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martedì 24 agosto 2010

“L’ECUMENISMO”: CONCILIAZIONE TRA “CRISTO E BELIAR”?


Introduzione

Mons. Brunero Gherardini in “Divinitas” (rivista fondata dall’ex rettore della Lateranense, mons. Antonio Piolanti), Città del Vaticano,  n° 2/2008, di cui egli è oggi il Direttore, ha scritto un bellissimo articolo (“La vexata quaestio del deicidio”, pp. 215-223), in cui sostiene e prova che per i cattolici, i quali credono nella divinità di Cristo, la sua uccisione fu (per l’Unione Ipostatica, delle due nature, divina e umana, nell’unica Persona divina del Verbo) un vero “deicidio”.
San Tommaso d’Aquino tratta esplicitamente il problema della responsabilità morale del giudaismo nella crocifissione di Nostro Signor Gesù Cristo. Nella Somma Teologica (III, q. 47, a.5), infatti, si domanda ‘Se i carnefici di Nostro Signore lo conoscessero come il Cristo’ e risponde con una distinzione: i maggiorenti “lo conobbero come il Cristo [...] essi infatti vedevano avverarsi in Lui tutti i segni predetti dai Profeti. Ma essi non conobbero il mistero della sua divinità [...]. Però bisogna notare che la loro ignoranza non li scusava dal delitto perché si trattava di ignoranza affettata. essi infatti vedevano i segni evidenti della sua divinità, ma per odio e per invidia verso Cristo li travisavano, e così non vollero credere alle sue affermazioni di essere il Figlio di Dio. Mentre il popolo [...] non conobbe pienamente né che egli era il Cristo, né che era il figlio naturale di Dio” (in corpore). “Si affaccia a questo punto una obiezione: se non uccisero la divinità (che in Cristo non morì), i giudei sono colpevoli soltanto di semplice omicidio (e non di deicidio ndr). Al che si risponde: se qualcuno insudicia intenzionalmente la veste del Re, non viene considerato colpevole di reato allo stesso modo che se ne avesse imbrattato la persona? Perciò sebbene non abbiano ucciso la natura divina di Cristo (cosa impossibile), gli autori morali della morte di Gesù hanno meritato, in base alle loro intenzioni, una gravissima condanna. [...] Chi lacerasse un decreto regio, attenta alla stessa maestà regale; e quindi il peccato dei giudei è di tentato deicidio” (In Symb. Ap.,a. 4, n° 912, Opuscola theologica; De re spirituali, Marietti, Torino, 1954).
  Si noti inoltre che per il mistero del­l’Unione Ipostatica, la natura umana di Cristo sussisteva nella Persona divina del Verbo, quindi è lecito dire che gli ebrei uccisero Dio, anche se non scalfirono neppure la sua natura divina, ma colsero soltanto quella umana che sussiste nella Persona del Verbo divino. Così il Dottore Angelico conclude questo articolo della Somma Teologica: “Vedendo i giudei le mirabili opere di Cristo, per odio, non vollero ammettere che egli era il Figlio di Dio” (ad 2um). La loro fu dunque una ignoranza affettata che non scusa dalla colpa, ma piuttosto l’aggrava: infatti essa dimostra che uno è talmente intenzionato a voler peccare, che preferisce rimanere nell’ignoranza per poter fare il peccato: “Et ideo judei peccaverunt, non solum hominis Christi, sed tamquam Dei crucifixores” (S.T., III, q. 47, a. 5, ad 3um). Il peccato di Deicidio è da attribuirsi quindi ai Capi del popolo in maniera molto grave. Perciò, se da una parte è vero che soltanto una parte del popolo giudaico (inteso in senso etnico-politico) vivente ai tempi di Gesù in Palestina e nella Diaspora abbia preso parte attiva alla crocifissione fisica di Gesù, «Non rimane scagionato da colpa o da pena il giudaismo o la religione giudaica, cioè il popolo inteso in senso religioso! [...] A me sembrano essere nel vero i numerosi e valenti esegeti i quali vedono emergere chiaramente da tutta l’economia del Vecchio Testamento [...] il principio della ‘responsabilità collettiva’ nel bene come nel male. [...] l’intero popolo è ritenuto responsabile e quindi punito, per i delitti commessi ufficialmente dai suoi capi, anche quando gran parte del popolo ne sia estranea. Ritengo legittimo poter affermare che tutto il