Nel discorso del Papa del 23 Settembre 2011 CON I RAPPRESENTANTI ERETICI E' SCISMATICI DEL CONSIGLIO DELLA "CHIESA EVANGELICA IN GERMANIA" veniva "lodata" la figura del satanasso Martin Lutero, eresiarca impenitente. Inoltre la Grarchia modernista Post conciliare stà preparando insieme a questi eretici, la commemorazione congiunta delle tesi dell'eretico Lutero: " (Chiesa e Post Concilio) La dichiarazione comune, preparata dalla Commissione internazionale luterano-cattolica sull'unità, dovrebbe leggere l'evento della Riforma alla luce dei 2000 anni di storia cristiana, di cui 1500 prima della divisione tra cattolici e protestanti. Per il porporato, la divisione della Chiesa non era l'obiettivo dell'azione di Lutero.
Secondo il cardinale Koch, la commemorazione comune della Riforma potrebbe essere l'occasione di arrivare ad una comune ammissione di colpa da parte delle due parti, sulla scia della richiesta di perdono fatta da papa Giovanni Paolo II nel 2000 per il ruolo cattolico nelle “divisioni della Chiesa”. «Senza una consapevolezza comune, ha detto il card. Koch, senza una purificazione comune della memoria e senza una ammissione di colpa da entrambe le parti, secondo me non ci può essere una sincera commemorazione della Riforma ».
Il porporato ha anche sottolineato che è stato proprio papa Ratzinger, che da tedesco è cresciuto in un Paese la cui popolazione è divisa pressochè equamente tra cattolici e protestanti, a chiedere che il dialogo ecumenico avesse un ruolo più centrale nella sua visita in Germania del prossimo settembre.
Durante l'udienza al vescovo Younan dello scorso 16 dicembre, papa Ratzinger aveva anticipato che il documento per il 500.esimo anniversario delle 95 tesi avrebbe documentato “ciò che i luterani e i cattolici sono capaci di dire insieme a questo punto, guardando alla nostra maggiore vicinanza dopo quasi cinque secoli di separazione”. Nell'anniversario del 1517, aveva aggiunto, “i cattolici e i luterani sono chiamati a riflettere nuovamente su dove il nostro cammino verso l'unità ci ha portato e per invocare la guida di Dio e il suo aiuto per il futuro”.
----------------------------------------
Ora per meglio comprendere la figura del satanasso di lutero proponiamo un interessante studio sulla figura di questo eresiarca, tratte dal sito "
Progetto Barruel", subito sotto proponiamo delle celebri frasi di lutero:
Ecco una piccola selezione delle sue tirate
contro il Papa. Nel suo Sermone per la crociata contro i Turchi del
1529 si legge:
"Penso che il Papa è un diavolo
incarnato e mascherato perché è l'Anticristo".
Dalla sua opera Contro il Papato fondato dal
diavolo del 1545 derivano le seguenti citazioni:
"... Essi [i Papi] si adornano con
il nome di Cristo, di san Pietro e di Chiesa, anche se sono pieni dei peggiori diavoli
dell'inferno, pieni, pieni, e così pieni che non possono né espellere né
vomitare né starnutire nessun diavolo. ... Ora vediamo che egli [il Papa] con i
suoi cardinali romani non è nient’altro che un ladro disperato, nemico di Dio e
dell'uomo, distruttore del cristianesimo e vivente dimora di Satana... "
"Il diavolo, che ha fondato il
papato, parla e agisce sempre attraverso il Papa e la Sede romana."
"Vuoi sapere che cosa è il Papa e da
dove viene? È un abominio di idolatria, prodotto da tutti i diavoli dalla fossa
dell'inferno."
"Colui che è obbediente al Papa, è
benedetto, ma lui, il Papa stesso, come roccia, non deve essere sottomesso e
obbedire a nessuno. Dal quel momento tu hai il sacro diritto di considerare,
alla luce di tutte le decretali, che il Papa, e il suo papato, è uno spettro
demoniaco, che tira la sua origine da una comprensione sbagliata di Matteo 16;
vale a dire da bugie, e da bestemmia, come nato dal posteriore del diavolo.
"
"Nessuna buona coscienza cristiana
può credere che il Papa sia il capo della Chiesa cristiana, né il vicario di
Dio o di Cristo, ma è il capo della chiesa maledetta dei peggiori banditi della
terra, vicario del diavolo, nemico di Dio, un avversario di Cristo e
distruttore della Chiesa di Cristo, maestro di menzogna, di blasfemia e di
idolatria, brigante e rapinatore della Chiesa e del signore laico, assassino di
re e causa di tutti i tipi di spargimento di sangue, una puttana sopra ogni
puttana, impegnata nella sua fornicazione, un anticristo, un uomo del peccato e
figlio della perdizione, un lupo mannaro vero e proprio. "
"Ciò che viene dal Papa è il male
assoluto sulla terra... Che Dio ci aiuti, Amen."
(Citazioni raccolte dalle Opera Omnia di
Martino Lutero, edizione di Weimar)
Lutero
“ La Messa non è un sacrificio... chiamatela benedizione, Eucaristia, tavola del Signore, cena del Signore,
memoria del Signore, o come più vi piace, purché non la sporchiate col nome di
sacrificio o azione “.
«Affermo che tutti gli omicidi, i furti, gli adulterii sono meno cattivi che
questa abominevole Messa… (Lutero.Sermone della 1° domenica d’Avvento)
...”la loro Messa è sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i
bordelli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulterii sono meno
malvagi di quella abominazione che è la messa papista ( Trattato contra Henricum )
Già nel 1522, prima ancora del suo matrimonio ‘ufficiale’
con la monaca Catherine Bora, scriveva al suo amico Spalatino: “Poiché mi
chiedi una prova [dell'amante che sono], eccone una davvero potente: sebbene io
mi goda tre donne contemporaneamente (2), le ho amate così intensamente
che vorrei cederne due così che altri mariti se le possano godere... (De Wette,
vol. II, pag 646 Berlin).
Ripensata, certo, in modo da renderla sfigurata, espressione
blasfema di un Cristo che 'se l’è intesa’ con le donne
peccatrici che lui assolveva e di un Dio crudele che dopo averci creati ci
costringe in Adamo a peccare e per salvarci costringe Giuda a tradire il
‘maestro’! (citazioni dai ‘ Discorsi a Tavola’ , in ‘Luther’ di Funck-Brentano,
Grasset, Paris).
Un uomo davvero nuovo! Tanto da fa dire a Melantone:
“Lutero fu un uomo estremamente frivolo. Le monache che lui faceva uscire dai
conventi gli tendevano furbescamente trappole [alle quali lui cedeva ben
volentieri...]. I suoi frequenti commerci con esse, avrebbero effeminato anche
l’uomo più forte e di animo più nobile“ (Melanchton, Brief an Camerarius uber
Luthers heirat vom 16 Juni 1525).
E quanto alle crapule, così scriveva nel 1534 alla sua
[fortunata davvero!] mogliettina Catherine: “Qui me la
mangio come un Boemo e me la bevo come come un todesco: che Dio sia
lodato!” (Burkhardt Dr. M. Luther, Briefwechsel, Leipziz 1866 ).
E come
'nuovo pensatore' della fede da buon padre spirituale così consigliava un suo
discepolo, Jerome Weller: «Quando il diavolo ti
tormenta con questi pensieri cerca subito la compagnia di amici, o mettiti a
bere senza freni, o cerca di divertirti in un qualche modo– oppure commetti
qualche peccato come segno di disprezzo e di odio verso il Diavolo, così da non
lasciare spazio nella tua coscienza a scrupoli tormentosi per questioni così
ridicole… D’accordo, se il Diavolo ti dice :
“Non bere!”, tu devi ribattergli: “Proprio perché me lo proibisci, io berrò
ancora di più, nel nome di Cristo!"(3) In tal
modo tu farai sempre il contrario di quello che il diavolo ti proibisce…»(4) ( De Wette, vol. IV, pag.188 ).
il card. Willebrands bello bello afferma “che nessuno potrebbe ardire di negare(9) che Lutero fu un uomo profondamente religioso,
una personalità che cercava il messaggio del vangelo onestamente e con
abnegazione [!!!] e che fu capace di preservare
una notevole parte delle ricchezze dell’antica fede”
“Io non ammetto, scrive nel giugno del 1522, che la mia dottrina
possa essere giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia
dottrina non può giungere alla salvezza” (15) (cit. in Jacques Maritain, Tre
Riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau, pag. 54 ).
“Anche se la Chiesa, Agostino, i
dottori Pietro e Paolo o anche un Angelo del cielo dovessero insegnare il
contrario, solo la mia dottrina esalta la grazia e la gloria di Dio e condanna
la sapienza della giustizia umana (14) (M. Luther, Werke, Weimar:
Kritische Gesamtausgabe, 1883-1914)
“Chiunque non creda come me è
destinato all’inferno. La mia dottrina e quella di Dio sono la stessa cosa. Il
mio giudizio è il giudizio di Dio (Weimar, vol. X, p. 2, Abteitung 107
--------------------------------------------------
La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 801, 24 ott. 1883) Firenze 1883, pag. 257-271.
R. P. Raffaele Ballerini S.J.
CHI FOSSE MARTIN LUTERO
I.
In questo mese di novembre tutto quello che, dentro e fuori del protestantesimo, suol chiamarsi mondo moderno,
festeggia, per diverse ragioni, nella Germania segnatamente, con
dimostrazioni di pompa e di gioia, il quarto genetliaco secolare di
Martin Lutero, decantato a piena bocca quale iniziatore del gran moto di civiltà,
che ai dì nostri è sul toccare l'apice dell'altezza, nella universale
anarchia del socialismo. Agl'inni dei protestanti tedeschi, dei
razionalisti e dei liberali d'ogni paese, che tanto incenso bruciano a
quest'idolo adorato, bene sta che si aggiunga la voce altresì dei
cattolici, la quale, fra gli strepiti dei menzogneri elogi, così faccia
intendere la verità, come puramente si trae da una storia, che quattro
secoli di studii e di esperimenti hanno oltre ogni evidenza illustrata.
Che uomo fu egli adunque Martin Lutero? Qual è propriamente il merito dell'opera sua nel cristianesimo?
Ecco due quesiti ai quali, per occasione dell'odierno suo centenario, tornerà utile fare breve ma irrefutabile risposta.
II.
Costui, nato il 10 novembre 1483 in Islebio [Eisleben, N.d.R.],
contado di Mansfeld nella Sassonia, da un povero scavator di miniere,
si ascrisse nel 1501 all'università di Erfurt. Dopo quattro anni vi
divenne maestro e per volontà dei parenti suoi si dedicò allo studio
della legge. Si narra che, mentre egli passeggiava un giorno con un
amico, sorto un temporale, questi fu da un fulmine colpito al suo
fianco. Preso da spavento, Martino fece voto di darsi a Dio: e di fatto,
contro il divieto irragionevole del padre, nel 1506 entrò nel convento
degli Agostiniani di Erfurt.
Secondo che scrive ed osserva il Döllinger [1],
grande nocumento gli arrecò il P. Staupitz, suo provinciale: giacchè
non solo dispensò lui, novizio e bisognoso in estremo di esser tenuto
umile, perchè inclinatissimo ad orgoglio, dagli esercizii di umiltà
prescritti nelle costituzioni dell'Ordine, ma dopo un anno di leggiero
noviziato, lo fece ascendere al sacerdozio senza che il giovane vi fosse
congruamente apparecchiato. Lutero stesso più tardi riconobbe
gl'inconvenienti di questa fretta; e non esitò a dichiarare che, per
mero effetto della pazienza di Dio, la terra in quel punto non inghiottì
lui ed il vescovo che lo ordinava. Nè pago di questo, lo Staupitz
(forse troppo sedotto dall'ingegno di Lutero) gli procurò subito la
cattedra di dialettica e di etica e poi di teologia nell'università di
Wittemberg, eretta di fresco, dove il mal formato maestro cominciò ad
insegnare brutti errori e strani.
