiculturale e multireligiosa. Al
contrario: il Papa riflette in maniera molto precisa su queste
complesse questioni, cosa che lo porta a considerare una tolleranza
estremamente ampia degli errori religiosi, tale da poter diventare in
certi casi un obbligo. Egli ammette semplicemente che, nella
società umana, tutti gli errori non devono essere repressi,
tutte le mancanze non devono essere sanzionate. Pio XII afferma,
infatti: «Può darsi che in determinate circostanze Egli
[Iddio] non dia agli uomini nessun mandato, non imponga nessun dovere,
non dia perfino nessun diritto d'impedire e di reprimere ciò che
è erroneo e falso? Uno sguardo alla realtà dà una
risposta affermativa. (…) L'affermazione : il traviamento religioso e
morale deve essere sempre impedito, quando è possibile,
perché la sua tolleranza è in sé stessa immorale —
non può valere nella sua incondizionata assolutezza. (…) Il
dovere di reprimere le deviazioni morali e religiose non può
quindi essere una ultima norma di azione. Esso deve essere subordinato
a più alte e più generali norme, le quali in alcune
circostanze permettono, ed anzi fanno forse apparire come il partito
migliore il non impedire l'errore, per promuovere un bene maggiore. (…)
il non impedirlo [l’errore religioso] per mezzo di leggi statali e di
disposizioni coercitive può nondimeno essere giustificato
nell'interesse di un bene superiore e più vasto».
L’impossibilità assoluta
di riconoscere un «diritto all’errore»
Ma lo stesso Pio XII si preoccupa con cura di sottolineare che, anche
nell’ordine sociale e civile, il rapporto con la verità non
può mai essere omesso, eluso o rinviato alla mera coscienza
interna della persona umana, come fa invece Dignitatis Humanae in 1
§ 2. Ora, è esattamente questo rapporto dell’ordine sociale
e civile con la verità religiosa che viene eliminato dalla
Dichiarazione sulla libertà religiosa.
Dice Pio XII: «circa l'atteggiamento del giurista, dell'uomo
politico e dello Stato sovrano cattolico riguardo ad una formula di
tolleranza religiosa e morale (…) [è] da prendersi in
considerazione [che] ciò che non risponde alla verità e
alla norma morale, non ha oggettivamente alcun diritto né
all'esistenza, né alla propaganda, né all'azione».
E il Sovrano Pontefice precisa: «occorre affermare chiaramente:
che nessuna autorità umana, nessuno Stato, nessuna
Comunità di Stati, qualunque sia il loro carattere religioso,
possono dare un mandato positivo o una positiva autorizzazione
d'insegnare o di fare ciò che sarebbe contrario alla
verità religiosa o al bene morale. Un mandato o una
autorizzazione di questo genere non avrebbero forza obbligatoria e
resterebbero inefficaci. Nessuna autorità potrebbe darli,
perché è contro natura di obbligare lo spirito e la
volontà dell'uomo all'errore ed al male o a considerare l'uno e
l'altro come indifferenti. Neppure Dio potrebbe dare un tale positivo
mandato o una tale positiva autorizzazione, perché sarebbero in
contraddizione con la Sua assoluta veridicità e
santità».
UN RADICAMENTO NELLA
DIVINA RIVELAZIONE?
Con la Dichiarazione sulla libertà religiosa, il Concilio
Vaticano II intende insegnare la dottrina sacra relativa al
«diritto della persona umana e delle comunità alla
libertà sociale e civile in materia religiosa» e a tal
fine «questo Concilio Vaticano rimedita la tradizione sacra e la
dottrina della Chiesa» (DH
1 § 1). Tuttavia, il modo di procedere di Dignitatis Humanae, in
merito al rapporto tra la libertà religiosa com’essa la
definisce e la divina Rivelazione (fondamento e criterio d’insegnamento
della Chiesa), è estremamente curioso e del tutto problematico.
La libertà religiosa alla
luce della Rivelazione
In effetti, la Dichiarazione comincia con una esposizione sistematica e
completa di ciò che è e dev’essere, ai suoi occhi, la
libertà religiosa, quasi senza alcun riferimento. È solo
nel capitolo secondo che essa affronta finalmente l’argomento
scottante: tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici
nella Rivelazione divina (DH
9) ?
In effetti, però, in questo capitolo, solo quattro
sottocapitoli, di cui tre molto corti, affrontano in senso proprio la
questione della libertà religiosa della persona umana nella
società civile. Per di più, il numero 9, primo di questi
sottocapitoli, non è altro che una esposizione di principio,
senza riferimenti.
