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venerdì 27 aprile 2012

La regola di fede, quella Cattolica integrale...

La regola di fede.

R. P. Giovanni Perrone S.J.

Professore di teologia nel Collegio romano

Da: Il Protestantesimo e la regola di fede, vol. I, Milano-Genova 1854.

Introduzione (pag. 35-60)

§ 1. Della natura della fede.

Pregi della fede. –– Effetti maravigliosi della fede. –– Definizione della fede. –– Analisi della definizione. –– Oggetto della fede. –– Assenso e sue qualità.
La fede soprannaturale e divina di cui Cristo signor nostro è autore e consumatore, è il più sublime dono e prezioso che abbia fatto Dio all'uomo. Per questa fede l'uomo elevato oltre l'ordine di sua natura, penetra il cielo, attinge quasi avessele presenti a' suoi sensi le divine cose, e aderisce immobilmente all'eterno incommutabile vero. In questa fede sta il fondamento della vita cristiana, il principio e la radice di giustificazione e salute, il sostegno e l'áncora della speranza, e non può ella esser fede viva ed attuosa senza che abbia pur sempre a compagna la carità, che ne forma quasi l'anima e la vita. Egli è per questa fede che il cristiano fatto maggiore di sè medesimo mira con occhio indifferente le cose transitorie e caduche, sprezza le false appariscenti dolcezze onde le passioni e il mondo vorrebbero sviarlo dal vero eterno suo fine, si rende animoso e forte contro tutte le traversie e calamità della vita, e salutando la patria eterna, e contemplandola sebben da lungi, in mezzo a' travagli stessi gioisce ed esulta. In questa fede in somma è riposto quel regno immobile, quel tesoro di grazia di che parla s. Paolo scrivendo agli ebrei [1], onde possiamo piacere a Dio con timore e riverenza [2] ed asseguire il nostro fine, la santificazione delle anime nostre [3].
Ma ella è altresi questa fede che spirò sempre ne' petti cristiani ne' quali gittò alte radici, sensi di benefica operosità, di magnanimità, d'eroismo, che li rese fecondi stromenti d'ogni pietosa e caritatevole opera in pro dell'umana famiglia, e fonte di benedizione e salute alla stessa civil società. Essa fu che fece i santi taumaturghi a bene de' mortali, e infallibili predicitori delle future cose, comunicando loro in certa guisa l'onnipotenza e la sapienza stessa di Dio, e sollevandoli come ad arbitri della natura e de' secoli. Essa fu che li trasse le tante volte da' lor pacifici asili per mettersi tra le armi e le schiere de' combattenti a fine di recarli a pace e concordia; che li sospinse ad affrontare la ferocia di un barbaro conquistatore per salvare le città pericolanti da saccheggi e rovine; che li eccitò a condursi in rimote e inospite terre per farsi non che banditori del vangelo, ma eziandio maestri di civiltà, e veri temosfori a popolazioni selvaggie e ad orde feroci e imbrutalite. Vero è che tutti questi furono insieme prodigi di eroica carità; ma donde questa riceveva sua vita, suo alimento, sua fiamma inestinguibile, se non dalla fede viva ed immobile che signoreggiava queste anime generose?
Or questo prezioso dono del cielo, questa virtù sovrumana che cosa propriamente ella è? Due sorte di fede distinguono i teologi: l'una è fede abituale, che è un abito soprannaturale infuso da Dio nell'anima, sì che la rende disposta e pronta a ricevere e credere le verità da Dio rivelate; l'altra è fede attuale, e propriamente si definisce: Un fermo assenso dell'intelletto imperato dalla volontà, che l'uomo prevenuto e sorretto dalla grazia divina, e però con atto soprannaturale dà alla verità da Dio rivelata. Questa definizione è comune a tutta la cattolica teologia, nè i protestanti stessi che aderiscono ai principii fondamentali del cristianesimo, possono discordare da essa. E poichè egli è intorno a questa fede attuale che tutta si dee volgere la nostra trattazione, è d'uopo richiamare ad accurata analisi quosta definizione.
Dio non ha solo rivelato sè medesimo e le infinite perfezioni sue nel libro della natura, o nella mente e nel cuore dell'uomo: a questa che può dirsi, se vuolsi, naturale rivelazione, piacque alla infinita sua bontà e sapienza aggiungere un'altra rivelazione d'ordine superiore, estrinseca, solenne, positiva, soprannaturale che incominciata col primo uomo paradisiaco costituito in istato di santità e di gitistizia, ebbe suo intero e pieno compimento in Cristo signor nostro e negli apostoli suoi. Innumerevoli argomenti di credibilità sfolgoranti d'ogni evidenza, de' quali trattano a lungo gli apologisti, debbono convincere ogni animo docile al vero della esistenza e verità di siffatta rivelazione fondamento del cristianesimo; e riscuotere debbono dall'intelletto e dalla volontà l'omaggio di una esterna ed interna fermissima adesione.
Questa rivelazione adunque forma l'oggetto della fede cristiana di cui favelliamo: oggetto in sè determinatissimo non pure in genere, ma eziandio in ispecie e in individuo, perchè si dee credere come rivelato da Dio questo e quel domma, questo e non quello, così e non altramente. Ciò discende dall'intrinseca indole di una religione positiva e rivelata, come la cristiana, che è supremamente dommatica, siccome quella in cui Dio stesso immediatamente ha manifestato all'uomo per via straordinaria e soprannaturale ciò che ha a credere ed operare a conseguir la salute. È chiaro altresì che questo oggetto abbraccia tutte e singole le verità da Dio così rivelate; non può farsi eccezione o differenza tra l'una e l'altra: non può accettarsi e credersi l'una e ripudiarsi e discredersi l'altra; chè la verità è indivisibile. Egli è vero che non tutte le verità rivelate si hanno di necessità e da tutti a credere con fede esplicita, bastando per molte in generale l'assenso di fede implicita. Ma questa fede implicita stessa contiene un omaggio dell'intelletto e della volontà a tutto il complesso de' dommi rivelati senza eccezione o riserva, e la pronta disposizione dell'anima a credere con fede eziandio esplicita quello che venga per legittima via a conoscersi come espressamente rivclato, comechè per innanzi lo si credesse solo implicitamente, e quasi racchiuso come in suo germe o in suo principio in altro vero.
E ciò sia detto dell'oggetto della fede cristiana. Conviene ora esaminare la natura dell'assenso, che dee prestarsi a così fatto oggetto. 1.° Debbe quest'esso essere ragionevole e prudente: chè un omaggio cieco o imprudente non sarebbe degno di Dio, non onorerebbe Dio, nè sarebbe pur degno dell'uomo, perchè non rispondente alla dignità di un essere intelligente e razionale. Quindi è che non può darsi tale assenso dall'uomo ove non conosca con certezza quali siano le verità da Dio proposte a credere. Senza tale cognizione certa, potrebbe l'uomo incorrere di leggieri in uno o in altro di due opposti estremi; cioè o credere come verità rivelata da Dio quello che è mera invenzione umana, o per l'opposto rigettar qual umana invenzione quello che è rivelazione divina. Errori amendue gravissimi che falserebbero la verità rivelata, e trarrebbero facilmente a discreder tutto. 2.° Debbe esser fermo e di assoluta immobile fermezza, la quale nasca non da una mera certezza di speculazione, ma da una adesione tenacissima della volontà, cotalchè dubiterebbe piuttosto di qualunque altra verità naturale, anche della propria esistenza, che non di quello cui con fede soprannaturale aderisce come parola rivelata da Dio, verità suprema ed eterna. Indi è che questo assenso non può tollerar mutazione senza che si distrugga la fede. Indi è che il credente debbe esser pronto a tutto soffrire, a tutto perdere, libertà della persona, onori, averi, sanità, vita stessa, anzichè venir meno alla fermezza della fede. Indi è che se anco un angelo dal cielo, come dice l'Apostolo, venisse ad annunziare una fede diversa, il cristiano credente dovrebbe onninamente senza punto esitare scagliargli contra l'anatema[4]. Tal è la natura della fede cristiana che ci viene descritta in tanti luoghi delle sante scritture. 3.° Questo assenso è obbligatorio per tutti, cui è sufficientemente promulgata la verità da Dio rivelata, e ciò sotto pena di eterna dannazione: Chi non crederà sarà condannato [5]; Chi non crede già è giudicato [6]. Tali sono gli oracoli divini contenuti nelle sacre carte.

