di di Lawrence M.F. Sudbury
Probabilmente, dai tempi del Concilio di Trento nessun’altro evento ha cambiato così radicalmente il volto della Chiesa cattolica come il Concilio Vaticano II.
Per comprendere la portata di questa “riunione generale” dei vertici ecclesiastici mondiali, cerchiamo, innanzitutto, di analizzare cosa essa fu storicamente, a partire dal quadro in cui nacque.
Nel 1870, il Concilio Vaticano I, convocato due anni prima da Pio IX con la bolla Aeternis Patris, era stato interrotto per lo scoppio della guerra franco-prussiana e non era mai stato chiuso ufficialmente, lasciando in sospeso numerose questioni e, soprattutto, imponendo una linea repressiva di Cattolicesimo, basata sulla condanna del razionalismo, del liberalismo, del materialismo e del fideismo e sulla riaffermazione dell’autorità papale con la Costituzione Dogmatica Pastor Aeternus sull’infallibilità del Sommo Pontefice (cosa che, per altro, portò allo scisma dei cosiddetti “Vetero-Cattolici”).
Una Chiesa più dedita alla riaffermazione del proprio potere e alla repressione di qualunque forma di “deviazione modernista” che preoccupata di avvicinarsi al popolo di Dio rischiava, novant’anni dopo, di subire uno scollamento dalla realtà fattuale e di non avere più nessuna attrattiva in una società profondamente cambiata.
Di tutto ciò si rese conto Papa Giovanni XXIII che, a soli tre mesi dalla sua elezione, il 25 gennaio 1959 rivelò la sua intenzione di indire un secondo concilio, il cui compito sarebbe stato sviluppare una maggiore coesione interna nella Chiesa e aprire quest’ultima alle problematiche della contemporaneità. Così, nel maggio 1959 venne insediata una commissione “ante preparatoria” che, attraverso la Segretaria di Stato (retta da Monsignor Tardini), inviò oltre 2.500 richiesta ai vertici locali delle Diocesi di tutto il mondo perché proponessero gli argomenti che avrebbero voluto trattare. Dalle risposte, la commissione, formata in grande maggioranza da Ecclesiastici curiali, elaborò i “proposita et monita” da utilizzare durante il concilio.
Il 5 giugno 1960, Giovanni XXIII, con il “motu proprio” Supernu Dei Natu, diede inizio alla fase preparatoria istituendo dieci commissioni relative alle diverse problematiche, affiancate dal Segretario per l’unità dei cristiani, Cardinal Bea e coordinate dal Cardinal Felici, futuro Segretario generale del concilio. Il problema era che le dieci commissioni ricalcavano fondamentalmente la struttura delle Congregazioni vaticane, con una presenza preponderante della componente conservatrice curiale: non è un caso che il loro lavoro preparatorio fu in gran parte contestato da quella parte maggioritaria del Clero che sempre più stava votandosi all’idea di un’apertura della Chiesa alla società, cos’ come non è casuale che, dei 69 “schemata” elaborati in fase preparatoria, solo tre vennero effettivamente utilizzati durante i lavori, mentre tutti gli altri vennero bocciati o completamente rielaborati.
Dopo la convocazione ufficiale (costituzione Humanae Salutis del 25 dicembre 1961) e la pubblicazione del calendario dei lavori (motu proprio Concilum Diu del 2 febbraio 1962), finalmente la prima sessione conciliare venne aperta l’11 ottobre 1962 con la presenza di 2540 Padri (1041 europei, 956 americani, 30 asiatici, 379 africani).
Fin dalla prima congregazione generale del 13 ottobre fu subito chiaro quale sarebbe stato il leitmotiv dell’intero Concilio, con i Padri curiali che tentarono immediatamente di influenzare l’andamento dei lavori cercando di forzare una elezione immediata di appartenenti alla Curia all’interno delle commissioni e con l’opposizione a tale metodo dei moderati-progressisti, guidati dai Cardinali Liénart (Mission de France) e Frings (Cologna), che chiesero più tempo per l’elezione.
Lo scontro continuò il 16 ottobre, nella discussione sugli schemi riguardanti liturgia e divina Rivelazione (entrambi rimandati alle commissioni) e, soprattutto, dall’1 al 7 di dicembre, nella discussione sullo schema De Ecclesia, redatto dalla commissione dottrinale dell’influentissimo quanto conservatore Cardinal Ottaviani, Prefetto della Congregazione del Sant’Uffizio (nonché noto come “Cardinale carabiniere” per la sua inflessibile opposizione a socialismo, Nuova Teologia e Preti operai) e presentato dall’altrettanto tradizionalista Cardinal Franch diSpalato ma aspramente criticato come mancante di prospettiva cristologica, freddamente giuridico, completamente privo di apertura verso i laici e di senso della collegialità (Cardinali Montini di Milano e Döpfner di Monaco e Frisinga e Vescovo De Smedt di Bruges) e, dunque, rimandato anch’esso alla commissione. Il risultato dello scontro fu che la prima sessione si chiuse, l’8 dicembre 1962, senza che nessun documento avesse superato la fase dibattimentale.
