lunedì 22 luglio 2013
SULLE NULLE E FALSE SANTIFICAZIONI VOLUTE DAI "CONDANNATI", IN QUANTO MODERNISTI-CONCILIARI...
Oramai è noto che tra qualche mese Giovanni Paolo II e Giovanni XIII verranno portati al massimo onore degli altari, sarebbe più giusto dire delle mense dato che gli assasini della fede conciliari hanno demolito quasi tutti gli altari cattolici e celebrano il loro culto modernista sempre sulle mense. in questo articolo metteremo in risalto la figura del cosidetto "Papa buono a nulla" affinchè si comprenda appieno la losca figura di Roncalli che ha dato inizio alla falsa Chiesa Conciliare che ha messo in ombra quella vera di Nostro Signore Gesù Cristo. Normalmente la Santificazione di un battezzato cristiano cattolico è un atto infallibile del Sommo Pontefice, quindi de fide, ma come i più sanno oggi viviamo in un tempo cattivo dove i pluri condannati hanno preso posseso della Santa Sede e procedono indisturbati nella loro nefanda opera di demolizione del cristianesimo santificandosi a vicenda come se nulla fosse. il fedele cattolico leggebdo questo libro "Nichita Roncalli" si renderà conto che Roncalli, al pari di Giovanni Paolo II, non è certo personaggio da portare, infallibilmente, agli onori delle mense, se poi si considera che per la cosidetta Santificazione del buono a nulla non si ha nemmeno il secondo miracolo richiesto fà ritenere questa elezione nulla e falsa.
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L'IMPOSTORE RONCALLI.
Carlo Alberto Agnoli parla della figura corrotta di Roncalli, con la massoneria, citando anche il libro "NichitaRoncalli"...
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“… il segno lasciato da
Roncalli nella storia dell’umanità supera di molto quello impresso dai
vari Lenin e Stalin. Infatti se quelli hanno liquidato qualche milione
di vite umane, Giovanni XXIII ha liquidato ben duemila anni di Chiesa
cattolica.” ( Fabrizio Sarazani, vaticanista)
a cura di Arai Daniele
Tra il libro “Nichitaroncalli» di Franco Bellegrandi, “Cameriere di Spada e Cappa di Sua Santità”, ora in seconda edizione con E.I.L.E.S., Roma, e l’altro libro di Arai Daniele in via di pubblicazione (con Christus Rex)
«Giovanni XXIII: un enigma epocale?», abbiamo alcuni spunti sulla
controvita di tale «Papa buono» che aprì la Chiesa ai suoi peggiori
nemici.
Cominciamo dalle sue indigenti idee moderniste viste dall’insospetto
Benedetto Croce, il quale, su «Il Giornale d’Italia» (15.X.07)
rispondendo al futuro apostata don Minocchi scrisse: “Il Modernismo
pretende di distinguere il contenuto reale del Dogma dalle sue
espressioni metafisiche che egli considera come cosa del tutto
accidentale, allo stesso modo che sono accidentali le varie espressioni
di linguaggio, in cui può venire tradotto un medesimo pensiero. E in
questo paragone è il primo e sommo sofisma dei modernisti. Infatti, è
verissimo che un medesimo concetto può essere tradotto nelle più varie
forme di linguaggio, ma il pensiero metafisico non è linguaggio, non è
forma di espressione: è logica ed è concetto. Onde un dogma tradotto in
altra forma metafisica, non è più lo stesso dogma, come un concetto
trasformato in altro concetto non è più quello.
“Liberissimi i modernisti di trasformare i dogmi secondo le loro
idee. Anch’io uso di questa libertà… Soltanto io ho coscienza, facendo
questo, di essere fuori della Chiesa, anzi fuori di ogni religione;
laddove i modernisti si ostinano a professarsi non solo religiosi, ma
cattolici.
“Che se poi, per salvarsi dalla necessaria conseguenza dell’assunto
principio, i modernisti, simpatizzando con i positivisti, con i
pragmatisti e con gli empiristi di ogni risma, addurranno che essi non
credono al valore del pensiero e della logica, cadranno di necessità
nell’agnosticismo e nello scetticismo. Dottrine, queste, conciliabili
con un vago sentimentalismo religioso, ma che ripugna affatto ad ogni
religione positiva”. Concludeva: “non ci capiterà facilmente un’altra
volta la fortuna di essere d’accordo con il Papa”.
Infatti, Croce non era cattolico, ma capiva quanto gli errori del
modernismo fossero frutto di pensieri contaminati dal peggiore
relativismo.
Tale spirito modernista, suscitato da qualcosa di molto segreto e
astruso, porta a una nuova religiosità, una specie di profetismo che
evoca «segni dei tempi», non riferibili alla spiritualità cristiana, ma a
un progresso indefinito dell’umanità; uno spirito di riconciliazione
gnostica e agnostica che ha attratto il modernista Roncalli a lavorare
per il suo ideale mondialista e umanitarista, convocando il Vaticano II.
La banda dei quattro modernisti a Roma
Si pone la domanda: chi era in verità Roncalli, destinato a divenire
Giovanni XXIII e occupare la cattedra di Vicario di Dio per il mutamento
della Chiesa? Qual era la sua fede nei segni divini nella storia?
Nel suo citato libro «I quattro del Gesù. Storia di una eresia»,
Giulio Andreotti racconta che Angelo Roncalli, Giulio Belvederi, zio
della moglie di Andreotti, Alfonso Manaresi ed Ernesto Buonaiuti erano
quattro seminaristi, stretti da amicizia e dalla comune visione
religiosa modernistica. Gli ultimi due hanno portato le loro idee
eretiche così avanti da essere censurati e scomunicati (Manaresi e il
Buonaiuti). Belvederi e Roncalli furono invece salvati dai loro
protettori, nel caso di quest’ultimo dall’allora vescovo di Bergamo
Giacomo Radini Tedeschi, in odore di modernismo. Un altro compagno di
Roncalli a Bergamo fu Nicola Turchi, che tradusse in italiano lo storico
Duchesne, anch’esso censurato.
Roncalli avrebbe dimostrato questo spirito durante tutta la sua lunga
carriera, nonostante sia pure certo che abbia prestato il giuramento
antimodernista. Si tratterebbe di uno spergiuro aggravato dal tradimento
modernista che scomunica un cattolico, ma no il «Papa buono»!
Ora, solo un apparato composto di chierici della sua stessa tendenza
ha potuto ignorare il sospetto fondato di spergiuro in questioni di
fede, sufficiente per squalificare qualsiasi cittadino, ma più ancora
per annullare qualsiasi possibilità di beatificazione.