§ 2. Del mezzo o criterio per cui l'uomo possa con ogni certezza conoscere le verità da Dio rivelate.

Teorema fondamentale. –– Dio ha dato un mezzo certo e sicuro per conoscere il vero da lui rivelato. –– Si conferma dalla natura stessa dei veri rivelati. –– Si conferma colla sperienza. –– Con gli oracoli divini. –– Sì fatto mezzo è la regola di fede. –– Ammessa da tutte le comunioni cristiane.
Or dichiarati siffatti principii, io stabilisco come teorema fondamentale «Che ci debb'essere e ci è un mezzo, un criterio certo e sicuro dato da Dio per cui l'uomo possa conoscere con certezza e senza pericolo di sviarsi quello che dee credere per venir a salute.»
Desumo in prima la pruova di questo enunciato dall'ordine della divina provvidenza. Vuole Iddio sinceramente la salute di tutti gli uomini, e però vuole che arrivino alla cognizione della verità [7]. Non può quindi non aver provveduto l'uomo de' mezzi necessari ad ottener questo fine. Ma il primo mezzo e fondamentale da Dio voluto per la salute degli uomini è la fede soprannaturale e divina alla verità rivelata, senza cui è impossibile piacere a Dio [8], e questa fede non può aversi senza che si conosca con certezza qual sia questa verità cui si dee credere, dunque non può la divina provvidenza non aver dato all'uomo un mezzo, un criterio certo e sicuro onde scernere ciò che è rivelato da Dio da ciò che non è, ciò che dee essere necessario oggetto di fede da ciò che non dee. Altramente Dio non avrebbe provveduto all'uomo in ciò che è supremamente necessario all'eterna salvezza secondo l'ordine di provvidenza da lui stabilito. In vero come credere che Dio sapientissimo e giustissimo esiga dall'uomo questa fede e sì interna e sì salda e sì costante, e ciò sotto pena di eterna dannazione, e poi non abbia renduta la sua verità rivelata oggetto di questa fede riconoscibile all'uomo per mezzo di una via certa e sicura? Quel Dio che sì provvidamente e sapientemente adopera nel mondo fisico e materiale, regolando con leggi evidenti, universali e costanti il moto degli astri, la successione de' giorni e delle notti, l'avvicendamento delle stagioni, la riproduzione delle piante, la propagazione e conservazione delle specie nel regno animale, non avrà poi provveduto con un mezzo proporzionato, sicuro e costante alla certe manifestazione e conservazione del suo vero rivelato pertenente a quell'ordine soprannaturale a cui si subordina e s'indirigge tutto l'ordine stesso di natura? È indegno di Dio il pensarlo. E qui cade in acconcio il ragionar di Agostino: «Se la provvidenza non presiede alle umane cose, non occorre pigliarsi pensiero di alcuna religione. Ma se in effetto vi presiede (come veramente è, e Agostino quivi il dimostra alla distesa), non è da diffidare che dallo stesso Dio sia stato costituito qualche mezzo autorevole per cui sforzandoci come con sicuro passo siamo portati a Dio [9]

S'aggiugne a raffermare il nostro assunto la natura stessa delle verità proposte a credere. Perocchè la ragione umana già debole per sè ed inferma non ha oltracciò proporzione alcuna con le verità d'ordine superiore al suo; quali sono appunto quelle che in più rigoroso senso diconsi soprannaturali, e che debbono formar l'oggetto di nostra fede. La fede vien detta dall'Apostolo Argomento delle cose che non appaiono [10]: cioè di cose riposte e inaccessibili all'umano intelletto, dove questo non sia da lume soprannaturale e da guida scura scorto e aiutato a scoprirle. Che se nelle cose stesse che si stanno nell'ordine di natura soggette a naturali mezzi conoscitivi dell'uomo, noi sì di frequente pigliamo abbaglio, e sì difficilmente ci conduciamo a riconoscere i nostri errori, che sarebbe nell'ordine sopra natura, che trascende ogni nostro sentire e intendere, se non avessimo quella guida certa e sicura, di che ragioniamo, data da Dio? Certo le verità naturali psicologiche, ontologiche, morali sono oggetto dell'umana scienza, son patrimonio dell'umana ragione; eppure contuttociò veggiamo che dopo lungo correre di secoli, dopo tante disputazioni, dopo tante inquisizioni di sommi ingegni, dopo tante speculazioni e raffronti, teoriche succedono a teoriche, ipotesi ad ipotesi, sistemi a sistemi, e l'ultimo sempre accusa i precedenti d'erronei e falsi. Anzi quelle stesse verità che pur si fanno evidenti al lume di retta ragione perchè o fondate sopra irrepugnabile raziocinio, come l'esistenza e gli attributi di Dio, la creazione della materia, la spiritualità e immortalità dell'anima umana, la esistenza e obbligazione della legge morale o altra sì fatta, quanto poco raggiarono alla mente dei grandi filosofi stessi dell'antichità? da quanti errori furono svisate e guaste; ed eziandio dappoi che il lume del cristianesimo ebbele sparse di tanta luce, quanti superbi intelletti le rivocarono in dubbio o protervamente le dinegarono! Or che sarebbe delle verità soprannaturali della fede, dove non ci fosse alcun criterio certo che le facesse scernere dall'errorc? Certo staremmo come quelli che navigano di notte buia in mar procelloso, privi eziandio della bussolo, unica norma a conoscere con sicurezza ove abbia a volgersi il corso della nave. Smarrimento, incertezza, scetticismo o indifferenza rcligiosa sarebbe la nostra sorte in ciò che tocca il nostro bene supremo, qual è la fede necessaria a salvarsi. No, che Dio non può mai aver voluto lasciar l'uomo in condizione sì fatta dopo avergli largito il dono prezioso di una immediata positiva rivelazione.
Ma che parlare in astratto, quando il concreto ce ne convince fino all'evidenza? Si discorra il campo storico della società cristiana in tutti i tempi e in tutti i luoghi; si svolgano gli annali del cristianesimo, e si vedrà quanto e quanto diverse, o anzi opposte sentenze insorsero in varie età su tutti i dommi della cristiana credenza. Si volga solo uno sguardo alle regioni di Europa, d'Asia, d'America, e quivi si scontreranno in que' che fanno professione del cristianesimo comunioni pressochè senza numero fra sè divise sul dommatismo religioso. Suppongasi ora che niuna via sicura si dia per isceverare il vero dal falso, che niun criterio certo di verità rivelata siaci stato lasciato da Dio; e ne conseguirà che tutto il cristianesimo non è che un gran problema la cui soluzione a niuno è dato di rinvenire; un problema che sarebbe incomportabile orgoglio e stoltezza il pur pretendere di risolvere. E vorrà credersi che Dio abbia adoperato in tal guisa rispetto alla sua religione, al capolavoro della sua sapienza, potenza e bontà infinita, per cui cagione l'eterna stessa increata Sapienza, il Figliuolo di Dio, venne in forma umana a conversare tra gli uomini? Avrebbe egli mai voluto predicare e istituire una religione problematica intorno all'obbietto da credere, sì che i credenti mai non potessero saper con certezza qual sia? Ah no: chè troppo ciò ripugna all'idea di un Dio, d'una divina rivelazione, d'una fede divina, e richiesta a condizione essenziale dell'eterna salvezza dell'uomo. E qui torna in campo il dilemma di Agostino, o che Dio non abbia nessuna provvidenza delle cose di quaggiù, il che è empio ed assurdo il pur sospicarlo, o che veramente ci sia un mezzo autorevole e sicuro dato da Dio, che ne faccia conoscere ciò che dobbiam credere come rivelato da Dio medesimo, e per tal via ne conduca a salute.
Che se ascoltiamo gli oracoli stessi di Dio, tutti ci annunciano l'esistenza e sicurezza di cotal via. Tra i molti valga quello che leggesi in Isaia, e che manifestamente si riferisce alla felicità e sicurezza di que' che crederebbono a Cristo venturo. «E ci sarà quivi una strada, una via e nomerassi la via santa: per essa non passerà l'uomo contaminato: e questa sarà per voi la via diritta, di guisa che nè pur gli stolti possano errare seguendola [11].» Cristo medesimo dichiara sè essere la via, la verità, la vita, la luce; la sua dottrina stessa essere tutta luce e verità, chi la segue non poter camminar nelle tenebre, ma avrà il lume della vita [12]: espressioni tutte che suppongono e manifestano esserci una via lucida, diritta, infallibile nella religione di Cristo, onde ognuno che seriamente il voglia, possa con sicurezza conoseere il vero rivelato da Dio, che debbe essere oggetto di sua ferma credenza.
Or questa via, questo mezzo, questo criterio divino della cui esistenza dopo il fin qui discorso non può muoversi dubbio, è ciò che da' teologi e controversisti suol chiamarsi la regola di fede. Sotto nome di regola di fede l'antichità cristiana intendeva significare lo stesso simbolo nel quale erano raccolti gli articoli da credere esplicitamente da ogni cristiano e che però serviva come norma della cristiana professione: e in tal senso occorre sì fatto vocabolo in s. Ireneo, in Tertulliano ed altri padri dei primi secoli. Ma in processo di tempo l'appellazione di regola di fede venne in senso più scientifico e filosofico applicata al principio supremo cognoscitivo della verità rivelata, al supremo criterio regolatore del credere, pel quale, quasi pietra di paragone, si determina quel che sia rivelato, e in qual senso si abbia a tenere per rivelato, e formare oggetto necessario di fede. Sotto un altro rispetto questa regola di fede fa l'ufficio di tribunale supremo.
Le comunioni tutte cristiane eziandio protestanti ammettono pur esse una regola di fede in così fatto senso. Sebbene tra sè divise intorno alle cose da credere, sebbene discordi tra sè sul principio in che debba riporsi sì fatta regola, tutte però convengono nello statuire una suprema regola quale che sia a norma di quello che si ha da tenere per rivelato da Dio, e però oggetto di fede divina. Tutte riconoscono la necessità ed esistenza d'una regola sì fatta e formano secondo essa lor libri simbolici o professioni di fede, se pur non sieno di quelle che rigettano ogni simbolo, e perfino l'ispirazione de' libri santi, e mandano in bando tutto il sovrannaturale, come i razionalisti puri, e i naturalisti, de' quali non è nostro assunto il trattare. Resti dunque fermo che la necessità e l'esistenza di una regola di fede data da Dio è un teorema o domma ammesso di comun consenso così da' cattolici come da' protestanti, e quindi lo prendiamo a base e fondamento non controverso della nostra trattazione. Necessario ed evidente corollario di cotal teorema egli è che accertata e determinata una volta questa regola di fede come data da Dio, come voluta e prescritta da Dio, ne nasce in ognuno che la riconosca per tale la stretta obbligazione di seguirla e lasciarsi regolare da essa interamente nelle verità da credere. Tutta dunque la trattazione sta nello investigare e determinare qual sia la regola verace di fede stabilita da Dio a guida sicura dell'uman genere nel grande affare dell'eterna salvezza. A questo pertanto volgiamo ogni nostro studio e attenzione.