Dalle confessioni del medesimo
Lutero, sappiamo che in questo tempo egli si lasciava vincere, non pur
dalle tentazioni della carne, ma dalla collera, dall'odio e
dall'invidia; e che queste spirituali sconfitte, provenienti certo da
mancanza di virtù e di orazione, lo conducevano quasi a disperare. In
una lettera al P. Staupitz, manifesta ch'egli era privo dell'amor di
Dio: che ipocritamente fingeva di averlo: che faceva penitenza solo a
parole: che nel convento era così avverso a Gesù Cristo, che all'aspetto
del Crocifisso si sgomentava, abbassava gli occhi ed avrebbe preferito
di vedere il diavolo[2].
Il
turbamento della coscienza, che pur sempre lo agitava, gli era
accresciuto dalla continua molestia che egli diceva darglisi da cotesto
diavolo, il cui nome aveva incessantemente nella bocca e sulla punta
della penna. A leggere gli scritti suoi o i suoi detti, notati da altri,
fa meraviglia questo perpetuo suo commercio col demonio, ch'egli si
vantava di vincere anche sempre, avvegnachè in forme visibili lo
assediasse e gli stesse accanto e persino dormisse con lui, come con un
familiarissimo amico. «Io ho provato qual compagno sia il diavolo,
sclamava un giorno a mensa; egli mi ha date strette tali, che io non
sapevo più se fossi vivo o morto. Alle volte mi ha gittato in un così
fatto abisso di disperazione, che ero al punto d'ignorare se vi fosse un
Dio[3].»
Certo è ch'egli usciva da queste battaglie spossato e bagnato di
sudore; e tra per questo e pei rimorsi della coscienza, nè di giorno nè
di notte non aveva più requie.
Per quietarsi, venne escogitando un
argomento che diventò poi come primo germe delle altre mille sue
teologiche enormità: e fu di esagerare e falsare l'articolo del simbolo:
«Io credo la remissione dei peccati» in modo che e da lui e da tutti si
avesse da credere necessariamente per fede, che i peccati proprii erano
di fatto da Dio perdonati. Di qui il suo fondamentale errore della
giustificazione per la sola fede, secondo cui prese a interpretare le
Scritture, spregiando qualsiasi altra interpretazione dei Padri e dei
Dottori.
III.
Si crede comunemente che Martin Lutero
cominciasse a prevaricare ed a mutar bandiera nel 1517, nella
congiuntura delle indulgenze largite da Papa Leone X a chi, con altre
debite condizioni, offrisse limosine per la fabbrica della Basilica di
San Pietro in Vaticano, e dei litigi ch'egli intorno a ciò fece
insorgere. Ma è falsa opinione. Oltre il dèttone finora, nella
prefazione al primo volume delle suo opere, egli, parlando di sè e del
tempo che precedè la sua ribellione alla Chiesa romana, uscì in questa
orribile confessione: «Io non amava, odiava anzi un Dio, giusto punitore
dei peccatori; e se non con tacita bestemmia, almeno con grandissima
mormorazione io m'incolleriva e m'infuriava, dentro la crudele coscienza
straziata dai rimorsi [4]».
Sino dal febbraio del 1516 tolse ad impugnare, con acerbi scherni, il metodo degli scolastici ed a chiamare fango ed immondizie
i loro libri; perocchè egli ben vedeva che nulla avrebbe concluso,
colle novità dottrinali ch'egli meditava, se prima non avesse screditate
le armi, con cui la Scuola invittamente sostenea le cattoliche verità.
Poscia mandò in giro una serie di novantanove proposizioni, contro la
teologia degli scolastici e i sogni
di Aristotele, che levarono grande scandalo. Basti dire che nella
trentesimanona negava il libero arbitrio, con queste formate parole:
«Noi non siamo padroni delle nostre azioni, ma schiavi, dal principio
sino alla fine»; e con altre venti pretendeva stabilire, che l'uomo può
il male, e non altro che il male; così che la sua natura per sè
unicamente e necessariamente è determinata al male; d'onde viene che Dio
e non l'uomo è autor del peccato, e ingiusta ogni pena che Dio al
peccatore infligga: empietà e bestemmia, come ben nota il Bossuet, che
non si udirà forse nè meno nell'inferno. Eppure egli era così ostinato
in queste sue sentenze, che trattava da spettri e da vampiri quelli tra' suoi confratelli che le biasimavano quali errori madornali[5].
Queste proposizioni o tesi, da Lutero insegnate e divulgate nel 1516 e
stampate dipoi a Wittemberg in latino, assegnano a quest'anno il vero
principio della sua così detta Riforma: il che fu avanti il piato[*] fatto nascere, per occasione delle indulgenze di Papa Leone X.
Origine
di questo piato, come dopo il Plank, l'Ancillon e altri, oggidì
l'ammettono ancora molti protestanti spassionati, col Cobbett e col
Menzel, fu l'orgoglio e l'invidia che punse l'animo irrequieto e niente
nobile di Lutero, in vedersi antiposto il domenicano Tetzel nell'ufficio
di sottocommissario dell'arcivescovo Alberto e del nunzio Arcimboldo,
per la predicazione di tali indulgenze. Tosto egli si lasciò sopraffare
da tanta ira, che il 31 ottobre del 1517 attaccò alla porta della chiesa
del castello di Wittemberg le novantacinque sue tesi, che gli
spalancarono sotto i piedi l'abisso. «Ah, sclamava egli più tardi, se
avessi previsto che la prima mia impresa dovea condurmi così lontano,
per certo avrei raffrenata la lingua![6]»
Ma l'impeto suo naturale e la contumacia ne' concetti del torbido suo
cervello così l'accecarono, ch'egli, di contraddizione in contraddizione
e di fallo in fallo, di appello dal nunzio al Papa, dal Papa male
informato al Papa bene informato, dal Papa al Concilio e dal Concilio al
senso privato di ciascun fedele da lui costituito sacerdote, pontefice e
re, traboccò negli ultimi eccessi della ribellione a Dio ed alla
Chiesa.
Operò egli così in effetto, perchè fosse dentro sè
persuaso essere vero ciò che sosteneva e per intimo senso della
coscienza? Mille argomenti e, tra gli altri, il suo perpetuo
contraddirsi fino all'ultimo, mostrano che no: ma più che altro lo
manifestano queste parole di disperato pentimento, da lui proferite,
quando il male non parea avesse più rimedio: «Io odio ed avverso
l'intero mondo. Ma dacchè mi sono messo per questa via, bisogna pure
ch'io dica di aver fatto bene. Non posso però credere ciò che insegno,
avvegnachè altri me ne creda profondamente convinto... Quanti uomini, vo
tra me dicendo, hai tu sedotti con la tua dottrina! Tu sei cagione di
tutti i loro disordini. Questo pensiero non mi dà un momento di tregua[7].»
E più chiaramente ancora queste altre da lui scritte: «Per caso e non
per mia elezione, mi sono gittato in queste battaglie religiose. Io ho
abolita l'elevazione dell'ostia, per far dispetto al Papa; e se l'ho tanto tempo conservata, ciò è stato per fare rabbia a Carlostadio. Confesso di aver tenuta la comunione sotto le due specie, unicamente per fare onta
al Papa. Ma se un Concilio ordinasse la comunione sotto le due specie,
io e i miei la riceveremmo sotto una sola, o non la riceveremmo punto, e
maledirei coloro che obbedissero al Concilio. Se voi persistete nelle vostre deliberazioni comuni, io ritratterò tutto quello che ho scritto e vi abbandonerò[8].»
Da
queste autentiche sue confessioni, deducano gli odierni encomiatori di
Martin Lutero, quanto gli si avvengano le lodi che gli tributano di uomo
leale, di apostolo della verità, di operatore di una nuova redenzione
dello spirito umano, già schiavo delle superstizioni e via via.
IV.
Un
altro capo, che rende sfolgorante la pressochè dementatrice passione da
cui era incitato e guidato nel suo operare, è quello dei vilipendii e
delle ingiurie sozze, con cui rispondeva a' suoi avversarii ed
oltraggiava ogni più santa ed augusta autorità della terra. Nessun animo
onesto potrebbe farsi un'idea dei vituperii laidissimi e delle
buffonerie, con le quali pretese di confutare la condanna fatta de' suoi
errori, nel 1519, dalle due università di Colonia e di Lovanio. Dopo
scherzato con parole schifose, passò a chiamare i dottori delle due
università: «vere bestie, porci, epicurei, pagani ed atei, che non
conoscono altra penitenza fuorchè quella di Giuda e di Saul, che
pigliano, non dalla Scrittura, ma dalla dottrina degli uomini quidquid eructant, vomunt etc...[9].»
La Santa Sede, fin da quando egli le si diceva ancora sottomesso, già
definiva essere quel «marciume della Sodoma romana, che avvelena e perde
interamente la Chiesa di Dio[10].»
La buona creanza, poi vieta di riferire le stomachevoli infamie che a piene mani versò nel suo libro Il Papato di Roma istituito dal diavolo,
contro il Vicario di Cristo, i vescovi, i cardinali e tutto il clero
cattolico; e le immonde figure, a scherno del romano Pontefice, che
divisò e fece disegnare col titolo di Passione di Cristo e dell'Anticristo.
Sono esse una così fecciosa melma, che i più sfrenati cialtroni di
piazza non ardirebbero toccare. Il Döllinger, giudicando quel libro,
così lo ha sentenziato: «Scritto la cui origine appena altrimenti si può
spiegare, che ammettendo Lutero l'abbia in gran parte composto
mentr'era riscaldato da bevande inebrianti. Che se lo dettò in istato di
sincerità, senza alterazione od ubbriachezza, egli s'infiammò di sdegno
fino a quel grado, in cui lo spirito, perduto il dominio di sè,
comincia a cadere nello scompiglio e nella demenza[11].» Nè deve ciò recare ammirazione a chi consideri, che Lutero osò tacciare d'erroneo S. Pietro, principe degli Apostoli, e deridere d'infacondo, di adirato, di peccaminoso, di idolatrico e d'ipocrita lo stesso Mosè[12].
Nè
diversi modi potè usare a dileggio delle podestà civili, egli che tante
abbominazioni scrisse e proferì in onta alle più sacre: «I Principi,
diss'egli, sono in generale i più grandi pazzi e bricconi della terra:
non ci possiamo aspettar da loro nulla di buono, ma sempre quanto vi è
di peggio.» Suo proverbio era questo, che Principem esse et non esse latronem, vix possibile est[13]. Senza che uno dei diciotto articoli del Credo,
che egli compose dopo la dieta di Worms, fu che non vi è Stato il
quale, secondo che l'esperienza insegna, possa felicemente essere
governato da Re.
V.
Quest'uomo poi, la cui penna irosa
nulla aveva più familiare che i termini sudici e il nome del demonio,
tanto era invanito di sè, che si riputava superiore a tutta la umana
specie. Non solo egli si figurava di avere a combattere con Satana, come
Paolo e Gesù Cristo, ma di essere a dirittura un Paolo novello,
operator di miracoli, unico vero inviato da Dio, infallibile ne' suoi
insegnamenti[14]. Stimava che le sue dottrine tanto ridicole ed assurde intorno alla giustificazione, fossero un nuovo vangelo; e predicava in pubblico che Dio, con singolare vocazione, aveva eletto lui a bandire e ripristinare la lieta novella e datagli una soprannaturale intelligenza
delle epistole di Paolo. Finalmente si millantava che niuno prima di
lui (nè pure i Padri della Chiesa, nè i sommi teologi dei secoli
precedenti) avesse saputo che cosa fossero la creazione, la redenzione,
la giustificazione, l'uomo ne' suoi componenti di anima e di corpo; che
cosa fossero Cristo, il battesimo, la confessione, i dieci comandamenti,
il Pater nostro, e via via. Che più? Con frasi diversissime, egli
assicurava di avere ricevuta la dottrina sua, per divina ispirazione,
dal cielo: dava per certissimo che la parola sua non era sua, ma di
Cristo; ch'egli era anzi la bocca di Cristo medesimo, il quale lo aveva
chiamato ad essere giudice degli uomini e degli Angeli[15].