popolo giudaico dei tempi di Gesù - inteso in senso religioso, cioè quale collettività professante la religione di Mosè - fu responsabile in solidum del delitto di deicidio, quantunque soltanto i Capi, seguiti da una parte degli adepti, abbiano materialmente consumato il delitto [...] la sentenza di condanna fu emanata dal concilio (Jo XI, 49 sg.),cioè dal massimo organo autoritativo della religione giudaica. [...] Fu il sacerdozio aronitico, [...] a condannare il Messia. È lecito, pertanto, attribuire il deicidio al giudaismo, in quanto comunità religiosa. […]. Anche il giudaismo dei tempi posteriori a Nostro Signore partecipa oggettivamente della responsabilità del deicidio, nella misura in cui tale giudaismo costituisce la libera e volontaria continuazione di quello di allora» (Luigi M. Carli: La questione giudaica davanti al Concilio Vaticano II, in “Palestra del Clero”, n°4, 15 febbraio 1965, pp.191-203).
  Inoltre nella rivista “Fides Catholica”, Frigento, n° 1/2008 mons Gherardini ha scritto un secondo magnifico articolo (“Sugli Ebrei: così, serenamente”, pp. 245-278). In esso il monsignore distingue il giudaismo vetero-testamentario da quello talmudico, parla di responsabilità collettiva del popolo ebraico, e non dei soli Capi, nella morte di Gesù; muove degli appunti a Nostra aetate - riallacciandosi all’articolo succitato - per aver omesso la parola “deicidio”, la quale è l’unica che possa definire esattamente l’uccisione di Gesù; asserisce che il giudaismo di oggi, continuando nel rifiuto di Cristo e non avendo rotto con quello il quale condannò a morte Gesù, forma una stessa entità con esso; riafferma che il giudaismo talmudico discende da Abramo solo secondo la carne e non per la fede; critica pacatamente, ma fermamente la teoria dell’Antica Alleanza mai revocata, poiché la Nuova ha rimpiazzato la Vecchia, che era caduca ed ora è definitivamente sorpassata; afferma inoltre che, Israele, avendo rifiutato Cristo, è stato abbandonato da Dio e da tale abbandono è seguita la “maledizione” oggettiva di esso, mentre “il piccolo resto d’Israele”, che ha creduto al Messia, è entrato coi pagani nella Nuova ed Eterna Alleanza. Infine - egli scrive - i doni di Dio sono irrevocabili da parte di Dio se gli uomini cooperano con Lui, ma, se lo abbandonano, sono da Lui abbandonati e quindi conclude qualificando l’insegnamento “pastorale”, dal Concilio Vaticano II al post-Concilio, come “teologicamente assurdo, ma politicamente corretto”.
IL DEICIDIO E IL CONCILIO VATICANO II
Resta da vedere come si è potuti arrivare a tale dichiarazione conciliare con 2041 placet,88 non placet e 3 voti nulli. Léon de Poncins scrive che: «La mozione votata a Roma dimostra da parte di molti Padri conciliari una profonda misconoscenza del giudaismo. Sembra che essi si siano attenuti solo all’aspetto umanitario del problema, presentato abilmente dai portavoce del giudaismo mondiale. [...] Infatti all’origine delle riforme proposte dal Concilio per modificare l’atteggiamento e la dottrina secolari della Chiesa verso il giudaismo [...] vi sono diverse personalità ed organizzazioni ebree: Jules Isaac, Labelkatz [...] Nahum Golduran [...]. Tra le personalità ebree sopra citate ce n’è una che ha svolto un compito preminente: lo scrittore Jules Marx Isaac, ebreo d’Aix en Provence. [...]. Profittando del Concilio, dove aveva trovato serî appoggî tra i Vescovi progressisti, Jules Isaac è stato il principale teorico e promotore della campagna contro l’insegnamento tradizionale della Chiesa. Vediamo ora la posizione presa per far prevalere la sua tesi: [...] L’antisemitismo cristiano a base teologica è il più temibile. Infatti l’atteggiamento dei cristiani verso il giudaismo è stato sempre fondato sul racconto della passione tale e quale è stato riportato dai quattro Evangelisti e sull’insegnamento che ne hanno fatto i Padri della Chiesa. [...]. Jules Isaac ha tentato di distruggere questa base teologica fondamentale, contestando il valore storico dei racconti evangelici e screditandone gli argomenti proposti dai Padri della Chiesa. [...]