martedì 16 ottobre 2012
Fede Ortodossa & Giurisdizione Delegata o Supplita..
Rispondo ad
alcune questioni sollevate dai lettori riguardo al mio articolo sul
Donatismo.
●1a domanda: sotto
quale giurisdizione si colloca un sacerdote fedele alla Tradizione
apostolica, ma non incardinato in una Diocesi?
Risposta: rispondo
non per motivi personali, ma per chiarire una questione di
principio: se si possa, cioè, esercitare il sacerdozio senza
incardinazione delegata in casi straordinari ed eccezionali.
Normalmente
al sacerdote che chiede l’incardinazione viene richiesto di firmare un
atto di piena accettazione della totale ortodossia di tutti i Documenti
del Concilio Vaticano II e del Novus Ordo Missae.
Ora ciò non è
possibile in coscienza. Infatti, il “Breve Esame Critico del Novus
Ordo Missae”, che dimostra apoditticamente le
innumerevoli deficienze dogmatiche della “Nuova Messa”, presentato a
Paolo VI dai cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci nel 1969 è
ancora pienamente valido e, come ha detto il cardinale Alfons Maria
Stickler, “esso attende ancora una risposta”[1].
Per quanto
riguarda la piena ortodossia dei Documenti del Concilio Vaticano II,
persino le ultime osservazioni critiche – molto equilibrate e pacate,
ma pienamente fondate – di monsignor Brunero Gheradini[2]
sono rimaste senza risposta.
Quindi
occorre restare in attesa di risposte probanti su questioni di Fede (e
non di semplici affermazioni gratuite, perché “quod gratis
affirmatur gratis negatur; ciò che si afferma gratuitamente e
senza prova lo si può negare gratuitamente e senza darne prova”) ed
attendere l’incardinazione giuridica ingiustamente negata, senza
addurre alcuna ragione teologica se non la non accettazione del
Concilio Vaticano II e del Novus Ordo Missae.
Papa Leone
XIII nell’Enciclica Diuturnum del 29 giugno 1881 insegna che
«Una sola ragione possono avere gli uomini di non obbedire, se
cioè si pretende da essi qualsiasi cosa che contraddica chiaramente al
diritto divino e naturale, poiché ogni cosa, nella quale si vìola la
legge di natura e la volontà di Dio, è egualmente iniquità sia il
comandarla che l’eseguirla. Quindi se capita a qualcuno di
vedersi costretto a scegliere tra queste due alternative, vale a dire
infrangere i comandamenti di Dio o quelli dei Governanti, si deve
obbedire a Gesù Cristo, […], e ad esempio degli Apostoli si deve
coraggiosamente dire: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini” (Act. V, 29). Perciò, non si può accusare
coloro che hanno agito così di aver mancato all’obbedienza, poiché
se il volere dei Prìncipi [civili ed ecclesiastici] contraddice quello
di Dio, essi sorpassano il limite della loro Autorità e pervertono il
diritto e la giustizia. Dunque in tal caso non vale la loro
Autorità, la quale è nulla quando è contro la giustizia».
Ora i
Documenti del Concilio Vaticano II ed il Novus Ordo Missae
rappresentano una oggettiva rottura con la Tradizione apostolica
dogmatica e liturgica. Perciò sono una valida motivazione dottrinale
(di Fede e Costumi) per non obbedire anche a costo di non ricevere ingiustamente
l’incardinazione canonica, la quale è una conseguenza giuridica della
retta Fede e della sana Morale. Non si può ledere la Fede per ottenere
la regolarità giuridica, che sarebbe regolare solo apparentemente. San
Paolo ha scritto: “Senza Fede è impossibile piacere a Dio”; si badi
bene! “Senza Fede”, non senza “incardinazione” e San Giacomo ha
aggiunto: “La Fede senza le opere è morta”, le buone opere ossia
l’osservare i 10 Comandamenti e vivere in Grazia di Dio. Se per
ottenere la giurisdizione delegata si deve intaccare la Fede e la
Morale occorre ricorrere alla giurisdizione supplita, come insegna il
Diritto Canonico. Un “Diritto” che si ottiene a partire da un errore
di Fede o di Morale sarebbe … “storto”.