è già in questa prima fase che nasce quella fazione che verrà poi conosciuta come “Coetus internationalis Patrum” e che ha come obiettivo quello di riaffermare i principi tradizionali della Chiesa all’interno del concilio. Il suo fondatore è Monsignor Marcel Lefebvre, già Delegato Apostolico per l’Africa francofona e Arcivescovo di Dakar e al tempo Vescovo di Tulle, che, come membro della commissione preparatoria, aveva preso parte alla creazione di quei documenti in larga parte rigettati dall’assemblea generale e che ora era sempre più preoccupato della direzione che le delibere conciliari stavano prendendo. In realtà, i veri perdenti di questa prima fase sono, più che altro, i “curiali” vicini a Ottaviani, che vedono crescere sempre più il potere della cosiddetta “Alleanza europea”, formata in gran maggioranza da Vescovi tedeschi, austriaci, olandesi, francesi, belgi e svizzeri e di matrice spiccatamente progressista.
I “momenti caldi” della contesa, in cui si giocano gli assetti dell’intero concilio, sono soprattutto cinque:
1) la composizione delle commissioni in cui l’Alleanza ottiene il 49% dei seggi dopo che il Santo Padre permette una designazione di componenti per maggioranza semplice (15-20 ottobre);
2) l’indirizzamento del “novus ordo missae” verso il volgare nonostante le proteste di Monsignor Dante (23 ottobre) e di Ottaviani stesso (a cui, il 30 ottobre, viene addirittura tolta la parola), con chiara posizione di Giovanni XXIII in questo senso (4 novembre);
3) il rifiuto dei Padri dello schema di Ottaviani (appoggiato invece dai Cardinali Siri di Genova, Ruffini di Palermo e Quiroga di San Giacomo di Compostela) sulle “Fonti della Rivelazione”, in particolare laddove esso sottolinea che “il dovere di ogni pastore d’anime è di insegnare la verità che rimane sempre e ovunque immutabile” (14 novembre);
4) il rifiuto dello schema di Ottaviani su “l’Unità della Chiesa”, in relazione al capitolo sull’ecumenismo, visto come troppo conservatore (23-27 novembre) , nonostante la strenua difesa di Monsignor Carli, Vescovo di Segni (1 dicembre);
5) l’istituzione di una commissione coordinatrice per l’organizzazione dei lavori conciliari di intersessione in cui la presenza dei membri dell’“Alleanza” assomma al 50% (tre su sei).
Insomma, se anche non colpito in prima persona, ce n’è abbastanza perche un paladino della Tradizione come Lefebvre tenti di organizzare una “resistenza” e di coalizzare intorno a sé tutti quelli che la pensano come lui.
In effetti, una delle raccomandazioni papali in fase preparatoria era stata quella di non organizzare incontri di fazioni in sede extra-conciliare, ma, ad onor del vero, già durante la prima sessione, in particolare i Prelati tedeschi e olandesi avevano largamente disatteso tale monito, per cui non c’è da stupirsi se il gruppo del “Coetus”, che comprende, tra le sue figure di maggior spicco (all’interno dei circa 450 Padri che, nel tempo, aderiranno alla sua linea), oltre ai già citati Cardinali Siri di Genova e Ruffini di Palermo, i Cardinali Larraona Saralegui (Protodiacono e Prefetto della Congregazione per i Riti), Browne (ex Generale dei Domenicani e Vescovo di Idebessus, “in partibus infidelium”), Spellman di New York e Bacci (insigne latinista e Cardinale di Colonia in Cappadocia, “in partibus infidelium”), gli Arcivescovi de Proença Sigaud di Diamantina (co-fondatore della fazione), Morcillo di Zaragoza (dal 1964 di Madrid) e Santos di Manila (che sarà nominato portavoce del gruppo), i Vescovi de Castro Mayer di Campos, Ackerman di Covington e il Peritus e Prelato Domestico papale Fr. Gommar DePauw, si dia da fare (sostanzialmente con il beneplacito di Ottaviani, che, per certi versi, funge un po’ da “padre nobile” della corrente) per organizzare conferenze e dibattiti presieduti dai più insigni teologi conservatori quali Monsignor Spadafora, Monsignor Lattanzi, Monsignor Landucci, Frà (poi Cardinal) Ciappi, teologo della Casa Pontificia, e l’Abate Berto (teologo personale di Lefebvre).