In Bulgaria e in Turchia, lo strano nunzio Roncalli operò proprio al
contrario di quanto allora era insegnato nell’Enciclica «Quas primas»,
sulla regalità sociale di Gesù Cristo: la peste che infetta la società,
la peste del nostro tempo, è il laicismo. Ma Roncalli era per il
«principio basilare» della laicità dello stato: la Chiesa si guarderà
bene dall’intaccare o discutere questa laicità .
La Massoneria mirava a un «Papa buono» furbo e relativista
Sì perché la Chiesa doveva chiedere scusa per i suoi «peccati»
commessi in ogni tempo e direzione. In tal modo la nuova classe
clericale non doveva far altro che screditare la Chiesa del passato e al
limite, Gesù Cristo stesso, a favore della «bontà e comprensione» di
quella chiesa del presente e dei suoi «umilissimi» e «buonissimi»
pastori.
C’era «bisogno» di un chierico di “semplicità geniale”, come Jean
Guitton aveva definito Roncalli. L’ora opportuna si ripresentò col
conclave che seguì alla morte di Pio XII. Era l’occasione della scalata
finale alla Chiesa da parte dei poteri occulti che, per meglio dominare
il mondo materiale, avevano bisogno di una «chiesa globale». E Angelo
Roncalli da giovane si era dimostrato addatto a operare tale mutazione
religiosa sostenendo il principio che si deve cercare prima quel che
unisce piuttosto che le visioni soprannaturali, dogmatiche e storiche,
costitutive della Fede, come la Santissima Trinità, che invece dividono.
Come professore modernista gli era stato perciò interdetto d’insegnare
una storia priva di quel soprannaturale che fonda la religione, ma
divide. Ecco i connotati dello «spirito conciliarista» svelatosi nella
nuova «prassi pastorale», intenta a sostituire la professione di fede
della Chiesa, i suoi princìpi, norme e azione sociale, con l’«amore per
il mondo moderno»; amore che ha per norma l’umanitarismo, per speranza
l’evoluzione della coscienza, per carità il soggettivismo che adatta i
Vangeli ai «bisogni» dei tempi; e questa «nuova pastorale» si svolge con
una nuova liturgia orizzontale, ecumenista e mondialista, tutte
contraffazioni modernistiche per introdurre subdolamente nella Chiesa lo
spirito del relativismo ecumenista, foriero del nuovo ordine mondiale
voluto ora da Benedetto XVI.
Divenuto Giovanni XXIII, Roncalli attuò subito «il metodo di don
Beauduin… quello buono», ecumenista, mettendo in moto la macchina
conciliare chiamata a «consacrare» il relativismo ecumenista. Così ha
operato nel senso di promuovere quella liturgia… per una nuova
uguaglianza tra le chiese. Tre giorni prima dell’indizione del Vaticano
II, Roncalli confidò ad Andreotti: “Molte delle anticipazioni di allora
[del modernismo] erano poi divenute feconde realtà. Il Concilio le
avrebbe costituzionalizzate” («I quattro del Gesù Storia di un’eresia»,
pagina 104). Ecco la conferma testimoniale di quale sia, sin dalle sue
origini, l’ «intenzione conciliare» di Giovanni XXII, che continua a
essere predicata come cattolica. Lo vediamo anche da come si esprimeva
il cardinale Ratzinger ieri e da come lo fa oggi Benedetto XVI, riguardo
al programma del Vaticano II iniziato da quel suo predecessore. Di tale
«aggiornamento» l’allora prefetto della Congregazione per la Fede, è
stato tanto promotore quanto esecutore, avendo rivelato a Vittorio
Messori («Inchiesta sul Cristianesimo», SEI, Torino, 1987, pagina 152):
«Il problema degli anni sessanta era di acquisire i migliori valori
espressi in due secoli di cultura liberale. Ci sono, infatti, dei valori
che, depurati e corretti, anche se nati fuori della Chiesa, possono
trovare il loro luogo nella visione del mondo. Questo é stato fatto»
(con il Vaticano II).
Dai primi giorni del suo pontificato Roncalli sconvolse, come mai
prima era avvenuto, la vita tradizionale del Vaticano. Con battute
spiritose si rese il protagonista della cronaca e personaggio di prima
pagina dei giornali del mondo. La grande comunicazione passò a disporre
di un pastore giocondo secondo i suoi bisogni perché solito scherzare
sugli argomenti più seri e sacri. L’atteggiamento di fiducia nel mondo e
nelle proprie forze, che traspariva nell’«ottimismo» di Roncalli, già
indicava un pensiero con radici pelagiane, che fu notato nel mondo
cattolico ed espresso da alcuni noti scrittori.
«Qualcuno in Vaticano aveva definito Giovanni XXIII l’Ermete Zacconi
(attore della fine del secolo che passava dal dramma alla commedia)
della Chiesa moderna, per quella sua innata abilità di presentarsi sotto
gli aspetti più disparati. Roncalli infatti aveva due volti che
dominava perfettamente. Quello per tutti e per l’ufficialità, amabile e
semplice, l’altro,quello che contava tremendamente, fermo e deciso,
ostinato e definitivo. A tratti, a chi gli stava a un metro di distanza,
poteva capitare di afferrare, dietro la maschera bonaria e al sorriso
per tutti, un lampo del volto autentico. In una boutade nel corso di una
conversazione, in un cenno delle sue mani… erano le rivelazioni del suo
carattere che sapeva essere duro, a volte, fino a sfiorare la
spietatezza». Padre Pio «Un esempio ignoto ai più: sobillato dai suoi
consiglieri negò al povero padre Pio la benedizione apostolica in
occasione del cinquantesimo sacerdotale del frate, nell’agosto 1960, e
gli impedì di impartire ai fedeli accorsi a San Giovanni Rotondo la
benedizione papale. L’anticomunismo del cappuccino dalle stimmate era
ben noto in Vaticano, e la Casa ‘Sollievo della Sofferenza’ il grande
ospedale realizzato con le offerte da tutto il mondo, solleticava la
cupidigia ardente di tanti tonacati». («Nichitaroncalli», pg. 180)
La politica comunisteggiante di Giovanni XXIII
Per ricordare la politica di Roncalli riprendiamo la testimonianza di Franco Bellegrandi nel suo «NichitaRoncalli».