Le
quali stolide superbie come lo rendessero odioso agli stessi satelliti
suoi nella ribellione alla verità cattolica, non è a dire. Ecco un
saggio dei loro sentimenti: «Quando leggo un libro di Lutero, scriveva
l'Hencke, mi sembra di vedere un porco immondo, che grugna annusando qua
e là i fiori d'un bel giardino: con uguale impurità, con uguale
ignoranza teologica, con uguale sconvenienza, Lutero parla di Dio e
delle cose sante[16].»
Zuinglio gli rinfacciava «la tracotanza, la sfacciataggine, il fasto di
parole e le turgide minacce» a lui abituali e lo diceva «pieno di
orgoglio, d'arroganza e sedotto da Satanasso»; e soggiungeva: «a vederlo
in mezzo a' suoi, tu lo crederesti ossesso da una falange di demonii.
Com'è chiaro che Dio è Dio, così è certo che Lutero è diavolo. Nel suo
furore egli si contraddice da una pagina all'altra. Non ti si fa nessun
torto chiamandoti, o Lutero, seduttore più pericoloso di Marcione[17].» La società tigurina lo riprendeva «di cercare sè e la gloria propria, con un orgoglio di strabocchevole insolenza[18].» Ecolampadio dicevalo «tronfio di orgoglio e corrotto da Satanasso».
VI.
Non
vi è però dubbio che le contingenze dei tempi, ne' quali Lutero visse,
conferiron di molto a pascerne la folle vanità. I costumi rilassati, il
guasto di una porzione del clero, sì regolare come secolare, il
desiderio di novità, il raffreddamento del laicato nella pratica della
vita cristiana, il vizio dell'ubbriachezza diventato comune alla plebe
ed ai grandi, la cupidigia e i disordini di non pochi principi di
Germania, facilitarono al ribelle frate la disseminazione de' suoi
errori e l'impresa dello scisma. Come le api intorno alla regina, così i
tristi si raccolsero attorno di lui, poco o nulla badando all'assurdità
delle sue teoriche e molto allo sbrigliamento delle passioni, a cui
conducevano. Intere scuole gli facevano plauso; non pochi membri di
amendue i cleri e parecchi prelati si mostravano già suoi aderenti, una
turba di pedanti e di umanisti lo portava alle stelle: un'altra schiera
di nobili lo proteggeva e gli offriva asilo. Tanti fumi gli diedero al
capo, ne crebbero la superbia e lo rianimarono a persistere nell'eresia,
contro gli ammonimenti della coscienza e i dettami della ragione
cristiana. Egli, che aveva scritto all'imperatore Carlo V di voler
morire da figliuolo fedele ed obbediente alla Chiesa cattolica e stare
al giudizio di tutte le università non sospette, quattro mesi dopo
pubblicava il sedizioso libro Alla nobiltà tedesca e quindi l'altro Della schiavitù babilonica,
rigurgitanti di contumelie a tutta quanta la cattolica verità; ed in
ispecie al santo sacrifizio della Messa, in obbrobrio del quale scrisse
ribalderie che la penna si rifiuta di accennare.
Il dottore Schön, che dieci anni or sono pubblicò uno scientifico esame psicoiatrico di Martin Lutero, tradotto ancora in italiano [19], per conclusione del quale mostrò che costui fu soggetto ad accessi di follia, ragionando del libro Della schiavitù babilonica
asserisce quanto segue: «Io sono stato molto tempo curato di uno dei
più grandi manicomii d'Europa: mai però non mi è toccato di ascoltare un
linguaggio simile in dissennatezza a quello che tenne in questo libro
quel caro uomo di Dio,
secondochè lo chiamano i suoi veneratori. L'opporre che fanno costoro, a
sua scusa, ch'egli fu di aspra natura, di genio singolare ed abborrente
dalle vie comuni, e che si conformava alla ruvidità dei tempi, è un
tentare di giustificarlo con insulse menzogne. Perchè non dire la verità
e chiamar pane il pane?»
Il de Wette, ammiratore e biografo di Lutero, riferisce che alla mensa egli così pregava: O santo Satana, prega per noi. Piglia il cordone in mano e va in Roma dal tuo servo (il Papa) del quale tu sei l'idolo[20]. Se questo non è un pregare da pazzo qual altro sarà mai?
VII.
Nè
ciò basta. Quale santità palesò Martino Lutero, nella vita, nella
morale e nel costume? Abbiamo veduto più sopra com'egli, prima di
apostatare dalla Chiesa, non occultasse il cedere che faceva alle
tentazioni. Allorchè nel 1521, dalla dieta di Worms fuggito nel castello
di Vartborgo, che denominò poi il suo Patmos, vi si tenne nascosto,
sotto i 13 giugno, scriveva all'amico Melantone così: «È finita! Io non
posso più pregare, nè gemere; la carne mi brucia, quella carne che bolle
in me invece dello spirito. Infingardia, sonno, mollezza, voluttà,
tutte insieme le passioni mi assediano... ecco otto giorni che io non
iscrivo, nè prego, cagione le tentazioni della carne.» Del resto d'ogni
suo male facilmente si consolava. Secondo il suo grande assioma, che il libero arbitrio è una chimera, ed il suo gran dettame del pecca fortiter et crede firmiter,
il 1° agosto riscriveva a Melantone in questi termini: «Sii peccatore e
pecca vigorosamente, ma la tua fede sia maggiore del tuo peccato. Il
peccato non può distruggere in noi il regno dell'Agnello di Dio,
quand'anche fornicassimo o uccidessimo mille volte al giorno.» Poste le
quali nuove regole di moralità, è agevole conghietturare come si
diportasse Lutero nelle sue tentazioni, e di che sorta dovesse essere la
vita sua privata.
Nel 1525, dopo gittato l'abito religioso, non
ebbe più nessun ritegno di pudore, e sposò la famigerata Caterina di
Bora, scappata con altre compagne, a indotta sua, dal monastero di
Niemitsch, nel quale avea professata la regola di san Bernardo; e la
sposò proprio il venerdì santo, appresso che costei, giovane in sui
ventisei anni, già si era data a un viver perduto ed era stata rifiutata
da un altro prete apostata: così che Martin Lutero ebbe a gustare le
gioie di una paternità non sua, pochi giorni dopo che si era
solennemente introdotta nella casa nuziale questa sua diletta Ghita, che
gli riempì la casa di prole: fatto che gli attirò la riprovazione de'
suoi stessi più caldi seguaci[21].
Tanto più ch'egli, a quarantacinque anni di età, aveva celebrato
l'orrido pateracchio, contraddicendo ai fieri biasimi, co' quali ne'
suoi discorsi da tavola avea
vituperato il matrimonio dei preti. E in vero, subito dopo stretto
questo nodo sacrilego, di lui due volte apostata con la due volte
apostata sua Ghita, ne espresse pentimento, confessando di temere che
questo vergognoso scioglimento della sua commedia facesse piangere gli Angeli e ridere i demonii.
Oltre ciò, costui si mostrò affetto di quel morbo, che gli alienisti denominano satiriasi.
Noi non vogliamo lordare queste pagine, ricapitolando le stringenti
prove che il dottor Schön, nella opera mentovata, garbatamente allega.
Fra le altre disorbitanze, in una predica, ch'egli tenne del 1522, uscì
in cose e concesse diritti, che la naturale coscienza persino dei pagani
rigetta con abbominio. Ch'egli facesse lecita la bigamia al Langravio
d'Assia, è da documenti autentici comprovato. Egli dichiarò tanto
impossibile il non peccare di senso, quanto è impossibile vivere senza
bere e mangiare[22].
L'intemperanza sua fu tale, che più di una volta ebbe a patirne gravi
malattie. Un suo discepolo si diè per vinto da lui nell'ubbriachezza e
nel turpiloquio; del che Lutero saporitamente rise, quando se l'intese
dire nell'osteria dell'Orso nero [23]. Allorchè alcuni si dilettavano di passare qualche giornata scapricciandosi licenziosamente, solevan dire: Oggi vivremo alla luterana[24].
In somma l'anima epicurea di fra Martino si scopre tutta in questa sua
preghiera, che non fu messa in dubbio nemmeno dal furibondo Bost. «O
Dio, per vostra bontà, provvedeteci d'abiti, di cappelli, di mantelli,
di vitelli ben grassi, di capretti, di buoi, di montoni, di giovenchi,
di molte femmine e di pochi figliuoli! Ben bere e ben mangiare è il vero
secreto di non annoiarsi.» Finalmente la scostumatezza di lui giunse a
tale, che Errico VIII d'Inghilterra, come leggesi in Florimondo[25], nel colmo delle sue sregolatissime lascivie, ebbe a dargli lezioni di castità: turpia, turpioribus delentur.
«Ah
non mi dà stupore che io abbia errato, sclamò egli un giorno; ma
stupisco assai che un matto solo abbia potuto produrre tanti matti[26]!»
Ed altrove scrisse rotondamente: «Gli scandali dati da me e da' miei
colleghi, colle nostre persone, col nostro naturale e molto più colla
nostra maniera di vita, sono stati finora causa primaria dell'apostasia
di un buon numero de' nostri[27].» Qui habemus confitentem reum,
ed un tale reo che non fa la sua confessione pubblica per umiltà; ma
incitatovi dai morsi di una coscienza che non lo lasciava ben avere.
VIII.
Crudeltà
e lussuria vanno alla pari. Ciò avverossi in Martin Lutero al più alto
segno. Egli si piacque di attizzare, come a meta della sua riforma del
cristianesimo, la guerra civile dei villani contro i nobili e dei nobili
contro i villani, guardando con occhio giulivo tanto spargimento di
sangue, e dichiarando pur figliuoli amati da Dio tutti coloro che si
adoperassero ad abbattere gli episcopii e a distruggere l'autorità dei
vescovi. Appena però egli riseppe la sconfitta dei villani, tosto con un
altro opuscolo consigliò i principi (que' principi da lui prima beffati
per matti e ladri)
a fare una spietata carnificina di quei ribelli. «Su via, o principi,
scriveva quest'idolo dei nostri moderni demagoghi, all'armi! Percotete!
all'armi! Son venuti i tempi, tempi meravigliosi, in cui un principe può
col sangue guadagnare più facilmente il cielo, che noi colle orazioni.
Battete, trafiggete, uccidete in faccia e alle spalle, poichè nulla è
più diabolico d'un sedizioso: esso è un cane arrabbiato che, se non lo
atterrate, vi morde. Non si tratta più di dormire, di avere pazienza, di
usare misericordia: il tempo della spada e della collera non è tempo di
grazia. Se voi soccombete, siete martiri, ma il villano ribelle, se
cade, avrà eternamente l'inferno: egli è figliuolo di Satanasso[28].»