In realtà, comunque, a posteriori risulterà chiaro che il gruppo non fu mai particolarmente coeso: alle posizioni estreme di Lefebre, Ackerman o DePauw, che verranno tutti in seguito scomunicati, si affiancano le posizioni certamente tradizionaliste dei vari Siri, Larraona, etc., che si sottometteranno (seppur criticamente) al dettato conciliare o, addirittura, le posizioni ondivaghe di uno Spellman che, con altri Prelati americani (ad esempio Cushing di Boston o Meyer di Chicago), sarà favorevole ai documenti sulla libertà di coscienza ma osteggerà qualunque forma di dichiarazione contro le “guerre giuste”.
Molto più unita sembra, invece, l’“Alleanza”, che, nell’intersessione, prima alla riunione di Monaco dei Vescovi germanofoni (gennaio – febbraio 1963) e poi alla Conferenza di Fulda (agosto 1963), fortemente indirizzata da teologi liberali o moderato-progressisti quali Rahner, Ratzinger, Grillmeier e Semmelroth, preparerà la linea delle sessioni conciliari successive, spingendo fortemente per la collegialità episcopale.
Intanto, Il 3 giugno 1963 Papa Giovanni XXIII muore e viene sostituito, il 21 giugno, da Papa Paolo IV, fermamente intenzionato a far continuare il concilio, che riprende, in seconda sessione, il 29 settembre di quello stesso anno, avendo, su chiara indicazione papale nel discorso d’apertura, quattro obiettivi programmatici: esposizione della Dottrina della Chiesa, possibilità di rinnovamento, sviluppo dell’ecumenismo e apertura del dialogo Chiesa-mondo.
Papa Paolo VI ha già dato, dal 13 settembre, una notevole svolta ai lavori, modificando piuttosto sostanzialmente alcuni punti dell’organizzazione: ora la presidenza è composta da un numero maggiore di membri, ma con poteri ridotti dal momento che i presidenti delle commissioni non hanno più la facoltà di condurre i dibattiti; sono stati nominati quattro cardinali moderatori, Döpfner, Suenens, Lercaro e Agagianian (i primi due sono parte integrante dell’“Alleanza Europea”, Lercaro è un noto liberale convinto e Agagianian, Prefetto della Congregazione per la Propaganda della Fede, durante la prima sessione aveva sostenuto le posizioni dei Cardinali più “rivoluzionari come Tien e Thjissen); infine, ora bastano cinque membri di una commissione per “suggerire una nuova redazione da un emendamento proposto” (e l’Alleanza dispone di un minimo di cinque membri in ogni commissione) mentre per rigettare uno schema o sospendere una discussione non è più necessaria la maggioranza dei due terzi ma basterà la maggioranza semplice.
Anche in questa nuova tornata dibattimentale i problemi su cui progressisti e conservatori si confrontano sono numerosi.
Un primo elemento di scontro riguarda l’opportunità di uno schema specifico su Maria Vergine che, come concepito dalla Curia è, secondo i progressisti dell’Alleanza (Cardinali Frings e Silva e Vescovi Leone e Garrone, 3 ottobre 1963), nocivo per l’ecumenismo, cosicché sarebbe meglio inglobare l’argomento nello schema generale sulla Chiesa. All’idea si oppone il Cardinal Arriba y Castro di Tarragona a nome di un fronte di 60 Padri (in gran parte del “Coetus”), ma, il 29 ottobre, per soli 17 voti, l’Alleanza ha la meglio.
Un secondo problema sorge in relazione all’idea di Padre Rahner di ristabilire un diaconato permanente all’interno della costituzione sulla Chiesa, contro cui insorgono in particolare i Cardinali Spellman e Bacci, sia perché ritengono inappropriato discutere una questione disciplinare all’interno di un documento dogmatico, sia perché vedono nel diaconato permanente un pericolo per il celibato ecclesiastico e le vocazioni sacerdotali (4 ottobre). I Cardinali Döpfner di Monaco e Frisinga e Suenens di Malines e Bruxelles e alcuni Vescovi di zone di missione (come Monsignor Yago di Abidjan e Monsignor Zoungrana di Ouagadougou) sostengono Rahner e la discussione viene rimandata e finisce per unificarsi con quella, nata il 16 ottobre, sulla sostituzione, proposta da Suenens, nel documento De Ecclesia dell’espressione “membro della Chiesa” con “popolo di Dio”, contro cui insorge il Cardinal Siri, ritenendo che la nuova dizione possa far pensare alla possibilità di salvezza anche senza l’ausilio della gerarchia ecclesiastica.