«Dopo la «Pacem in terris», la visita degli Ajubei in Vaticano e le
elezioni italiane del 28 aprile 1963 che videro i comunisti guadagnare
un milione di voti rispetto alle elezioni politiche di cinque anni
prima, Papa Giovanni ricevette un certo John McCone, arrivato in aereo a
Roma dagli Stati Uniti un paio di giorni prima. L’udienza fu annotata
sul bollettino ufficiale della Santa Sede, ma nessuno degli osservatori
vaticani, allora, ci fece caso. Qualche tempo dopo si seppe nella
stretta cerchia della famiglia pontificia chi fosse quel personaggio e
si scoprì che era un capo servizio delle “informazioni segrete” degli
Stati Uniti, un alto funzionario della CIA. Quando venni a sapere
l’identificazione di quel misterioso americano, un altro piccolo spazio
vuoto del vasto e poliedrico mosaico giovanneo tracciato negli appunti
dei miei tacquini, ebbe finalmente il suo tassello chiarificatore.
Infatti, proprio verso i primi di maggio del 1963, se ben ricordo, al
termine di una cappella papale, mentre mi avviavo all’uscita laterale
della basilica, insieme al cardinale Tisserant che era in gruppo con i
cardinali Speilman e Mclntyre, sentii Spellman esprimere all’arcivescovo
di Los Angeles le sue preoccupazioni per un passo urgente che il papa
gli aveva ordinato di compiere presso la Casa Bianca “…because after
receiving that personality, the pope have had the impression to be
controlled by american cops and he absolutely did not tolerate…”. Adesso
quella battuta si coloriva di un suo significato. Così pure alla luce
del poi assunsero una loro precisa dimensione quei brani di
conversazione fra il papa e monsignor Capovilla, che mi fecero a lungo
riflettere. Il papa parlava di Kruscev. “Bisogna amarlo e aiutarlo
quell’uomo”, diceva, “perché forse è l’anello di congiunzione che da
tanto tempo aspettavamo fra il comunismo e il cristianesimo… Gesù
Cristo, anche lui, a suo modo, era un comunista bello e buono… e fu
vittima dell’imperialismo romano… quante analogie con oggi… si, bisogna
pregare il Signore per Kruscev… bisogna che ci avviciniamo a lui il più
possibile.., a lui e alla Russia sovietica che sarà la protagonista..,
del futuro del mondo…”. Quel giorno, appena terminato il servizio,
mentre la Chrysler nera della Corte mi riaccompagnava a casa, annotai
sul tacquino, come era mia abitudine, quelle parole di Giovanni XXIII
che mi schiudevano un orizzonte che in quei giorni ancora non avevo ben
messo a fuoco, ma i cui contorni andavo lentamente identificando con
crescente stupore. Poche settimane dopo quel mercoledi, da Luciano
Casimirri, direttore del Servizio Stampa Vaticano, seppi l’intenzione
del papa di invitare in Vaticano il giornalista russo Ajubei genero di
Krusciov. Misi immediatamente in relazione quella notizia d’anteprima
con le parole di Giovanni XXIII, quel mercoledi di udienza generale.I
giorni trascorsero uno dopo l’altro, poi, la notizia del ricevimento di
Ajubei fu data ufficialmente e il genero di Krusciov fu ricevuto dal
papa. In quei giorni, in uno di quei soliti discorsetti domenicali dalla
finestra, Giovanni XXIII disse alla gente raggruppata in piazza San
Pietro in attesa della benedizione: “…amate Krusciov, Dio lo ama…” gli
rispose il delirio dei comunisti italiani. Si rese conto Giovanni XXIII
di come fu strumentalizzata dal PCI la sua opera e la sua persona?
Certamente sì. Perché per un lungo tratto la sua politica spiano
studiatamente la strada al comunismo in Italia, e in generale, alle
sinistre nel mondo occidentale. Anzi, sembra evidente che ogni sua
azione, ogni sua parola, ogni suo gesto, sia stato calcolato con
assoluto tempismo da Roncalli proprio perché fosse strumentalizzato,
fino alle sue più estreme conseguenze, dai comunisti. Sul finire del suo
pontificato, probabilmente Roncalli ebbe qualche attimo di ravvedutezza
critica nei confronti della sua politica rivoluzionaria e
filocomunista…
«Analizzando i fatti di quel breve scorcio di anni in cui si centra
il pontificato rivoluzionario di Giovanni XXIII, sembra che la Storia si
sia data appuntamento con Roncalli, spianando la strada, nel grande
insieme del giuoco politico internaziona le, alla realizzazione del suo
programma. Negli Stati Uniti, il presidente Kennedy non aveva trovato da
ridire al programma che le sue “teste d’uovo” avevano preparato per
l’Italia. Non pareva giusto, a costoro, che l’Italia, liberata anche a
costo di sangue americano dal fascismo, continuasse a essere governata
da un partito, il democratico cristiano di quei tempi, caratterizzato da
una solida impostazione di centro-destra saldamente ancorata al
conservatorismo vaticano. E avevano suggerito al giovane ed entusiasta
presidente, l’esportazione, in Italia, di quella formula di
centrosinistra che, scompigliando i loro calcoli, avrebbe aperto la via
all’avvento del comunismo nell’area di potere di quel Paese. La formula,
studiata in tutti i possibili dettagli dagli esperti della Casa Bianca,
fu spedita ben confezionata in Italia. E piovve, come il cacio sui
maccheroni,proprio nel momento piu opportuno, in cui, appunto Giovanni
XXIII cominciava ad “aprire” al marxismo, e le parole “distensione” e
“dialogo” sembravano le formule magiche indispensabili per risolvere
tutti i contrasti e tutte le problematiche con l’Est comunista. La
democrazia cristiana italiana, detentrice del potere dalla conclusione
del ventennio fascista fino ad allora, fiutando le nuove direzioni del
vento, d’oltre Atlantico e d’oltre Tevere, e soprattutto preoccupata,
come è buona norma di tutti i partiti politici di quasi tutte le
democrazie “approssimative” che rallegrano l’uomo moderno, a mantenere a
tutti i costi la sua egemonia, varo subito quella formula semplicemente
inconcepibile per l’Italia di allora. Il Vaticano aveva scelto Amintore
Fanfani, come il politico più adatto, secondo lui, a realizzare
l”apertura” a sinistra. Quella scelta era stata il frutto di una accorta
e abilissima opera di persuasione esercitata dai “monsignori scaltri”
di Loris Capovilla e dai “nunzi laici” del “visionario” sindaco di
Firenze, La Pira.
«Perché l’uomo dei nostri giorni dimentica con tanta facilita? Perché
l’uomo della strada non va a rileggersi le collezioni dei giornali?
