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mercoledì 25 aprile 2012

Quel gran satanasso di Martin Lutero...

Nel discorso del Papa del 23 Settembre 2011 CON I RAPPRESENTANTI ERETICI E' SCISMATICI DEL CONSIGLIO DELLA "CHIESA EVANGELICA IN GERMANIA"  veniva "lodata" la figura del satanasso Martin Lutero, eresiarca impenitente. Inoltre la Grarchia modernista Post conciliare stà preparando insieme a questi eretici, la commemorazione congiunta delle tesi dell'eretico Lutero: " (Chiesa e Post Concilio) La dichiarazione comune, preparata dalla Commissione internazionale luterano-cattolica sull'unità, dovrebbe leggere l'evento della Riforma alla luce dei 2000 anni di storia cristiana, di cui 1500 prima della divisione tra cattolici e protestanti. Per il porporato, la divisione della Chiesa non era l'obiettivo dell'azione di Lutero.

Secondo il cardinale Koch, la commemorazione comune della Riforma potrebbe essere l'occasione di arrivare ad una comune ammissione di colpa da parte delle due parti, sulla scia della richiesta di perdono fatta da papa Giovanni Paolo II nel 2000 per il ruolo cattolico nelle “divisioni della Chiesa”. «Senza una consapevolezza comune, ha detto il card. Koch, senza una purificazione comune della memoria e senza una ammissione di colpa da entrambe le parti, secondo me non ci può essere una sincera commemorazione della Riforma ».

Il porporato ha anche sottolineato che è stato proprio papa Ratzinger, che da tedesco è cresciuto in un Paese la cui popolazione è divisa pressochè equamente tra cattolici e protestanti, a chiedere che il dialogo ecumenico avesse un ruolo più centrale nella sua visita in Germania del prossimo settembre.
Durante l'udienza al vescovo Younan dello scorso 16 dicembre, papa Ratzinger aveva anticipato che il documento per il 500.esimo anniversario delle 95 tesi avrebbe documentato “ciò che i luterani e i cattolici sono capaci di dire insieme a questo punto, guardando alla nostra maggiore vicinanza dopo quasi cinque secoli di separazione”. Nell'anniversario del 1517, aveva aggiunto, “i cattolici e i luterani sono chiamati a riflettere nuovamente su dove il nostro cammino verso l'unità ci ha portato e per invocare la guida di Dio e il suo aiuto per il futuro”.
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Ora per meglio comprendere la figura del satanasso di lutero proponiamo un interessante studio sulla figura di questo eresiarca, tratte dal sito "Progetto Barruel", subito sotto proponiamo delle celebri frasi di lutero:
Ecco una piccola selezione delle sue tirate contro il Papa. Nel suo Sermone per la crociata contro i Turchi del 1529 si legge:
"Penso che il Papa è un diavolo incarnato e mascherato perché è l'Anticristo".
Dalla sua opera Contro il Papato fondato dal diavolo del 1545 derivano le seguenti citazioni:
"... Essi [i Papi] si adornano con il nome di Cristo, di san Pietro e di Chiesa, anche se sono pieni dei peggiori diavoli dell'inferno, pieni, pieni, e così pieni che non possono né espellere né vomitare né starnutire nessun diavolo. ... Ora vediamo che egli [il Papa] con i suoi cardinali romani non è nient’altro che un ladro disperato, nemico di Dio e dell'uomo, distruttore del cristianesimo e vivente dimora di Satana... "
"Il diavolo, che ha fondato il papato, parla e agisce sempre attraverso il Papa e la Sede romana."
"Vuoi sapere che cosa è il Papa e da dove viene? È un abominio di idolatria, prodotto da tutti i diavoli dalla fossa dell'inferno."
"Colui che è obbediente al Papa, è benedetto, ma lui, il Papa stesso, come roccia, non deve essere sottomesso e obbedire a nessuno. Dal quel momento tu hai il sacro diritto di considerare, alla luce di tutte le decretali, che il Papa, e il suo papato, è uno spettro demoniaco, che tira la sua origine da una comprensione sbagliata di Matteo 16; vale a dire da bugie, e da bestemmia, come nato dal posteriore del diavolo. "
"Nessuna buona coscienza cristiana può credere che il Papa sia il capo della Chiesa cristiana, né il vicario di Dio o di Cristo, ma è il capo della chiesa maledetta dei peggiori banditi della terra, vicario del diavolo, nemico di Dio, un avversario di Cristo e distruttore della Chiesa di Cristo, maestro di menzogna, di blasfemia e di idolatria, brigante e rapinatore della Chiesa e del signore laico, assassino di re e causa di tutti i tipi di spargimento di sangue, una puttana sopra ogni puttana, impegnata nella sua fornicazione, un anticristo, un uomo del peccato e figlio della perdizione, un lupo mannaro vero e proprio. "
"Ciò che viene dal Papa è il male assoluto sulla terra... Che Dio ci aiuti, Amen."
(Citazioni raccolte dalle Opera Omnia di Martino Lutero, edizione di Weimar)
Lutero
La Messa non è un sacrificio... chiamatela benedizione, Eucaristia, tavola del Signore, cena del Signore, memoria del Signore, o come più vi piace, purché non la sporchiate col nome di sacrificio o azione “.