Degli argomenti a sostegno di
una parte, nessuno a sostegno dell’altra
Ora, la lettura di questi tre sottocapitoli porta rapidamente ad una
evidenza chiarissima: se Dignitatis
Humanae trova certo numerosi fondamenti biblici a sostegno di un
aspetto della sua dottrina sulla libertà religiosa, quello
pienamente accettato da tutta la Tradizione e relativo al fatto che
l’uomo non dev’essere costretto ad abbracciare la vera fede, di contro
essa semplicemente non apporta alcun argomento tratto dalla
Rivelazione, a favore dell’altro aspetto della sua dottrina che
francamente è nuovo, e cioè che l’uomo non dev’essere mai
impedito dal professare esteriormente una convinzione religiosa errata.
Si cerca, si esamina, si aspetta, si torna indietro, si ritorna avanti,
ma non v’è niente, nemmeno l’ombra di una citazione o di un
riferimento a favore di questa dottrina inusitata e sconosciuta.
Una confidenza significativa
E non si trova niente, semplicemente perché la Bibbia non dice
niente del genere. D’altronde, in un libro intervista a cui ha concorso
prima della sua morte, il cardinale Yves Congar ha confessato, quasi
innocentemente: «Io collaborai alla stesura degli ultimi
paragrafi della Dichiarazione sulla libertà religiosa. Si
trattava di dimostrare che il tema della libertà religiosa fosse
già presente nella Scrittura. Ora, non vi è
presente» (Éric Vatré, La droite du Père, La
Maisnie-Guy Trédaniel, 1994, p. 118).
In effetti l’anomalia più
stridente, ma anche la più irrimediabile, di questa
libertà religiosa insegnata dal Vaticano II nella sua parte
innovativa, è che essa manca di radicamento nella Scrittura.
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Ed ecco in atto la falsa dottrina sulla libertà religiosa portata avanti dalla Gerarchia modernista che oggi impera nella Chiesa Cattolica
:
COMUNICATO CONGIUNTO
DELLA SANTA SEDE E DEL GOVERNO DI SUA MAESTÀ
SULLA VISITA DELLA DELEGAZIONE MINISTERIALE
DEL GOVERNO BRITANNICO ALLA SANTA SEDE
Il 14-15 febbraio 2012 il Segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, S.E. Mons. Dominique Mamberti, ha ospitato i colloqui tra la Santa Sede e una Delegazione ministeriale del Governo britannico guidata dall’On. Baronessa Warsi. La visita a Roma della delegazione segue la visita di successo effettuata da Sua Santità Papa Benedetto XVI nel settembre 2010, e segna il 30° anniversario dello stabilimento delle piene relazioni diplomatiche tra il Regno Unito e la Santa Sede, nell'anno della visita di Papa Giovanni Paolo II in Gran Bretagna, la prima di un Pontefice regnante.
La delegazione ha inoltre incontrato il Segretario di Stato, Sua Eminenza il Cardinale Tarcisio Bertone, ed è stata ricevuta da Sua Santità Papa Benedetto XVI.
La Santa Sede e il Governo di Sua Maestà hanno concordato sulla necessità urgente di un'azione volta a rafforzare l'impegno universale in favore della libertà religiosa, quale diritto umano fondamentale, e alla sua applicazione pratica, al fine di promuovere il rispetto per tutte le religioni in tutti i Paesi. La Santa Sede e il Governo britannico desiderano lavorare insieme per combattere l'intolleranza e la discriminazione fondata sulla religione, ovunque essa si manifesti.
La Santa Sede e il Governo di Sua Maestà hanno ribadito la necessità di promuovere uno sviluppo globale integrale e sostenibile, basato sulla centralità della persona umana e fondato sul principio della dignità umana e del valore proprio di ogni persona. Molti progressi sono stati compiuti negli ultimi dieci anni nel migliorare la salute e il benessere di molte persone. Tuttavia, vi sono ancora lacune e sfide significative nel percorso lungo e complesso teso a garantire lo sviluppo umano integrale per tutti. Troppe persone sono ancora affamate, troppe non hanno accesso all'istruzione e ad un lavoro dignitoso, troppe donne muoiono durante il parto. Alla luce di queste sfide riconosciamo un obbligo condiviso di realizzare un equo contesto internazionale, finanziario e commerciale. E ci impegneremo per un futuro migliore per tutta l'umanità, tenendo conto in particolare la cura per le persone più povere del mondo.
