della Fraternità San Pio X rilasciata al giornale Iesus Christus
n° 11 - 21 maggio 2009
Perché sostenere la nullità delle scomuniche dichiarate da Giovanni Paolo II nel 1988 ?
Mons. De Galarreta: Ogni volta che abbiamo scritto a Roma ci siamo sempre preoccupati di precisare che ciò che chiedevamo era la dichiarazione di nullità delle scomuniche o, secondo una forma un po’ più accettabile per loro, il ritiro del decreto di scomunica, proprio perché esse non esistono.
L’atto delle consacrazioni episcopali del 1988 di Mons. Lefebvre fu un atto assolutamente necessario per la continuità del sacerdozio cattolico, della Tradizione, della fede cattolica e della stessa Chiesa. Fu un atto di sopravvivenza, di salvaguardia della fede cattolica, e quindi non una mancanza passibile di un qualche tipo di condanna o di censura. Fu un atto virtuoso e a mio modo di vedere estremamente virtuoso per il bene delle ànime e della Santa Chiesa.
I.C: Se non vi fu scomunica, non Le sembra contraddittorio aver chiesto a Roma di fare qualcosa rispetto ad essa ?
Mons. De Galarreta: All’apparenza sì. In realtà no. Perché una cosa è la validità o meno delle scomuniche, altra cosa l’impressione che ne ricava il resto della Chiesa e l’opinione pubblica in generale. È evidente che, agli occhi di tutta la Chiesa, su di noi gravava una macchia, che era come una condanna contro ciò che noi rappresentiamo: la Tradizione cattolica. Si tratta di due aspetti distinti. L‘aspetto oggettivo è che non vi fu scomunica. L’altro aspetto invece è soggettivo, nello spirito della gente, e fu in relazione ad esso che venne chiesto che si ritirasse il decreto.
I. C.: Come risposta Roma ha pubblicato il decreto del 21 gennaio 2009, in cui non si riconosce la nullità delle scomuniche, ma si rimuove la sanzione. Non è quello che aveva chiesto la Fraternità. E tuttavia Mons. Fellay ha fatto cantare un “Magnificat” per celebrare la cosa. Lei stesso, nella sua omelia del 15 marzo, ha detto che “ci rallegriamo e apprezziamo questo decreto”. Perché rallegrarsi, se non corrispondeva a quanto richiesto?
Mons. De Galarreta: È innegabile che il decreto, così com’è fatto, non corrisponde né alla verità né alla giustizia, così che resta in sospeso la riabilitazione dei vescovi, inclusi Mons. Lefebvre e Mons. De Castro Mayer, e, in definitiva, una riabilitazione di tutti i membri della Tradizione. Abbiamo chiesto che si ritirasse il decreto come un segno effettivo di buona volontà e di cambio di atteggiamento di Roma rispetto alla Tradizione e a noi. Per questo ci rallegriamo. Quantunque il decreto non sia ciò che avrebbe dovuto essere, non si tratta più di persecuzione e di rottura. Si rimuove un grande ostacolo perché le ànime possano avvicinarsi alle ricchezze della Tradizione e alla vera di fede.
I. C.: Monsignore, Lei nel suo sermone ha dichiarato che è aumentato il numero di fedeli nel mondo dopo il decreto del 21 gennaio.
Mons. De Galarreta: Sì, effettivamente, dopo il Motu Proprio vi sono state diverse migliaia di sacerdoti che ci hanno chiesto il DVD che insegna a celebrare la Messa tradizionale. Così anche dopo questo decreto vi è stata molta gente nuova che ci interpellato, nei nostri priorati e seminari.
I. C.: Molti si chiedono per quale motivo il Papa ha pubblicato il decreto del 21 gennaio. Alcuni parlano della volontà di assorbire la Fraternità Sacerdotale San Pio X e ridurla al silenzio. Altri parlano di un semplice atto di benevolenza da parte del Papa. Lei cosa ne pensa?
Mons. De Galarreta: È difficile conoscere le intenzioni, tuttavia, per ciò che si può dedurre dagli atti, probabilmente esistono varie distinte ragioni. A me sembra indiscutibile che da parte del Papa esista la sicura volontà di ripristino della giustizia e della benevolenza. Però, è altrettanto indubitabile che a Roma sperano che tali misure e i contatti che seguiranno permetteranno loro di incorporarci nella “dinamica ecclesiale”, e che noi smusseremo gli spigoli che secondo loro presentiamo, per esempio, nell’essere così rigidi e intransigenti, come dicono, a riguardo della dottrina. Ossia, sperano di “moderarci” un poco, incorporando anche alcune della nostre cose positive.
Altro aspetto importante è la volontà di Benedetto XVI di dimostrare la continuità del Concilio Vaticano II con la Tradizione: se si vuole provare che vi è continuità, basta lasciarci esistere e vivere entro il perimetro della Chiesa ufficiale. Indubbiamente questa visione delle cose e di noi costituisce il maggior pericolo per i contatti a venire.