«Affermo che tutti gli omicidi, i furti, gli adulterii sono meno cattivi che questa abominevole Messa… (Lutero.Sermone della 1° domenica d’Avvento)
...”la loro Messa è sacrilega e abominevole. Io dichiaro che tutti i bordelli, gli omicidi, i furti, gli assassinii e gli adulterii sono meno malvagi di quella abominazione che è la messa papista  ( Trattato contra Henricum )

Già nel 1522, prima ancora del suo matrimonio ‘ufficiale’ con la monaca Catherine Bora, scriveva al suo amico Spalatino: “Poiché mi chiedi una prova [dell'amante che sono], eccone una davvero potente: sebbene io mi goda tre donne contemporaneamente (2), le ho amate così intensamente che vorrei cederne due così che altri mariti se le possano godere... (De Wette, vol. II, pag 646 Berlin).
Ripensata, certo, in modo da renderla sfigurata, espressione blasfema di un Cristo che 'se l’è intesa’ con le donne peccatrici che lui assolveva e di un Dio crudele che dopo averci creati ci costringe in Adamo a peccare e per salvarci costringe Giuda a tradire il ‘maestro’! (citazioni dai ‘ Discorsi a Tavola’ , in ‘Luther’ di Funck-Brentano, Grasset, Paris).

Un uomo davvero nuovo! Tanto da fa dire a Melantone: “Lutero fu un uomo estremamente frivolo. Le monache che lui faceva uscire dai conventi gli tendevano furbescamente trappole [alle quali lui cedeva ben volentieri...]. I suoi frequenti commerci con esse, avrebbero effeminato anche l’uomo più forte e di animo più nobile“ (Melanchton, Brief an Camerarius uber Luthers heirat vom 16 Juni 1525).
E quanto alle crapule, così scriveva nel 1534 alla sua [fortunata davvero!] mogliettina Catherine: “Qui me la mangio come un Boemo e me la bevo come come un todesco: che Dio sia lodato!” (Burkhardt Dr. M. Luther, Briefwechsel, Leipziz 1866 ).
 E come 'nuovo pensatore' della fede da buon padre spirituale così consigliava un suo discepolo, Jerome Weller: «Quando il diavolo ti tormenta con questi pensieri cerca subito la compagnia di amici, o mettiti a bere senza freni, o cerca di divertirti in un qualche modo– oppure commetti qualche peccato come segno di disprezzo e di odio verso il Diavolo, così da non lasciare spazio nella tua coscienza a scrupoli tormentosi per questioni così ridicole… D’accordo, se il Diavolo ti dice : “Non bere!”, tu devi ribattergli: “Proprio perché me lo proibisci, io berrò ancora di più, nel nome di Cristo!"(3) In tal modo tu farai sempre il contrario di quello che il diavolo ti proibisce…»(4) ( De Wette, vol. IV, pag.188 ).
il card. Willebrands bello bello afferma “che nessuno potrebbe ardire di negare(9) che Lutero fu un uomo profondamente religioso, una personalità che cercava il messaggio del vangelo onestamente e con abnegazione [!!!] e che fu capace di preservare una notevole parte delle ricchezze dell’antica fede”
   Io non ammetto, scrive nel giugno del 1522, che la mia dottrina possa essere giudicata da alcuno, neanche dagli angeli. Chi non riceve la mia dottrina non può giungere alla salvezza (15) (cit. in Jacques Maritain, Tre Riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau, pag. 54 ).
Anche se la Chiesa, Agostino, i dottori Pietro e Paolo o anche un Angelo del cielo dovessero insegnare il contrario, solo la mia dottrina esalta la grazia e la gloria di Dio e condanna la sapienza della giustizia umana (14) (M. Luther, Werke, Weimar: Kritische Gesamtausgabe, 1883-1914)
Chiunque non creda come me è destinato all’inferno. La mia dottrina e quella di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio (Weimar, vol. X, p. 2, Abteitung 107 
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La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 801, 24 ott. 1883) Firenze 1883, pag. 257-271.