Quante menzogne salterebbero fuori e quanti politici si meriterebbero la
qualifica di falsari. Ricordo con esattezza quei tempi. Quando si
cominciò a parlare di centro-sinistra, in tutti i circoli più
attendibili della nazione si considerava semplicemente follia la
realizzazione di una eventualita del genere. Ci si rideva addirittura
sopra. Ma dietro alle quinte, lontano dagli occhi dell’opinione
pubblica, si lavorava, e come, per imporre la nuova formula. Gli Stati
Uniti avevano dato ingenuamente il “la”. Il Vaticano roncalliano, come
era ovvio, appoggio con tutto il suo rilevantissimo peso, l’iniziativa
politica. Comunisti e socialisti – questi ultimi avrebbero spartito il
potere coi democraticicristiani, diventando le punte avanzate del PCI al
governo, premettero con tutta la loro forza in quella direzione. E una
mattina gli italiani si svegliarono col centro-sinistra bello che fatto.
Fanfani era stato il realizzatore ufficiale, da parte
democraticocristiana, della storica pensata, legando il suo nome alla
iniziativa politica che avrebbe portato l’Italia allo sfacelo dei giorni
nostri, e Capovilla manovro con lui e con un altro ristretto entourage
di marxisti cattolici italiani per tirar fuori a forza, col forcipe,quel
tristo e mal nato esperimento da una Italia che era stata purcapace di
quel miracolo economico che aveva fatto stupire il mondo. E che da quel
preciso momento cominciò inesorabilmente a tramontare, su un fosco
orizzonte di crisi economica, di scioperi e di violenze. Come si vede,
nessun momento storico sarebbe stato più propizio di quello, per la
politica rivoluzionaria di Roncalli. Egli portò a Roncalli, quel momento
storico, su un gran piatto d’argento, l’opportunità da tanto
accarezzata, di stabilire finalmente contatti diretti e amichevoli con i
rappresentanti ufficiali dei senza Dio.
Ancora una volta, guarda il caso, gli Stati Uniti: nelle prime fasi
di disgelo e dell’avvicinamento fra Vaticano e mondo sovietico,aveva fra
gli altri,avuto una parte importante un giornalista americano, tale
Norman Cousins, direttore della “Saturday Review”, amico personale di
John Kennedy. La missione mediatrice di Cousins cominciò ad Andover, nel
Maryland, nell’ottobre del 1962, durante la crisi di Cuba. La cittadina
americana era l’unico luogo al mondo nel quale scienziati statunitensi e
scienziati sovietici si trovavano insieme per un congresso. Cousins,
ricevuto un messaggio di Kennedy, fece da tramite fra un prete
cattolico, padre Felix Morlion, e i sovietici Shumeiko e Feodorov,amici
di Kruscev. Dal contatto fra il religioso e i due russi scocco la
scintilla del messaggio di pace di Giovanni XXIII, al cui messaggio
taluni fanno attribuire l’improvviso invertimento di rotta delle navi
sovietiche che puntavano sulle Antille con i cannoni pronti a sparare. A
questo punto Cousins era entrato nel giuoco e volentieri continuo ad
agire come mediatore tra il Vaticano e l’Unione Sovietica.
«Era in Vaticano ai primi di settembre del 1962. Dovendosi recare a
Mosca, chiese ai monsignori Dell’Acqua e Igino Cardinale, che con i
cardinali Cicognani, Bea, Koening, il nunzio in Turchia Lardone e poi
Casaroli furono fra i piu stretti collaboratori di Giovanni XXIII nella
politica distensiva verso l’Est, quale fosse a loro avviso l’iniziativa
che si potesse chiedere a Kruscev per l’apertura di un dialogo. I due
prelati, che erano al corrente dei passi compiuti dal cardinale Testa
presso Borovoi e Kotilarov al Concilio risposero: “La liberazione
dell’arcivescovo Slipyi”. Il 13 dicembre 1962 Norman Cousins fece il suo
ingresso nello studio di Kruscev al Cremlino. Dal rapporto che poi
Cousins consegno a papa Giovanni è possibile ricostruire nei particolari
l’incontro. La conversazione cominciò sul filo dei ricordi familiari e
di brevi battute scherzose. Poi Kruscev disse: “Il Papa ed io possiamo
avere opinioni divergenti su molte questioni, ma siamo uniti nel
desiderio della pace. La cosa piu importante è vivere e lasciar vivere.
Tutti i popoli vogliono vivere e tutti i Paesi hanno il diritto di
vivere. Specie oggi che la scienza può fare un bene immenso e un male
immenso”.
«Il colloquio si protrasse per tre ore. Alla conclusione, la sostanza di esso fu fissata in cinque punti:
“1) La Russia desidera la mediazione del papa e Kruscev ammette che
non si tratta solo di mediazione utile all’ultimo momento di una crisi,
ma anche del continuo lavoro del papa per la pace;
2) Kruscev desiderauna linea di comunicazione attraverso contatti
privati con la Santa Sede; 3) Kruscev riconosce che la Chiesa rispetta
il principio di separazione fra Stato e Chiesa in diversi stati; 4)
Kruscev riconosce che la Chiesa serve tutti gli esseri umani per i
valori sacri della vita e che non si interessa soltanto dei cattolici;
5) Kruscev riconosce che il papa ha avuto un grande coraggio ad agire
come ha agito, sapendo che il papa stesso ha problemi all’interno della
Chiesa, come Kruscev ha problemi all’interno dell’Unione Sovietica”.
«Roncalli lesse il documento e di suo pugno vi traccio a margine:
“Letto da Sua Santità (!) nella notte 22-23/XII/962”. Si potrebbero
scrivere volumi per commentare e contestare, fatti alla mano, una per
una, le parole dette da Kruscev in quel suo incontro col giornalista
americano. Il totale asservimento della Chiesa del Silenzio allo stato
comunista, di lì a pochi anni, accettato e riconosciuto dal Vaticano,
l’invasione della Cecoslovacchia da parte degli eserciti del Patto di
Varsavia, la persecuzione degli ebrei, dei dissidenti rinchiusi nei
manicomi e nei lager, parlano da soli e gridano “bugiardo!” a Nikita
Kruscev. Dal giorno di quell’incontro trascorse un mese. Il 25 gennaio
1963 alle ore 21 l’ambasciatore sovietico in Italia, Kozyrev, consegnava
a Fanfani una nota da parte di Kruscev con la preghiera di comunicarne
il contenuto in Vaticano. Nella nota si diceva che all’arcivescovo
Slipyi era stata concessa la libertà. Ma da parte sovietica si
chiedevano garanzie: soprattutto quella di non sfruttare a fini di
propaganda antisovietica il presule restituito. Quando il vescovo
ucraino, ridotto il fantasma di se stesso dalla disumana prigionia nel
lager sovietico, scese dal treno, nella stazione di Roma, sotto alla
pensilina, ad attenderlo, c’era solo il segretario di Roncalli, il
marxista Loris Capovilla.