. Il 13 giugno 1960 Jules Isaac è ricevuto da Giovanni XXIII al quale domanda la condanna dell’insegnamento del disprezzo e consiglia la creazione di una sottocommissione incaricata di studiare tale problema. Più tardi il signor Isaac aveva la gioia di sapere che le sue proposte erano state prese in considerazione dal Papa e trasmesse per lo studio al card. Bea. [...]. Nel 1964 la questione era sottoposta al Concilio. Jules Isaac ha consacrato due libri per criticare e distruggere i due pilastri dell’insegnamento cristiano (riguardo al deicidio: i racconti evangelici e la dottrina dei Padri della Chiesa, ndr). Nella prima di queste due opere, “Jesus et Israel”, pubblicata nel 1949, Jules Isaac critica gli Evangelisti, principalmente S. Giovanni e S. Matteo. “Lo storico ha il diritto ed il dovere di considerare i racconti evangelici come testimonianze faziose contro i giudei. [...] È evidente che tutti e quattro gli Evangelisti hanno avuto la stessa preoccupazione di ridurre al minimo le responsabilità romane per maggiormente aggravare quelle giudaiche [...] L’accusa cristiana contro Israele, l’accusa di deicidio [...] è essa stessa criminale, la più grave, la più nociva ed anche la più iniqua” (jules isaac: L’Enseignement du Mépris, p. 141). In breve, dal racconto della Passione rivisto e corretto da Jules Isaac gli Evangelisti ci appaiono come menzogneri matricolati, ma il più velenoso è senza dubbio Matteo. Nella seconda delle sue opere, ‘Genèse de l’Antisémitisme’, pubblicato a Parigi nel 1956, Jules Isaac si sforza di screditare i Padri della Chiesa: [...] “Contro il giudaismo [...] nessuna arma si è rivelata più temibile dell’insegnamento del disprezzo dimostrato soprattutto dai Padri della Chiesa del IV secolo; ed in questo insegnamento nessuna tesi è più nociva di quella del popolo deicida”. (jules isa­ac: Genèse de l’Antisémitisme, ed. Cal­mann-Lévy, Paris, 1956, p. 327). La Chiesa, ci dice Jules Isaac, è la sola colpevole; i giudei sono completamente innocenti, [...] solo la Chiesa perciò deve fare atto di riparazione emendando il suo millenario insegnamento. E Jules Isaac giunge alle sue pratiche realizzazioni. Egli domanda o piuttosto esige dal Concilio: [...] la modifica delle preghiere liturgiche riguardanti gli ebrei, particolarmente quelle del Venerdì Santo. L’affermazione che i giudei non sono affatto responsabili della morte di Cristo [...] Il mettere a tacere [...] i passi evangelici che riportano il cruciale episodio della Passione, particolarmente quello di S. Matteo, che Jules Isaac […] tratta da menzognero e falsario. Nel Numero del 23 gennaio 1965 il settimanale ‘Terre de Provence’, pubblicato ad Aix, dava il resoconto di una conferenza tenuta da Mons. de Provenchères, Vescovo di Aix. Citiamo l’inizio dell’articolo. Parlando di Jules Isaac mons. de Provenchères ci dice che fin dal primo incontro nel 1945 egli ebbe una profonda stima per lui, stima rispettosa che ben presto ebbe una sfumatura d’affetto. Lo schema conciliare sembra essere la ratifica solenne di quella che fu la loro conversazione. L’origine di tale schema conciliare (Nostra aetate) si deve ad una domanda di Jules Isaac al Vaticano, esaminata da più di 2000 vescovi. Questa iniziativa fu presa da un laico ed un laico giudeo”. (‘Terre de Provence’, 23 gennaio 1965). 2041 Padri hanno ritenuto che il racconto della passione secondo la versione di Jules ­Isaac era da preferirsi a quella di s. Giovanni e s. Matteo. [...]. In poche parole questo voto [...], sotto l’apparenza di cari­tà cristiana [...], è un’altra tappa nella via del cedimento, del­l’abbandono del cristianesimo tradizionale e del ritorno al giudaismo. [...] Per i pensatori giudei la riforma conciliare deve essere una nuova tappa nella via dell’abbandono, del cedimento, della distruzione della tradizione cattolica svuotata a poco a poco della sua sostanza» (léon de poncins: Il problema dei giudei in Concilio, Tipografia Operaia Ro­mana,Via E.Morosini 17, Roma senza data, pp. 6-28).