R. P. Raffaele Ballerini S.J.

CHI FOSSE MARTIN LUTERO

I.

In questo mese di novembre tutto quello che, dentro e fuori del protestantesimo, suol chiamarsi mondo moderno, festeggia, per diverse ragioni, nella Germania segnatamente, con dimostrazioni di pompa e di gioia, il quarto genetliaco secolare di Martin Lutero, decantato a piena bocca quale iniziatore del gran moto di civiltà, che ai dì nostri è sul toccare l'apice dell'altezza, nella universale anarchia del socialismo. Agl'inni dei protestanti tedeschi, dei razionalisti e dei liberali d'ogni paese, che tanto incenso bruciano a quest'idolo adorato, bene sta che si aggiunga la voce altresì dei cattolici, la quale, fra gli strepiti dei menzogneri elogi, così faccia intendere la verità, come puramente si trae da una storia, che quattro secoli di studii e di esperimenti hanno oltre ogni evidenza illustrata.
Che uomo fu egli adunque Martin Lutero? Qual è propriamente il merito dell'opera sua nel cristianesimo?
Ecco due quesiti ai quali, per occasione dell'odierno suo centenario, tornerà utile fare breve ma irrefutabile risposta.

II.

Costui, nato il 10 novembre 1483 in Islebio [Eisleben, N.d.R.], contado di Mansfeld nella Sassonia, da un povero scavator di miniere, si ascrisse nel 1501 all'università di Erfurt. Dopo quattro anni vi divenne maestro e per volontà dei parenti suoi si dedicò allo studio della legge. Si narra che, mentre egli passeggiava un giorno con un amico, sorto un temporale, questi fu da un fulmine colpito al suo fianco. Preso da spavento, Martino fece voto di darsi a Dio: e di fatto, contro il divieto irragionevole del padre, nel 1506 entrò nel convento degli Agostiniani di Erfurt.
Secondo che scrive ed osserva il Döllinger [1], grande nocumento gli arrecò il P. Staupitz, suo provinciale: giacchè non solo dispensò lui, novizio e bisognoso in estremo di esser tenuto umile, perchè inclinatissimo ad orgoglio, dagli esercizii di umiltà prescritti nelle costituzioni dell'Ordine, ma dopo un anno di leggiero noviziato, lo fece ascendere al sacerdozio senza che il giovane vi fosse congruamente apparecchiato. Lutero stesso più tardi riconobbe gl'inconvenienti di questa fretta; e non esitò a dichiarare che, per mero effetto della pazienza di Dio, la terra in quel punto non inghiottì lui ed il vescovo che lo ordinava. Nè pago di questo, lo Staupitz (forse troppo sedotto dall'ingegno di Lutero) gli procurò subito la cattedra di dialettica e di etica e poi di teologia nell'università di Wittemberg, eretta di fresco, dove il mal formato maestro cominciò ad insegnare brutti errori e strani.
Dalle confessioni del medesimo Lutero, sappiamo che in questo tempo egli si lasciava vincere, non pur dalle tentazioni della carne, ma dalla collera, dall'odio e dall'invidia; e che queste spirituali sconfitte, provenienti certo da mancanza di virtù e di orazione, lo conducevano quasi a disperare. In una lettera al P. Staupitz, manifesta ch'egli era privo dell'amor di Dio: che ipocritamente fingeva di averlo: che faceva penitenza solo a parole: che nel convento era così avverso a Gesù Cristo, che all'aspetto del Crocifisso si sgomentava, abbassava gli occhi ed avrebbe preferito di vedere il diavolo[2].
Il turbamento della coscienza, che pur sempre lo agitava, gli era accresciuto dalla continua molestia che egli diceva darglisi da cotesto diavolo, il cui nome aveva incessantemente nella bocca e sulla punta della penna. A leggere gli scritti suoi o i suoi detti, notati da altri, fa meraviglia questo perpetuo suo commercio col demonio, ch'egli si vantava di vincere anche sempre, avvegnachè in forme visibili lo assediasse e gli stesse accanto e persino dormisse con lui, come con un familiarissimo amico. «Io ho provato qual compagno sia il diavolo, sclamava un giorno a mensa; egli mi ha date strette tali, che io non sapevo più se fossi vivo o morto. Alle volte mi ha gittato in un così fatto abisso di disperazione, che ero al punto d'ignorare se vi fosse un Dio[3].» Certo è ch'egli usciva da queste battaglie spossato e bagnato di sudore; e tra per questo e pei rimorsi della coscienza, nè di giorno nè di notte non aveva più requie.
Per quietarsi, venne escogitando un argomento che diventò poi come primo germe delle altre mille sue teologiche enormità: e fu di esagerare e falsare l'articolo del simbolo: «Io credo la remissione dei peccati» in modo che e da lui e da tutti si avesse da credere necessariamente per fede, che i peccati proprii erano di fatto da Dio perdonati. Di qui il suo fondamentale errore della giustificazione per la sola fede, secondo cui prese a interpretare le Scritture, spregiando qualsiasi altra interpretazione dei Padri e dei Dottori.