§ 3. Proprietà e condizioni della regola di fede.

 

Esse debbon nascere dalla natura della fede e della regola stessa. –– Prima proprietà e condizione è che sia certa e sicura. –– Seconda che debba togliere ogni dubbio in caso di controversia. –– Terza che sia universale cioè proporzionata e accessibile a tutti. –– Quarta che debba essere perpetua e indefettibile.
A riconoscere in che sia riposta la regola di fede data da Dio all'uomo, giova assaissimo lo stabilire dapprima quelle proprietà e condizioni che sono richieste ad una vera regola di fede, perchè possa esser tale e compiere l'ufficio per cui vien data. Ora nel divisare siffatte proprietà e condizioni di che debbe essere fornita la vera regola che ricerchiamo, voglio restringermi a quelle sole e non più, che eziandio ogni protestante di buon senso dee ammettere, e che in fatti da' protestanti in generale si ammettono. Potrei a buon diritto esigere di vantaggio: ma non voglio quasi sul limitare dell'opera gittar seme di controversie, le quali turberebbero e arresterebbero il nostro cammino; laddove io qui altro non intendo che stabilire de' principii comuni ugualmente a noi cattolici, e a' protestanti, sì che ci servano quasi di comun punto di pacifica dipartenza e di fondamento alla discussione gravissima in che ci mettiamo. Ora le proprietà e condizioni che sto per assegnare, nascono spontaneamente e logicamente dalla idea ed ufficio di regola, e dalla natura della fede di cui debb'esser regola quella che ricerchiamo.
E primamente cotesta regola debbe per sua essenziale proprietà e condizione essere certa e sicura, cioè debbe con ogni maggior certezza e sicurezza farne conoscere quali sieno le verità rivelate, oggetto necessario di nostra fede. Ove manchi tal condizione l'ufficio di regola, e la nozione stessa della fede perisce. In vero come potria conciliarsi un assenso fermo, certo, immutabile, superiore quanto a forza di adesione ad ogni altro assentimento, perchè dato in virtù d'una operazione soprannaturale, com'è l'atto di fede cristiano, con l'incertezza, il dubbio negativo o positivo di quel che forma l'oggetto di cotal credere? Non è dunque per nessun conto regola di fede data da Dio quella che non rende sicuro chi crede delle verità da Dio proposte a credere.
Altra proprietà della regola di fede debb'esser quella di torre ogni dubbiezza, in caso di sopravvegnente controversia intorno al senso in che Dio ha manifestato agli uomini le verità sue qual oggetto di fede. Cotesta proprietà e condizione non è, a parlar propriamente, se non se uno sviluppo o corollario della prima. Imperocchè dove non sia con ogni certezza fermo e definito l'oggetto del credere, tale oggetto non può essere più creduto con quella fermezza che alla fede è richiesta come indispensabile al suo stesso concetto. Or pongasi che insorga difficoltà o dubbiezza sur un punto qualunque della divina rivelazione, se abbia a intendersi in un tal senso ovvero in altro. Apparisce dì per sè, che fino a tanto che un cotal dubbio non è tolto di mezzo, niuno potrà mai con sicurezza tener per fede l'uno o l'altro dei due diversi od opposti sensi che vengono attribuiti da due o più partiti alla enunciazione divina che diè subbietto alla contesa. E poichè siffatta controversia potrebbe bene aver luogo, ed ha di fatto avuto luogo in quasi tutti gli articoli anco i più fondamentali della credenza cristiana, ne siegue, che dove la regola secondo cui hassi a commensurare la verità rivelata, non fosse atta a dirimere controversie dommatiche così fatte, l'intero simbolo cristiano verrebbe a fluttuare nella incertezza, ossia potrebbe cessar d'essere meramente oggetto di fede. Dunque a seconda proprietà della regola di fede che ricerchiamo è da stabilire, che sia atta ed efficace a togliere le controversie.
Da queste due proprietà o condizioni ne germoglia una terza, cioè che la regola di fede debbe essere proporzionata e accessibile a tutti. La fede è patrimonio comune di tutti gli uomini dotti o ignoranti, colti o rozzi, ricchi o poveri. Tutti sono ordinati per la via della fede alla eterna beatitudine, se vogliano conseguirla. Dunque eziandio quella che è data da Dio a regola certa e sicura della fede deve estendersi a tutti sia fedeli sia infedeli. Deve essere come un oracolo universale che dia sue risposte con sicurezza e con nettezza senza ambiguità veruna a quanti la interrogano. Debbe per suo uffizio mantener sempre interamente cotesta fede, sciorre le difficoltà che insorgono, allontanare i pericoli di alterazione o mutamento non solo per parte dell'obbietto di essa, ma eziandio per parte del subbietto, cioè de' credenti. Or questo non si potrebbe in verun modo ottenere, qualora la regola del credere non fosse proporzionata alla capacità dell'uman genere. Ora l'essere così proporzionato involge queste due condizioni. 1.° Che sia chiara ed evidente, così che tutti possano riconoscerla cercando seriamente e sinceramente la verità, come regola data da Dio a salute dell'uman genere. 2.° Che tutti che la consultano con animo retto e sincero possano per essa farsi certi, senza pericolo d'illusione o di errore, della verità, che Dio impone a credere. Ove manchi una di queste due condizioni, la regola cessa d'esser universale, e quindi non sarà più quella regola di fede che Dio ha stabilito per comune salvezza degli uomini.
Non meno evidente infine è quest'altra proprietà o condizione della regola di fede, che cioè debba essere perpetua e indefettibile. Imperocchè per la ragione medesima per cui ha da estendersi a tutti, deve estendersi a tutte le età, a tutti i tempi. Tanto deve durar la regola quanto la fede; ma la fede durerà fino alla consumazione de' secoli: dunque solo al finir di questi dee essere commensurata la durazione della regola. Sarebbe in vero assurdo il pur pensare ch'ella avesse ad esser limitata a un determinato tempo, e non più. Perciocchè ne seguirebbe, che quelli cui toccasse vivere in quel privilegiato spazio di tempo in che vigesse la regola, sarebbero sicuri e immuni da errore nella lor fede; laddore gli altri vivendo in altri tempi, senza lor peculiare demerito, restandone privi, dovrebbero fluttuare incerti intorno al vero oggetto del lor credere, e lasciarsi portar qua e colà ad ogni vento di dottrina. Ripugna adunque alla sapienza e bontà di Dio il supporre che quella regola che è data da lui così a soggettiva guarentigia e direzione sicura de' credenti, come a conservazione della vera fede oggettiva, sia limitata a tempo e deficiente, e non anzi perpetua e indefettibile fino al terminar de' secoli.
Potrei avvalorare le proprietà e condizioni qui divisate con autorità bibliche e patristiche, ma dovendo queste più acconciamente venirci tra mano nel processo della nostra trattazione, stimo qui inopportuno il riferirle. D'altra parte quanto abbiamo stabilito è sì necessariamente e logicamente dedotto dalla natura della regola di che si tratta, che niuno eziandio de' protestanti di buon senno dovrà certo muovermi contro la menoma difficoltà. Conchiudasi pertanto che la vera regola di fede data da Dio dee avere queste essenziali proprietà e caratteri: 1.° esser certa e sicura; 2.° atta a togliere le controversie di fede; 3.° universale, ossia proporzionata e accessibile a tutti; 4.° perpetua e indefettibile. A questi caratteri ci verrà agevolmente fatto di rinvenire qual sia questa regola, che il benignissimo Iddio ha stabilito, perchè tutti gli uomini che seriamente e sinceramente il vogliano, discernano e abbraccino la vera rivelazione cristiana, ossia la vera religione di Cristo.
Resta solo a compimento di questa introduzione lo sporre storicamente le diverse regole di fede adottate dalle diverse comunioni che hanno il nome di cristiane, e conformemente al nostro assunto, che è di raffrontare la regola di fede cattolica con le regole protestanti, ci facciamo a ragionar partitamente di quella e di queste.