I. C.: Possiamo parlare di un Papa tradizionalista?
Mons. De Galarreta: No. Disgraziatamente, no. Benedetto XVI si è preoccupato di smentire esplicitamente questa affermazione. Egli si identifica pienamente e teologicamente col Concilio Vaticano II. Il suo insegnamento e il suo governo della Chiesa si iscrivono direttamente nello spirito del Concilio. La prova sta nel fatto che vuole incorporarci nella Chiesa ufficiale, però secondo una concezione ecumenica. Egli sta praticando l’ecumenismo con noi.
Tuttavia, contemporaneamente vi è un cambio di atteggiamento rispetto alla Tradizione: non si tratta più di persecuzione, ma, fino ad un certo punto, di accettazione. Questo cambio di attitudine, oggi più chiara, più aperta rispetto alla Tradizione, ci serve da base per affrontare i colloqui con Roma. Il buono, il nuovo, del Papa attuale è questo cambio di attitudine e l’accettazione che il Concilio e il magistero debbono mantenersi in continuità con la Tradizione. Questo è un punto di partenza che ci permette di discutere.
I. C.: Nella sua lettera ai vescovi del mondo, del 12 marzo, il Papa dice che «i problemi che ora debbono essere affrontati sono di natura essenzialmente dottrinale, e si riferiscono soprattutto all’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi». Quali sono i problemi dottrinali di cui parla Benedetto XVI ?
Mons. De Galarreta: Sono precisamente le novità ispirate ai principi liberali, neomodernisti, come per esempio la libertà religiosa, la libertà di coscienza, l’ecumenismo, il democratismo introdotto nella Chiesa con la visione della “Chiesa comunione”, “Chiesa del popolo di Dio”, che, attraverso la collegialità, limita l’autorità del Papa e dei vescovi. Insomma, si tratta della svolta antropocentrica, dell’umanesimo e il personalismo che sono penetrati nella Chiesa e hanno operato una rivoluzione copernicana. Siamo passati da una visione cristocentrica, teocentrica, ad una specie di culto dell’uomo, come ebbe a rivendicarlo il Papa Paolo VI.
I. C.: Secondo il decreto del 21 gennaio si dovranno iniziare colloqui dottrinali tra la Fraternità Sacerdotale San Pio X e il Vaticano. Nella Fraternità San Pio X si è detto più volte che si vuole “studiare il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione”. Come intendere questa espressione ?
Mons. De Galarreta: Questa espressione richiede una certa precisione. Essa intende affermare chiaramente che per noi il criterio di spiegazione di qualsivoglia dottrina nella Chiesa è la sua conformità con la Tradizione. Quindi, studiare il Concilio alla luce della Tradizione vuol dire rifiutare tutto quello che è in contraddizione con l’insegnamento e il magistero tradizionali, e accettare tutto quello che è conforme e in armonia con ciò che si è sempre creduto, ovunque e da tutti, che è la definizione della Tradizione.
I. C.: Allora si può dire che questi colloqui hanno lo scopo di “convertire Roma”? Tale desiderio non le sembra una manifestazione di superbia? Un’illusione?
Mons. De Galarreta: L’espressione “convertire Roma” non è corretta. Si tratta piuttosto di un ritorno, di una riconversione. Peraltro è Dio che può illuminare le intelligenze e muovere i cuori perché si possa attuare questo ritorno della Chiesa alla Tradizione. Superbia sarebbe se noi, in base a idee nostre, nuove, ci erigessimo a giudici della dottrina della Chiesa. Invece si tratta proprio del contrario; di giudicare una serie di novità alla luce di ciò che si è sempre creduto e vissuto nella Chiesa. Allora in questo caso vi è fedeltà, non superbia. La superbia è giustamente l’attitudine di chi disprezza l’insegnamento di duemila anni della Chiesa sulla base di giudizi personali e propri del tutto contrari alla fede.
Illusione? No. Perché non andiamo con false aspettative, cioè non abbiamo un’aspettativa fissata. Ci sembra che sia nostro dovere dare testimonianza della fede cattolica, difenderla e condannare gli errori contrari, però non sappiamo quanti frutti deriveranno da questi colloqui. Non sappiamo se poco, molto o niente. Non sappiamo se appena iniziati questi colloqui se ne pentiranno o se noi potremo continuarli. Abbiamo l’obbligo di farlo, è nostro dovere, ma è Dio che dà i frutti. Niente, trenta per cento, sessanta, cento per cento? Solo Dio lo sa e provvederà, perché a Dio niente è impossibile.