«Come accadde, anni dopo, al Primate d’Ungheria, cardinale
Mindszenty, fatto tornare a Roma con un inganno per essere destituito da
Montini, ligio all’ultimatum di Kadar, quell’eroico vescovo ucraino fu
emarginato nel silenzio. Visse isolato nella sua piccola comunita sulla
Via Aurelia, alle porte di Roma. In alcune stanze del Collegio Ucraino
di piazza degli Zingari ignoto ai piu, sono conservati sotto vetro gli
stracci e i poveri oggetti personali con cui l’arcivescovo Slipyi visse e
soffrì la sua prigionia in Siberia.
«Nikita Kruscev aveva gettato l’amo. L’esca ignara era quella larva
di uomo di Slipyi. Subito, Roncalli abboccò. Attraverso quei “contatti
privati” auspicati dal russo, arrivo al Cremlino l’invito del papa alla
figlia del premier sovietico Rada e a suo marito, il giornalista Alexei
Ajubei, direttore dell’«Izvestia», di recarsi da lui, in Vaticano. Fu
una botta dritta alla Roncalli anni venti. La parte più conservatrice
del Vaticano insorse e fece sapere al papa la propria disapprovazione.
Il cardinale Ottaviani gli espresse, in un drammatico tu per tu il
proprio dissenso. Roncalli non ascoltò nessuno e marciò dritto sulla sua
decisione. Nel marzo di quell’anno i due coniugi russi dietro a cui si
muove la lunga mano del Cremlino mettono piede in Vaticano. Il comunismo
internazionale esulta, il PCI è alle stelle. I due ospiti si
intrattennero col papa, nella sua biblioteca, senza che nessun membro
del collegio cardinalizio fosse presente al colloquio. Quella visita
farà da “pendant” all’altra di qualche anno più tardi, quando – nel
giorno del Corpus Domini! – Paolo VI accoglierà a braccia spalancate
l’ungherese Kadar, e stringerà fra le sue le mani insanguinate del boia
di Budapest. Per qualche giorno la polemica infuria in Vaticano.
«Alla fine la grossa mano del prete di Sotto il Monte si abbatte a
ridurre i più coraggiosi al silenzio. Il 20 marzo 1963 Roncalli scrive:
“L’assoluta chiarezza del mio linguaggio, dapprima in pubblico e poi
nella mia biblioteca privata, merita di venir rilevata e non sottaciuta
artificialmente. Bisogna dire che non c’e bisogno di difendere il Papa.
Ho detto e ripetuto a Dell’Acqua e Samorè che si pubblichi la nota
redatta da padre Kulic (l’interprete), l’unico testimone della udienza
concessa a Rada e Alexei Ajubei. La prima sezione non ci sente da questo
verso e me ne dispiace”. Quando un papa scrive che una cosa “lo
dispiace”, vuoi dire che quella cosa l’ha terribilmente irritato.
«l 22 novembre di quell’anno, a Dallas un cecchino aveva posto
termine alla vita del presidente Kennedy. Gli era succeduto Lyndon
Johnson che aveva tirato le briglie rimettendo al trotto riunito il
galoppo del suo predecessore che correva a rompicollo sulla via di una
illusoria, pericolosa nuova politica mondiale. E, puntuale, dopo la
visita dei familiari di Kruscev a Roncalli, la “Pacem in Terris” e le
elezioni italiane, la CIA varcherà, come s’e detto, il Portone di
Bronzo. Ma Giovanni XXIII non si arresta. Anzi, quel tentativo U.S.A. di
mettere il morso, come a un cavallo che ha preso la mano, al papa,
irrita Roncalli e lo fa correre con maggiore precipitazione sulla sua
strada. Vuoi ricevere, adesso Nikita Kruscev. L’incontro e preparato con
una serie di contatti coperti dalla segretezza diplomatica e dal piu
stretto riserbo del Vaticano. I due figli di contadini dovranno
stringersi la mano un giorno memorabile di quell’estate 1963. Anche
questa volta, un’agenzia di stampa tedesca capta il “bisbiglio” e spara
al mondo la notizia, che suscita reazioni vastissime e non sempre
positive. Il quotidiano romano “Il Tempo” scrivera a questo proposito il
20 marzo 1963 che “… nei circoli vaticani si è espressa una certa
meraviglia riguardo al termine di ‘coesistenza tattica’ con il quale
l’agenzia tedesca definisce lo scopo dell’incontro fra Giovanni XXIII e
Nikita Kruscev. Si fa notare che nessuna “tattica comune” sarebbe
possibile fra il Vaticano e la Russia, mentre “la coesistenza non è né
tattica né strategica, ma semplice riconoscimento della esistenza
reciproca che può essere o non essere accompagnata da contatti fra le
parti”.
«E, sempre sullo stesso argomento, la rivista dei Gesuiti
statunitensi, “America” scrivera che non vi sono ostacoli di principio
allo stabilimento di relazioni fra il Vaticano e i sovietici: “Il papa e
i suoi collaboratori sentono, dall’altra parte, acutamente le necessità
della Chiesa universale, e gli speciali problemi dei Paesi dominati dal
comunismo”. Ma la morte, in gara col tempo e con i frenetici programmi
di Giovanni XXIII vinse di varie misure. Quella visita memorabile non ci
fu più. Rimase per traverso anche a Nikita Kruscev che ormai
considerava Roncalli un prezioso strumento per l’espansione “pacifica”
del comunismo nel mondo occidentale. Tanto che in un’intervista concessa
al giornalista americano Drew Pearson subito dopo la firma del patto
nucleare, e pubblicata il 29 agosto 1963 dal quotidiano di Düsseldorf,
“Mittag”, il premier sovietico così si espresse su Roncalli: “Il defunto
papa Giovanni era un uomo del quale si poteva dire: “Egli sentiva il
polso del tempo. Era certamente più saggio del suo predecessore e capiva
l’epoca nella quale viviamo”. Per un capo di stato sovietico non è
poco! Ma ormai l’esaltazione rivoluzionaria ha preso la mano a Roncalli.
Il giorno di giovedì santo, 11 aprile 1963, viene resa nota la sua
enciclica “Pacem in Terris”. L’Enciclica papale segnerà la fortuna del
PCI. Alle Botteghe Oscure dove già erano noti alcuni passi piu scottanti
del documento, la leggono tutta d’un fiato ed esultano.