III.

Si crede comunemente che Martin Lutero cominciasse a prevaricare ed a mutar bandiera nel 1517, nella congiuntura delle indulgenze largite da Papa Leone X a chi, con altre debite condizioni, offrisse limosine per la fabbrica della Basilica di San Pietro in Vaticano, e dei litigi ch'egli intorno a ciò fece insorgere. Ma è falsa opinione. Oltre il dèttone finora, nella prefazione al primo volume delle suo opere, egli, parlando di sè e del tempo che precedè la sua ribellione alla Chiesa romana, uscì in questa orribile confessione: «Io non amava, odiava anzi un Dio, giusto punitore dei peccatori; e se non con tacita bestemmia, almeno con grandissima mormorazione io m'incolleriva e m'infuriava, dentro la crudele coscienza straziata dai rimorsi [4]».
Sino dal febbraio del 1516 tolse ad impugnare, con acerbi scherni, il metodo degli scolastici ed a chiamare fango ed immondizie i loro libri; perocchè egli ben vedeva che nulla avrebbe concluso, colle novità dottrinali ch'egli meditava, se prima non avesse screditate le armi, con cui la Scuola invittamente sostenea le cattoliche verità. Poscia mandò in giro una serie di novantanove proposizioni, contro la teologia degli scolastici e i sogni di Aristotele, che levarono grande scandalo. Basti dire che nella trentesimanona negava il libero arbitrio, con queste formate parole: «Noi non siamo padroni delle nostre azioni, ma schiavi, dal principio sino alla fine»; e con altre venti pretendeva stabilire, che l'uomo può il male, e non altro che il male; così che la sua natura per sè unicamente e necessariamente è determinata al male; d'onde viene che Dio e non l'uomo è autor del peccato, e ingiusta ogni pena che Dio al peccatore infligga: empietà e bestemmia, come ben nota il Bossuet, che non si udirà forse nè meno nell'inferno. Eppure egli era così ostinato in queste sue sentenze, che trattava da spettri e da vampiri quelli tra' suoi confratelli che le biasimavano quali errori madornali[5]. Queste proposizioni o tesi, da Lutero insegnate e divulgate nel 1516 e stampate dipoi a Wittemberg in latino, assegnano a quest'anno il vero principio della sua così detta Riforma: il che fu avanti il piato[*] fatto nascere, per occasione delle indulgenze di Papa Leone X.
Origine di questo piato, come dopo il Plank, l'Ancillon e altri, oggidì l'ammettono ancora molti protestanti spassionati, col Cobbett e col Menzel, fu l'orgoglio e l'invidia che punse l'animo irrequieto e niente nobile di Lutero, in vedersi antiposto il domenicano Tetzel nell'ufficio di sottocommissario dell'arcivescovo Alberto e del nunzio Arcimboldo, per la predicazione di tali indulgenze. Tosto egli si lasciò sopraffare da tanta ira, che il 31 ottobre del 1517 attaccò alla porta della chiesa del castello di Wittemberg le novantacinque sue tesi, che gli spalancarono sotto i piedi l'abisso. «Ah, sclamava egli più tardi, se avessi previsto che la prima mia impresa dovea condurmi così lontano, per certo avrei raffrenata la lingua![6]» Ma l'impeto suo naturale e la contumacia ne' concetti del torbido suo cervello così l'accecarono, ch'egli, di contraddizione in contraddizione e di fallo in fallo, di appello dal nunzio al Papa, dal Papa male informato al Papa bene informato, dal Papa al Concilio e dal Concilio al senso privato di ciascun fedele da lui costituito sacerdote, pontefice e re, traboccò negli ultimi eccessi della ribellione a Dio ed alla Chiesa.
Operò egli così in effetto, perchè fosse dentro sè persuaso essere vero ciò che sosteneva e per intimo senso della coscienza? Mille argomenti e, tra gli altri, il suo perpetuo contraddirsi fino all'ultimo, mostrano che no: ma più che altro lo manifestano queste parole di disperato pentimento, da lui proferite, quando il male non parea avesse più rimedio: «Io odio ed avverso l'intero mondo. Ma dacchè mi sono messo per questa via, bisogna pure ch'io dica di aver fatto bene. Non posso però credere ciò che insegno, avvegnachè altri me ne creda profondamente convinto... Quanti uomini, vo tra me dicendo, hai tu sedotti con la tua dottrina! Tu sei cagione di tutti i loro disordini. Questo pensiero non mi dà un momento di tregua[7].» E più chiaramente ancora queste altre da lui scritte: «Per caso e non per mia elezione, mi sono gittato in queste battaglie religiose. Io ho abolita l'elevazione dell'ostia, per far dispetto al Papa; e se l'ho tanto tempo conservata, ciò è stato per fare rabbia a Carlostadio. Confesso di aver tenuta la comunione sotto le due specie, unicamente per fare onta al Papa. Ma se un Concilio ordinasse la comunione sotto le due specie, io e i miei la riceveremmo sotto una sola, o non la riceveremmo punto, e maledirei coloro che obbedissero al Concilio. Se voi persistete nelle vostre deliberazioni comuni, io ritratterò tutto quello che ho scritto e vi abbandonerò[8]
Da queste autentiche sue confessioni, deducano gli odierni encomiatori di Martin Lutero, quanto gli si avvengano le lodi che gli tributano di uomo leale, di apostolo della verità, di operatore di una nuova redenzione dello spirito umano, già schiavo delle superstizioni e via via.