Nel
breve tempo che durò questa guerra, da Martin Lutero aizzata, si ebbero
più di centomila uomini uccisi nei campi di battaglia, sette città
smantellate, mille monasteri adeguati al suolo, trecento chiese
incendiate e immensi tesori di pitture, di sculture, di vetri colorati e
d'incisioni distrutti. Or alla vista di questi monti di cadaveri e di
ruine, che diceva egli, tra i bicchieri e le vivande, l'autore della
riforma? «Io, Martin Lutero, io, nella ribellion loro, ho uccisi tutti i
villani, perchè io ho comandato di ucciderli. Tutto il lor sangue
ricade sopra di me»: e scriveva: «Il savio lo dice: all'asino strame, un
basto e la frusta: ai villani paglia d'avena. Non vogliono cedere? Si
usi la verga e lo schioppo[29].»
In
questi fatti e in questo parole si specchino tutti quei nostri
socialisti, che cantano al presente i trionfi della luterana riforma: ed
affinchè gli odierni giudei con vivo ardore si uniscano pur essi a far
coro cogli encomiasti di fra Martino, rammenterem loro il tenero affetto
ch'egli alla loro gente e religione portò. Ne' suoi atroci libelli,
egli provocava i cristiani a sterminarli col fuoco; ed insegnava potere
ognuno e dovere gittar loro addosso zolfo e pece, bruciarne i libri,
vietarne il culto sotto pena di morte e cacciarli senza riguardo dal
paese. Nel suo Schem Hamphorae
esordì con questi carezzevoli termini: «I giudei sono giovani demonii
dannati all'inferno»; e proseguì con immagini e descrizioni sì schifose,
che sol con vergogna i suoi aderenti ricordarono[30]. Com' essi vedono, ogni ragione hanno di levare a cielo in Lutero il primo e più feroce banditore di quell'antisemitismo, che minaccia di conciarli per le feste in Germania, come li sta ora conciando nella Russia.
IX.
Le
inconsolabili tristezze che straziaron l'animo di questo sciagurato,
nell'ultimo scorcio della sua vita, non si possono raccontare. Il maligno spirito è la coscienza,
gridava egli. I rimorsi lo divoravano e sembrava patisse un inferno
anticipato. Alla Ghita Bora, sua concubina, che una sera le indicava il
fulgido scintillar delle stelle, rispose mestamente: ––
Questa luce, credilo, non brilla per noi. E perchè la donna gli domandò
se non sarebbe meglio provvedere alla eterna salute dell'anima,
ritornando ai doveri dello stato religioso rinnegato:–– È troppo tardi, soggiunse Martino; il carro si è troppo affondato nella mota [31]!
Tutto
il giornale del Mattesio, suo confidente, ci rivela, in quell'estremo
periodo del suo vivere, un abisso di dolori, d'inquietezze e d'ambasce.
Per lo che non è meraviglia che l'infelice apostata fosse atterrito
dalle parole bibliche: Maledetto quel giorno in cui nato sono,
conforme il precitato suo biografo ci narra. I più de' libri scritti in
questi tempi furono da lui composti, per sedare la tempesta dell'animo.
Cercava ogni via di svagarsi, almanaccava cento cose, mulinava di
riscrivere, anche più amaramente che non avesse fatto, in detestazione
dei papisti.
La sua morte
fa raccapriccio. Seduto in Islebio alla mensa lautissima dei conti di
Mansfeld, tracannando i migliori vini del Reno ed empiendosi il ventre
delle carni di prelibate selvaggine, beffeggiava grossolanamente e Papa e
Imperatore e monaci; e sporchi lazzi faceva pure sul conto del diavolo,
che avea sempre nella bocca e nel cuore: quando, levatosi a un tratto
di tavola, andò a scrivere, fra le risa di tutti i convitati, col gesso
in una parete questo verso: Pestis eram vivus, moriens tua mors ero, Papa.
Ma gli sghignazzamenti duraron poco, giacchè Lutero fu tosto preso da
fiera malinconia e scritto un biglietto, che lasciò sulla mensa, se
n'andò. Il biglietto terminava con queste parole: «Per verità, noi siamo
pure i gran bricconi!» Sei giorni dopo, il 22 febbraio del 1546, egli
moriva soffocato dall'asma, disperandosi per sentirsi derelitto da Gesù
Cristo e dannato[32].
X.
Ecco
in fuggitivi sì, ma veraci tocchi di pennello dipinto Martin Lutero. I
colori quasi tutti sono tolti dalla sua tavolozza. In sostanza, egli si
disse, e non per amore di umiltà, gran matto e gran briccone. Chi gli ha fede nel rimanente, perchè non gli crederà anche in questo?
Fra Martino fu mal profeta, quando presso ad esalar l'anima asseri che, morto, egli avrebbe dato morte al Papato: Moriens, tua mors ero, Papa.
Già da più di tre secoli il meschino è ridotto ad un pugno di cenere:
ma il Papato vive sì rigoglioso, che pare nel primo fiore della sua
giovinezza: anzi più dagli eredi dell'odio luterano esso è impugnato, e
più si dà a divedere invitto ed invincibile.
Se non che in
un'altra cosa fra Martino fu buon profeta. Ci scusino i lettori se,
occorrendo citare a verbo le sue proprie parole, offenderemo alquanto le
leggi del galateo. Troppo è difficile toccar colla penna il frasario di
Lutero, e non inquinarla. Ad alcuni che seco si lagnavano delle
persecuzioni mosse contro i suoi ligi e discepoli: «Non sarà così,
rispos'egli, nel tempo avvenire. Oggi siamo nel parossismo della febbre.
Quando avremo insozzati coi nostri escrementi quelli che ora ci
opprimono, essi adoreranno il nostro sterco e lo avranno in conto di
balsamo[33].»
I
principi, i dotti ed i popoli dell'Europa settentrionale dicano essi
fino a qual grado siasi, negli ultimi trecenquaranta anni, avverato
questo sublime vaticinio del loro patriarca e maestro. Noi pensiamo che
come una giumenta, per virtù non sua, potè scioglier la lingua e
favellare a Balaam; così Martino Lutero potè, in un lume non suo,
prevedere e predire, con singolar proprietà di linguaggio, il moral
valore del culto che si sarebbe tributato alla sua apostasia, alle sue
dottrine, alla sua memoria. In conclusione, egli così venne a definire
ciò che sarebbe stato anche il clamoroso festeggiamento, col quale oggi i
protestanti in lega coi liberali, cogli atei, coi socialisti del mondo incivilito, commemorano il quarto anniversario della sua nascita.
Resta ora che si risponda al secondo quesito: quale cioè sia stata l'opera di Martino Lutero. Lo faremo nel prossimo quaderno.
NOTE:
[*] Si dice piato una discussione o richiesta insistente in tono litigioso o lamentoso. [N.d.R.]
[1] Die deutsche Reformation, Leipzig, 1873.
[2] Döllinger, Op. Cit.
[3] V. Michelet, Mémoires de Luth. tom. II, pag. 186. - Audin, Vie de Luth. tom. II, ch. 22.
[4] Sanderus, De visib. monarch. I. VII.
[5] Veggasi la sua lettera dell'11 novembre 1517 all'antico priore di Erfurt nelle Opere, Walck, t. XV, pag. 432.
[6] Supplément aux écrits de Luther, pag. 9, ediz. di Magonza, 1827.
[7] L. cit.
[8] Resp. ad maledict. Reg. Angl. Confess. parv. form. Miss. t. III, pag. 276, delle Opere, ediz. di Vittemberga.
[9] Walck, t. XXIX, pag. 2250 seg.
[10] Ivi, t. XVIII, pag. 213.
[11] Dizionario ecclesiastico di Wetzer e Welts, tom. VI, pag. 672.
[12] Op. ediz. di Vittemberga, t. III, p. 425.
[13] Walck, t. XII, pag. 786 e tom. X, pag. 460.
[14] Si veggano i suoi discorsi detti da tavola, cap. 12. [Tischreden, N.d.R.]
[15]
Tutte queste vanterie si trovano nella raccolta delle sue prediche
familiari per le domeniche (Hauspostille) nei suoi discorsi da tavola e
nelle sue interpretazioni esegetiche.
[16] Allgemeine Geschichte der Christ. Kirch. nach der Zeitfolge, 1799, tom. III, pag. 301.
[17] Respons. ad confess. Luther.
[18] Risposta al libro di Lutero contro Zuinglio.
[19] Martino Lutero giudicato psicoiatricamente dal prof. Schön, Milano, Agnelli, 1874.
[20] Tom. II, pag. 4.
[21] Si vegga l'Arnold, Unparteische Kirchen, ecc. tom. II, pag. 50; il Seckendorf, lib. III, pag. 651; il Leiderfrost, Encyklopädisches Wörterbuch, ecc. art. Bora.
[22] Colloq. ment. in cap. de matrim.
[23] Ickelshamer e Lemnio, presso Döllinger, Op. Cit.
[24] Morgenstern, Tract. de Eccl. pag. 221.
[25] Pag. 229.
[26] Presso Swenderborg, Vera Chr. Relig. pag. 481.
[27] Op. tom. V, pag. 95, ediz. di De Witte.
[28] Opere, ediz. di De Witte, tom. II, foglio 84.
[29] Tischred. Islèbe Francf. fol. 196; Menzel, Storia degli Alemanni, tom. I.
[30] Döllinger, loc. cit.
[31] Audin, tom. II.
[32] Tischreden, Islèbe; Audin, loc. cit.; De Witte, Op. Luth. tom. V. Narratio hist. de ultimis Lutheri actis et obitu, 1568.
[33] Tischreden, Francf. foglio 317. Menzel, I. c.
La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 802, 6 nov. 1883) Firenze 1883, pag. 385-401.
R. P. Raffaele Ballerini S.J.
DELL'OPERA DI MARTIN LUTERO
I.
Un nostro antico proverbio dice che l'opera loda il maestro. Già vedemmo, nel precedente articolo sopra Lutero, di che sorta uomo e maestro egli si fosse, e quanto a vicenda si onorassero l'uno e gli altri, i festeggiatori cioè ed il festeggiato, nella ricorrenza del costui quarto genetliaco centenario. Ma perocchè nell'uomo e nel maestro si è inteso glorificare l'opera sua, che fu la così detta Riforma, di questa daremo in iscorcio un'idea, che viemeglio illustri i meriti di chi ne fu autore.
La Riforma, ossia il Protestantismo, che da Martin Lutero trasse l'origine, molte e varie definizioni ha ricevute: altri la chiamarono la libertà del peccato, altri l'anarchia della fede, altri il delirio della ragione, altri il conquassamento dell'ordine. Più propriamente alcuni riformati moderni l'hanno denominata, col Chasles, la riabilitazione della carne, il rialzamento dell'altare della voluttà, in breve, la risurrezione del sensualismo pagano [1].
Quali fossero gl'immediati effetti di quest'apostasia dalla Chiesa, dalla fede, dalla morale, che ironicamente si mascherò col nome di Riforma, lo dichiarino Lutero stesso, il suo magnifico discepolo Melantone e poi Calvino.
«Il
mondo peggiora di giorno in giorno e diventa sempre più scellerato;
così il primo dei tre, col suo solito stile. Gli uomini sono oggidì più
inclinati alla vendetta, più avari, più snaturati, meno costumati e più distali, in somma, più ribaldi che non fossero sotto il Papato. Fa tanto scandalo quanto meraviglia, il vedere come, da che la pura dottrina del Vangelo si è rimessa nel suo lume naturale (vale a dire si è abbandonata la fede cattolica)
il mondo si va riducendo a sempre peggiore stato. I nobili e i
contadini non vogliono più sentir prediche: la parola di Dio è per loro al tutto inutile: ai loro occhi i nostri discorsi non valgono un quattrino. Non credono nemmen più alla vita futura. Vivono come credono; sono porci, credono da porci e muoiono da porci. I più de' miei discepoli vivono all'epicurea:
la loro predicazione è tutta cosa del loro cervello; i divertimenti e i
passatempi sono il loro studio. Tra' papisti non s'incontrano per
verità viziosi, ciacchi e mostri di questa fatta. Si chiamano riformati, ma meglio si direbbero demoni incarnati. Sono birbanti, gonfi d'orgoglio. Il disordine è giunto a tal segno, che, se a qualcuno venisse il ticchio di contemplare un mazzo di bricconi, d'usurai, di scapestrati e ribelli, non avrebbe a far altro più che entrare in una di queste città, che diconsi evangeliche; ed ivi troverebbe a ribocco gli uomini che cerca. In costoro ogni sentimento onesto è spento, ogni virtù è totalmente morta: regnan fra loro tutte le specie di peccati [2].» Così il patriarca della Riforma dipinse gl'imitatori de' suoi esempi, i seguaci delle sue dottrine.
