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martedì 17 gennaio 2012

In attesa del 20 Gennaio 2012, in cui la chiesa Conciliare affonderà se stessa coll'approvare la celebrazione blasfema Neocatecumenale, gustiamoci uno dei numerosissimi frutti del pestifero Conciliabolo Vaticano II modernista...


La bellezza liturgica della Chiesa conciliare
Il caso della chiesa
del Sacro Cuore di Maria a Torino

Questa la facciata della chiesa,
esempio di gusto neo-gotico col quale sono stati realizzati molti
edifici di culto nell'800 in Piemonte.
Progettata dall'Arch Carlo Ceppi nel 1884

La navata, con sullo sfondo la statua di Maria Santissima
che sovrasta il presbiterio



Un certo numero di fedeli si sono indignati,
e stanno continuando a protestare.
La loro bella chiesa sarà trasformata dalla furia iconoclasta dei nuovi preti della nuova Chiesa.
Ai tanti che si meravigliano sarà bene ricordare che il Concilio Vaticano II è un amaro calice che va bevuto fino in fondo.
Forse… solo dopo aver toccato il fondo sarà possibile sperare, con l’aiuto di Dio, in una risalita.

Chi conosce la struttura classica della chiesa del Sacro Cuore di Maria, sa benissimo che era come se tutto fosse rimasto fermo a un secolo fa… poteva continuare?
Tanti si rendevano conto che il Popolo di Dio in cammino, ne aveva fatta di strada in questi anni!

Ed ecco allora che i preti moderni hanno capito che era giunto il momento di adeguare la chiesa ai tempi e alle nuove sensibilità… non si poteva permettere che queste moderne sensibilità continuassero ad essere mortificate da una struttura che continuava a ricordare che quella era una “casa di Dio”.

Il documento della CEI che parla dell’adeguamento delle chiese (Nota pastorale del 31 maggio 1996) ricorda infatti che la chiesa non è più la casa di Dio dove i fedeli si radunano per pregare per la salvezza delle loro anime e rendere il culto dovuto a Dio, come Dio l’ha prescritto. Il documento dice che « E' l'assemblea celebrante che "genera" e "plasma" l'architettura della chiesa. … Chi si raduna nella chiesa è la Chiesa … La Chiesa, in qualche modo, proietta, imprime se stessa nell'edificio di culto e vi ritrova tracce significative della propria fede, della propria identità, della propria storia e anticipazioni del proprio futuro. … Nelle chiese inoltre la comunità credente accoglie con simpatia ogni uomo che per qualunque ragione bussa alla sua porta e a lui, mediante segni visibili, fa intuire la propria fisionomia e, in qualche modo, rivolge la sua parola».

Chiunque si rende conto che a queste condizioni, le tre vecchie navate della chiesa del Sacro Cuore di Maria erano proprio un impedimento, il vecchio presbiterio era addirittura una provocazione, il vecchio altare una bruttura che solo i nostri poveri vecchi, ignoranti delle “proiezioni” moderne dell’assemblea che “genera” e plasma”, potevano pensare che servisse a rendere culto a Dio.
Tutto sbagliato… tutto da rifare!

Ed ecco le spiegazioni dotte e profonde dei progettisti e dei loro committenti: i nuovi preti di questa nuova Chiesa che si raduna per generare e plasmare le nuove architetture dei moderni edifici sacri, in ubbidienza al Concilio Vaticano II, perché « L'adeguamento delle chiese non si può considerare un adempimento discrezionale né lo si può affrontare secondo modalità del tutto soggettive. La fedeltà al Concilio comporta adesione convinta agli obiettivi, ai criteri e alla disciplina che autorevolmente ne guidano l'attuazione su scala nazionale, in comunione con la Chiesa universale» (Nota citata, n°1).

« A questo fine riteniamo necessario lo spostamento della parte anteriore della balaustra che, come sostiene il documento CEI sull’adeguamento delle chiese secondo la riforma liturgica, rischia di bloccare il giusto dinamismo tra l’assemblea e i differenti poli celebrativi. Il presbiterio non sarebbe più così separato in modo netto dalla navata, ma si metterebbe a servizio, con la sua ritrovata ampia spazialità, dell’altare, dell’ambone e della sede per valorizzarne la centralità» (Qui tra noi – Notiziario della Comunità Parrocchiale Sacro Cuore di Maria, n° 9, dicembre 2011 – da ora indicato solo come Notiziario).