●2a domanda: siamo
pienamente nella Chiesa se non riconosciamo piena autorità al Concilio
Vaticano II?
Risposta: «Il
Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha
scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come
semplice Concilio puramente pastorale» (card. J.
RATZINGER, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago
del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n. 31, 30 luglio-5
agosto 1988).
Quindi, come
ha riconosciuto l’allora cardinal Joseph Ratzinger ed oggi Benedetto
XVI, siamo pienamente nella Chiesa se poniamo delle domande sulla reale
continuità del Concilio Vaticano II con la Tradizione apostolica,
continuità che “va dimostrata e non solo affermata” (mons. Brunero
Gherardini).
●3a domanda: in
periodi eccezionali si può resistere eccezionalmente alla legittima
autorità senza usurpare il potere di giurisdizione. Ma
se questo periodo eccezionale si prolunga nel tempo e non se ne vede il
termine può la Chiesa restare per tanto tempo in stato di
eccezionalità e può durare tanto a lungo la resistenza
all’Autorità?
Risposta: il
periodo della crisi ariana è durato circa 80 anni e i cattolici che
credevano nella consustanzialità del Verbo hanno continuato a resistere
sino alla fine della crisi; il Grande Scisma avignonese è durato 70
anni con tre Papi che pontificavano contemporaneamente, di cui uno solo
era il vero Papa.
“Ab esse
ad posse valet illatio; il passaggio dall’esistenza di un fatto
alla sua possibilità è valido” (Aristotele). Se la crisi ariana è
durata 80 anni e il Grande Scisma avignonese 70 significa che “la
Chiesa può restare per tanto tempo in stato di eccezionalità
e può durare tanto a lungo la resistenza all’Autorità”.
Inoltre come
insegnava San Tommaso: “contra factum non valet argumentum;
contro il fatto non vale l’argomento”. Ora è un fatto storicamente
certo che vi sono stati lunghi periodi di crisi nella Chiesa. Quindi
l’argomento contrario non regge.
Certamente
“Le porte dell’Inferno non prevarranno!” e perciò tale crisi non durerà
all’infinito, ma solo quanto Dio permetterà che duri, non un secondo di
più. Se noi uomini non vediamo quando finirà la crisi non è la “fine
del mondo”; non prendiamoci troppo sul serio, Dio lo sa
certissimamente e questo ci basta. Quando gli Apostoli hanno chiesto a
Gesù la data esatta della fine del mondo, Egli ha risposto loro che
essa, secondo il beneplacito della SS. Trinità, non doveva essere
rivelata agli uomini.
●4a domanda: i
sacerdoti privi di regolarità canonica assolvono validamente? I
matrimoni celebrati da sacerdoti privi di regolarità canonica sono
validi?
Risposta: i
moralisti e i canonisti (v. i cardinali Francesco Roberti e Pietro
Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium,
1955) insegnano che vi è, oltre la “giurisdizione ecclesiastica
ordinaria delegata” dal Superiore all’inferiore, la “giurisdizione
supplita”, che non si possiede per il rivestimento di un ufficio,
né viene conferita da un Superiore, ma viene data dal Diritto stesso,
cioè dalla Chiesa (“supplet Ecclesia; è la Chiesa stessa che
supplisce o provvede a colmare la lacuna della giurisdizione mancante
al Ministro”), nel momento in cui si esercita l’atto di giurisdizione (“ad
modum actus”) per il bene delle anime, che altrimenti verrebbero
danneggiate sena alcuna loro colpa (Ibidem, voce “Giurisdizione
supplita”).