IV.

Un altro capo, che rende sfolgorante la pressochè dementatrice passione da cui era incitato e guidato nel suo operare, è quello dei vilipendii e delle ingiurie sozze, con cui rispondeva a' suoi avversarii ed oltraggiava ogni più santa ed augusta autorità della terra. Nessun animo onesto potrebbe farsi un'idea dei vituperii laidissimi e delle buffonerie, con le quali pretese di confutare la condanna fatta de' suoi errori, nel 1519, dalle due università di Colonia e di Lovanio. Dopo scherzato con parole schifose, passò a chiamare i dottori delle due università: «vere bestie, porci, epicurei, pagani ed atei, che non conoscono altra penitenza fuorchè quella di Giuda e di Saul, che pigliano, non dalla Scrittura, ma dalla dottrina degli uomini quidquid eructant, vomunt etc...[9].» La Santa Sede, fin da quando egli le si diceva ancora sottomesso, già definiva essere quel «marciume della Sodoma romana, che avvelena e perde interamente la Chiesa di Dio[10]
La buona creanza, poi vieta di riferire le stomachevoli infamie che a piene mani versò nel suo libro Il Papato di Roma istituito dal diavolo, contro il Vicario di Cristo, i vescovi, i cardinali e tutto il clero cattolico; e le immonde figure, a scherno del romano Pontefice, che divisò e fece disegnare col titolo di Passione di Cristo e dell'Anticristo. Sono esse una così fecciosa melma, che i più sfrenati cialtroni di piazza non ardirebbero toccare. Il Döllinger, giudicando quel libro, così lo ha sentenziato: «Scritto la cui origine appena altrimenti si può spiegare, che ammettendo Lutero l'abbia in gran parte composto mentr'era riscaldato da bevande inebrianti. Che se lo dettò in istato di sincerità, senza alterazione od ubbriachezza, egli s'infiammò di sdegno fino a quel grado, in cui lo spirito, perduto il dominio di sè, comincia a cadere nello scompiglio e nella demenza[11].» Nè deve ciò recare ammirazione a chi consideri, che Lutero osò tacciare d'erroneo S. Pietro, principe degli Apostoli, e deridere d'infacondo, di adirato, di peccaminoso, di idolatrico e d'ipocrita lo stesso Mosè[12].
Nè diversi modi potè usare a dileggio delle podestà civili, egli che tante abbominazioni scrisse e proferì in onta alle più sacre: «I Principi, diss'egli, sono in generale i più grandi pazzi e bricconi della terra: non ci possiamo aspettar da loro nulla di buono, ma sempre quanto vi è di peggio.» Suo proverbio era questo, che Principem esse et non esse latronem, vix possibile est[13]. Senza che uno dei diciotto articoli del Credo, che egli compose dopo la dieta di Worms, fu che non vi è Stato il quale, secondo che l'esperienza insegna, possa felicemente essere governato da Re.