«Al Cremlino non si crede ai propri occhi, leggendo il testo
immediatamente tradotto e divulgato alle direzioni per gli “affari
religiosi”. Roncalli da quel momento è il papa dei comunisti. Il partito
comunista italiano fa stampare a sue spese e diffondere milioni di
copie del Capitolo V dell’Enciclica, che si rivolge, per la prima volta
nella storia di questi documenti pontifici, non soltanto all’Episcopato,
al clero e ai fedeli della Chiesa di Roma, ma anche a “tutti gli uomini
di buona volonta”. La lettera enciclica che abbattera l’ultimo
diaframma che separa cristianesimo e marxismo segna, storicamente,
l’inizio del confondersi insieme delle due dottrine e del grande
equivoco che minerà le fondamenta della Chiesa. L’invito al dialogo è
esplicito nei passi in cui l’Enciclica dice”… chi in particolare momento
della sua vita non ha chiarezza di fede, o aderisce ad opinioni
erronee, può essere domani illuminato e credere alla verità. Gli
incontri e le intese, nei vari settori dell’ordine temporale, fra
credenti e quanti non credono o credono in modo non adeguato, perché
aderiscono ad errori, possono essere occasione per scoprire la verità e
per renderle omaggio.
«E la sdrammatizzazione del pericolo marxista vibra e s’innalza la
dove il documento giovanneo spiega con rasserenante bonomia che “… va
altresi tenuto presente che non si possono neppure identificare false
dottrine filosofiche sulla natura, l’origine e il destino dell’universo e
dell’uomo, con movimenti storici a finalità economiche, sociali,
culturali e politiche, anche se questi movimenti sono stati originati da
quelle dottrine e da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione.
Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le
stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche
incessantemente evolventisi, non possono non subire gli influssi e
quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi”.
Mentre il riconoscimento del valore del marxismo nella misura in cui
concorre a risolvere i problemi dell’umanità, Roncalli lo esprime subito
appresso, là dove scrive: “inoltre chi può negare che in quei
movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta
ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona
umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?” E
segue, immediato, l’esplicito invito all’incontro, al dialogo,
all’accettazione: “Pertanto, puo verificarsi che un avvicinamento o un
incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo,
oggi invece sia o lo possa divenire domani”.
In quel periodo, un parroco cosi scriveva al periodico “Settimana del
Clero”: “…I comunisti nei loro appelli giunti in tutte le case hanno
ripetuto con grande gioia: “Vedete, il Papa è con noi. Questo lo ha
detto nella sua ultima enciclica. Poi, non lo sapete? Ha ricevuto il
genero e la figlia di Kruscev e ormai tra cristianesimo e comunismo la
pace è fatta.. Votate per noi che rispetteremo i vostri sentimenti”.
Fuori delle chiese, attivisti comunisti, con fare compunto,
distribuirono il seguente volantino:
“Cattolici e comunisti: è possibile incontrarsi. Una svolta di grande
significato va maturando in questo periodo al vertice della Chiesa
cattolica. In numerosi discorsi, e soprattutto in occasione del Concilio
ecumenico, il Pontefice Giovanni XXIII ha sottolineato questi elementi:
1) l’esigenza di un grande e sincero impegno di tutti per salvare la
pace, per stabilire un clima di convivenza e di reciproca comprensione
fra tutti i popoli senza distinzione di fede religiosa, di tendenze
ideologiche, di sistema sociale; 2) la necessità di abbandonare le
vecchie crociate anticomuniste, di superare l’epoca delle scomuniche per
ricercare nel dialogo, “nella misericordia anziché nella severita”
(come ha detto appunto il Papa) la via che consente all’umanità di
allontanare dalla propria testa la minaccia di una catastrofe atomica;
3) la tendenza a non impegnare direttamente la Chiesa nelle competizioni
politiche, al contrario di quanto è avvenuto in passato, allorché il
Clero e l’Azione Cattolica arrivavano ad identificare la religione con
un solo partito e utilizzavano anche il pulpito per imporre il voto alla
democrazia cristiana. Ajubei dal Papa. Il nuovo spirito che anima la
Chiesa ha avuto una conferma nella cordiale simpatia con cui nei giorni
scorsi il Papa ha ricevuto in Vaticano uno dei massimi dirigenti
dell’URSS, Alexei Ajubei. Pur partendo da diverse posizioni ideologiche,
cattolici e comunisti possono e debbono incontrarsi per allontanare la
minaccia di un conflitto atomico, per instaurare un nuovo clima di
distensione e di progresso… La realtà di oggi, la stessa svolta, in atto
nella Chiesa, dimostrano che i tempi cambiano e che oggi più di ieri è
possibile battere la conservazione per rinnovare il paese in senso
democratico e socialista. Cammina coi tempi, cammina con noi. Vota
comunista”.
«La trappola del “comunismo clericale” era, adesso, pronta e tesa
nella direzione dei “comunistelli delle sagrestie”, sempre smaniosi di
intrecciare dialoghi, alla continua ricerca della collaborazione con i
marxisti, pungolati dal complesso d’inferiorità verso i “laici aperti”
e, ben presto, quella trappola scatto, imprigionando democristiani e
cattolici nel giro vizioso del “frontismo”. Tanto per citare uno dei
mille esempi che prepararono il clima del “comunismo clericale”, a
Vicenza i giovani comunisti affissero manifesti del seguente contenuto:
“Le barriere della paura e della diffidenza cominciano a cadere. Il
sindaco cattolico di Firenze (La Pira) accoglie il sindaco comunista di
Mosca… In tutto il mondo si sviluppano iniziative per favorire la causa
della distensione internazionale… Insieme oggi? Noi giovani comunisti e
cattolici dobbiamo agire nell’interesse della nostra patria e della
causa della distensione internazionale.., grandi responsabilità sono di
fronte a noi giovani comunisti e cattolici…”.
«E i dirigenti nazionali del PCI scrissero, con la piu viva chiarezza:
“Bisogna comprendere che, quando il nostro partito parla di un’intesa
con i cattolici, non lo fa per disporre di facili ritorsioni polemiche,
per fini esclusivamente di parte, ma perché di questa intesa ha bisogno
la classe operaia e il popolo italiano, la causa della pace, della
democrazia e del socialismo… affinché si possa mandare avanti con piu
forza e con maggiore ampiezza la nostra azione unitaria”.