Calvino che, sull'orme di Lutero, stabilì e propagò la Riforma nella Svizzera e nella Francia, scrisse in questi termini: «Fra cento evangelici, a gran pena se ne scoprirebbe uno solo, che si sia fatto tale per altro motivo, da quello di potersi abbandonare con maggiore sfrenatezza alle voluttà ed all'incontinenza. Il pensiero dell'avvenire mi sbigottisce, sì che io ne distolgo la mente. Per dir vero, salvo che Dio non venga in aiuto con un miracolo, mi par già di vedere ogni eccesso di barbarie sul punto d'allagare
l'universo. Ma la piaga più lamentabile si è, che i nostri pastori,
predicanti la parola di Dio, sono oggi i modelli più vergognosi d'ogni
vizio e perversità. Perciò non ottengono credito maggiore di quel che un
buffone, il quale rappresenti commedie in su le scene. Per me, io stupisco che le donnicciuole e i monelli non li carichino di fango o d'immondizie [3].»
Melantone poi, in parecchie sue lettere, si diceva «preso da stringimento di cuore, non facile ad immaginarsi, al vedere
con tanta superbia odiato il Vangelo, da coloro che si vantavano
d'essere de' suoi.» E proseguiva: «Quando si pon mente a questa grande
varietà di opinioni e di pratiche ed alla
barbarie de' costumi, che serpeggia in moltissimi luoghi, è necessario
ammettere che l'Imperatore ha gran ragione di affaticarsi a ricondurre
l'unità nella Chiesa. I principi provocano gli odii ed accrescono i pericoli: nelle nostre chiese la disciplina è ruinata, il dubbio intorno ai più alti
oggetti vi regna, non si vuol più sentire la spiegazione chiara dei
dommi... Io piango da trent'anni in qua, vivendo fra tanti commovimenti.
L'Elba stessa, con tutte le abbondanti sue onde, non potrebbe dare
acqua sufficiente a piangere le miserie ed i guai della Riforma [4].» Conclusione di massimo peso in un uomo qual fu costui, appropriatasi poi dal più preclaro ingegno che sia nato nel protestantesimo, vale a dire dal Leibnitz, il quale ebbe a scrivere alla signora di Brinon, che «tutte le lagrime degli uomini non basterebbero, per piangere il funesto scisma del secolo sedicesimo [5].»
Nè potè essere altrimenti,
chi consideri da una parte, col Quinet che «il vero mezzo usato da
Lutero, per avviare la Riforma, ossia per ispacciarsi della Chiesa, fu
di affermare che le opere non servono a nulla: Dio solo opera tutto e
niente lascia fare al sacerdozio;» e dall'altra che, negato il libero arbitrio come un'assurdità, giustificò antecedentemente alla coscienza di chiunque voleva arrolarsi sotto le sue bandiere, ogni maniera di scelleraggini e di nequizie.
A Lutero, a Melantone, a Calvino,
deploranti la colluvie di corruttele e d'ignominie, che seguirono
subito la loro Riforma, fecero coro molti autorevolissimi loro
proseliti, il Bucero, l'Hoefer, il Breler, l'Heling, il Menio, il
Forster e cento altri,
che sarebbe soverchio citare. Tutti parlano di sbrigliamento di
passioni, di vizii trionfanti, di bestemmie e spergiuri da disgradarne i
Turchi. «I nostri pastori evangelici, lamentavasi il Pencer, genero di
Melantone, sono mossi dall'ateismo:
e costoro non pure sono atei, intendo dire senza Dio e carità, ma per
di più ignoranti, ineducati, dissoluti, invidiosi, cupidi. Io non ho più
che gemiti, sospiri e lagrime, che a mala pena trattengo, mirando la spaventevole anarchia che domina tutti i cuori [6].»
II.
La
nuova dottrina, che in sostanza aboliva il dominio di Dio sopra l'uomo e
rendeva libero od anche inutile l'osservare i precetti del decalogo, presto germinò i suoi frutti anche politicamente e socialmente, nei popoli e nei principi.
Di fatto, quali furono i principi che pei primi si fecero sostenitori della Riforma luterana, la quale concedeva loro il possesso dei beni ecclesiastici; li assolveva dall'osservanza
del quinto comandamento di Dio e li confortava a saccheggiare e
derubare chiese, episcopii, monasteri e ad arredare i loro palazzi o castelli, coi tesori delle sacrestie? Ecco il quadro che ne dà l'Audin.
Primieramente era l'elettore Giovanni di Sassonia, il re dei ghiottoni del suo tempo, il cui ventre pieno sin dal mattino
di vini e di carni, avea bisogno, per non cadere, di essere contenuto
da un cerchio di ferro. Costui restò preso della nuova religione, che
aveva aboliti i digiuni e tolte le astinenze del venerdì e del sabato.
La sua mensa era in voga di lautissima, sopra tutte le principesche di
Germania, poichè fornita, oltrechè di cibi squisitissimi, de' più
preziosi vasellamenti rapiti agli altari di Dio. Quest'epulone fu il capitano di quelli che accoppiarono la spada colla verga di fra Martin Lutero.
Poi veniva il suo figliuolo Federico, il quale spendeva il tempo e logorava le forze nelle gozzoviglie e nelle cacce: pel rimanente degno in tutto del padre che lo avea messo al mondo.
Seguiva
quindi il langravio d'Assia, la cui vita buffonesca era passata in
proverbio, adultero sfacciato, che si facea servire a tavola da servi,
portanti in ricamo, sopra le maniche della livrea, queste cinque lettere
capitali: V. D. M. I. Æ. Verbum Domini manet in aeternum;
e per lui, protestante di finissima grana, la parola di Dio
significava, come per Maometto, facoltà o diritto di avere più mogli.
Succedeva appresso Volfango d'Anhalt, uomo di così crassa ignoranza, che fu detto non sapesse nemmeno farsi il segno della croce.
Finalmente tenevan lor dietro Ernesto e Francesco di Luneburgo, i quali, non fidandosi de' servi ai quali avean commessa la rapina dei beni delle chiese, andavan di persona a saccheggiarle ed empivan le casse di calici, di pissidi, di ostensorii [7].
A ciò si riducono i miracoli, coi quali fra Martino aggiogò al carro della sua Riforma i magnati. «Molti, diceva egli, sì in Germania e sì altrove, sono buoni evangelici, perchè i monasteri hanno abbondanza di terre e di vasi sacri [8].» E il Brochmand suo predicante, non dubitò di scrivere: «Lutero ha dato ai principi conventi ed abbazie, ai preti mogli, alla plebe vita licenziosa: ecco i veri impulsi ammirabili al progresso della Riforma [9].» Onde il suo dire: « I bei raggi d'oro de' nostri ostensorii han fatte più conversioni, che tutte insieme le nostre prediche.»
Nè altrimenti si propagò altrove questo religioso e morale scompiglio, sotto nome di Riforma. Come i popoli se ne giovarono, per ribellarsi ai legittimi loro signori, e passar subito dall'anarchia nella fede all'anarchia nella politica, e quindi dieder moto alle sanguinose guerre civili che lordarono di sangue tanta parte di Alemagna; così i principi se ne valsero,
per arricchire delle spoglie della Chiesa, per dilatare i confini dei
loro Stati, o per mutare in tirannide il Governo. Per questo il re
Gustavo impose colla forza il luteranesimo alla Svezia, e per questo il re Cristiano lo stabilì nella Danimarca.
Tali,
accennati appena, furono i primi frutti dell'opera di Martin Lutero e
del protestantesimo che ne seguì, e per dato e fatto di Calvino,
di Beza, di Enrico VIII si dilatò, con forme diverse e divisioni senza
numero, per la Svizzera, la Francia, l'Inghilterra e la Scozia.
III.
Se non che qual è mai il valore teologico e filosofico ancora, se così piace, di questo capolavoro del cervello di fra Martino? Molto bene viene espresso dal vocabolo protestantesimo, inventato dopo la dieta di Spira dai principi addetti a Lutero, per opporsi alle risoluzioni in essa dieta fermate. Costoro, con altri deputati delle città imperiali, protestarono: e di qui il nome di protestanti, allargatosi a comprendere tutti quanti i seguaci delle innumerevoli sètte, che in quel secolo alzarono bandiera di ribellione alla Chiesa cattolica. La generica professione di fede, come giustamente osserva un illustre storico moderno [10], contenuta allora in questa parola, è durata sempre la medesima fino al presente: «Io credo in me e protesto contro la Chiesa romana.» Io credo in me: ecco la sovranità radicale
della ragione d'ogni individuo; io protesto contro la Chiesa romana:
ecco la sua dichiarazione d'indipendenza. Rinnegata l'unica vera Chiesa
di Gesù Cristo, sono questi i soli dommi che sieno e possano essere
comuni tra i protestanti; e ciò si fa chiaro pur dalla
storia dei primordii della Riforma, quando Lutero ed i suoi non
sapevano mai mettersi d'accordo, in quello che avrebbero tenuto o no per
domma; ed oggi affermavano rivelato da Dio quello che ieri avevano
riprovato come invenzione dell'uomo. Come ai giorni di fra Martino, così
ora dai protestanti, qualunque
ne sia la famiglia e la specie, si può credere o questa o quella cosa,
purchè si credano per la fede che uno ha, non a Dio o alla Chiesa, ma a sè stesso. Si può protestare contro tutti o, se meglio garba, contro un sol domma cattolico, purchè si protesti.
Così i luterani, i quali mantengono ancora la credenza nella divinità di Gesù Cristo, e i pastori di Ginevra, coi Feuerbach, Stirner, Marr, Strauss, Hase, Ewald e mille altri, che la ripudiano e bestemmiano, avvegnachè tra loro contradittorii, sono non di meno alla
pari tutti buoni e veri protestanti, perocchè ognuno crede in pari modo
a sè e protesta del pari contro la Chiesa romana. Per render la cosa
più manifesta, pigliate, siccome fece Lutero, una chiesa cattolica,
levatene il segno del cristiano, l'altare del sacrifizio, a dir breve, tutto ciò che potrebbe dare un'idea di religione; non vi lasciate altro che le quattro mura, e voi avrete un tempio protestante, sulla cui fronte potrete scrivere a lettere palmari: Tempio della ragione individuale.
Per
farne la dedicazione, invitate chiunque crede a sè e protesta contro la
Chiesa romana: O sublime ragione del mio individuo, io credo in te e ti
adoro; griderà ogni fedele, in sul primo porvi dentro il piede; tu sola
in questo tempio regni! Tu sola m'insegni se io debba credere alla bibbia e mi scorgi a comprenderla. Accogli pertanto l'omaggio della mia fede.