La situazione entra in stallo, fino a che, il 7 novembre, Döpfner, al fine di impedire ai tradizionalisti di esprimersi sull’argomento del laicato in seno alla Chiesa, legge una lunga dichiarazione da lui redatta in cui pretende di esprimere le posizioni dei conservatori: sette Vescovi si levano contro tale intervento, unendosi in un gruppo che si denomina “Segretariato Vescovi” e accusando l’Alleanza di voler instaurare una sorta di dittatura spirituale. Altri 35 Vescovi si aggregano al gruppo, capeggiato dal Vescovo Perantoni di Lanciano, e ad esso, il 13 novembre, si affianca l’“Unione Romana dei Superiori Maggiori”, una fazione minoritaria formata da 125 Padri provenienti in maggioranza da Ordini monastici. Il 28 novembre i due nuovi gruppi hanno raggiunto 679 consensi e Papa Paolo VI fa sapere a Preatoni che nella terza sessione verrà inserito uno schema apposito sui Religiosi: è la prima sconfitta (una delle pochissime) dell’Alleanza.
Il terzo grande nucleo problematico riguarda la collegialità: il 9 ottobre Monsignor De Proençea Sigaud fa un lungo intervento contro la nuova visione della collegialità episcopale, denunciando la possibile costituzione di una nuova istituzione simile ad un concilio ecumenico permanente e mette in guardia contro il pericolo di creare dei centri di decisione locali staccati da Roma. La sua protesta si allaccia alle posizioni di Carli e di Lefébvre, ma la sua è una tesi minoritaria e il 30 novembre la tesi collegialista che occorra rivedere lo schema sulla Chiesa in modo da precisare che il potere pieno e supremo sulla Chiesa universale appartiene al collegio dei Vescovi uniti al suo Capo risulta vincente con 1717 voti a favore e 408 contro.
Con tutte queste discussioni i lavori procedono a rilento, tanto che il Papa decide di aumentare il numero dei membri di ogni commissione da 25 a 30, con i nuovi seggi che vanno quasi totalmente all’Alleanza (che ha dalla sua parte ben 65 conferenze episcopali), ma, alla fine della seconda sessione (4 dicembre 1963) potranno tuttavia essere promulgati solo la costituzione Sacrosantum Concilium sulla sacra liturgia (un testo che, già rivisto nel corso dell’intersessione, viene redatto per ottenere il consenso generale ed essere accetto ai conservatori e ai liberali, con le vaghe enunciazioni di massima che 1- il culto divino è un’azione comunitaria che richiede una partecipazione attiva del popolo di Dio, 2- i fedeli devono essere arricchiti dalla lettura della sacra Scrittura, 3- il culto liturgico deve insegnare ai fedeli e non limitarsi ad aiutarli a pregare, 4- gli usi tribali devono trovare posto nelle liturgie dei paesi di missione) e il decreto sui mezzi di comunicazione di massa.
Durante la seconda intersessione la situazione volge sempre più a favore dell’Alleanza: a parte la riduzione degli schemi da discutere a sei principali (Rivelazione, Chiesa, Vescovi, ecumenismo, apostolato dei laici, Chiesa nel mondo moderno) rispetto ai tredici stabiliti in precedenza (Chiese orientali, Preti, formazione nei seminari, scuole cattoliche, Religiosi, Sacramento del matrimonio e missioni vengono ridotti a semplici enunciati da approvare con voto semplice e senza dibattito), la riunione di Roma della commissione teologica per discutere lo schema sulla Rivelazione vede una netta preponderanza dei teologi vicini all’Alleanza (i vari Monsignor Charue di Namur, Dom Butler, Grillmeier, Semmelroth, Rahner e Congar) che producono (aprile 1964) uno schema generale per la discussione approvato da Paolo VI il quale, poi (luglio 1964), modifica radicalmente il regolamento conciliare (chiunque voglia prendere la parola nell’aula dovrà comunicare una sintesi del suo intervento almeno 5 giorni prima al segretario generale e perché una richiesta sia ammessa non bastano più le firme di 5 Padri conciliari ma ne occorrono 65) così da ridurre al silenzio i punti di vista minoritari.
In definitiva, dunque, la terza sessione, che si apre il 14 settembre 1964 con la presenza di 40 uditori laici (tra cui, per la prima volta, 17 donne), sembra avere tutti i presupposti per una netta affermazione dei progressisti, ma le cose non risulteranno così facili.
Già il 15 settembre, durante la discussione sul capitolo VII dello schema sulla Chiesa, il Cardinal Ruffini di Palermo, il Patriarca Gori di Gerusalemme e il Vescovo D’Agostino di Vallo di Lucania denunciano la mancata menzione dell’inferno, mentre, il giorno successivo, il dibattito infuria sul tema riguardante la Vergine Maria (già ridotto ad un breve capitolo della Lumen Gentium): i Monsignori Ruffini, Mingo di Monreale, Wyszynski di Varsavia (a nome di 70 Vescovi polacchi) e, stranamente, Suenens vorrebbero che fosse dato un maggior peso al suo ruolo di “mediatrice salvifica”, ma i progressisti Léger di Montreal, Döpfner e Bea (Segretario per la Promozione dell’Unità dei Cristiani) si oppongono energicamente e, il 29 ottobre, il testo verrà approvato per la votazione e, con minime correzioni (che comunque deludono gli osservatori protestanti), votato il 18 novembre dal 99% dei Padri conciliari.