§4. Regola cattolica di fede.

 

Doppio deposito della divina rivelazione, scrittura e tradizione. –– Questo deposito doppio venne affidato alla chiesa insegnante, dotata per ciò d'infallibilità e d'indefettibilità. –– Processo della chiesa nel proporre le verità a credersi. –– Nel giudicare le controversie. –– E ciò senza detrimento della scienza. –– È però a tutti indispensabile il sottomettersi a questa regola.
Unità, armonia di parti, saldezza di tutto il sistema formano i tratti caratteristici della regola cattolica. Essa ne dà un'adequata soluzione del problema proposto a risolvere, anche solo sponendola storicamente, come qui con brevità facciamo, rimettendo al corso dell'opera la piena vindicazione di essa.
Non v'ha, secondo il sistema cattolico, altro fonte di verità rilevata che la pura parola di Dio, perchè solo Dio immediatamente potè farne conoscere i misteri superiori all'umana ragione; e niuna sapienza o autorità umana può torre o aggiugnere un apice alla parola divina. Ma questa parola di Dio la cui rivelazione si compiè e suggellò in Cristo e negli apostoli suoi, ci venne per divina dispensazione trasmessa per due diversi modi, cioè per via della sacra scrittura e della oral tradizione. Altra quindi è la parola di Dio scritta, altra la parola di Dio trádita, ma amendue sono di uguale divina origine e autorità, perchè amendue ci vengono immediatamente da Cristo per mezzo degli apostoli suoi. Esse dunque sono pel cattolico le due sole sorgenti della parola divina, o se così vogliamo chiamare, due canali pei quali a noi perviene la verità rivelata, come due regole rimote costitutive della sua fede, perchè in esse sole contiensi, e devesi contenere quello che può e dee essere oggetto di fede. La parola trádita, ossia la tradizione non pur trasmette que' dommi che non sono registrati nella sacra scrittura, ma ne dà altresì luce e intelligenza sicura a ben determinare que' dommi che nelle scritture sante si trovano più o meno divisamente espressi. Cosi scrittura e tradizione si fecondano, s'illustrano, si rafforzano a vicenda e completano il deposito sempre uno ed identico della rivelazione divina.,
Ma questo deposito perchè sempre uno ed identico si conservasse fino al consumar de' secoli, è, giusta il sistema cattolico, confidato da Cristo stesso ad un'autorità sempre viva e parlante, l'autorità della sua chiesa. Risiede cotesta autorità per divina istituzione nel corpo universale de' pastori ossia de' vescovi congiunti col visibile capo, il sucessor di s. Pietro, il vescovo dì Roma, il pontefice romano, cui Cristo nella persona di Pietro conferì pienezza di potestà su tutto il suo gregge, su tutta quanta la chiesa sua. A questo corpo congiunto al suo visibile capo è commessa la custodia della parola di Dio così scritta come trádita: ad esso il magistero autentico di proporla a' fedeli, di determinarne il vero genuino senso, di esigerne la esterna ed interna professione di fede: ad esso il giudizio supremo inappellabile nelle dommatiche controversie, e la condannazione formale di quale si voglia errore in opera di credenza, di morale, di culto. La chiesa dunque insegnante e giudicante è la regola prossima di fede a tutti i credenti: la sua voce autorevole, il suo autentico insegnamento è il supremo principio o criterio costitutivo della verità da Dio rivelata, in forza di cui ognuno diviene e si rimane cattolico. Ed è perciò che la divina sapienza a rendere questa regola a' credenti perpetua ed immanchevole guida di verità, conferì a questo corpo medesimo quelle sublimi prerogative d'infallibilità e d'indefettibilità, affinchè nel suo insegnamento non possa giammai cadere in errore. Tale è la professione cattolica, tale la sua regola di credenza. Giova vedere con un'analisi più minuta come questa regola cattolica proceda nella suo applicazione.
La chiesa cattolica organo di verità stabilito da Dio e folgorante di tutti que' motivi ed argomenti che la rendono evidentemente credibile, e che in sostanza s'identificano co' motivi ed argomenti di credibilità del cristianesimo, al ricevere nel suo grembo ogni credente, propone loro e insegna le verità da Dio rivelate, che debbono formar l'oggetto, della lor fede. Tra esse, anzi tra le prime, è la divina istituzione sua, l'autorità da Dio ricevuta per cotal missione, le proprie doti e prerogative sue e precipuamente l'inerranza del suo magistero. Essa porge loro in mano la bibbia come libro divinamente ispirato; loro dà l'intiero canone, ossia il numero completo de' libri da aversi come divini e canonici; li assicura della integrità del testo e della sincerità delle versioni approvate da lei. Essa presenta loro il simbolo in che si contengono gli articoli formolati da credere esplicitamente. E in tutto questo non v'ha eccezione o distinzione di persone, di sapere, di grado, di dignità. Tutti son posti a un livello: nè il più profondo teologo in quanto a profession di fede si differenzia dal più rozzo artigianello. Perocchè tutti hanno a tenere le medesime verità di fede come rivelate da Dio verità suprema, perchè vengono come tali proposte loro a credere dalla chiesa custode, macstra e giudice infallibile della parola di Dio. Così tutti i fedeli sono in un modo medesimo messi in possessione della vera dottrina di Cristo: possessione che rimane in essi salda ed immobile fino a che aderiscono al principio per cui l'acquistarono, cioè l'autorità della chiesa.
Ma in questa chiesa società divina insieme ed umana insorger possono controversie in fatto di domma, di morale, di culto, levarsi difficoltà circa il senso d'un passo dommatico della scrittura, o eziandio trar fuori l'error manifesto a turbar l'avita universale credenza. A chi starà il decidere, il giudicare, il condannare? Al tribunale supremo sempre vivente cd infallibile della chiesa, al corpo de' pastori congiunti al capo, sia per via di solenni conciliari definizioni, sia per una dommatica decisione solennemente promulgata dal capo visibile il romano pontefice, cui il corpo de' pastori aderisce. Quantunque volte una decisione così fatta abbia luogo, tutti debbono a un modo stesso assoggettarvi la volontà e l'intelletto con pieno interno ossequio di fede e convincimento della verità di quello, siccome emanata dall'organo visibile ed infallibile per ciò costituito da Dio. Nè la chiesa in così fatte definizioni induce mai nulla di nuovo, di umano, di eterogeneo nella dottrina, ma assistita dal lume del divino Spirito nelle scritture sante e nella divina sua tradizione sempre viva e parlante, fonti veraci della rivelazione cristiana, scerne il vero senso del domma, e la fede sempre professata e ricevuta da Cristo per mezzo degli apostoli suoi. Queste sono le parti proprie della regola suprema cattolica di fede, e questo il debito de' credenti in essa.
Ma non è perciò che la scienza non ci abbia pur le sue parti, e grandissime. Chè la regola cattolica non che escludere, promuove anzi e favoreggia ne' dotti lo studio, la disamina, la discussione, sia a chiarire i controversi punti dommatici innanzi la decisione della chiesa, sia a corroborare questa ove sia già pronunciata con tutti i presidii della scienza e difenderla dagli assalti dei novatori.
Oltrecchè in quelle cose, che non toccano il domma e la morale già definita, la scienza e la ragione possono liberamente esercitar loro ufficio: ond'è che immenso campo è sempre aperto allo scienziato cattolico pel coltivamento e incremento dell'arte critica, della storia ecclesiastica e profana, dell'archeologia sacra e monumentale, della epigrafia e numismatica, dell'estetica, della filologia antica e moderna, della patristica, della ermeneutica ed esegesi biblica, e d'ogni altro ramo di scienza fin dove per istudio e ingegno lo si possa spingere. Ma tutto questo non può mai al cattolico comunque scienziato essere il fondamento e il principio del suo credere. Ma dee unicamente starsi radicato nella regola cattolica già dichiarata. E questa regola stessa gli è guida immanchevole e sicura a ritrovare sempre nelle sue scientifiche inquisizioni i veri dommi proposti dalla chiesa, e a guarentirsi da ogni aberramento. Così nel sistema della regola cattolica tutti i contrari si armoneggiano; l'elemento divino con l'umano; la grazia con la libertà; l'autorità con la ragione: la fede con la scienza; tutto si lega, tutto si equilibra, nè mai è, standosi saldo alla regola, che altri dia negli opposti estremi in che annida l'errore.
Conchiuderò questa istorica sposizione della regola cattolica con una bella osservazione splendidamentc già sviluppata da un chiarissimo recente scrittore, or meritamente illustre cardinale di santa chiesa e arcivescovo di Westminster [13] ed è, che conviene accuratamente distinguere ossia tra i motivi onde altri è indotto ad abbracciar la fede cattolica dal principio vitale e costitutivo per cui cattolicamente crede, ossia professa la cattolica credenza. Que' motivi possono essere e molteplici assai di numero, e sommamente diversi nell'indole loro, appunto perchè la cattolica religione essendo corredata di tanti e sì diversi motivi di evidente credibilità, ognuno di essi può essere per sè attissimo e sufficientissimo a trarre un animo ben disposto ad abbracciarla. Così per parlare di conversioni illustri avvenute in questi ultimi tempi, altri come il Phillips di Monaco e il celebre Hurter furono addotti a riconoscere la verità del cattolicismo da profondi studi storici, specialmente nella storia del medio evo; altri, come lo Schlegel, lo Stolberg, il Molitor, il Seith, dal campo della filosofia dello spirito umano; altri, come il De Coux da gravi indagini nella politica economia; altri dallo studio del diritto, come il Iarke; altri dalla estetica, corne il Pugin; altri dalla bellezza del culto cattolico, come tanti de' puseisti, e cosi vadasi discorrendo [14]. Ma il principio vitale e fondamentale onde si resero cattolici fu in tutti, e non potè essere che uno solo: cioè il sottoporsi al principio stesso vitale e fondamentale del cattolicismo, alla sua regola suprema di fede, all'autorità della chiesa: «Quindi (diciamolo con le belle parole di questo scrittore), la chiesa cattolica è come una città a cui da ogni canto sonovi vie che menano, verso cui altri può viaggiare da qualunque direzione, per istrade le più svariate, or sia per le vie scabre e spinose d'una investigazione severa, or sia per sentieri più fioriti del sentimento e dell'affetto: ma arrivati a' recinti di lei tutti trovano che havvi sola una porta per cui possono entrare, sola una porta all'ovile, forse ancora angusta e bassa, e tale che in passandola, la carne e il sangue ci sentono loro pressura. Ben essi possono a lor talento aggirarsi intorno alle esteriori sue circonvallazioni, ed ammirare la bellezza de' suoi edifizi e de' suoi bastioni; ma non possono già divenire suoi abitatori e cittadini, se non entrano per quella unica porta, che vuol dire per un'assoluta sommissione senza riserva all'insegnamento della chiesa [15].» Tutto altramente è il caso nel sistema protestante secondo sua regola di fede, che ora passiamo a dichiarare.

§ 3. Regola protestante di fede.