Dopo proferito così il simbolo comune a tutti, ciascuno farà l'atto suo di fede personale. Il luterano dirà: In virtù del mio libero esame, io affermo che la bibbia è libro divino e nelle sue carte vedo chiaro che la cena eucaristica ci dà, insieme col Corpo di Gesù Cristo, il pane; ossia vedo la impanazione: perciò protesto contro la transustanziazione della Chiesa romana. Lo zuingliano ed il calvinista soggiungeranno alla
lor volta: Noi pure, in grazia del nostro libero esame, riconosciamo
per divine le Scritture; ma in esse noi vediamo che la cena eucaristica
ci dà il Corpo di Gesù Cristo soltanto in figura: quindi protestiamo
contro la presenza reale della Chiesa, romana. Il nuovo ariano, o sociniano, si farà innanzi e dirà: Sì, la bibbia è libro venerando; per altro,
dopo averla liberamente investigata, io ho scoperto che i misteri di
fede da essa proposti non sono se non figure rettoriche, e Cristo non è
da più che un profeta: adunque io protesto contro il Dio-Uomo della
Chiesa romana.
Certamente, esclamerà il deista,
la ragione di ogni uomo è sua regola sovrana; la mia mi mostra ch'essa
basta a sè medesima, nè abbisogna di rivelazione: conseguentemente
protesto contro tutto ciò che la Chiesa romana spaccia intorno alle Scritture, alle profezie ed ai miracoli. Ed il materialista trarrà avanti e, dirà: Bellissima cosa è promulgare i diritti della personale ragione, il primato intellettuale di ciascheduno per sè. La mia ragione è giudice suprema delle opinioni altrui, benchè universalissime ed antiche: ond'è che io protesto contro l'immortalità dell'anima, il paradiso e l'inferno, superstizioni predicate dalla Chiesa romana. L'ateo non istarà in forse di ripigliare: Voi ammettete, qual primissima
delle verità, che la ragione mia è centro di sè, luce sua, criterio
suo, giudice suo? Or bene, come la mia ragione vede che lo spirito umano
non ha altro
spirito superiore a sè, così vede che il mondo non ha autore, e per
conseguenza non ha verun Signore: di che io protesto contro il Dio
adorato dalla Chiesa romana. Il socialista,
il comunista e l'anarchista dei nostri giorni diranno invece: Per primo
articolo della costituzione umana, voi riconoscete la sovranità
indipendente della nostra ragione. Or noi, con evidenza irrepugnabile,
scorgiamo che fonte d'ogni malanno sociale
sono i due pretesi diritti dell'autorità domestica e politica e della
proprietà privata: noi pertanto protestiamo contro il quarto ed il
quinto precetto del decalogo, insegnato dalla
Chiesa romana. Meglio di tutti concluderà lo scettico: Voi concedete
che a me solo tocca il giudicare senz'appello di tutto, ed ancora di
quello che tutti voi sinora avete detto? Ebbene, dopo liberamente
esaminata ogni cosa, io vi dichiaro che nulla v'ha di certo nel mondo: per lo che io protesto, non solo contro la Chiesa romana, ma altresì contro coloro che protestano contro di lei, e protesto finalmente contro me stesso.
Dato l'assurdo principio teologico e filosofico, bandito da Lutero, del libero esame e del principato della personale
ragione, è impossibile rigettare tutte queste conseguenze e non averle
in conto di logico svolgimento della Riforma: nè vi ha protestante, se
pure intenda rimanere consentaneo a sè stesso, il quale a tutte ed a ciascuna non abbia da rispondere: Amen.
Dal che si ritrae che, a filo di rigorosa dialettica, il sistema nel quale fra Martino fondò tutta l'opera della sua Riforma, conduce alla negazione arbitraria d'ogni ordine divino ed umano, cioè a dire teoricamente all'anarchia religiosa, morale e razionale, praticamente poi a tutti i disordini politici e sociali, di cui l'Europa moderna è stata finora ed è luttuoso teatro.
Così
riman chiarita la necessità delle discordie generatrici di sètte,
moltiplicantisi a guisa dei funghi, e delle contradizioni, inerenti per
essenza alla
natura del protestantesimo, come ne diede argomenti ed esempi non
credibili lo stesso Lutero, la raccolta delle cui antitesi formerebbe un
volume de' più curiosi. Già i lettori videro, in una delle ultime
corrispondenze nostre di Prussia, come ora, per occasione del centenario
di fra Martino, si sia pubblicato in Germania un Catechismo cattolico romano di Martino Lutero, coi tipi del Barcher in Wurzburgo. «Questo catechismo, scriveva il nostro valoroso corrispondente, d'una perfetta e piena ortodossia, è composto esclusivamente di passi delle opere di Lutero, posteriori alla sua eresia: quindi è che somministra, senz'averne l'aria, una prova delle incessanti contradizioni di lui [11].»
IV.
Nè puntò dal teologico e filosofico è per sè diverso il valore politico e sociale
di quel principio che costituisce il cardine della Riforma luterana.
Ogni uomo ha diritto di pensare ciò che vuole, e di operare, dentro i
confini dell'estrinsecamente a lui possibile, come pensa. Posto un così
fatto principio, il protestante può, senza sconcio, riconoscere oggi la
indipendenza assoluta dei re, e domani dichiararli decaduti dal trono, esiliarli ed anche, come fu fatto di Carlo I d'Inghilterra e di Luigi XVI di Francia, mandarli ignominiosamente al patibolo.
Variano le conseguenze, ma non varia il principio d'onde queste
scaturiscono. Checchè si dica, sarà sempre vero che, in virtù di questo
principio, il sovrano è soggetto al libero esame, alla
giurisdizione imprescrittibile d'ogni individuo del suo Stato. E quel
che si avvera del sovrano, si avvera della legge e di qualsivoglia altra autorità. Chi si arroga il diritto di sindacare Dio, non si arrogherà quello di sindacare l'uomo? Allorchè
pertanto un chi che si sia concluda da sè, che un giuramento di fedeltà
non tiene, che un re od un Governo non meritano che si stia lor sotto,
che può, col giudizio suo privato, togliere al prossimo
la roba o la vita, o metter sossopra un paese, o concorrere a disfare
un regno, è assurdo il dargli biasimo, è tirannia il punirlo.
Dal che
proviene che, a rigor di termini, assurdo e tirannico deve dirsi ogni
Governo, che sul principio del protestantesimo si appoggia, e pure
pretende imporre leggi e farle osservare colla forza, a chi riconosce
per libero giudice di tutto e di tutti e sovrano di sè. Proviene inoltre
che ogni principe protestante, per ciò solo che è tale, si spossessa da sè del giure principesco e scioglie i sudditi dal vincolo
dell'obbedienza. Impèrocchè, protestante essendo e volendo rimanere,
deve per necessità riverire in ciascuno dei sudditi il diritto fondamentale
di pensare come vuole e di operare come pensa. Se a lui obbediscono,
dovrà averlo per un favore di cortesia; ma se a lui si ribellano, sarà
ingiusto ed oppressore, mettendo mano alle armi per soggiogarli. Proviene di più che, al contrario, i sudditi di un re protestante sono impediti dal riprovare
gli atti suoi, benchè iniqui e dannosi; il re, come uomo, essendo ancor
egli giudice supremo de' suoi diritti e doveri. Proviene ancora che il
protestantesimo politico non può comandare, senza contradirsi, nè
l'obbedienza, nè la resistenza ad alcuno: non l'obbedienza, perchè nell'individuo sovrano viola la libertà razionale dell'individuo soggetto: non la resistenza, perchè obbliga l'individuo soggetto a violare la libertà razionale dell'individuo sovrano. Proviene da ultimo che il protestantesimo viene a distruggere ogni nodo morale tra il suddito ed il sovrano, concedendo ad amendue un'autorità pari, l'una coll'altra cozzante: di maniera che altra regola di governo non lascia, fuorchè le due dell'astuzia e della forza. Il perchè, in conclusione, tutto epiloga nel famoso effato: La force prime le droit, che, se non a voce, per fermo ai fatti è la suprema norma politica del protestantesimo imperante.
«Come
si vede, ben ragiona lo storico prelodato, ogni sovrano protestante,
ogni popolo protestante, pone l'anarchia in principio, in dogma, in
legge fondamentale. Gli autori che hanno affermato, lo stato naturale
del genere umano esser la guerra di tutti contro tutti, hanno
strettissimamente discorso come protestanti. Legge, ordine, giustizia,
società sono di fatto pel protestantesimo cose contro natura; i tribunali
una tirannide mostruosa. Se dunque il protestantesimo non avesse
incontrato ostacoli, se avesse potuto svolgere liberamente tutte le sue
conseguenze, la società umana, in nome della bibbia, sarebbe ricaduta nel caos [12].»
V.
E
che i principi ed i popoli, infatuati delle enormità poste loro in
mente dai primi autori della Riforma e da Lutero in ispecie, così nella
pratica intendessero il protestantesimo, troppo lo dimostrarono gli
eventi. Per un lungo corso di anni, la Germania fu insanguinata da
macelli e da saccheggiamenti spaventosi. Tra principi e popoli, tra
poveri e ricchi scoppiò una guerra che mirava allo sterminio d'ogni cosa. Gli abitanti delle campagne nella Svevia, nelle rive del Danubio, nella Misnia, nella Turingia, nella Franconia, levati in armi dal Muncer, alzarono il vessillo dell'uguaglianza; e fecero nè più nè meno di quello che i comunisti francesi e spagnuoli dei nostri giorni. Dalla Sassonia fino all'Alsazia,
trucidarono e scannarono i signori ed i ricchi, senza riguardo ad età
ed a sesso, misero a saccomanno ed incendiarono castelli, borgate,
città, senza misericordia. Queste barbare schiere, invasate di
luteranesimo, ovunque passarono, deposero i magistrati, s'impadronirono
dei beni de' nobili, li costrinsero a vestire da contadini e persino a
smettere i loro titoli e nomi feudali,
prendendone dei plebei. «Lo scisma protestante, scrive lo Schiller,
ebbe in Germania l'effetto di uno scisma politico, che gittò l'ampio
paese, per un secolo e più, in un orribile soqquadro. Suo primo e
tristissimo frutto fu una guerra devastatrice di trent'anni, che si
stese dall'interno della Boemia fino alle bocche della Schelda, e dalle
sponde del Po fino a quelle del mare del Nord. Questa guerra consumò le
messi, incenerì città e villaggi, spense per un mezzo secolo la
scintilla della civiltà, e tornò all'antica barbarie i pubblici costumi, che appena cominciavano ad ingentilire [13].» E come lo Schiller, così il Michelet, il De Rottech e gli stessi socialisti Weill, Louis Blanc e mille altri, riconoscono nella Riforma di Lutero la causa prima e potissima di tanti disastri.
Gli angusti confini di un articolo non ci permettono di allargarci a chiarire le strette attinenze che rannodano l'odierno socialismo
coll'opera di fra Martino. Del resto appariscono già sfolgoranti da
quello che si è detto finora: onde ognuno scorge quanto meritamente la
massoneria anticristiana e giudaica saluti
in lui un precursore e maestro, degnissimo de' suoi festeggiamenti.
Bene ha illustrati questi vincoli di parentela, tra l'apostata
riformatore di Wittemberga e i massoni socialisti, il testè ricordato Louis Blanc, mostrando come la rivoluzione, preparata dai filosofastri del secolo scorso e tendente al socialismo, dovesse avere il naturale suo principio dalla teologia; come la ribellione alla Chiesa dovesse terminare colla ribellione a tutte quante le altre
autorità; come il Lutero religioso dovesse trasformarsi in un Lutero
politico, proseguendo a dire: «Il volesse o no Lutero, esso menava
dirittamente a Muncer: il grido ch'egli avea levata contro Roma,
migliaia di voci l'avrebbero mandato contro i re, i principi, i
dispregiatori del popolo, i calpestatori del povero [14].» Parole confermanti la sentenza del Guizot, che cioè: «la crisi del secolo XVI non fu semplicemente riformatrice, ma essenzialmente rivoluzionaria [15];» e giustificanti l'apoteosi con cui da per tutto la Rivoluzione ha glorificato il quarto centenario natalizio di Lutero.