In vista della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile a Rio de Janeiro nel giugno di quest'anno e del processo di attuazione della Convenzione quadro dell'ONU sui cambiamenti climatici, condividiamo la convinzione che, al fine di realizzare uno sviluppo globale sostenibile e centrato sull'uomo, vi è la necessità di continuare a rafforzare l'integrazione dei suoi pilastri economici, sociali e ambientali che sono interdipendenti e si rafforzano a vicenda, così come il legame tra la lotta alla povertà e la gestione dei cambiamenti climatici.
La Santa Sede e il Governo di Sua Maestà condividono l'impegno a lavorare nell’ambito delle Nazioni Unite e di altre sedi per rafforzare l'attenzione internazionale sulla prevenzione dei conflitti, sul disarmo, sul controllo degli armamenti e sulla non proliferazione, al fine di proteggere la vita umana e di costruire un mondo più rispettoso della dignità umana. Come parte di tale sforzo, auspichiamo risultati positivi ai negoziati finali, previsti nel prossimo mese di luglio, per concordare un efficace Trattato sul Commercio delle Armi con un ampio campo di applicazione, e alla seconda Conferenza di revisione del Programma delle Nazioni Unite sul Commercio Illecito di Armi Leggere e di Piccole Armi.
Per quanto riguarda i cambiamenti che sono avvenuti in Nord Africa e del Medio Oriente, la Santa Sede e il Governo di Sua Maestà hanno sottolineato l'importanza di intraprendere vere riforme negli ambiti politico, economico e sociale, per meglio garantire l'unità e lo sviluppo di ogni nazione, accogliendo le legittime aspirazioni di molte persone alla pace e alla stabilità. In questo contesto, si è fatto riferimento al ruolo che i Cristiani possono svolgere e all'importanza del dialogo interreligioso. La Santa Sede e il Governo di Sua Maestà hanno espresso la speranza di una ripresa dei negoziati in buona fede tra Israeliani e Palestinesi per conseguire una pace duratura. Inoltre, hanno rinnovato il loro appello per una fine immediata della violenza in Siria e hanno sottolineato la necessità di una cooperazione per superare l'attuale crisi e lavorare per una convivenza armoniosa e unita.
Mentre si avvicina la Conferenza di Londra sulla Somalia, la Santa Sede e il Governo britannico incoraggiano la comunità internazionale a sostenere una strategia coerente in Somalia, al fine di porre fine alla crisi, indicando come priorità la protezione e il benessere della popolazione del Corno d'Africa .
Il Governo di Sua Maestà ha accolto con favore il sostegno di Sua Santità Papa Benedetto XVI per il processo di riconciliazione in corso nell'Irlanda del Nord, per la creazione di istituzioni politiche stabili ed inclusive, e per gli sforzi volti a costruire un futuro pacifico, stabile e prospero per tutti i componenti della comunità. Il Governo di Sua Maestà e la Santa Sede hanno convenuto che l'uso della violenza per fini politici è deplorevole, e deve essere messo da parte in favore di un dialogo costruttivo per il benessere di tutta la comunità.
Mentre il Regno Unito si prepara ad ospitare i Giochi Olimpiaci e Paraolimpici di Londra e a festeggiare il Giubileo di Diamante di Sua Maestà la Regina, entrambe le parti auspicano un anno caratterizzato dallo spirito della Carta Olimpica e della Tregua Olimpica: al servizio dello sviluppo armonioso dell'uomo, con l’intento di promuovere una società pacifica interessata alla salvaguardia della dignità umana.
C'è stato inoltre un buono scambio di opinioni su una vasta gamma di questioni sociali, economiche, politiche e culturali, tra cui la promozione della collaborazione del Regno Unito con i Musei Vaticani. Entrambe le parti hanno riconosciuto in particolare il ruolo della fede e dell'educazione per lo sviluppo di una cultura della responsabilità sociale e il rafforzamento di una società sana. In questo contesto, è stato espresso apprezzamento per l'importante contributo che la Chiesa cattolica, e i Cristiani in generale, hanno fornito e continuano a fornire per il bene della società britannica. La Santa Sede ha sottolineato la necessità di garantire che le istituzioni legate alla Chiesa cattolica possano agire in conformità con i propri principi e convinzioni e ha ribadito la necessità di tutelare la famiglia fondata sul matrimonio, la libertà religiosa e la libertà di coscienza. Entrambe le parti desiderano di poter rafforzare ulteriormente le loro relazioni, lavorando insieme, attraverso le rispettive reti e partnership globali, compreso il Commonwealth delle Nazioni, per promuovere il bene comune.
molto diverso dal tenore del comunicato odierno della Santa Sede congiunto con il governo britannico.
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