I. C.: A suo tempo Monsignore consacrò quattro vescovi invocando uno stato di necessità. Nella sua omelia parlò di una “operazione sopravvivenza” della Chiesa. Dopo il Motu Proprio del 7 luglio 2007 che autorizza la Messa tridentina e il decreto del 21 gennaio 2009 relativo alle scomuniche, esiste ancora questo stato di necessità?
Mons. De Galarreta: Sì. Lo stato di necessità non è stato causato da delle condanne ingiuste o dalla sparizione della liturgia tradizionale. La nostra battaglia non è finita col Motu Proprio. Lo stato di necessità deriva dal mutamento della fede, dall’introduzione di dottrine radicalmente opposte alla Tradizione e alla fede cattoliche. In questo senso il problema sussiste, è esattamente lo stesso, non è cambiato. Si è avuto qualche miglioramento nell’attitudine della chiesa ufficiale rispetto alla liturgia tradizionale, senza che sia sopraggiunta in alcun modo una soluzione del problema dottrinale della Messa. Lo stato di necessità persiste esattamente allo stesso modo, perché persiste la questione della fede.
I. C.: Che prospettive vede per la Fraternità San Pio X nel futuro? Un accordo con Roma? Un riconoscimento canonico?
Mons. De Galarreta: No, assolutamente, né in un futuro prossimo né lontano. Precisamente noi escludiamo questa possibilità. Sappiamo che fintanto che non vi sarà un ritorno alla Tradizione da parte di Roma, qualsiasi accordo pratico o canonico è incompatibile con la confessione e la difesa pubblica della fede, sarebbe la nostra morte. Nel migliore dei casi, parlando umanamente, avremo diversi anni di colloqui.
I. C.: Monsignore, Lei è stato appena nominato Visitatore di un seminario che conta 42 seminaristi e sei professori. Che differenza c’è tra la funzione di Visitatore e quella di Direttore? Quale sarà il suo impegno, la sua meta, come Visitatore del seminario?
Mons. De Galarreta: In realtà, la mia funzione specifica è assicurare una transizione tranquilla e pacifica. Ho l’incarico di Direttore ad interim, e continuerò a svolgere le mie funzioni abituali intercalandole con alcuni soggiorni in seminario, per amministrare le ordinazioni e le cresime. Questo periodo di transizione per adesso potrà essere di sei o nove mesi, anche se non si sa niente. Sono quindici anni che sto in Spagna ed ero stato nominato provvisoriamente per un anno… Grazie a Dio questo seminario è molto ben avviato, con un corpo insegnati sperimentato ed eccellente. Così che non dovrò fare che continuare con l’eccellente lavoro svolto in seminario dal mio predecessore e limitarmi a risolvere le questioni che si presenteranno in questi mesi, mettendoci in questo caso ben poco del mio.
I. C.: In che consiste la formazione del seminarista?
Mons. De Galarreta: Si tratta essenzialmente di tre pilastri: in primo luogo la formazione della fede, dottrinale, teologica, che si realizza con gli studi di filosofia, teologia e Sacra Scrittura, soprattutto attraverso lo studio di San Tommaso d’Aquino, il faro degli studiosi cattolici.
La seconda parte è costituita dalla formazione potremmo dire alla pietà, specialmente attraverso la liturgia tradizionale e la partecipazione al Santo Sacrificio della Messa. Essa include anche la formazione ad una orazione personale profonda, vera.
In terzo luogo, il seminario è una scuola di perfezione, di santità. Questo è essenziale. Si persegue la crescita spirituale con la pratica delle virtù, lottando contro i difetti che abbiamo.
Questa dottrina, questa pietà e queste virtù conducono alla santità e all’unione con Dio.
I. C.: Monsignore, vi è una crisi di vocazioni. I seminari ufficiali hanno pochi seminaristi, al contrario del suo seminario. Come spiegare la quantità di vocazioni che vi sono qui?
Mons. De Galarreta: Credo che le attragga il concetto tradizionale del sacerdozio cattolico: il sacerdote per il sacrificio della Messa, predicatore della Verità, santificatore delle ànime, consacrato a stabilire il primato e la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, mentre edifica la Chiesa. Indubbiamente, è un ideale che attrae consacrare la propria vita a Dio, alle ànime, attraverso la ricchezza del sacerdozio cattolico tradizionale.
I. C.: Vuole dire che Dio chiama come prima gli uomini al suo servizio?
Mons. De Galarreta: È una domanda difficile. Non lo so. Talvolta può darsi che da parte di Dio, per l’abbandono di Dio, l’apostasia, vi siano meno chiamati, come un castigo. Penso anche che vi sono ancora molti giovani che hanno la vocazione, però per mancanza di un ideale vero, e specialmente per le preoccupazioni del mondo, queste speranze vengono soffocate. Talaltra la vita comporta certe esperienze che impediscono la vocazione: credo che in parte il problema sta nel fatto che a volte i padri non curano a sufficienza le ànime dei loro figli, specialmente degli adolescenti. La cura perché permangano in loro i desideri e le attitudini necessarie per il sacerdozio e sviluppino le virtù necessarie per seguire una vocazione: generosità, sacrificio, fortezza, vigore, decisione.