VI.
Se non che a qual punto si trova oggi essere l'opera di Martino, in quanto religiosa? O, in altri termini, che è ora divenuto quel luteranismo, che pretese riformare niente meno che la fede cristiana?
«Poichè abbiamo perduta la fede, non v'è dubbio che abbiam perduto ancora Dio» scrisse Lutero, in un momento di lucido intervallo della coscienza [16]; e con ciò venne a definire il male
che era, e il peggio che sarebbe stato la impresa sua. Ora più che mai
la confessione luterana è in verità una confessione senza fede e senza
Dio. Finchè la parte aderente allo scisma di fra Martino conservò in Germania qualche avanzo di cattolicismo, si potè dire che avesse una certa cotal fede, e adorasse Dio colla professione di un certo cotal cristianesimo.
Ma, dopo tre secoli di negazioni, di dissensioni, di divisioni e di
vaneggiamenti, colà sono sì ancora luterani, ma non è più luteranesimo.
Questo al presente, in quanto confessione religiosa, è naufragato nei due pelaghi del razionalismo deistico o del pretto ateismo.
Già è noto lo scempio fattosi della bibbia dai così detti moderni critici alemanni, dal Wieland, per esempio, dal Cannabich, dal Luders, dal Bucholz, dal Janisch, dal de Wette, dal Cludius e da cento e cento lor simili; i quali tutti l'hanno rifiutata per divina, in quel modo che a Cristo Salvatore hanno preteso togliere la divinità. È pur noto il sistema dei miti, suggerito dal Semler e diffuso dall'Eichorn, dal Bauer, dal Ruge, dallo Schultze, dallo Steinthal e da altri
molti suoi apostoli e difensori. In virtù di questo, un gran numero di
teologi protestanti ha mutato gli avvenimenti della Storia sacra in
leggende, o novelle poetiche; ed i miracoli più stupendi in giuochi di
prestigio dei capi del popolo ebreo. Nulla diciamo dello Strauss, il quale, a nome dei protestanti razionalisti, dichiarò la teologia «non produrre più altro che distruzioni, e non avere altro scopo, fuorchè quello di demolire con arte un edifizio, che non si confà più al disegno del mondo nuovo [17].» Un altro di essi ha chiamata manìa atanasiana
la fede di coloro, che sostengono per anco Gesù Cristo essere il Verbo
di Dio umanato. Per tutti costoro poi, e per tutta la loro scuola
svariata e molteplice, la Trinità divina è un concetto riprovato dal senso
comune, i sacramenti sono riti adiafori, il battesimo una cerimonia
inutile; la grazia, la risurrezione, l'inferno, il paradiso fole
superstiziose; insomma tutto l'ordine soprannaturale un sogno.
La trasformazione delle verità rivelate in verità razionali, detta necessaria dal Lessing, ha raggiunto il naturale suo termine, che è l'ateismo. Feuerbach ha scritto che «la religione, alla fin dei conti, consiste nel riflesso dell'umanità, homo homini Deus:» lo Stirner ed il Marr hanno insegnato che ciascuno è Dio a sè stesso, homo sibi Deus. L'odierna società degli Amici protestanti, avente per corifei i tre pastori Uhlich, Wislicenius e Sachse, e per colleghi altri non pochi pastori d'Alemagna, chiama Dio un essere fittizio, e vuole che ognuno adori per Dio sè stesso.
VII.
Con ragione adunque, fino dal 1835,
il ministro Gaussen, vedendo come le cattedre più illustri della
Germania ripudiassero Cristo e lo predicassero un semplice grand'uomo, un Socrate giudeo, sclamava: «Gesù Cristo è annichilato, il Vangelo è perito!» ed a ragione il de Gasparin gridava pure ad alta voce: «la pluralità dei protestanti non è più cristiana!»
È rimasta celebre la lettera convocatoria del sinodo ecumenico-germanico-evangelico,
raccoltosi, per ordine del re di Prussia, in Berlino, il maggio del
1848. Questo documento, di autorità somma, formatamente asseriva che
ogni protestante luterano era nel bivio, o di rientrare nella Chiesa cattolica, insieme col Capo officiale del luteranismo, ossia il re; o di rigettare ogni domma, ogni suo fondamento ed ogni idea di unità e di comunione spirituale fra gli uomini. Meglio e più autenticamente di così non si poteva annunziare la finale ruina dell'edifizio religioso, eretto tre secoli prima da Martin Lutero.
Nè il sinodo giovò a concludere cosa che fosse, poichè tutto il succo che si spremè dalle
infinite dispute discordanti e contradittorie fu il solito, che cioè si
lasciava a ciascuno il diritto d'intendere e interpretare la parola di
Dio a modo suo, aggiuntovi che i libri simbolici erano da riguardarsi
come «espressione temporaria di una fede che non è più, e non ha forza
d'imporre obbligo a veruno.» Di fatto a che pro stabilire norme di fede
in un paese, nel quale, siccome ebbe a dire uno degli oratori, «da per tutto regna sovrana la incredulità, sotto forma di razionalismo e di panteismo negli alti ordini della società, e sotto forma d'indifferenza e di demagogia negl'inferiori; così che la deificazione del mondo e l'indiavolimento degli uomini vi va sempre crescendo»? A riprova di che un altro oratore soggiunse: che «nella
città di Stettino, sette sopra i cento usavano ancora nei templi, e
sopra 40,000 abitanti erano più di cento famiglie venute su senza i
vincoli del matrimonio: in quella di Brema poi l'uso di battezzare i
bambini era quasi caduto in dimenticanza.»
A' 6 di giugno del 1877 fu aperto il sinodo del distretto ecclesiastico di Berlino-Köln-Stadt; ed il suo preside, nel rendere
ragione delle condizioni della diocesi, lamentò dolorosamente «il
diminuire continuo dei battesimi e de' matrimonii religiosi e
l'abbandono della Chiesa Nazionale.» Or chi crederebbe che, proprio in questo sinodo, per rimedio a tanto male, il consiglio della Chiesa evangelica di Luisenstadt propose non altro, che l'abolizione del simbolo degli Apostoli, che è dire di tutta quanta in corpo la fede cristiana?
A
buona legge purtroppo, in quell'anno, l'imperatore Guglielmo, a' suoi
ministri di Stato raccolti intorno a sè, manifestò quanto egli vivesse
inquieto, per gli sforzi dissolventi fatti palesi nel campo religioso e sociale. Ma il pastore evangelico Schülter, esponendo poco dopo in un suo opuscolo i segni di morte nella Chiesa officiale prussiana [18], si fece a provare che neppure il summus episcopus dei luterani, vale
a dire il medesimo imperatore Guglielmo, con tutti i suoi rammarichi,
avea più potenza d'impedire il rapido sfacelo del protestantesimo.
Conciossiachè, soggiung'egli: «una Chiesa, nella quale la fede in Cristo e la negazione di Cristo hanno gli stessi diritti, d'altro non può essere annunziatrice, se non di morte, d'altro apportatrice, se non che di pestilenziale corrompimento.»
Se pertanto è vero, com'è verissimo, che l'opera loda il maestro, tutto quello che, per sommi capi, abbiamo più tosto indicato che narrato e di Martin Lutero e della sua Riforma, fa palese che egli fu degno di averla operata ed essa degnissima d'averlo avuto per autore.
Mentre scriviamo, i giornali tedeschi ci recano la notizia, che le prime feste del centenario genetliaco di fra Martino in Germania, sono state seguite dall'incendio,
in Eisleben della casa ov'egli nacque, ed in Vittemberga della chiesa
in cui fu sepolto. Quest'incenerimento dei luoghi ne' quali
colui ebbe la culla e la tomba sembra a noi un singolar caso,
raffigurante il termine odierno della sua impresa. Tutto è ridotto in
cenere. Dovechè quella Chiesa cattolica, con a capo il Romano Pontefice,
che l'impresa luterana era sorta ad annichilare, fra queste mute
ceneri, sfolgora piena di luce, di vita, di gloria e di fecondità nell'universo
mondo; e coll'unità sua meravigliosa, colle opere sue stupende e colle
sue indeficenti vittorie, grida a tutti i sedenti nelle tenebre dell'errore e nell'ombra della morte: Qui me invenerit, inveniet vitam et hauriet salutem a Domino. [Pr. 8, 3, N.d.R.] Volete un altro
argomento di credibilità, che io sono fattura delle mani di Cristo-Dio,
ed il protestantesimo è bruttura delle mani di Satana? Guardate come
vivo io, quattro secoli dopo la nascita di Lutero; e guardate come sia
morto, colla sua Riforma, Lutero, tre secoli e mezzo dopo ch'egli si
vantò di volere spegnere me, nel Capo mio visibile, il Papa. Se non credete alle parole, credete ai fatti.
VIII.
Un grandissimo numero di persone che, nell'Italia segnatamente, hanno spalancati gli occhi per meraviglia delle cose magnifiche, intese o lette dalla bocca o dalla penna del nostro liberalismo, nella
ricorrenza del suo centenario, ad onore e gloria di Martin Lutero,
pochissimo o nulla conosce della sua storia e di tutto ciò che colla sua
Riforma si collega. L'ignoranza poi per giunta delle verità religiose e
delle controversie e degli avvenimenti d'ogni sorta, a cui questa
Riforma aperse il campo, li rende al tutto incapaci di niente giudicare col loro capo e di niente apprezzare col senso naturale e cristiano, che pure a molti di essi non manca.
Noi però vorremmo che, nel frastuono dei panegirici, concludessero per lo meno dalla qualità dell'encomiato a quella degli encomiatori. È lecito dir della lode quello che dell'amore: amor aut similes invenit, aut facit.
Tra i simili è, come la lode, così l'amore. Più si studia Lutero, e più
si scopre ch'egli visse d'odio implacabile e feroce, di un odio, come
ben si esprimeva Louis Blanc, «che in nome di Dio comandava le opere [19]»; per contrapposizione a Gesù Cristo, il quale, essendo Verbo di amore, vive d'amore e, nel nome
del suo Padre celeste, comanda l'amore operante. Or tutto l'odio, che
attossicava il cuore di Martin Lutero, si accoglieva in un oggetto
unico: ed era il Papato. Mai, ne' secoli cristiani, non è stato al mondo
uomo che abbia così diabolicamente odiato Cristo vivente in Pietro,
come Lutero lo ha odiato. Qnest'odio, che sembra aver toccato i confini
del possibile in petto umano, avvegnachè insatanassato, fu quello che si
direbbe carattere individuante, forma ed essenza del suo spirito.
Si osservino gli odierni suoi lodatori, i celebratori del suo centenario, fra noi in Italia, chi son eglino? I suoi simili, cioè tutti, nei varii lor gradi, i nemici del Papato: tutti coloro che, sotto pretesto di libertà e di civiltà,
ripudiano Cristo vivente in Pietro, o ne disconoscono i diritti, o ne
spregiano le prerogative, o ne desiderano stremata la potenza, o si
adoperano a impiccolirne la divina grandezza.
Qui è tutta la ragione dei festeggiamenti, o degli elogi. S'inciela Martin Lutero, non perchè sia stato un grand'uomo, chè per gran matto e gran briccone,
conforme si diss'egli, tutti i non ignoranti lo riconoscono; ma perchè,
sebbene gran matto e gran briccone, avviò quella guerra al Papato, che si spera debba far capo al pieno trionfo d'una civiltà anticristiana, e farà capo invece, se Dio non interviene con mano onnipotente, al pieno trionfo del socialismo.
NOTE:
[1] Quatre prêtres au XVI siécle, Revue du Deux-Mondes, IV série, tom. XXIX
[2] Schol. super primam dom. Advent. Serm. conv. Germ. In Epist. pr. ad Corinth. XV Collez. fol. 234.