Qui si dice in sostanza che il presbiterio non deve più rappresentare il punto centrale del luogo dove si rende il culto dovuto a Dio, ma dev’essere un locale di servizio per l’altare, per l’ambone e per il sedile del presidente. Il tutto in ossequio al Vaticano II, come dice il citato documento della CEI (n° 16): «Il progetto di adeguamento del presbiterio ha un duplice scopo: consentire un agevole svolgimento dei riti e mettere in evidenza i tre "luoghi" eminenti del presbiterio stesso che sono l'altare, l'ambone e la sede del presidente».


I fedeli si indignano… ma forse non sanno che è proprio in ossequio al Vaticano II e in ubbidienza ai documenti della CEI che la loro chiesa dev’essere distrutta. E dev’essere distrutta perché si debbono mettere in evidenza:
l’altare, l’ambone e il prete.


L’altare perché è il tavolo da pranzo della nuova liturgia commensalizia. L’ambone perché è il luogo dove tutti vanno ad esercitarsi e a mettersi in mostra, prete compreso.
La “sede del presidente” perché tutto si può dire del Vaticano II, ma bisogna riconoscergli che l’ha fatta finita una volta per tutte col deleterio clericalismo preconciliare: ormai al centro della celebrazione non c’è più Nostro Signore, ma quel signore che fa la parte del presidente, il cosiddetto celebrante.
Una volta, stoltamente, al centro del presbiterio c’era il tabernacolo che ospitava il Santissimo, oggi, dopo tanta crescita e maturazione, dopo tanto cammino, al centro deve stare il “don”, come si dice modernamente, cioè quel tizio per il quale il moderno Messale romano prescrive che si debbano tenere un po’ di minuti di silenzio dopo che ha declamato la sua omelia.
Come cambiano i tempi!
Una volta… nei tempi bui e crepuscolari… il silenzio era riservato al Sacrificio di Cristo, … oggi la maturazione è tale che il silenzio è prescritto solo per riflettere (!) sulle chiacchiere del prete di turno… alla faccia dell’anticlericalismo.

Il Notiziario, lungo la stessa falsa riga, continua a spiegare.
L’altare sarà di marmo bianco, porterà scolpita l’immagine dell’Agnello, proprio per indicare la “centralità del mistero pasquale di Cristo” e quindi sarà senza croce (l’Agnello c’è già), la quale, nuda, farà invece da sfondo. E la sua nudità, con la mancanza del Crocifisso, reciterà per la sua gloria: «È una croce gloriosa, senza il crocifisso, perché la figura di Cristo è già centrale nell’altare, con l’immagine dell’Agnus Dei» (Notiziario).
A questo punto i fedeli, invece di indignarsi, dovrebbero riflettere, poiché in definitiva come loro pastori hanno la fortuna di avere dei preti illuminati, tanto illuminati da proporre alle anime affidate alla loro cura, non più la vecchia controversa immagine del Corpo martoriato di Cristo, immolatosi per il riscatto dei nostri peccati, bensì la gloriosissima croce nuda, di metallo lucente, che, come si è venuto a sapere da dopo il Vaticano II, è da sempre universalmente considerata portatrice di gloria e di luce… a patto che non ci sia il Crocifisso.
Non tutti i fedeli cattolici hanno la fortuna di avere dei preti così (…per fortuna!).

Ed eccoci all’ambone. Per il quale vale la pena una lunga citazione «Non meno importante è il progetto per l’ambone. L’intento progettuale è che esso possa riprendere il suo valore, testimoniatoci dalla tradizione, di “nobile ed elevata tribuna” e di polo liturgico a sé stante, cerniera tra l’assemblea e l’altare. Per fare questo abbiamo pensato di collocare, sotto l’arco trionfale ed in corrispondenza del grande pilastro di sinistra, una grande lastra di marmo con una lieve frattura centrale in bassorilievo da cui emergano, appena abbozzati, dei rami e dei fiori scolpiti. Questi fiori vorrebbero essere un’allusione alla capacità della vita di spaccare la pietra, lastra della tomba del Risorto, ora vuota. È il giardino in cui risuona la gioia dell’annuncio di Pasqua. Il lettore salirebbe più gradini per raggiungere il luogo elevato della proclamazione. Nel tempo pasquale un elemento mobile si inserirebbe ulteriormente sull’ambone per sorreggere il cero».
Non v’è dubbio che si tratta di una presentazione suggestiva, ma è altrettanto indubbio che tolta la suggestione, ciò che resta è un cumulo di fesserie.
Andiamo con ordine.
Trascuriamo l’ipocrisia della “nobile ed elevata tribuna”, dopo che per cinquant’anni si sono distrutti tutti i pulpiti delle nostre chiese secolari, e consideriamo la nuova terminologia: “polo liturgico” a sé stante.
La liturgia della Chiesa, pur nella completezza rappresentata dall’insieme del rito che va dalle preghiere ai piedi dell’altare alla benedizione finale, si è sempre caratterizzata per la parte che non a caso si è sempre chiamata “canone”, cioè prescrizione liturgica vera e propria. La parte istruttiva della Messa, compresa l’omelia, è sempre stata preparatoria, perché la Messa vera e propria è il rinnovamento del Sacrificio di Nostro Signore, tale che la Messa ha un solo e unico polo: Gesù Cristo che si offre al Padre per la redenzione degli uomini.
Oggi, col Vaticano II, apprendiamo che la nuova Messa ha tre poli: l’altare, l’ambone, il prete.