Il vero scontro si ha, però, a partire dal 23 settembre, sulla questione della libertà religiosa: i Cardinali Cushing di Boston, Ritter di Saint Louis, Meyer di Chicago e Silva Henriquez di Santiago del Cile appoggiano il progetto redatto dal Cardinal Bea sottolineando che la libertà religiosa è un diritto naturale dell’uomo ma il Cardinal Ottaviani ritiene esagerato affermare che colui che obbedisce alla sua coscienza “è degno di rispetto” e che sia grave dichiarare che ogni tipo di Religione è libera di diffondersi, mentre il Cardinal Ruffini accusa il testo di promuovere l’indifferentismo religioso e i Cardinali Quiroga y Palacios di Santiago di Compostela e Bueno y Monreal di Siviglia rigettano il testo come contrario alla Tradizione. Così la dichiarazione sulla libertà religiosa è mandata alla revisione: il 24 settembre il Cardinal König di Vienna tenta ancora di difenderla, ma il Cardinale Browne e Monsignor Parente della Curia accusano il testo di subordinare i diritti di Dio a quelli dell’uomo e Padre Fernandez, Superiore generale dei Domenicani, afferma che il testo è affetto da naturalismo, cosicché la dichiarazione non viene adottata e deve essere rivista.
E’ in questo dibattito che il Coetus si rende conto della necessità di un’azione più incisiva per contrastare il potere dell’Alleanza e il 29 settembre il Cardinal Santos, Arcivescovo di Manila, accetta il compito di portavoce presso il Sacro Collegio del gruppo, che comincia ad organizzarsi in forma sempre più strutturata, con uffici, personale, materiale per la stampa e riunioni settimanali ogni martedì sera in cui si propone ai Padri che ne fanno parte una conferenza di studio.
Molto presto, i lavori del Coetus ottengono una risonanza notevole (nonostante la visione sempre negativa dei mezzi di comunicazione nei confronti della fazione tradizionalista), anche grazie alla pubblicazione di circolari con commenti sugli schemi, interventi di teologi e programmi d’azione al momento dei dibattiti.
Il 17 novembre, finalmente, viene distribuito ai Padri conciliari lo schema rivisto sulla libertà religiosa e si annuncia che esso sarà votato il 19 novembre. La stessa sera il Coetus si riunisce per studiare il nuovo schema e si rende conto che il testo è stato completamente modificato, per cui decide di avvalersi dell’articolo 30 del regolamento interno per chiedere di differire il voto fino alla prossima sessione, al fine di avere il tempo per esaminare questa nuova stesura. Il giorno successivo, però, il Cardinal Tisserant, decano dei Cardinali presidenti, decide di non dar corso alla richiesta. Il 19, comunque, Monsignor Carli reclama presso il tribunale amministrativo del concilio affermando che il Cardinal Tisserant non può mettere ai voti l’applicazione di un articolo del regolamento e Tisserant è obbligato a ritirare la sua decisione e annunciare che il nuovo schema sulla libertà religiosa, in quanto sostanzialmente diverso dal primo, necessita di uno studio approfondito, quindi sarà votato nella prossima sessione. Questo annuncio accende un’aspra discussione: il cardinale Meyer (appoggiato da tre suoi compatrioti) lancia subito una petizione perché lo schema sia votato entro la presente sessione e, accompagnato dai cardinali Ritter e Léger, si reca dal Papa, che, però, temendo di spaccare il Collegio cardinalizio, non acconsente alla votazione immediata.
Nel frattempo, comunque, una nuova questione, ancora più importante, è sorta il 29 settembre, dopo che una votazione sul tema della collegialità ha visto 572 proposte di modifica e si è deciso di affidare la stesura di tali modifiche ad una sottocommissione: vista la preponderanza di membri dell’Alleanza in tale gruppo di studio, Monsignor Staffa, Prefetto della Segnatura Apostolica e altri 34 Prelati scrivono al Papa per metterlo in guardia sul fatto che la sottocommissione sta preparando un testo ambiguo, che mette in ombra il potere papale.
Paolo VI inizialmente non darà peso alla lettera ma il 9 novembre un liberale estremista commette l’imprudenza di spiegare per iscritto come si potrà approfittare dei passaggi ambigui dello schema “De Ecclesia”, dopo il concilio, per rimettere in questione il potere supremo del Papa. Il documento cade in mano di uno dei 35 Cardinali che avevano scritto a Paolo VI contro la collegialità e, quindi, è inviato al Santo Padre. Il giorno successivo Paolo VI esige che lo schema sulla collegialità sia chiarificato in ciascuno dei suoi passi ambigui, e, per evitare ogni falsa interpretazione, chiede alla commissione teologica di preparare una “nota esplicativa preliminare”, in cui si ricorda che il Papa è l’elemento costitutivo necessario ed essenziale dell’autorità del collegio episcopale. Infine, il 16 novembre, il Santo Padre dà lettura di tale “nota esplicativa preliminare” che ricorda la dottrina tradizionale sul potere del Papa nella Chiesa ed esige l’assenso dei Padri sul suo contenuto.