[3] Comment. in sec. Epist. Petri, c. 2. –– Catechism. Eccl. Genev. praef. –– Serm. X, XXX, super Epist. ad Ephes.
[4] Epist. ad Myconium, an. 1528; ad Camerarium, an. 1548; ad Nicol. Buscoducensem, an. 1547. Op. lib. IV, Epist. CIV, CXXXV.
[5] Lettre à Mad. de Brinon, pag. 173.
[6] Epist. ad princip. Anhalt.
[8] Presso Mattesio, Serm. XII super Luth.
[9] Exam. pol. confess. August. pag. 163.
[10] Rohrbacher, St. univ. della Chiesa Cattolica, lib. LXXXIV.
[11] V. Civ. Catt. questo volume, pag. 127.
Tra le insigni opere di scrittori cattolici, pubblicatesi nella Germania, per questa congiuntura del centenario di Martin Lutero, merita di essere raccomandata questa così intitolata: Reformatorenbilder. Historische Vorträge über katholische Reformatoren und Martin Luther, von D.r Constantin Germanus. Herder in Freiburg, Baden, 327 pag. gr. 8. Con istile lucido e pacatissimo, l'Autore, che si mostra versatissimo nella Storia ecclesastica e di sagace criterio, oppone al riformatore, che diede origine e incremento al protestantesimo, i veri riformatori cattolici, vale a dire i grandi santi della Chiesa cattolica, che riformarono davvero, non già la Chiesa, essenzialmente irriformabile, perché divina nella sua fede e nella sua costituzione, ma i fedeli: mialiorandone
la vita e i costumi. Bellissimo è il quadro dei santi riformatori che
mette a riscontro dei padri dell'apostasia moderna; di san Gregorio
Magno, del beato Canisio, di san Carlo Borromeo, di san Vincenzo de'
Paoli e dell'altra schiera che segue a proporre nella settima ed ottava delle sue conferenze. Noi pensiamo che si farebbe opera molto vantaggiosa ancora all'Italia, ove questo prezioso libro si traducesse e divulgasse fra noi. Si vende al prezzo di fr. 5.
[12] V. Rohrbacher, op. cit. lib. LXXXVII.
[13] Histoire de la guerre de trente ans.
[14] Révolution française, tom. I.
[15] Histoire de la civilisation en Europe, leçon XII.
[16] Op. tom. II. f. 369, ediz. di Iena, 1560.
[17] Die Christl. Glaubenslehre, tom. II, pag. 624.
[19] Op. cit.
Dal momento che la Chiesa conciliare è un "quasi luteranesimo", perché meravigliarsi che ne parlano bene?
RispondiEliminaParadosi
La meraviglia non è tanto per la notizia, che riportiamo per amore di informazione (ed informazione volta a metter in evidenza il vero volto di questa Chiesa conciliare sempre più manifestamente rinnegatrice di Cristo), quanto per la scandalosa sfacciataggine con cui annunciano allegramente progetti di commistione con i peggiori eretici e scismatici che siano in circolazione.
EliminaQuesto dare scandalo da parte della Gerarchia è un immenso peccato di tradimento pubblico, che grida di fronte a Dio e al suo Figlio Unigenito, morto in Croce per difendere la Verità e con Essa salvarci dalla dannazione.
Quello di cui non dovremo meravigliarci saranno le immani sofferenze che ci aspettano tutti, per gli sconvolgimenti a livello mondiale, che presto saranno messi in atto dai servi del diavolo, aiutati in questo da QUESTI gravissimi peccati di controtestimonianza della Chiesa, che non possono che attirarci i castighi divini. La corda sta per spezzarsi.
"Quando avremo insozzati coi nostri escrementi quelli che ora ci opprimono, essi adoreranno il nostro sterco e lo avranno in conto di balsamo".
RispondiEliminaQuesta frase di Lutero sembra una profezia sulla Chiesa conciliare.
Questa frase, che è di una malafede agghiacciante, lo certifica esattamente per come è stato definito nel titolo del thread: un satanasso.
EliminaMette i brividi pensare che i personaggi che oggi la nuova Chiesa venera e definisce maestri di spirito, siano dei diavoli, che già arrostiscono da un pezzo nell'Inferno.
Una Chiesa che non è più in grado di riconoscere gli angeli dai diavoli ha cessato al sua funzione e si è perfettamente allineata con il mondo.
EliminaTROVO SCRITTO:
RispondiEliminaAnno della fede
Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Per tutti i credenti, l’Anno della fede offrirà un’occasione propizia per approfondire la conoscenza dei principali Documenti del Concilio Vaticano II e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ciò vale in modo speciale per i candidati al sacerdozio, soprattutto durante l’anno propedeutico o nei primi anni di studi teologici, per le novizie ed i novizi degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, così come per coloro che vivono un tempo di verifica per aggregarsi ad un’Associazione o a un Movimento ecclesiale.
__________
Osservo: mi sarei aspettato che l'anno della fede fosse l'occasione per approfondire e vivere con più intensità le esigenze evangeliche, incrementare la preghiera, ecc. Approfondendo i documenti del concilio Vaticano II, come se non lo si fosse stato fatto fin troppo in questi anni!, si continua a ricadere nello stile conciliare di sempre, stile, in definitiva, che promuove l'apertura al mondo e quell'ecumenismo di cui questo post parla.
Il Concilio Vaticano II trionferà!!!
RispondiEliminaConciliari alla riscossa
Lo sta già facendo. la parabola vaticanseconda ricorda quella del Bonaparte, salvo la gloria. Rimangono quelle piccole Boulogne e Trafalgar che sono i Cattolici di tradizione, a far da spine nel fianco. "quando aveva l'armata in attesa a Boulogne, qualcuno disse a Napoleone che vi sono onde amare in Inghilterra" affermò Churchill nel suo famoso discorso ai Comuni del 1940; il discorso passò alla storia col titolo "we shall never surrender", non ci arrenderemo mai. Esattamente come noi tradizionalisti. Un giorno pagheremo la Tarsu sulle carogne di roncalli montini e wojtyla che faremo smaltire in discarica, e sarà dì di festa.
EliminaScandalooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
EliminaDelle sacre reliquie lei si permette di chiamarle carogne?????????????????
Questo blog è da chiudere tutto ciò è intollerabile!!!!!!!!!!!!!!
Ma come: non sa Ella che le reliquie valevano solo nello scuro, buio e bieco medio evo? La Luce conciliare è decisamente contraria a queste cose. Ergo, smaltimento differenziato.
EliminaCapisco tutto, ma la Luce eterna di Gesù Cristo e della Sua santa Dottrina Cattolica, che è dall'inizio della Chiesa e resterà per sempre, impone sempre e comunque il rispetto.
EliminaLe salme di coloro che furono battezzati in Cristo, in qualunque modo vissero, vanno rispettate...
Più che moderare i posts.. io modererei i pensieri, nel loro nascere dal profondo del cuore...
Sono convinto che se gran parte dei fedeli cattolici, invece di bere ogni cosa che esce dal Vaticano,chinando il capo obbediente e plaudendo gioiosi ogni iniziativa, LEGGESSE queste informazioni su Lutero e quanto scriveva, o si informasse al proposito,
RispondiEliminacomincerebbe ad avere seri dubbi sulla lealtà del papa alla Chiesa Cattolica !
Ma per molti è meglio non sapere e non informarsi poichè la deresponsabilizzazione è più comoda e meno impegnativa.
La riuscita del comunismo è dello stessa logica: delegare altri della propria responsabilità è il sistema più comodo per non pensare e credere di tacitare la propria coscienza di esseri liberi e pensanti.
Così il Signore ha permesso il comunismo alle masse che non volevano riflettere.
Così il Signore permette l'apostasia dei vertici della Chiesa, poichè la massa dei fedeli non vuole capire perchè anche se informata non vuole reagire, ma delegare al papa-papà ogni responsabilità ed autorità (anche su quel che non può competere a lui: vedi trapianti, storia della schiavitù e baciamenti di corano ecc. ecc.).
Ecco perchè un Ratzinger, bellamente e candidamente offre, su un piatto d'argento, ai seguaci moderni di un satanasso, le chiavi della chiesa cattolica per un bel meeting cui chiedersi scuse reciproche, pacche sulle spalle e via verso la programmata chiesa universale (il cui motto è:tutti insieme verso l'Inferno)
Concordo!
EliminaCVCRCI
molto piacere sono evangelico non cattolico e me ne vanto per un solo motivo,noi evangelizziamo ovunque e perdiamo la faccia voi pre e post conciliari come vi chiamate compresi tutti i gruppi e movimenti presenti fate solo assistenzialismo,belle messe belle chiese fede zero.
RispondiEliminaAlmeno eviti l'ipocrisia dì dire molto piacere, poiché lei non prova evidentemente alcun piacere a parlare con noi cattolici; del resto il suo disgusto è pienamente ricambiato. Riguardo al suo arditissimo 'fede zero', questo è certo vero se si riferisce alle quattro balle eretiche in cui crede stupidamente lei; riguardo invece alla Fede Cattolica, che è la sola vera, alla quale lei deve convertirsi per salvarsi, ebbene su questa Santa Fede ci giudicherà il nostro Maestro e Capo, Cristo Gesù, non certo l'inutile ugonotto che lei mostra di essere. Se proprio vuol giudicare qualcuno, inizi con sé stesso, e vada a fare la piattola su qualche sito eretico in mezzo ai suoi amici dannati. Riccardo da Aosta
EliminaSu questo blog ha intrapreso la strada giusta per aderire all'unica Chiesa di Cristo quella cattolica, non c'è ne sono altre: ragioni, rifletta si converta e perseveri e sarà salvo!
EliminaCVCRCI
con ritardo rispondo:prima di tutto caro riccardo da aosta come cattolico sei un grande cafone nel modo rozzo espresso nella parte finale,sarò anche una piattola come dici tu, ma ho l'impressione di essermi imbattuto per mia sfortuna in un sito che mi sa tanto di fariseismo, bizzochismo,ma probabilmente masochisti, ma che confessate ai preti i vostri sensi di colpa? caro sStefano tu inizia a confessare la tua mania di onnipotenza e convertiti seriamente compresa a .rita,fate penitenza seriamente piegfate le ginocchia,la vostra fede e solo un grande indottrinamento tutto situato dietro alla testa.prego per voi.
EliminaEgregio signore,
Eliminaquando argomenterà concretamente e nel dettaglio quello che non condivide, entrando nel merito dei contenuti espressi, magari seguirò i suoi consigli...
Finora ha soltanto sparato giudizi su tutti, uno dietro l'altro, senza spiegarne le motivazioni reali, e si è limitato ad esprimere le impressoni personali della sua testa...nulla di concreto e reale.
"Evangelizzare ovunque" NON BASTA! Bisogna predicare la Verità degli insegnamenti di Cristo, e non le eresie partorite dai satanassi come quello di cui sopra. Altrimenti anzichè "evangelizzazione" diventa solo spargmento di menzogna, che fa del male al prossimo e non del bene.
RispondiEliminaDi conseguenza "perdere la faccia" per dire menzogne è da gente quanto meno ingannata ed illusa. Nella migliore delle ipotesi una perdita di tempo.
Quanto alla condizione e alla fede dei pre e post conciliari, lei non sa proprio niente, parlando dal "nulla" dei suoi pregiudizi.
Taccia, pensando che lei la Messa non ce l'ha, né bella né brutta, e rifletta allle parole di Cristo il Quale disse che "Chi non mangia la Mia Carne e non beve il Mio Sangue, non ha in sè la Vita". Quindi cerchi di convertirsi, se vuole la Vita eterna. La saluto in Cristo +