V.

Quest'uomo poi, la cui penna irosa nulla aveva più familiare che i termini sudici e il nome del demonio, tanto era invanito di sè, che si riputava superiore a tutta la umana specie. Non solo egli si figurava di avere a combattere con Satana, come Paolo e Gesù Cristo, ma di essere a dirittura un Paolo novello, operator di miracoli, unico vero inviato da Dio, infallibile ne' suoi insegnamenti[14]. Stimava che le sue dottrine tanto ridicole ed assurde intorno alla giustificazione, fossero un nuovo vangelo; e predicava in pubblico che Dio, con singolare vocazione, aveva eletto lui a bandire e ripristinare la lieta novella e datagli una soprannaturale intelligenza delle epistole di Paolo. Finalmente si millantava che niuno prima di lui (nè pure i Padri della Chiesa, nè i sommi teologi dei secoli precedenti) avesse saputo che cosa fossero la creazione, la redenzione, la giustificazione, l'uomo ne' suoi componenti di anima e di corpo; che cosa fossero Cristo, il battesimo, la confessione, i dieci comandamenti, il Pater nostro, e via via. Che più? Con frasi diversissime, egli assicurava di avere ricevuta la dottrina sua, per divina ispirazione, dal cielo: dava per certissimo che la parola sua non era sua, ma di Cristo; ch'egli era anzi la bocca di Cristo medesimo, il quale lo aveva chiamato ad essere giudice degli uomini e degli Angeli[15].
Le quali stolide superbie come lo rendessero odioso agli stessi satelliti suoi nella ribellione alla verità cattolica, non è a dire. Ecco un saggio dei loro sentimenti: «Quando leggo un libro di Lutero, scriveva l'Hencke, mi sembra di vedere un porco immondo, che grugna annusando qua e là i fiori d'un bel giardino: con uguale impurità, con uguale ignoranza teologica, con uguale sconvenienza, Lutero parla di Dio e delle cose sante[16].» Zuinglio gli rinfacciava «la tracotanza, la sfacciataggine, il fasto di parole e le turgide minacce» a lui abituali e lo diceva «pieno di orgoglio, d'arroganza e sedotto da Satanasso»; e soggiungeva: «a vederlo in mezzo a' suoi, tu lo crederesti ossesso da una falange di demonii. Com'è chiaro che Dio è Dio, così è certo che Lutero è diavolo. Nel suo furore egli si contraddice da una pagina all'altra. Non ti si fa nessun torto chiamandoti, o Lutero, seduttore più pericoloso di Marcione[17].» La società tigurina lo riprendeva «di cercare sè e la gloria propria, con un orgoglio di strabocchevole insolenza[18].» Ecolampadio dicevalo «tronfio di orgoglio e corrotto da Satanasso».

VI.