La vera questione della terza sessione è, comunque, quella riguardante lo schema su “la Chiesa nel mondo moderno”. Il 2 ottobre, in occasione della riunione settimanale alla Domus Mariae, i Vescovi dell’Alleanza Europea decidono di allungare i tempi nelle discussioni e nei dibattiti, avendo fatto pubblicare recentemente delle aggiunte al progetto: questo testo (che sarà la futura costituzione Gaudium et Spes) dovrà essere un compendio di insegnamenti liberali, ma per raggiungere lo scopo, l’Alleanza ha bisogno di tempo, per assicurarsi i sostegni necessari al momento del dibattito e del voto in vista dell’adozione del nuovo testo.
Il 20 ottobre si apre il dibattito sullo schema, ispirato interamente dal cardinale Suenens e redatto da una commissione largamente liberale, a cui partecipano nomi eccellenti del progressismo quali il Vescovo Schröffer di Eichstatt, il Vescovo Hengsbach di Essen, e il grande teologo morale Padre Häring. Il primo a prendere la parola è il moderatore Cardinal Lercaro che, con l'appoggio del Cardinale Döpfner e di 83 Vescovi germanofoni e del nord Europa, spiega che lo schema non potrà essere discusso seriamente e rivisto prima della prossima sessione. Anche Suenens e l'Arcivescovo Heenan di Westminster (quest'ultimo, però, a nome di una fronda minoritaria denominata "Conferenza di San Paolo") appoggiano il rinvio. Si inizia, comunque, un esame preliminare, che tocca uno dei suoi punti di massima criticità il 29 ottobre, quando si valuta l'articolo 21 intitolato “La santità del matrimonio e la famiglia”: il Cardinale Léger chiede che il documento non parli dell’amore coniugale semplicemente in funzione della fecondità e Suenens chiede che il concilio prenda delle decisioni più chiare riguardo alla limitazione delle nascite. Queste posizioni suscitano le immediate reazioni dei conservatori: Ruffini difende la dottrina della Chiesa contraria alla contraccezione e Ottaviani arriva addirittura ad accusare Suenens di mettere in dubbio l’inerranza della Chiesa, mentre Monsignor Hervas y Bener di Ciudad Real definisce inaccettabile la pochezza del documento. Di fatto, il 5 novembre tale documento verrà rinviato, ma il 7 novembre, dopo essere stato convocato da Paolo VI, il Cardinal Suenens dovrà negare pubblicamente di aver messo in dubbio l’insegnamento autentico della Chiesa sul matrimonio ed affermare che tutto quello che riguarda la limitazione delle nascite attiene alla sola autorità suprema del Santo Padre.
La posizione un po’ ambigua del Papa comincia a sollevare malumori e, infatti, quando il 21 novembre la terza sessione, che aveva prodotto la Lumen Gentium (passata con soli cinque “non placet”), il decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio (che, comunque, riceve quasi duemila “iuxta” – richieste di miglioramento - e 64 voti contrari) e il decreto per le Chiese Orientali Orientalium Ecclesiarum, si chiude, nel momento in cui Paolo VI risale la navata sulla sua sedia gestatoria molti Vescovi restano impassibili e si rifiutano di applaudire e alla benedizione del Papa si segna solo un Vescovo su dieci. Quasi ad aumentare la confusione sulle sue reali posizioni (e, dunque, a scontentare entrambe le parti), al momento dell’allocuzione di chiusura, il Sommo Pontefice attribuisce alla Vergine Maria il titolo di “Madre della Chiesa”, cosa a cui alcune conferenze episcopali (in particolare della Germania e dei Paesi nordici) vi si erano largamente opposte vedendovi un ostacolo all’ecumenismo.