«Uno dei più “duri” parlamentari del PCI, Arturo Colombi, non indugiò
a prender la penna, allora, per scrivere una esaltazione delle ACLI, il
sindacato cattolico, i cui capilega e attivisti si erano trovati
insieme a quelli del sindacato unitario (comunista) a organizzare e
dirigere la lotta… Gomito a gomito si erano trovati nelle assemblee,
organizzate negli Oratori e nelle Camere del Lavoro, nei comizi… E certo
che molte prevenzioni sono cadute da una parte e dall’altra e che una
nuova atmosfera di fraterna fiducia e nata nel fuoco della lotta”. Per
far si che la trappola tesa ai cattolici, in sincronia perfetta con
l’azione politica di Giovanni XXIII, funzionasse nel modo più efficace e
totale, lo stesso segretario del PCI, Palmiro Togliatti se ne uscì con
questa affermazione: “Vogliamo sottolineare l’enorme portata ideale e
pratica del riconoscimento, esplicitamente fatto da questo Pontefice,
che alla pace, alla comprensione e collaborazione fra i popoli si può e
si deve giungere anche quando si parte da posizioni diverse e lontane.
«La liquidazione operata in questo modo di vecchi ingombranti
ostacoli alla conquista della pace e dell’amicizia fra tutti gli uomini,
e stato un servizio inestimabile reso a tutto il genere umano e di cui
tutti debbono essere grati all’opera illuminata di questo Pontefice”.
Parole abili, pronunciate con tempismo ben calcolato, dalla vecchia
volpe comunista che pure non ha avuto indugi a scrivere, rivelando i
suoi autentici convincimenti, su “Momenti della Storia d’Italia”, in
merito alla collaborazione fra Stato laico e Chiesa cattolica:
“Consapevole del nuovo reale pericolo che minaccia la società
capitalistica, del pericolo della ribellione delle masse lavoratrici, la
Chiesa cattolica, dopo aver assimilato una parte del metodo liberale,
assimila una parte del metodo socialista e si pone… sul terreno della
organizzazione delle masse lavoratrici, della mutualita,della difesa
economica, del miglioramento sociale… Su questo nuovo piano non soltanto
i rapporti fra lo Stato e la Chiesa si configurano in forme nuove, ma
si precisano la figura e la funzione della Chiesa stessa e del papato
come forze che lottano per la difesa dell’ordine capitalistico ,ora in
prima linea, ora come riserva, ora con una tattica, ora con l’altra, a
seconda delle circostanze e della particolare situazione internazionale e
di ogni paese, ora coprendosi di una maschera democratica, ora
mostrando apertamente un volto reazionario. Questo, oggi, e il vero
potere temporale dei Papi”.
«Diciasette giorni dopo la promulgazione dell’Enciclica applaudita
dai marxisti, si svolsero le elezioni in Italia. La risposta
inequivocabile alla “Pacem in Terris” fu l’aumento di un milione tondo
di voti per il partito comunista, rispetto alle elezioni politiche di
cinque anni prima.
«La distensione intrapresa all’Est, l’udienza degli Ajubei in
Vaticano, la “Pacem in Terris” a diciasette giorni dalle elezioni
politiche in Italia: Tre colpi di maglio formidabili dell’escalation
roncalliana che butteranno all’aria l’equilibrio politico italiano e
rimbomberanno sull’Europa, come il primo, lungo, fragoroso tuono,
foriero di tempesta. Come si può non pensare a un preciso programma
studiato a tavolino e concordato nei suoi più piccoli particolari? Quel
primo risultato, quel milione di voti “regalato” con una bella
benedizione ai rappresentanti dell’ateismo ufficiale, insieme a
quell’enciclica che sarà la chiave che servirà a spalancare la porta
inviolata della cittadella cristiana alla penetrazione dei senza Dio,
fara aprire gli occhi a quanti ancora si illudono. A quanti ancora si
rifiutano di pensare e di credere a un programma di sovversione graduale
e rapido. Fatto di colpi di mano. Uno diverso dall’altro. Ma tutti
diretti verso lo stesso obiettivo. La trasformazione della Chiesa in un
organismo essenzialmente sociologico, in linea con le più avanzate
teorie sociologiche e antropologiche dei nostri giorni. Quando sarà noto
l’esito di quelle elezioni, una folla di scalmanati sventolanti
bandiere rosse si accalcherà in Piazza San Pietro acclamando Giovanni
XXIII. Un’altra pagina della Storia era stata voltata, con un gran
fruscio e una lunga, gelida ventata d’aria. Le Guardie Svizzere
vegliavano, immobili, come da secoli, sulle frontiere del Vaticano,
mentre il colonnato del Bernini stringeva nelle sue braccia di pietra il
nereggiante clamore di quella moltitudine. Ma da quella sera il
significato del loro servizio si era di colpo annullato. Dietro alle
loro alabarde, infatti, l’antica Chiesa e la Tradizione non c’erano più.
Da quella sera avevano abbandonato per sempre, insalutate ospiti, le
undicimila stanze del piccolo Stato.
«All’incirca nove mesi prima di quegli eventi, il papa era stato
assalito dal male che lo porterà alla tomba. L’archiatra e i medici che
lo coadiuvano, a una precisa domanda di Roncalli gli avevano risposto
che gli sarebbe restato, piu o meno, un anno di vita.
«L’appuntamento con la morte sorprende Giovanni XXIII. Sta di fatto
che già qualche mese dopo quell’annuncio, l’estroversissimo papa appare a
chi gli vive e lavora vicino, più silenzioso, talvolta soprappensiero.
Gli avvenimenti messi in moto dalla sua volontà rivoluzionaria, gli
precipitano intorno. La forza scatenata dalla sua politica acquisita,
per la sua sola forza di inerzia, subisce un’accelerazione sempre
maggiore, che sconvolge programmi, e scompiglia pazzamente i confini
ella politica europea stabilitisi da oltre trent’anni di dopoguerra, con
un disegno a volte tormentato e sofferto. Il conto alla rovescia che lo
avvicina giorno dopo giorno alla partenza per l’ultimo viaggio fa
destare Roncalli dal suo sogno durato tutta una vita e la realtà uscita
dalle sue mani di contadino e di inflessibile rinnovatore, adesso lo fà
rabbrividire e, forse, agghiacciare. Qualcuno di quelli che gli sono
intorno mi racconta che il papa, a volte, piange in segreto. Ed è
diventato taciturno. Ma ormai Roncalli e, come dice il detto orientale, a
cavallo alla tigre, che, suo malgrado, lo trascina avanti sorda ai suoi
probabili ripensamenti. In quegli ultimi mesi di vita il male l’ha
aguantato alla gola. Tutti ce ne siamo accorti, intorno a lui. È
assente. Disfatto. Eppure i comunisti continuano a manovrare quel papa
che diventato un fantoccio nelle loro mani.