 

Doppia tendenza dell'uomo teosofica e razionale. –– Come nella regola cattolica amendue armoneggino. –– Aberramenti di amendue fuori della regola cattolica. –– Ne' primi eretici, ne' gnostici, negli eretici susseguenti e nel medio evo. –– Ondeggiamento di Lutero tra queste due tendenze. –– E di Zwinglio –– degli anabattisti –– di Calvino per cui opera la tendenza teosofica si trasmutò nella razionalistica. –– Ritorno delle sette minori del protestantesimo al teosofìsmo –– i quacqueri –– i moravi –– i metodisti –– gli swendenborgiani. –– Di qua le due regole principali di fede nel protestantesimo professate, la teosofica e la razionale. –– Terza regola eteroclita, o media dell'anglicanismo. –– Metodo da noi seguito in confutazione di queste tre regole di fede.
V'ha, chi bene studii nella storia filosofica dell'uomo, una doppia naturale tendenza e in senso al tutto opposto, nell'animo umano circa la verità religiosa. L'una direbbesi tendenza mistica, soprannaturalistica, o secondo il moderno linguaggio alemanno teosofica, per cui l'uomo agognando di penetrare ne' riposti misteri della divinità, si sforza di entrare in immediata comunicazione con esso, e di leggieri si dà a credere di aver attinto dal seno stesso di lei veri sovrumani, illustrazioni superne, manifestazioni della sua volonta. L'altra per contrario è tendenza tutto razionale ed umana, perocchè intende a mettere i veri rivelati, quanto più può, alla portata delle naturali nostre facoltà per apprenderli e verificarli, e di leggieri s'innoltra a spogliare l'elemento soprannaturale e divino del suo sublime significato. L'una tendenza mena come a suo termine al fanatismo o alla illusione religiosa, l'altra al razionalismo ed all'indifferentismo.
La regola cattolica conciliatrice e armoneggiatrice, come or dicevamo, di tutti gli estremi, e soluzione adequata di tutti i problemi dell'antropologia naturale e soprannaturale ha ben saputo in ogni età comporre insieme e satisfare nel miglior modo queste due contrarie tendenze. Da un canto essa apprezza sommamente e commenda il vero e sodo ascetismo, la mistica teologia, la scienza de' santi, e insegna che Dio è mirabile ne' santi suoi, che si comunica ad essi per modi ineffabili e superiori ad ogni umano comprendimento, e li innalza a conoscere e operar cose di virtù sovrumana. Ma dall'altro lato dichiara ed insegna che tutte così fatte comunicazioni divine e superni carismi, son falsi ed illusorii dove non sieno inseparabilmente congiunti alla fedele professione della regola cattolica, alla sommissione intiera verso l'autorità della chiesa. E quindi ella è questa autorità medesima che suggetta ad esame severo quelle opere, que' doni di sovrumana virtù, e giudica, se veramente discendano dal Padre de' lumi, ovvero sieno opera dell'angelo delle tenebre, e parto d'illusa e freneticante immaginativa. Similmente se la regola cattolica prescrive la fede unicamente posata nel principio d'autorità, e condanna ogni scienza, ogni gnosi razionale che presume farsi fondamento di fede, perchè contraria all'origine divina e natura di questa; ella insieme approva e fomenta quella gnosi, quella scienza medesima, quando presupposta e salva la fede, intende a levarsi alla intelligenza razionale de' dommi divini, giusta il bel dettato di Agostino: Credo ut intelligam. Così dunque, non ci stanchiam di ripeterlo, sotto l'egida della regola cattolica la tendenza mistica e la razionale sono guarentite dal dechinare rispettivamente a viziosi estremi, e in pari tempo trovan modo di stringersi insieme in bel nodo di amistà e di concordia.
Ma fuori de' recinti della chiesa cattolica, e della regola sua, queste due tendenze, prive di legge che le infreni ed equilibri, corsero sempre più o meno a dirotta verso l'uno di que' ruinosi estremi. La storia della ereseologia ce ne dà pruove continue cominciando da' primi secoli del cristianesimo e scendendo via via per tutte le fasi del protestantesimo. Tu trovi nel secondo secolo il montanismo, che è appunto il tipo della tendenza teosofica, presentarsi pascentesi di rivelazioni e visioni, e sognante il divin Paracleto nella persona del suo fondatore Montano. E non molto dipoi ti avvieni con gli antichi unitari or sian della prima classe, come gli alogi e i noeziani, o della seconda, come gli artemoniti e i seguaci di Paolo Samosateno, i quali tutti rigettavano l'elemento divino per far dominare l'umano, e ti presentano il tipo della razionalistica tendenza. Quello però che ha vista di più strano, non ti sarà difficile discoprire nella grande eresia de' due primi secoli, nel solo gnosticismo di tante filiazioni e sette fecondo, tutte e due le tendenze ad un tempo sospinte al loro colmo [16]. I gnostici identificando la materia col principio del male, ripudiavano e dannavano ogni elemento umano: il solo spirito di Dio, dicevano, esser quello che muove e opera tutto: non davano a Cristo che una umanità apparente e fantastica. Dividevano l'uman genere in uomini hylici o materiali, psychici o naturali, e pneumatici o spirituali, e dispregiando le due prime classi come schiave più o meno della materia e della natura e incapaci di più alta cognizione, esaltavano sè medesimi come privilegiata casta de' pneumatici o spirituali ne' quali lo spirito di Dio si rivelava e operava sue maraviglie. Ecco la tendenza teosofica portata all'eccesso. Ma dall'altro lato i gnostici stessi sostituendo al principio della fede cristiana la libera individuale inquisizione, soggettavano interamente le scritture sante all'arbitrio della lor privata ragione; le mozzavano, le corrompevano, fabbricavano fittizi evangeli: le interpretavano nel più violento modo per conciliarle con le loro dottrine; accusavano gli apostoli e Cristo stesso di non essersi affrancati da' pregiudizii giudaici e d'essersi accomodati agli errori prevalenti tra il popolo; e arrivavano fino ad insegnare che Cristo parlava per modo ambiguo, e volevasi distinguere ne' suoi discorsi l'influenza del Demiurgo da quella di Sofia o del Dio buono, e sè soli come spirituali e perfetti esser capaci di far questa cerna con sicurezza; negavano insomma ogni divinità a Cristo, e facendo un mostruoso eccletismo e sincretismo di dottrine cristiane, giudaiche, platoniche, indo-orientali, distruggevano tutti i misteri del cristianesimo quasi esterna scorza ed inviluppo della verità pura, nella cui piena intuizione la loro gnosi si beava. Or che è tutto questo se non il processo e  la meta estrema della tendenza razionalistica? Ma di questo se ne parlerà di proposito nel decorso dell'opera.
Così dunque le eresie de' primi secoli s'aggiravano intorno ora all'uno, ora altro di que' due poli, ed ora a tutti due in pari tempo; e facile sarebbe il dimostrare un andamento medesimo nelle susseguenti eresie, ariana, pelagiana, nestoriana, eutichiana, monotelitica ed altre sì fatte. Ne' secoli del medio evo le varie fanatiche ed immorali sette che pullularono dall'antico gnosticismo e manicheismo, i catari, gli albigesi, i lollardi, i beguardi, i fraticelli, i dulcinisti, i taboriti e somiglianti, tutte faceano professione di teosofismo, tutte proclamavano immediata ispirazione e comunicazioni superne dello Spirito Santo, e opponevano questa suprema lor regola di credenza alla dottrina e autorità della chiesa. Ma vegnamo senza più alle origini del protestantesimo.