Non c’è liturgia, non c’è Messa se non c’è l’ambone. Ecco perché l’ambone lo si vuole posto così in risalto. La Messa si può celebrare anche senza il Crocifisso, ma mai senza l’ambone.

Quindi, cari fedeli di San Salvario di Torino, sorbitevi questo glorioso adeguamento e siate felici… non vi poteva andare meglio di così.
Seconda fesseria: “cerniera tra l’assemblea e l’altare”. Da che mondo è mondo l’ambone, “nobile ed elevata tribuna”, si collocava ai limiti del presbiterio, non perché facesse da cerniera, ma perché segnasse la divisione tra il luogo sacro della celebrazione e la restante navata. Addirittura, quando il celebrante, che una volta era un sacerdote, si recava nel pulpito, si toglieva i paramenti e restava solo con la stola, a marcare la differenza tra rituale liturgico e semplice predica. Nessuna commistione liturgica tra il ministro ordinato e il semplice fedele, tra la celebrazione dei Santi Misteri e i fedeli che assistono al rito.
Terza fesseria: “il giardino in cui risuona la gioia dell’annuncio di Pasqua”. Ora, se non siamo pazzi, questo giardino in cui risuona dovrebbe essere proprio la navata e non l’ambone. Ma come fa a risuonare l’annuncio di Pasqua dall’ambone? Invero un mistero, tranne che ci si voglia appellare alla licenza poetica, quasi a confermare che, avendo una certa bocca, si possa dire di tutto.

Ma al peggio non c’è mai fine.
Tutte queste innovazioni, realizzate con i materiali e le fogge moderne, come si armonizzano con la vecchia architettura della chiesa del Sacro Cuore di Maria? «Essi si presentano come un agglomerato di elementi chiaramente altri rispetto al contesto dell’architettura del Ceppi; ma è proprio in questa relazione di diversità che essi testimoniano da un lato, la chiara leggibilità dell’intervento, e dall’altro la presa di coscienza della necessità di un adeguamento liturgico, inteso anche come senso di fedeltà al Concilio» (Notiziario).
Quindi, la prima preoccupazione di questi moderni committenti e progettisti è di mettere in risalto il loro lavoro, secondo i più aggiornati canoni dell’individualismo sfrenato:
questo l’ho fatto io!… e… perbacco… l’ho fatto per dimostrare la mia fedeltà al Concilio!
Un tempo ci si vantava per la fedeltà a Dio e alla Chiesa, oggi, che le cose sono cambiate e che la consapevolezza dei fedeli ha raggiunto vette inimmaginabili… ci si vanta per la fedeltà al Concilio!

Ne abbiamo fatta di strada!…
Una volta, l’elemento chiave della struttura architettonica della “casa di Dio” era l’armonia, l’armonia qui in terra che con tutti i limiti suoi propri si sforzava di rispecchiare l’armonia del cielo. Oggi scopriamo che si può menar vanto della disarmonia, dello squilibrio, della confusione, come se la chiesa non fosse più “la casa di Dio”, ma “la casa del diavolo”.
Non intendiamo offendere nessuno, beninteso, ma “la relazione di diversità” di cui qui si parla, in lingua italiana ha un solo significato: confusione.
A questo punto i lavori sono andati avanti e il presbiterio è già stato distrutto, le balaustre, dice il documento della CEI, «eventualmente rimosse devono essere conservate con cura, non alienate, e, se del caso, restaurate e collocate opportunamente, evitandone comunque la destinazione ad altri usi». (Nota, n. 16)
Cosa significa?
Si prega di chiedere informazioni direttamente alla CEI!