«L’ultimo “amaro tè” che il prete di Sotto il Monte dovra trangugiare
per conto del marxismo italiano e internazionale soltanto venticinque
giorni prima di morire, è quella torbida invenzione propagandistica
delle sinistre, il Premio Balzan per la pace. Roncalli adesso non ne
vuol sapere. Tenta il rifiuto e si attacca al pretesto, del resto
drammaticamente valido, della sua malattia che l’ha condotto ormai alle
soglie della morte. Ma tutto l’apparato creato e voluto da lui, che gli
respira intorno, perfettamente congegnato e sincronizzato, tutto
quell’apparato che serve il comunismo internazionale, la massoneria, il
progressismo, e che ha già belle pronto nella manica il nuovo papa,
Montini, gli fà violenza col sorriso sulle labbra. Viene tirato
letteralmente giù dal letto. Rivestito dei paramenti papali, portato di
peso nella Cappella Sistina perché farlo scendere in San Pietro, in
quelle condizioni, equivarrebbe ad ucciderlo.
«Il caso volle che quella mattina, venerdì 10 maggio, fossi intimato
di servizio e così scortai quel condannato, questa fu la mia precisa
impressione, insieme alle Guardie Nobili e a tutto il fastoso seguito
della Corte. Era pallido e sconvolto dal male. Aveva lo sguardo fisso
nel vuoto. Una volta posto a sedere sul trono, tremò a lungo, scosso da
brividi. Ma c’erano gli altri, intorno a quel trono, a sorridere per
lui. C’erano i rappresentanti di quel premio messo insieme col danaro di
morti ammazzati sotto il piombo dei rossi nel 1945, c’era il tetro
monsignor Capovilla con il luccichio dei suoi denti sotto i grandi
occhiali funerei, che sorridevano ai fotografi al posto del papa. Che
quando rientrò nelle sue stanze non volle veder più nessuno. Fuori di
quella stanza da letto, che di lì a pochi giorni sarebbe stata visitata
dall’Angelo della morte, un mare di carta stampata sommerse il mondo,
pubblicizzando ai quattro venti quell’evento in cui ancora una volta,
l’ultima, Angelo Giuseppe Roncalli, Giovanni XXIII, il papa dei
comunisti, era stato prezioso e poderoso strumento nelle mani abili del
burattinaio marxista.
«Certamente sul punto di morire Roncalli ebbe un ravvedimento… Prima
di rendere l’ultimo respiro, sillabò parola dopo parola la sua
professione di fede alla religione cattolica, ed ebbe la forza e la
lucidità di dare una sua versione, drammatica, alla sua morte con le
parole: “muoio sacrificato come l’Agnello”. Nessuno dei suoi
predecessori, in punto di morte, aveva creduto opportuno di esprimere ad
alta voce quella professione di fede, per lo meno singolare in un
pontefice, capo della Chiesa cattolica e Vicario di Cristo in terra. E
poi, quel “muoio sacrificato come l’Agnello”. A cosa voleva alludere il
morente Roncalli? La risposta era lì fuori, nel PCI che attendeva quella
morte a fauci spalancate. L’afferrò infatti famelico e la fece sua. In
Sicilia, dove era in corso la campagna elettorale per le “regionali”,
ordinò la sospensione dei comizi di partito in “segno di lutto”; nelle
fabbriche, le commissioni interne ordinarono la sospensione del lavoro
per alcuni minuti, per ricordare Giovanni XXIII; a Livorno gli operai
furono incolonnati e condotti al porto affinche vedessero che un
mercantile sovietico ivi ormeggiato aveva esposto la bandiera rossa a
mezz’asta per la morte del Pontefice; a Genova e nelle altri grandi
città, gli attivisti comunisti andavano di casa in casa per distribuire
volantini e ciclostilati in cui si affermava che “l’immensa opera di
pace di Giovanni XXIII corre tanti pericoli per la spinta capitalistica
verso la guerra” e si sottolineava che l’opera del Papa non era stata
facile perche “Egli non è stato risparmiato dagli attacchi più o meno
velati, perfino provenienti dalle alte gerarchie ecclesiastiche.., che
osteggiano la distensione, per che sanno che essa rappresenterebbe la
loro sconfitta politica e ideologica”. «Nemmeno per la morte di
Giuseppe Stalin le rotative del PCI lavorarono tanto quanto per quella
di Giovanni XXIII. Era arrivata l’ora di compiere il “miracolo”.
Sferragliavano adesso giorno e notte per costruire su tonnellate e
tonnellate di carta stampata il mito di Angelo Giuseppe Roncalli, il
papa dei marxisti. Precipitosamente il Vaticano dette inizio al processo
di beatificazione del papa appena defunto.» Ecco il «papa» dei marxisti
e dei massoni.
Per la gente di memoria corta ecco la conclusione:
«Sulla pericolosità delle idee e iniziative di Giovanni XXIII, il più
celebre vaticanista italiano, il romano conte Fabrizio Sarazani, sul
pontificato di Giovanni XXIII e sulle sue conseguenze dice: “…
il segno lasciato da Roncalli nella storia dell’umanità supera di molto
quello impresso dai vai Lenin e Stalin. Infatti se quelli hanno
liquidato qualche milione di vite umane, Giovanni XXIII ha liquidato ben
duemila anni di Chiesa cattolica.”
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Ma noooooo ! E' stato capito male il santo e buon Roncalli ...Lui vedeva aldilà del tempo, era un profeta dei tempi nuovi:
RispondiEliminaun profeta dell'apostasia ! Era solo un "preparatore" un sacerdote che non aveva mai passato un momento in una parrocchia. La sua vita si era svolta tra un viaggio e l'altro a propagandare la sua eretica idea ecumenica anti-Cristo Re.
Quando poi riuscì a scalare la gerarchia ecclesiastica con l'aiuto dei suoi amici massoni, il gioco era compiuto e lo pose in opera da pseudo-papa dopo l'elezione sfumata ed annichilita del card Siri che si ritirò spaventato dalle minacce.
ed ecco a voi, masse credulone, il "papa buono" il novello Giovanni (al contrario!) che prepara le vie dell'ateismo e spiana le vie degli apostati. E subito a frotte Kung e gli altri apostati, allontanati da Pio XII si affollarono a consigliare il Concilio. E Ratzinger era amico di tutti questi.