Non vi è però dubbio che le contingenze dei tempi, ne' quali Lutero visse, conferiron di molto a pascerne la folle vanità. I costumi rilassati, il guasto di una porzione del clero, sì regolare come secolare, il desiderio di novità, il raffreddamento del laicato nella pratica della vita cristiana, il vizio dell'ubbriachezza diventato comune alla plebe ed ai grandi, la cupidigia e i disordini di non pochi principi di Germania, facilitarono al ribelle frate la disseminazione de' suoi errori e l'impresa dello scisma. Come le api intorno alla regina, così i tristi si raccolsero attorno di lui, poco o nulla badando all'assurdità delle sue teoriche e molto allo sbrigliamento delle passioni, a cui conducevano. Intere scuole gli facevano plauso; non pochi membri di amendue i cleri e parecchi prelati si mostravano già suoi aderenti, una turba di pedanti e di umanisti lo portava alle stelle: un'altra schiera di nobili lo proteggeva e gli offriva asilo. Tanti fumi gli diedero al capo, ne crebbero la superbia e lo rianimarono a persistere nell'eresia, contro gli ammonimenti della coscienza e i dettami della ragione cristiana. Egli, che aveva scritto all'imperatore Carlo V di voler morire da figliuolo fedele ed obbediente alla Chiesa cattolica e stare al giudizio di tutte le università non sospette, quattro mesi dopo pubblicava il sedizioso libro Alla nobiltà tedesca e quindi l'altro Della schiavitù babilonica, rigurgitanti di contumelie a tutta quanta la cattolica verità; ed in ispecie al santo sacrifizio della Messa, in obbrobrio del quale scrisse ribalderie che la penna si rifiuta di accennare.
Il dottore Schön, che dieci anni or sono pubblicò uno scientifico esame psicoiatrico di Martin Lutero, tradotto ancora in italiano [19], per conclusione del quale mostrò che costui fu soggetto ad accessi di follia, ragionando del libro Della schiavitù babilonica asserisce quanto segue: «Io sono stato molto tempo curato di uno dei più grandi manicomii d'Europa: mai però non mi è toccato di ascoltare un linguaggio simile in dissennatezza a quello che tenne in questo libro quel caro uomo di Dio, secondochè lo chiamano i suoi veneratori. L'opporre che fanno costoro, a sua scusa, ch'egli fu di aspra natura, di genio singolare ed abborrente dalle vie comuni, e che si conformava alla ruvidità dei tempi, è un tentare di giustificarlo con insulse menzogne. Perchè non dire la verità e chiamar pane il pane?»
Il de Wette, ammiratore e biografo di Lutero, riferisce che alla mensa egli così pregava: O santo Satana, prega per noi. Piglia il cordone in mano e va in Roma dal tuo servo (il Papa) del quale tu sei l'idolo[20]. Se questo non è un pregare da pazzo qual altro sarà mai?

VII.

Nè ciò basta. Quale santità palesò Martino Lutero, nella vita, nella morale e nel costume? Abbiamo veduto più sopra com'egli, prima di apostatare dalla Chiesa, non occultasse il cedere che faceva alle tentazioni. Allorchè nel 1521, dalla dieta di Worms fuggito nel castello di Vartborgo, che denominò poi il suo Patmos, vi si tenne nascosto, sotto i 13 giugno, scriveva all'amico Melantone così: «È finita! Io non posso più pregare, nè gemere; la carne mi brucia, quella carne che bolle in me invece dello spirito. Infingardia, sonno, mollezza, voluttà, tutte insieme le passioni mi assediano... ecco otto giorni che io non iscrivo, nè prego, cagione le tentazioni della carne.» Del resto d'ogni suo male facilmente si consolava. Secondo il suo grande assioma, che il libero arbitrio è una chimera, ed il suo gran dettame del pecca fortiter et crede firmiter, il 1° agosto riscriveva a Melantone in questi termini: «Sii peccatore e pecca vigorosamente, ma la tua fede sia maggiore del tuo peccato. Il peccato non può distruggere in noi il regno dell'Agnello di Dio, quand'anche fornicassimo o uccidessimo mille volte al giorno.» Poste le quali nuove regole di moralità, è agevole conghietturare come si diportasse Lutero nelle sue tentazioni, e di che sorta dovesse essere la vita sua privata.
Nel 1525, dopo gittato l'abito religioso, non ebbe più nessun ritegno di pudore, e sposò la famigerata Caterina di Bora, scappata con altre compagne, a indotta sua, dal monastero di Niemitsch, nel quale avea professata la regola di san Bernardo; e la sposò proprio il venerdì santo, appresso che costei, giovane in sui ventisei anni, già si era data a un viver perduto ed era stata rifiutata da un altro prete apostata: così che Martin Lutero ebbe a gustare le gioie di una paternità non sua, pochi giorni dopo che si era solennemente introdotta nella casa nuziale questa sua diletta Ghita, che gli riempì la casa di prole: fatto che gli attirò la riprovazione de' suoi stessi più caldi seguaci[21]. Tanto più ch'egli, a quarantacinque anni di età, aveva celebrato l'orrido pateracchio, contraddicendo ai fieri biasimi, co' quali ne' suoi discorsi da tavola avea vituperato il matrimonio dei preti. E in vero, subito dopo stretto questo nodo sacrilego, di lui due volte apostata con la due volte apostata sua Ghita, ne espresse pentimento, confessando di temere che questo vergognoso scioglimento della sua commedia facesse piangere gli Angeli e ridere i demonii.
Oltre ciò, costui si mostrò affetto di quel morbo, che gli alienisti denominano satiriasi. Noi non vogliamo lordare queste pagine, ricapitolando le stringenti prove che il dottor Schön, nella opera mentovata, garbatamente allega. Fra le altre disorbitanze, in una predica, ch'egli tenne del 1522, uscì in cose e concesse diritti, che la naturale coscienza persino dei pagani rigetta con abbominio. Ch'egli facesse lecita la bigamia al Langravio d'Assia, è da documenti autentici comprovato. Egli dichiarò tanto impossibile il non peccare di senso, quanto è impossibile vivere senza bere e mangiare[22]. L'intemperanza sua fu tale, che più di una volta ebbe a patirne gravi malattie. Un suo discepolo si diè per vinto da lui nell'ubbriachezza e nel turpiloquio; del che Lutero saporitamente rise, quando se l'intese dire nell'osteria dell'Orso nero [23]. Allorchè alcuni si dilettavano di passare qualche giornata scapricciandosi licenziosamente, solevan dire: Oggi vivremo alla luterana[24]. In somma l'anima epicurea di fra Martino si scopre tutta in questa sua preghiera, che non fu messa in dubbio nemmeno dal furibondo Bost. «O Dio, per vostra bontà, provvedeteci d'abiti, di cappelli, di mantelli, di vitelli ben grassi, di capretti, di buoi, di montoni, di giovenchi, di molte femmine e di pochi figliuoli! Ben bere e ben mangiare è il vero secreto di non annoiarsi.» Finalmente la scostumatezza di lui giunse a tale, che Errico VIII d'Inghilterra, come leggesi in Florimondo[25], nel colmo delle sue sregolatissime lascivie, ebbe a dargli lezioni di castità: turpia, turpioribus delentur.
«Ah non mi dà stupore che io abbia errato, sclamò egli un giorno; ma stupisco assai che un matto solo abbia potuto produrre tanti matti[26]!» Ed altrove scrisse rotondamente: «Gli scandali dati da me e da' miei colleghi, colle nostre persone, col nostro naturale e molto più colla nostra maniera di vita, sono stati finora causa primaria dell'apostasia di un buon numero de' nostri[27].» Qui habemus confitentem reum, ed un tale reo che non fa la sua confessione pubblica per umiltà; ma incitatovi dai morsi di una coscienza che non lo lasciava ben avere.