La dichiarazione conciliare “Nostra aetate” (28 ottobre 1965) recita: “Quanto è stato commesso durante la Passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei del nostro tempo. [...] Gli ebrei non devono essere presentati come riprovati da dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla S. Scrittura” (Nostra aetate 4 g-h). Ora la S. Scrittura ci presenta gli ebrei come riprovati e maledetti da Dio (F. Spadafora, La Chiesa e il giudaismo, Caltanisetta, Krinon, 1987). Il Concilio asserisce inoltre che la morte di Nostro Signore è “dovuta ai pec­cati di tutti gli uomini” (Nostra aetate 4), e questo è pacifico quanto alla causa finale; invece la causa prossima ed efficiente della morte di Gesù furono i giudei (Giuda, i prìncipi e la folla), come è stato dimostrato ‘ad abundantiam’ per quel che riguarda il deicidio. Come conciliare ora la dottrina del Vaticano II con quella tradizionale? E’ impossibile.

 

● Il recente “caso Williamson”, con la dichiarazione dell’obbligo di riconoscere la vulgata sterminazionista della shoah da parte di Benedetto XVI per essere in piena comunione con la Chiesa (“Lettera ai vescovi di tutto il mondo”, 4 marzo 2009), rappresenta - teologicamente - un ulteriore gravissimo passo verso la giudaizzazione, tramite l’olocausto-latria, dell’ambiente e della mentalità cristiane.


1°) POSSONO I GIUDEI VENIR CHIAMATI ‘RIPROVATI’ DA DIO?