Il padre della riforma Martino Lutero nel primo stadio di sua ereticale carriera, non pensava punto di assalire il principio fondamentale del cattolicismo, l'autorità della chiesa. Anzi dichiarava di suggettare la difesa delle sue tesi a questa autorità, e appellava al santissimo papa Leone con quelle memorande parole: «Vivifica, uccidi, chiama, richiama, approva, riprova come ti piace; io riconoscerò la voce tua come la voce di Cristo che in te presiede e parla. Se meritai le morte, non ricuserò la morte [17].» Ma quando ei vide che l'autorità della chiesa fulminava le sue dottrine come ereticali, e recideva lui dal suo corpo, trovossi nella alternativa o di sottomettersi docilmente al giudizio dommatico della chiesa stessa ritrattando sue eresie, o farsi padre e fondatore di una nuova religiosa setta. Il suo satanico orgoglio si decise per quest'ultimo partito. Quindi innanzi andò per parte atterrando tutte le fondamenta dell'edificio cattolico. La tradizione contrariava direttamente a' suoi novelli dommi, ed ei la ripudiò; le autorità de' padri militavano contro di lui, ed ei se ne fece beffe; l'autorità infallibile della Chiesa il condannava; ed ei la niegò di pianta. La gerarchia, la chiesa stessa visibile gli erano troppo duro impaccio al suo cammino; ed egli escluse ogni gerarchia e si attenne ad una chiesa invisibile.
Su che dunque posare la novella fabbrica della riforma? Rimaneva la sola bibbia la quale divelta così dalla tradizione e dalla interpretazione autorevole della chiesa, era suscettiva di esser piegata o distorta a que' sensi che meglio favoreggiassero i suoi errori. Lutero dunque dopo varie esitazioni ed incertezze proclamò la bibbia, la sola bibbia come regola unica, sufficiente, adequata, suprema di fede, come giudice inappellabile, sovrano d'ogni controversia [18]. La bibbia però, lettera per sè morta non può esercitar l'ufficio di regola se essa non s'intenda e interpreti, e se ne determini il senso: qual dunque è l'organo secondo Lutero di questa interpretazione e intelligenza? La chiesa gerarchica no; altro corpo di uomini, di dottori, di scienziati no; perchè tornerebbesi al principio di autorità. Dunque lo spirito privato di ciascun uomo. Ma qui nuove formidabili difficoltà. Lutero avea già statuito come domma fondamentale il nullismo della ragione e del libero arbitrio umano qual necessaria sequela del peccato d'origine e della totale ed essenziale corruzione dell'uomo nelle naturali sue facoltà; avea già proclamato il principio per lui vitale, che pensiero, intelligenza e volontà dell'uomo sono puramente passive nelle mani di Dio, e che Dio opera esclusivamente la fede in esso lui. Dunque non potea per Lutero essere la ragione umana organo d'intelligenza per le sacre scritture. Avvedutosi, sebbene alquanto tardi, della palpabile contraddizione dell'assegnamento a regola suprema del credere la scrittura intesa dal senso privato di ciascuno, e del pieno nullismo della ragione pel peccato primigenio, temperò il suo primo dettato, e per conseguente stabilì il principio che lo Spirito santo detta a ciascuno infallibilmente il senso della scrittura; che ognuno è interiormente istruito da Dio e obbedisce solo alla voce dello Spirito santo, cotalchè ciascuno diviene personalmente infallibile.
Zwinglio andò in questo sulle pedate di Lutero, e paragonando la scrittura al Verbo che trasse tutte cose dal nulla, alla divina parola, sia la luce e la luce fu, ovvero alla profetica ispirazione, asserì che in ugual modo ciascuno è trascinato dalla virtù della parola scritta di Dio [19]. Quindi il punto di dipartenza della costoro regola di fede, cioè di Lutero, almeno nel suo secondo stadio, e di Zwinglio, non fu razionale ma teosofico. E di qui pur venne la guerra da' riformatori rotta alla filosofia, alla esegesi, alla scienza in generale, cotalchè Zwinglio volea che gli allievi pel ministero mettessero dall'un de' canti i libri; e si dessero a esercitare un mestiere.
Se non che questa regola di fede non tardò guari a produrre suoi frutti. Sorse l'anabattismo capitanato da Nicolò Storck e da Tommaso Muncers. In forza della regola di fede statuita da' riformatori ciascuno si gridò dottore, ispirato, profeta; la scrittura fu suggettata a tutti i capricci della più sregolata immaginazione, e i più mostruosi eccessi furono commessi in nome dello Spirito santo rivelantesi a ciascuno. Gran che fare ebber Lutero, Zwinglio, Melantone a resistere alla piena che traboccava. Si studiavano di mettere limiti e modificazioni nella lor regola di fede, volevano che non si cercassero rivelazioni fuori del ministero dei pastori; dimandavano a' poveri fanatici questioni senza fine, che mai non avean essi saputo risolvere nel fatto proprio. Da chi siete stati mandati? E se vostra missione è straordinaria, ove sono le vostre lettere patenti? Quali sono i miracoli onde provate esser voi delegati di Dio? Ma gli anabattisti ritorcevano le questioni medesime contro di loro; appellavano alla regola da loro già predicata. Lutero avea detto: «Se un uomo solo crede con tal fermezza alla mia dottrina da detestare l'opinione contraria, egli ha provato la verità della parola mia.» Or bene gli anabattisti aveano più che tutte le altre sette che si dimenavano intorno a loro, dovizia di così fatte pruove.
Calvino, di più fredda e riflessiva tempra che non era Lutero, veggendo le conseguenze e i frutti della regola anzidetta, comunque insegnasse i principii medesimi fondamentali de' primi riformatori, cercò di dar corpo e metodo alle loro disgregate e discordanti dottrine, e stringere i suoi riformati entro più definiti cancelli. Ritenne il capitale principio che la bibbia è unica, adequata, e suprema regola di fede. Ammise che l'interpretazione di essa spettava allo spirito, ossia al giudizio individuale; non escluse però che un qualche lume interno dello Spirito santo assisteva ognuno a scernerne il vero senso; ma al tempo stesso ricorse a' presidii della ragione, aprì l'adito all'esegesi biblica e ne promosse una scuola a Ginevra. Laonde sia per le modificazioni che la regola primitiva teosofica di Lutero dovè subire pe' vergognosi frutti che ingenerava, sia per l'influenza di Calvino, la regola comune del protestantesimo di teosofica divenne razionale, cioè a dire la ragione individuale di ciascuno con un privato e libero esame, non esclusi i presidii della scienza, fu fatta norma del senso delle scritture, e di ciò che ognuno avesse a credere. Vedremo che Calvino contraddisse di fatto a questo principio, ma il principio fu proclamato, e dalla scuola ginevrina di Calvino venne principalmente formandosi e sempre crescendo una reazione in senso e tendenza più e più razionale o razionalistica, la quale trovò sostegno negli arminiani, e fu poi pienamente sviluppata da' sociniani.