Inoltre
sempre i medesimi cardinali insegnano che vi è una “causa scusante
dalla osservanza della Legge”, ossia “una circostanza in forza
della quale viene a cessare in un determinato caso, per un determinato
soggetto, il dovere di osservare la Legge vigente”. Per esempio “il
dovere di soddisfare l’obbligo [chiedere la giurisdizione al Vescovo,
nda], cessa di fronte all’impossibilità morale della sua esecuzione [il
Vescovo non la concede, ingiustamente, perché il sacerdote che la
chiede non può accettare, giustamente, la nuova teologia conciliare e
la Nuova Messa, nda], la quale rende straordinariamente gravoso il
compimento dell’obbligo, pur restando fisicamente possibile [de iure
non è assolutamente impossibile che un Vescovo conceda la
giurisdizione, ma compiere il dovere di chiedere ed ottenere la
giurisdizione è de facto estremamente gravoso]” (ibid., voce
“Causa scusante”).
Infine i due
porporati spiegano che vi è una “necessità spirituale” oltre
che materiale. In tal caso “si deve soccorrere le anime in stato di
grave necessità [nella quale si trovano le anime dopo lo tsunami
conciliare, nda], le quali resterebbero prive di beni spirituali per la
salvezza eterna”. Quindi “i fedeli hanno il diritto di ricevere la
Dottrina e i Sacramenti e i sacerdoti hanno il dovere di conferirli” (Ibid.,
voce “Necessità”).
Ora è un
fatto, purtroppo sotto gli occhi di tutti, che la Dottrina cristiana
difficilmente viene spiegata in maniera ortodossa dai sacerdoti che
seguono la nuova teologia conciliare e postconciliare (vedi i nuovi
Catechismi, compreso il “CCC” del 1992 e il “Compendio del CCC” del
2005); inoltre l’ecumenismo di massa oramai imperversante e quasi
“onnipresente” (v. Assisi I-II-III, 1986-2011) danneggia la Fede dei
cristiani; la Nuova Messa, poi, “si allontana impressionantemente dalla
teologia cattolica sul Sacrificio della Messa come è stata definita dal
Concilio di Trento” (cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci,
“Lettera di presentazione del Breve Esame Critico del Novus Ordo
Missae”, Corpus Domini del 1969); le sette (neocatecumenali,
pentecostali, rinnovamento dello spirito … imperversano nella maggior
parte delle parrocchie); infine molti fedeli trovano molte difficoltà
per potersi confessare con facilità e se riescono a trovare
un sacerdote disposto ad ascoltare le confessioni spesso (non
sempre, si badi bene) egli nega che questo o quel Comandamento
della Morale divina sia obbligatorio per cui preferiscono confessarsi
da chi ha una giurisdizione soltanto supplita, ma mantiene la Fede e la
Morale cattolica.
Quindi la
teologia cattolica ammette che in certi casi eccezionali,
come quello che stiamo vivendo dal 1962, i sacerdoti [ingiustamente,
nda] privi di regolarità canonica assolvono validamente, a certe
determinate condizioni, con una giurisdizione supplita. Si
badi bene! Non dico che le confessioni dei sacerdoti ordinati dopo il
Concilio siano per se stesse invalide; osservo e constato che è difficile
trovare sacerdoti in confessionale e che molti di essi hanno
una concezione eterodossa della teologia dogmatica e morale.
Attenzione! Non affermo neppure che tutti i sacerdoti postconciliari
confessino secondo le regole della Morale divina, anzi molti,
purtroppo, la impugnano.
Per quanto
riguarda i Matrimoni, valgono gli stessi princìpi. Tuttavia
siccome ci si sposa una sola volta, sino a che morte non separi ciò che
Dio ha unito, a differenza del confessarsi che avviene spesso e si
ripete abitualmente, occorre essere prudenti nell’applicazione pratica
del principio del “supplet Ecclesia” quanto al contratto
matrimoniale. Infatti, se da una parte i fidanzati che seguono in
parrocchia i “corsi prematrimoniali” ricevono un insegnamento che
spesso non è conforme alla morale cattolica (limitazione delle
nascite …) e farebbero bene a non seguirli, d’altra parte il Matrimonio
è duro e lungo e qualche volta anche i migliori sposi
(persino i “tradizionalisti”, che nascono con il peccato originale come
tutti) entrano in crisi e sono tentati di ricorrere – non correttamente
davanti a Dio – all’escamotage di ottenere la dichiarazione di nullità
per mancanza di giurisdizione ordinaria delegata. Perciò se si trova un
parroco accondiscendente, che dà il permesso di celebrare le nozze in
maniera tradizionale dopo che i promessi sposi abbiano ricevuto
l’insegnamento della morale cattolica ortodossa, mi pare che si debba
fare uno sforzo per ottenere la piena regolarità anche davanti agli
uomini, senza ritenere che ci si sposi validamente solo nelle Cappelle
tradizionaliste e solo senza la giurisdizione delegata dal parroco.