L’ambiguità papale non cambierà nelle fasi successive, già a partire dalla terza e ultima intersessione, in cui il Coetus cerca di organizzarsi per sferrare l’attacco all’Alleanza: il 25 luglio 1965 De Proença Sigaud, Lefébvre e Dom Prou, Superiore generale della Congregazione Benedettina di Francia, indirizzano una lettera al Papa chiedendo che il Coetus possa comunicare in aula, prima del voto, un rapporto contrario sugli schemi sulla libertà religiosa, sulla Rivelazione divina, sulla Chiesa nel mondo moderno e sulle relazioni tra la Chiesa e le Religioni non cristiane, ma l’11 agosto il cardinale Cicognani, Segretario di Stato, risponde a nome del Papa sottolineando che Paolo VI disapprova che possa esistere un “gruppo particolare in seno al concilio”, che potrebbe privare i Padri conciliari della loro libertà di giudizio e di scelta e accentuare divergenze e divisioni, nonostante sia palese a tutti l’esistenza dell’Alleanza Europea e l’articolo LXXVII § 3 del regolamento interno affermi che “È fortemente auspicabile che i Padri conciliari che intendono sostenere degli argomenti simili, si raggruppino e designino uno di loro per prendere la parola a nome di tutti”. E’ probabile che tale risposta sia nata dopo che i cardinali Döpfner e Suenens erano andati a lamentarsi con Paolo VI del gruppo di opposizione “Segretariato Vescovi”, accusandolo di disturbare i dibattiti e le votazioni esercitando delle pressioni in seno all’aula, ma, di fatto, una ulteriore missiva del Coetus del 20 agosto non ottiene risposta.
Si arriva così al 14 settembre 1965, data di apertura della quarta sessione, con tensioni che si stanno facendo via via più palesi.
I grandi temi di dibattito e scontro sono soprattutto tre: il documento sull’ateismo, lo schema sulla libertà religiosa e quello sulla Rivelazione divina.
Per quanto riguarda il primo, le schermaglie si aprono subito il primo giorno, con la distribuzione di un testo rivisto sull’ateismo, facente parte dello schema sulla Chiesa nel mondo moderno, che, nonostante le richieste di molti Padri, guidati da Monsignor De Proença Sigaud, di avere una condanna degli errori del marxismo, del socialismo e del comunismo sulla base di argomentazioni filosofiche, sociali ed economiche, non fa minimamente menzione di essi. Di conseguenza, il 29 settembre, Monsignor Carli diffonde, con l’aiuto di Monsignor De Proença Siguad e Monsignor Lefébvre, una lettera-petizione redatta insieme a 26 vescovi, nella quale si elencano dieci ragioni per condannare il comunismo nel corso del concilio. Tale lettera, il 9 ottobre, ottiene l’appoggio di 450 Padri conciliari e il documento è inviato da De Proença Sigaud e Lefébvre al Segretariato generale del concilio perché sia trasformato in emendamento e, in base al regolamento, stampato e portato a conoscenza dei Padri per essere sottoposto al voto. Quando, però, il 13 novembre, viene distribuito un nuovo testo sull’ateismo, nella relazione ufficiale che lo accompagna non si parla affatto della lettera-petizione e lo stesso giorno Monsignor Carli se ne lamenta col presidente del concilio che farà aprire un’inchiesta.
Il 15 novembre, all’apertura del dibattito sul documento, il Coetus Internationalis Patrum deposita una nuova richiesta di emendamento perché nel documento sia contenuta una condanna del comunismo e il 23 novembre Padre Ralph Wiltgen, giornalista e osservatore al concilio, fa sapere che è stato il Vescovo Glorieux di Lilla, segretario della commissione incaricata di redigere il testo sull’ateismo, a bloccare le 450 firme della lettera-petizione. Informato dei fatti, il 24 novembre Paolo VI ordina che sia inserita una nota nel documento con la quale si richiama l’insegnamento della Chiesa sul maerxismo, facendo riferimento a Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, ma il 3 dicembre De Proença Sigaud lamenta che il documento non si sia spinto più lontano e il Coetus distribuisce una lettera a 800 Padri conciliari per ricordare loro di votare contro lo schema sulla Chiesa nel mondo moderno, visto che gli argomenti relativi al comunismo e alla guerra non sono soddisfacenti. Questo tentativo non servirà, in ogni caso, a nulla, dal momento che solo 131 Padri su 800 voteranno contro la seconda presentazione del documento e il 7 dicembre lo schema sulla Chiesa verrà approvato con 2309 voti favorevoli contro 75 (tutti del Coetus).
In relazione allo schema sulla libertà religiosa, la discussione si apre il 15 settembre e il Coetus, sulla base dell’articolo XXXIII § 7 del regolamento interno, chiede l’autorizzazione di leggere un rapporto sul tema ma i moderatori ignorano la richiesta. Ugualmente, 27 ottobre, quando viene messa ai voti la quinta versione dello schema, vengono presentati centinaia di emendamenti e il testo deve essere nuovamente rivisto. Il 17 novembre viene distribuita ai Padri la sesta versione dello schema e il Coetus, pur riconoscendo miglioramenti relativi alla menzione della “vera religione”, ritiene insufficiente che il criterio principale della libertà religiosa resti quello del giusto ordine pubblico e disapprova che si possa affermare la neutralità dello Stato in materia religiosa come condizione normale quando Pio XII aveva sottolineato come la condizione normale fosse la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato. Ancora una volta, comunque, il Coetus risulta perdente al voto del 19 novembre con 1854 voti a favore dello schema e 249 voti contro.