All'opposito altre minori sette uscite dappoi dal ceppo del protestantesimo tornarono alla direzione, che chiamammo teosofica, cioè fondata nella immediata illuminazione e ispirazione dello Spirito santo alla quale la bibbia stessa voleva subordinarsi, e la ragione ne fu tutto ovvia e naturale. Perchè tutte coteste sette lamentavano a gran voci il dicadimento d'ogni pietà ed unzione di spirito nel protestantesimo religioso ovunque prevalente come frutto della fredda ragione e della scienza orgogliosa. E poichè tutte pur pretendevano di aver celeste missione di ricondurre i protestanti a un pio sentire e alle interne comunicazioni con lo spirito di Dio, dovettero, ripudiata ragione e scienza, darsi al teosofismo. Così i quacqueri fondati da Giorgio Fox su questa immediata comunicazione di lume interiore eressero la loro regola di fede. Così pure i fratelli moravi, o meglio gli hernhutisti sotto la direzione del conte di Zinzendorf professavano di seguire questo interno lume contro cui il vero credente non può peccare: e ne aspettavano la venuta in perfetta quiete lasciando da banda la preghiera, la lettura delle scritture ed altre opere sì fatte «per tema di cercar salute mediante le opere.» A questo medesimo sistema si accostò l'alta coetanea setta capitanata da Giacomo Filippo Spener, e detta de' pietisti, che ruppe accanita guerra all'ortodossia luterana. Possiamo annoverare nella classificazione medesima le varie sette de' metodisti primamente istituiti da Giovanni Wesley, i quali ripongono il nerbo di lor professione religiosa in un'istantanea discesa dello Spirito santo, per cui chi la riceve è fatto securo di sua giustificazione e salute, senza riguardo a scritture o ad altro che sia: cotalchè secondo la dottrina del lor fondatore, quest'è il solo vero articolo di fede [20]. Ma niuno andò più oltre in questa carriera, del conte di Schwendenberg e della setta da lui stabilita. Egli immaginò di aver un intimo commercio con le superne intelligenze, non altramente che Maometto, e pretendeva averne ricevute immediatamente da Dio e dagli angeli le verità divine, che possono riguardare lo stato presente e futuro dell'uman genere. Le sue opere son piene di coteste visioni e rivelazioni teosofiche e cosmologiche. Così si fece fondatore della sua nuova Gerusalemme, la qual dovea propagarsi per tutta la terra, e proclamando la sua missione di rivelare agli uomini il senso recondito e misterioso delle scritture, fece miserando strazio di queste.
Dal sunto storico qui delineato intorno alla genesi e alle varie classificazioni de' sistemi seguitati da' protestanti nella regola di fede, e che svolgeremo nel decorso dell'opera, risulta, che possono tutte ridursi a due principali categorie. 1.° Regola teosofica ossia immediato lume e ispirazione dello Spirito santo, cui la bibbia divenne subordinata e dipendente, regola, come or dicevamo, proclamata e seguitata più o meno da quasi tutte le minori sette protestanti. 2.° Regola razionale, ossia la bibbia sola, unica, adeguata, suprema regola di fede, da interptetarsi secondo lo spirito privato o la ragione individuale di ciascuno. Questa è in generale la regola fondamentale della gran massa dei protestanti, comecchè nello spiegarla possano esprimersi con qualche varietà; altri professando che ciascuno ha lume interiore dello Spirito santo per bene intendere le scritture; altri che le scritture sono chiare e aperte di per sè in tutto che è necessario a salute; altri che il parallelismo di luoghi, e gli altri presidii della esegetica guarentiscono sempre la retta e certa intelligenza di esse: ma in sostanza ella è poi sempre la ragione individuale suprema e libera interprete del senso delle scritture sante. Secondo questa regola adunque ognuno ha il dovere di leggere le scritture per dedurne con suo libero esame ciò che ha da credere a salute; e ciascuno insieme ha il diritto di deliberare e decidere da sè stesso col suo privato giudizio ciò che nella scrittura è verità dommatica, e ciò che non è. È questo il principio professato e mantenuto in teorica, quasi sacra possessione o palladio dall'odierno protestantesimo in generale.
Oltre a queste due principali regole dei protestantesimo ve n'ha una terza che diremo eteroclita, la quale professa di procedere come per una via mediana tra il principio o regola cattolica dall'un de' lati, e la regola razionale protestante dall'altro. Ella è questa la regola dell'anglicanismo, almeno nel suo primitivo stato. La chiesa anglicana, come ognun sa, tra gli altri avanzi dell'edifizio cattolico ha conservato una almeno apparente gerarchia episcopale, la quale secondo lo stretto anglicanismo è riputata di giure e istituzione divina. Ciò posto, l'anglicanismo ha voluto attribuire in teorica a questo corpo episcopale una qualche autorità su cose eziandio dommatiche, e nel suo articolo XX statuisce che la chiesa ha autorità nelle controversie di fede. Per tal modo ella sembra infrenare la regola protestante del senso privato, e del libero esame nel senso delle divine scritture. Nondimeno da un altro lato questa chiesa anglicana rigetta ogni infallibilità di autorità dommatica nella chiesa. Insegna ricisamente nei suoi articoli XIX e XXI che la chiesa o dispersa o congregata ne' concilii generali può errare ed ha errato. Più, con un altro articolo, che è il XX, dichiara che la chiesa non può nulla stabilire in materia di fede che non sia contenuto nella scrittura, o sia contrario ad essa. Qui dunque ripiglia i suoi diritti la regola razionale protestante, poichè ognuno ha diritto di vedere se la chiesa abbia errato e interpretato le sacre scritture in quel modo, che qui si condanna.
Noi abbiam così divisate e descritte tre diverse regole di fede proclamate da' protestanti, comecchè tutte s'attengano per un comune secreto vincolo, perchè tutte in fondo si riferiscono al principio del senso e giudizio privato. Or dovendo, secondo il nostro disegno, rivolgere tutta la prima parte dell'opera, detta perciò da noi polemico-negativa, a combattere e distruggere le regole protestanti, ragion vuole, che ci occupiamo divisatamente di tutte e tre. Se non che la prima, cioè la regola teosofica, e l'ultima cioè la regola eteroclita-anglicana non abbisognano di così lunga trattazione, molto più che gran parte delle cose che si svolgeranno contro la seconda regola, varranno anche ad ulterior confutazione delle altre due. Laonde consacreremo il solo primo capo all'esamina della regola teosofica, e l'ultimo capo a quella della regola anglicana: tutti gli altri capi di questa prima parte saranno indiritti a confutare sotto ogni rispetto la regola protestante razionale della s. scrittura interpretata dal senso privato, e ragione individuale di ciascuno, che è la regola più generale e  popolare del protestantesimo, E senza più mettiamoci tosto all'opera.
 