Altrimenti sarebbe come fare un contratto davanti ad un testimone
credibile, ma non giuridicamente abilitato (per esempio un avvocato
anziché un notaio). Ebbene i contraenti, davanti a Dio e agli uomini,
hanno stipulato un vero contratto, ma legalmente o giuridicamente,
qualora sorgano dissapori, potrebbero – mancando alla parola data
davanti al testimone e a Dio – far annullare il contratto matrimoniale
per vizio di forma canonica. Quindi, onde allontanare ogni occasione di
venir meno alla parola data (il che può accadere anche ai
“tradizionalisti”, che non sono l’Immacolata Concezione), si faccia il
possibile, anche a costo di qualche sacrificio “chilometrico”, per
ottenere la presenza o la delega di un parroco fornito di giurisdizione
ordinaria delegata.
don
Curzio Nitoglia
[1]
Sul Novus Ordo Missae cfr. anche A. X. VIDIGAL DA SILVEIRA, La
Nuova Messa di Paolo VI. Cosa pensarne?, tr. it., www.unavox.it ; MICHAEL
DAVIES, La Riforma liturgica Anglicana, tr. it., www.unavox.it ; ID., The
Liturgical Revolution, 3 voll., Roman Catholic Books/Angelus
Press, Dickinson, Texas, 1976-1980; K. GAMBER, Die Zelebration
“versus populum”, in Ritus modernus. Gesammelte
Aufsätze zur Liturgiereform, Regensburg, Pustet, 1972, pp. 21-29;
tr. it., Chiesa viva, n. 197, 1989, pp. 16-18; ID., La
riforma della Liturgia Romana. Cenni Storici – Problematica, [1979],
tr. it., Roma, Una Voce, giugno/dicembre 1980, pp. 10, 19-20, 22, 26-
29, 30, 53-56.
[2]
Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un
discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi
quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento,
Casa Mariana Editrice, 2010; Id.,Concilio Vaticano II. Il discorso
mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis.
Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino,
Lindau, 2011; La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia
agostiniana, Torino, Lindau, 2011; cfr. anche R. AMERIO, Iota
unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Napoli-Milano,
Ricciardi, 1985.
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Ringrazio don Curzio Nitoglia per la chiara e dotta esposizione, caratteristiche che, del resto, mai mancano alle sue riflessioni. Grazie anche anche ai curatori del blog per averla pubblicata. Mi permetto solo di manifestare una perplessità per la stringatezza con cui è stata liquidata la seconda domanda: se è vero infatti che, da cardinale, il regnante pontefice abbia avuto espressioni di ridimensionamento del valore magisteriale del Vaticano II, da quando è asceso al trono di Pietro ha manifestato ripetutamente e autorevolmente la imprescindibilità del concilio per la fede cattolica ( si veda anche la lettera autografa a mons. Fellay a chiarimento delle condizioni contenute nell'ultimo preambolo proposto alla FSSPX ). La soluzione proposta da Don Curzio non mi appare, su questo punto sufficiente; nè le perplessità di Gherardini possono essere messe sullo stesso piano di chiare prese di posizione magisteriali. La questione dell'autorità si ripropone perciò prepotentemente all'attenzione della nostra ragione e chiede una soluzione che risponda contemporaneamente al dilemma dell'infallibilità e della indefettibilità della Chiesa.
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