Infine, l’ultimo terreno di scontro è quello dello schema sulla Rivelazione. Quando lo schema viene presentato, il 20 settembre, molti Padri esprimono riserve per ciò che concerne una visione troppo ecumenica dei rapporti tra Scrittura e Tradizione (articolo 9), dell’inerranza delle Scritture (articolo 11) e sulla storicità dei Vangeli (articolo 19), cosicché, l’8 ottobre, il Papa riceve numerose proteste (tra le quali un memorandum del Coetus sull’articolo 11) e, di rimando, dieci giorni dopo, fa recapitare al Cardinale Ottaviani, presidente della commissione teologica, che era stato messo in minoranza dall’Alleanza europea, un elenco di osservazioni riguardanti gli articoli “incriminati”, che devono essere modificati. Naturalmente, il giorno seguente la commissione teologica si riunisce per la revisione: per l’articolo 9 si aggiunge: “quindi, non è solo dalla sacra Scrittura che la Chiesa trae la sua certezza su tutto ciò che è stato rivelato”, per l’articolo 11 si appronta un altro enunciato appena meno vago in cui si insegna che nei Vangeli è senza errore solo ciò che riguarda la salvezza e per l’articolo 19, la commissione modifica il testo nel senso voluto dagli emendamenti di 158 Padri. Lo schema definitivo viene votato il 18 novembre ed è approvato con 2344 voti a favore e 6 contro e subito il documento viene promulgato dal papa.
L’8 dicembre 1965 il concilio viene ufficialmente chiuso con la proclamazione di un numero impressionante di documenti (Christus Dominus, Perfectae Caritatis, Optatam Totius, Gravissimum Educationis, Nostra Aetate, Dei Verbum, Apostolicam Actuositatem, Dignitatis Humanae, Ad Gentes, Presbyterorum Ordinis, Gaudium et Spes) che, però, sono, come già molti delle precedenti sessioni, quasi tutti volutamente vaghi, frutto di mediazione di un dibattito tra fazioni opposte, tra le quali una ricomposizione, pur nello spirito di carità e fratellanza che dovrebbe animare i Prelati, risulta impossibile.
Certo, come detto, i cambiamenti sono enormi dal punto di vista giuridico-istituzionale: le commissioni conciliari vengono trasformate in altrettante congregazioni coordinate dalla segreteria di Stato e si fanno grandi passi in direzione della collegialità riformando ed ampliando i poteri del Collegio cardinalizio, dando un assetto giuridico più definito alle Conferenze episcopali regionali, creando un nuovo organo centrale della Chiesa come il Sinodo episcopale.
Lo scollamento tra Chiesa e mondo non viene, però, completamente risolto e sussistono problemi gravi quali la crisi dell’evangelizzazione e la ricerca di una nuova spiritualità all’interno di una comunità afflitta da tensioni contraddittorie, tra nostalgie tradizionalistiche ed integraliste, indifferenza e fughe in avanti (insomma, quelle stesse tensioni che avevano animato il concilio stesso).
La breve esposizione degli snodi principali delle fasi conciliari ha messo in luce come il fatto di maggiore importanza sia stato il passaggio della leadership del concilio dalla linea conservatrice a quella moderatamente progressista: non si trattò unicamente di una questione teorica di punti di vista, dal momento che, dal punto di vista ecclesiastico, si cercò di trovare nel concetto patristico di “mistero sacramentale” una categoria capace di far sintesi e reggere una ecclesiologia di comunione, nella quale potessero trovare posto sia le istanze di rinnovamento che un processo di continuità con il Vaticano I.
Non sempre vi si riuscì e se all’interno del concilio le mancanze in questo senso portarono proprio alla vaghezze, gravide di corollari negativi, di alcuni insegnamenti, nelle fasi successive della storia della Chiesa, purtroppo, le conseguenze, in termini di dolorose scissioni, scomuniche e divisioni, saranno ancora più terribili.
Riferimenti bibliografici:
G.Alberigo, J.A. Komonchak (a cura di), History of Vatican II, Vol.1-5, Orbis Books 1996-2005
N. Buonasorte, Tra Roma e Lefebvre. Il Tradizionalismo Cattolico Italiano e il Concilio Vaticano II, Studium 2003
F. Leoni, Il Cardinale Alfredo Ottaviani Carabiniere della Chiesa, Apes 2002
J.W. O'Malley, What Happened at Vatican II, Belknap Press of Harvard University Press 2008
O.H. Pesch, Il Concilio Vaticano II. Preistoria, Svolgimento, Risultati, Storia Post-conciliare, Queriniana 2005
X. Rynne, Vatican Council II, Orbis Books 1999
K.D. Whitehead (a cura di), After Forty Years: Vatican Council II's Diverse Legacy, St. Augustines Press 2007
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