NOTE:

[1] Hebr. XII, 28. [Itaque regnum immobile suscipientes, habemus gratiam: per quam serviamus placentes Deo, cum metu et reverentia. N.d.R.]
[2] Hebr. XI, 6. [Sine fide autem impossibile est placere Deo. Credere enim oportet accedentem ad Deum quia est, et inquirentibus se remunerator sit N.d.R.]
[3] 1 Petr. I, 9. [... reportantes finem fidei vestræ, salutem animarum N.d.R.]
[4] Galat. I, 8.
[5] Marc. XVI, 16.
[6] Io. III, 18.
[7] I. Timoth. II, 4.
[8] Hebr. XI, 6.
[9] De util. credend., cap. XVI.
[10] Hebr. II, 1.
[11] Is. XXXV, 8. [Et erit ibi semita et via, et via sancta vocabitur: non transibit per eam pollutus, et hæc erit vobis directa via, ita ut stulti non errent per eam. N.d.R.]
[12] Io. VIII, 12.
[13] Lectures, etc. Ossia Conferenze sulle principali dottrine e pratiche della chiesa cattolica ecc. di mons. Nicola Wiseman. Vol. 1, Confer. 1, Introduzione. Ediz. 2, Londra 1844.
[14] Su questo argomento scrisse un'opera egregia ed erudita il signor Digby osfordiese convertito, sotto il titolo di Compitum, or meeting of the ways, ossia Incontro o imboccatura delle vie.
Di quest'opera già ne uscirono a luce cinque volumi, ora si aspetta il sesto a compimento. Questo stemo autore pubblicò un'altr'opera assai dotta in tre grossi volumi in 4.°, cui intitolò Mores catholici or Ages of faith, cioè Secoli della fede, la quale contribuì alla conversione di ben molti anglicani presi dal bello e dall'estetico della religione cattolica.
[15] Opera cit., pag. 16.
[16] Moehler, Patrologia.
[17] «Beatissimo patri Leoni pont. max. frater Martinus Luther augustinianus aeternam salutem!... Prostratum me pedibus tuae beatitudinis offero cum omnibus quae sum et habeo. Vivifica, occide, voca, revoca, approba, reproba ut placuerit. Vocem tuam vocem Christi in te praesidentis et loquentis agnoscam: si mortem merui, mortem non recusabo.» Praefat. thesium, edit. 1519. Ivi ancora si trova questa sua protesta: «Primum protestor me prorsus nihil dicere aut tenere velle, nisi quod in et ex sacris litteris primo, deinde ecclesiasticis patribus ab ecclesia romana receptis, hucusque servatis, et ex canonibus ac decretalibus pontificiis habetur et haberi potest. Quod si quid ex eis probari et improbari non potest, id gratia disputationis dumtaxat pro iudicio rationis et experientia tenebo, semper tamen in his salvo iudicio omnium superiorum meorum.» E nell'ediz. del 1556, tom. I, fol. 79.
[18] È da notare che nella stessa confessione d'Ausburgo offerta a Carlo V nel 1530 non si fa da Lutero ancor menzione del suo domma fondamentale che la scrittura santa è la sola regola di fede.
[19] Può vedersi su Lutero e Zwinglio il Moehler nella Simbolica, vol. II, cap. 5, § 44; e vol. I, cap. 3, § 27.
[20] Vedi il Milner nell'opera The end of religious controversy. London 1819, lett. VI.

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