I. C.: Oltre ai sei anni di seminario vi è un “anno umanistico”. In che consiste? È un pre-seminario, un anno di discernimento?
Mons. De Galarreta: In realtà è un po’ dell’uno e un po’ dell’atro. È un anno in cui si dà a coloro che non entrano subito in seminario una solida base di studi umanistici, che completano le tremende lacune dell’insegnamento attuale. Per altro verso, per molti di questi giovani è un anno nel quale, in un contesto migliore, possono discernere la loro vocazione e intendere quale cammino seguiranno nella vita. L’istituzione di quest’anno è stata un’idea eccellente di Mons. Williamson, perché la difficoltà per scoprire e proseguire una vocazione, di cui ho parlato, insieme alla perseveranza nella vita come laico, sono in gran parte mascherate da quest’anno umanistico. Per colui che seguirà il seminario è una base eccellente. Per chi invece deciderà di proseguire la sua vita nel mondo, da esso acquisisce una solidità che gli assicurerà la perseveranza per tutta la vita.
I. C.: Da diversi anni si svolgono le “giornate umanistiche”, durante le vacanze di luglio. Qual è lo scopo di queste giornate? Si svolgeranno quest’anno? Con quale tema?
Mons. De Galarreta: Lo scopo di queste giornate è di studiare, in un periodo molto breve, alcuni temi chiave del mondo moderno con cui deve confrontarsi il cattolico, dargli una formazione ed anche uno stimolo per perseverare in questa battaglia. Quest’anno si volgeranno a luglio sul tema dell’evoluzionismo. Esamineremo la parte scientifica della questione, ma anche l’impatto che l’evoluzionismo ha in altri domini: filosofia, teologia, attuale situazione della Chiesa. Esso verrà completato con altri temi: musica, arte, letteratura… il tutto evidentemente adattato al livello dei giovani.
I. C.: Un’ultima domanda. In questa terribile crisi che scuote la Chiesa, che consiglio darebbe ai nostri fedeli?
Mons. De Galarreta: Il consiglio che darei molto caldamente è di tenere presente che, in questa crisi tremenda, la fedeltà e la perseveranza non passano solo per la fede, ma anche dal mantenere la speranza e la carità. Certamente il nostro dovere fondamentale è la fedeltà alla verità, alla fede, ma il come crederla, professarla e difenderla è parimente importante del conservare la fiducia e la speranza in Nostro Signore, che è Dio, del credere nella Onnipotenza di Nostro Signore, che ci ha detto: « Non abbiate paura, io ho vinto il mondo » e anche : « Niente è impossibile a Dio ».
Di più, se Nostro Signore è la Verità, Egli è anche Carità. La grande rivelazione cristiana è quella dell’amore che Dio ha per gli uomini.
La divisa del nostro fondatore era Credidimus Caritati. « Abbiamo creduto nell’amore di Dio per noi », e questo significa che dobbiamo permanere nell’amore per Dio e insieme nell’amore tra noi. Il comandamento per eccellenza di Nostro Signore è la carità. Il comandamento nuovo è che ci amiamo come Lui ci ha amati.
Ricordo sempre con piacere la frase di Sant’Agostino che chiede a Dio di addolcire il suo cuore, perché l’amore per la verità non gli facesse perdere la verità dell’amore. Credo che la grande tentazione per coloro che rimangono fedeli in mezzo all’aggressione costante del mondo, e talvolta anche dei membri della Chiesa, sia questa: cadere nella disperazione e nell’amarezza.
Per rimanere fedeli dobbiamo conservare pienamente la verità, ma curando che questo amore della verità non ci faccia perdere né la verità della speranza – Dio trionferà – né la verità dell’amore: amiamoci gli uni gli altri per sostenerci mutualmente.
Grande mons A. de Galarreta ! Grande anche mons. Williamson, di cui qui si legge l'intelligenza, e che ha osato porre dubbi là dove ormai è considerato dogma di fede la storia recente scritta per convenienze di alcuni...Mi tornano in mente, al proposito, momenti scuri e sconvolgenti di disposizioni negative per la Chiesa.Cercherò di ricordarmi spesso della speranza e della carità come dice mons. De Galarreta, poichè transfondere la verità umana, storica, come fosse verità di fede, è veramente disperante ed avvilente per il buon senso!Provi qualcuno a dire che non c'è linguaggio schietto e vero nelle parole sopra! E' un sollievo sentir parlare "sì,sì-no,no" come un tempo e come dovrebbe essere sempre...
RispondiElimina