La riprovazione di cui si parla ora non è quella che designa l’azione della Provvidenza di Dio riguardo al conseguimento del fine ultimo da parte di ogni singola anima. Il nostro problema riguarda un popolo (in senso religioso e non politico-etnico o razziale) il cui fine si esaurisce nel tempo e che nel tempo deve avere premio o castigo. resta salvo perciò il dogma che Dio “vuol che tutti si salvino”(1 Tim II, 4); anche il singolo giudeo in buona fede, quindi, riceve da Dio la grazia sufficiente per salvarsi l’anima. (Per chiarezza è bene ricordare che la parola “riprovare” etimologicamente significa: reputare inutile, disapprovare, rigettare, sconfessare, ndr). “Parlare di riprovazione o meno di Israele non può significare altro che affermare o negare che quella comunità in quanto tale abbia conseguito o meno il fine terrestre per il quale Dio l’aveva eletta [...]. Il vecchio Israele, a causa della sua incredulità, è stato da Dio privato del suo ruolo speciale che avrebbe dovuto avere nella storia della salvezza [...] è subentrato il nuovo Israele, la Chiesa. .[…] Israele ad un dato momento della sua storia risulta aver infranto il Patto di Alleanza con Dio [...] per il fatto di aver rifiutato il fine stesso del Patto rifiutando Gesù: ‘finis enim Legis Christus’ (Rom X, 4). [...] Automatica­mente rimase senza scopo, frustrata in pieno, l'elezione di Israele; perdettero la loro ragione sufficiente i privilegi ad essa connessi. [...] La religione mosaica la quale, per disposizione dichiarata di Dio, doveva sfociare nel cristianesimo per trovarvi il proprio fine e la propria perfezione, si è così invece costantemente rifiutata di aderire a Cristo [...] Per propria colpa si è cristallizzata in una situazione obiettiva di contrarietà al volere di Dio. [...] Si tratta di un positivo opporsi al volere di Dio. [...] Sotto questo profilo il rapporto tra cristianesimo e giudaismo è di molto peggiore del rapporto tra cristianesimo e altre religioni. Israele, nel piano di Dio, era tutto relativo a Cristo e al cristianesimo. Non avendo avverato, per propria colpa, tale e tanta ‘relatività’, da se stesso si è posto in uno stato di obiettiva ‘riprovazione’. e tale stato perdurerà fino a quando il giudaismo religione non avrà ufficialmente e glo­balmente riconosciuto ed ac­cettato Gesù Cristo” (mons. m. l. carli, op. cit.).

2°) POSSONO I GIUDEI VENIR CHIAMATI ‘MALEDETTI’ DA DIO ?
«Non si tratta di maledizione formale [...] si vuole soltanto indicare una maledizione oggettiva, cioè una situazione concreta, sulla quale Dio esprime il suo giudizio di condanna. (Oggettivamente Israele, avendo rifiutato il piano di Dio, si trova in uno stato di rivolta e di sterilità, che è constatata e condannata o “maledetta” da Dio fino a che non si converta da tale stato, Dio, infatti, vuole che il peccatore viva e si converta e torni a penitenza, ndr). [...]. Tale situazione è stata liberamente accettata da Israele finché dura questa libera accettazione permane lo stato di “oggettiva maledizione”. [...] va però categoricamente negato che alcuna autorità umana, privata o pubblica, possa, a qualsivoglia titolo o pretesto farsi esecutrice della pena connessa al giudizio divino di condanna. [...] Ciò premesso, esprimo il parere che il giudaismo (sempre inteso in se­nso religioso e non etnico-politico) possa legittimamente dirsi “maledetto” allo stesso titolo e nella stessa misura in cui [...] può dirsi “riprovato” da Dio. Del resto già in San Paolo l’idea di maledizione [...] è affine [...] a quella di riprovazione [...] chiunque non porta frutto di opere buone è “maledetto” da Dio come il fico (Mc XI, 21) di cui Dio constatò e condannò la sterilità, ndr). [...] Questo stato di “maledizione” (o condanna della sterilità già constatata, ndr) cesserà soltanto alla fine dei tempi, quando “omnis Israel salvabitur” (Rom XI, 26) Quando cioè accetterà la salvezza messianica » (Mons. l.m. carli, op. cit.).

  Conclusione
Infine, mons. Gheradini ha scritto (oltre ai due succitati) anche vari articoli sulla “collegialità”, mettendone a nudo la contraddizione intrinseca. Questi due articoli sono stati messi assieme ad altri inediti e raccolti in un libro dello stesso Gherardini, intitolato, Quale alleanza può esservi tra Cristo e Beliar?, Verona, Fede e Cultura, 2009. In questo il Nostro affronta soprattutto le varie tematiche che aveva soltanto sfiorato nel suo Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana Editrice, Frigento, 2009) del dialogo inter-religioso o “ecumenismo”, in oltre 200 pagine, fitte di osservazioni teologiche, molto ben scritte e intelligibili anche ai non specializzati in teologia.

Il libro può essere richiesto a
Tel 045/ 941. 851
Fax 045/ 925. 10. 58

 
d. Curzio Nitoglia
14 giugno 2009
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