Ora, entrare in una chiesa anche solo attempata e fermarsi a considerare la balaustra, spesso dà un senso di sottile gioia interna: la nostra cara vecchia chiesa… di qua i fedeli, di là il presbiterio… che da ragazzini non si osava neanche appena calpestare.
Quanta nostalgia!

Ma la chiesa e la Chiesa non sono nostalgia, sono vita vissuta, e oggi i fedeli guardano al presbiterio come una cosa loro: il luogo dove l’assemblea… l’ecclesia appunto… celebra la santa sinassi, il sacro convito.
E già… perché il Signore istituì l’Eucarestia a tavola, non in chiesa, e lo fece circondato dai Dodici, senza alcuna separazione. Solo dopo sono arrivate le sovrastrutture ideologiche dei preti, come il presbiterio e la balaustra. Finalmente… dopo duemila anni… col Vaticano II siamo tornati alla vera origine, come voluta da Cristo.

E allora vediamola questa origine.
a)    il Signore Gesù aveva fatto predisporre una sala apposita e appartata per celebrare ritualmente la Pasqua ebraica. Gli Apostoli si limitarono agli ultimi preparativi.
b)    il Signore Gesù ha compiuto il rito pasquale a porte chiuse, in presenza dei soli Apostoli, esclusi tutti gli altri discepoli e perfino le pie donne.
c)    il Signore Gesù ha eseguito al meglio le prescrizioni del rituale ebraico, la legge liturgica di allora, dando l’esempio agli Apostoli perché nulla venisse trascurato di quanto prescritto, per rendere culto a Dio.
d)    il Signore Gesù ha comandato agli Apostoli di ripetere ciò che Lui stesso ha fatto, dopo aver realizzato miracolosamente, non la divisione del pane e la distribuzione del vino, ma la trasformazione del pane nel Suo Corpo e del vino nel Suo Sangue. Il Sacrificio che venerdì si compirà sul Calvario, Gesù lo realizza spiritualmente e sostanzialmente già il giovedì.
Il Corpo e il Sangue che mangiano e bevono gli Apostoli il giovedì, non sono solo pane e vino, ma sono esattamente il Corpo e il Sangue di Gesù Crocifisso. È già giovedì che questi vengono offerti per la remissione dei peccati, ed è da giovedì che il Signore comanda di rinnovare questo Sacrificio da lui compiuto giovedì e realizzato sensibilmente il venerdì.
e)    Non c’è popolo, non c’è partecipazione comunitaria, non c’è coralità in quel famoso giovedì, in cui si compie il mistero dei misteri destinato a rinnovarsi per i secoli futuri fino alla parusia. C’è solo Gesù, i Dodici, e solo i Dodici, assistono e partecipano quel tanto che è necessario per rispondere all’ingiunzione: prendete e mangiate, prendete e bevete.
f)    Non c’è neanche una sala aperta, ma una sala chiusa e interdetta a tutti, anzi una sala così ristretta da corrispondere al solo presbiterio, se non addirittura al solo altare.
g)    Gli Apostoli e i loro successori, per duemila anni, si sono offerti come strumenti perché si rinnovasse il miracolo di allora, perché il Signore Gesù stesso lo rinnovasse, e per far questo, e per farlo come il Signore aveva comandato, hanno mantenuto fedelmente la separazione tra l’altare e il presbiterio, tra il presbiterio e la navata…  tra il luogo della celebrazione e il resto della chiesa… tra il celebrante e i suoi assistenti e il resto dei fedeli…
fino a quando non ci è capitato tra capo e collo l’adeguamento liturgico del Vaticano II.
Balaustre distrutte, separazioni annullate, un unico grande salone, preti e laici che si affollano intorno ad una tavola, un gran via vai di gente da e per la navata, gesti inconsulti, richiami, battimani, musiche ritmate, e per finire… buona giornata a tutti.
Confessiamo che ci viene un groppo in gola: dove sono la chiesa e la Chiesa dei gloriosi tempi bui?
Signore, Ti preghiamo, facci riavere la vecchia chiesa dove ognuno stava al suo posto,
ridacci la vecchia Chiesa.

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S. Ecc. Rev.ma Mons. Cesare Nosiglia
Arcivescovo dell'Arcidiocesi di Torino
via Arcivescovado, 12, 10121 Torino
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segr.arcivescovo@diocesi.torino.it
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