Il vero nodo è teologico, non liturgico. Il Novus Ordo ha protestantizzato la Messa. Basta col modernismo |
“Ho l’impressione che molti cattolici oggi si vergognino delle loro origini, della tradizione”: lo afferma don Pierpaolo Petrucci, Priore della Madonna del Loreto, della Fraternità sacerdotale San Pio X. Con il sacerdote parliamo di liturgia e di teologia. Don Pierpalo, la sensazione è che il vero problema liturgico sia in realtà teologico.. “Dice bene. Non esiste una liturgia slegata dalla realtà teologica del tempo. Spiacevolmente il Concilio Vaticano II, per la sua mania di allargare a tutti,ha creato una deriva protestante sia nella dogmatica, che nella liturgia. Io contesto che sia giusto chiamare la Messa Novus Ordo. Nella chiesa,meno ancora nella liturgia, di nuovo non vi è nulla, cioè la Messa è quella di sempre. Basta il titolo, dunque, per giudicarla, fonte di caos”. Dunque bisognerebbe rivalutare il glorioso Concilio di Trento… “Quel Concilio fu decisivo, salvò la Chiesa dalla crisi. Alcuni autori che oggi scrivono la storia ... ... in senso Hegeliano fanno credere che tutto evolva, anche gli immutabili principi della tradizione e non è per nulla così”. Concilio Vaticano II ed ecumenismo.. “Un errore, che ha creato conseguenze drammatiche. Oggi la Chiesa cattolica è in crisi di identità e di autorità. Il Vaticano II ha voluto aprire ai protestanti, sbagliando .L’unica religione attraverso la quale vi è salvezza è la cattolica e il nostro compito è quello di convertire gli altri, mai di andare a rimorchio". In che cosa consistono secondo lei i mali della Chiesa cattolica dopo il Vaticano II? “Una protestantizzazione nel clero e nella liturgia innanzitutto. Poi pericolose aperture al modernismo, al laicismo e al naturalismo. Insomma sono stati minati i pilastri della sana dottrina cattolica, con i risultati che oggi vediamo, quando un rabbino si permette di insultare Pio XII”. Lei avrebbe tollerato la presenza di un rabbino al Sinodo? “Ma perché mai? Del resto loro non credono alla santità e al Nuovo Testamento, che ci sta a fare?”. Insomma lei che valutazione da del Vaticano II? “Voglio essere sincero, con certi documenti ha fatto a pezzi la tradizione della Chiesa. E la liturgia ne ha risentito,con assurde aperture ai protestanti, per compiacerli, lusingarli. Non si comprende che la storia non può essere cancellata”? Che cosa è per lei la Santa Messa? “Sacrificio, adorazione, mistero. Insomma tutto il contrario di quanto avviene oggi con liturgie paragonate a feste, banchetti, insomma un caos totale. Ma, lo ripeto, il tema liturgico è assolutamente collegato con quello dogmatico. Se non si risolve il secondo, neanche la liturgia servirà a nulla”. Si sono perduti dei punti di riferimento tra i cattolici? “Sì, per questo oggi la Chiesa,quella del dopo Vaticano II è in crisi di autorità e di confusione. Insomma ha smarrito la propria identità che potrà ricuperare solo restaurando la tradizione di una volta. Il Vaticano II, per citare il vescovo Williamsson, ha creato problemi e la sua liturgia mi sembra una insalata russa”. di Bruno Volpe S. Pio V curò l'edizione del Missale romanum affinché (come la stessa Costituzione ricorda) fosse strumento di unità tra i cattolici. In conformità alle prescrizioni del Concilio Tridentino esso doveva escludere ogni pericolo, nel culto, di errori contro la fede, insidiata allora dalla Riforma protestante. Cosí gravi erano i motivi del Santo Pontefice che mai come in questo caso appare giustificata, quasi profetica, la sacra formula che chiude la Bolla di promulgazione del suo Messale: «Si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem Omnipotenti Dei ac beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius se noverit incursurum» (Quo primum, 19 luglio 1570)(27). Si è avuto l'ardire di affermare, presentando ufficialmente il Novus Ordo alla Sala Stampa del Vaticano, che le ragioni del Tridentino non sussistono piú. Non solo esse sussistono ancora, ma ne esistono oggi, non esitiamo a dirlo, di infinitamente piú gravi. Proprio facendo fronte alle insidie che minacciavano di secolo in secolo la purezza del deposito ricevuto («depositum custodi, devitans profanas vocum novitates», I Tim. 6, 20), la Chiesa dovette erigergli intorno le difese ispirate delle sue definizioni dogmatiche e dei suoi pronunciamenti dottrinali. Essi ebbero ripercussione immediata nel culto, che divenne il monumento piú completo della sua fede. Volere ad ogni costo riportare questo culto all'antico, rifacendo freddamente, in vitro, quel che in antico ebbe la grazia della spontaneità primigenia, secondo quell'«insano archeologismo» cosí tempestivamente e lucidamente condannato da Pio XII (28), significa - come purtroppo si è visto - smantellarlo di tutte le sue difese teologiche oltre che di tutte le bellezze accumulate nei secoli(29), e proprio in uno dei momenti piú critici, forse il piú critico che la storia della Chiesa ricordi. Oggi, non piú all'esterno, ma all'interno stesso della cattolicità l'esistenza di divisioni e scismi è ufficialmente riconosciuta(30); l'unità della Chiesa è non piú soltanto minacciata ma già tragicamente compromessa(31) e gli errori contro la fede s'impongono, piú che insinuarsi, attraverso abusi ed aberrazioni liturgiche ugualmente riconosciute(32). Corpus Domini 1969 L'abbandono di una tradizione liturgica che fu per quattro secoli segno e pegno di unità di culto (per sostituirla con un'altra, che non potrà non essere segno di divisione per le licenze innumerevoli che implicitamente autorizza, e che pullula essa stessa di insinuazioni o di errori palesi contro la purezza della fede cattolica) appare, volendo definirlo nel modo piú mite, un incalcolabile errore. |
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