VIII.

Crudeltà e lussuria vanno alla pari. Ciò avverossi in Martin Lutero al più alto segno. Egli si piacque di attizzare, come a meta della sua riforma del cristianesimo, la guerra civile dei villani contro i nobili e dei nobili contro i villani, guardando con occhio giulivo tanto spargimento di sangue, e dichiarando pur figliuoli amati da Dio tutti coloro che si adoperassero ad abbattere gli episcopii e a distruggere l'autorità dei vescovi. Appena però egli riseppe la sconfitta dei villani, tosto con un altro opuscolo consigliò i principi (que' principi da lui prima beffati per matti e ladri) a fare una spietata carnificina di quei ribelli. «Su via, o principi, scriveva quest'idolo dei nostri moderni demagoghi, all'armi! Percotete! all'armi! Son venuti i tempi, tempi meravigliosi, in cui un principe può col sangue guadagnare più facilmente il cielo, che noi colle orazioni. Battete, trafiggete, uccidete in faccia e alle spalle, poichè nulla è più diabolico d'un sedizioso: esso è un cane arrabbiato che, se non lo atterrate, vi morde. Non si tratta più di dormire, di avere pazienza, di usare misericordia: il tempo della spada e della collera non è tempo di grazia. Se voi soccombete, siete martiri, ma il villano ribelle, se cade, avrà eternamente l'inferno: egli è figliuolo di Satanasso[28]
Nel breve tempo che durò questa guerra, da Martin Lutero aizzata, si ebbero più di centomila uomini uccisi nei campi di battaglia, sette città smantellate, mille monasteri adeguati al suolo, trecento chiese incendiate e immensi tesori di pitture, di sculture, di vetri colorati e d'incisioni distrutti. Or alla vista di questi monti di cadaveri e di ruine, che diceva egli, tra i bicchieri e le vivande, l'autore della riforma? «Io, Martin Lutero, io, nella ribellion loro, ho uccisi tutti i villani, perchè io ho comandato di ucciderli. Tutto il lor sangue ricade sopra di me»: e scriveva: «Il savio lo dice: all'asino strame, un basto e la frusta: ai villani paglia d'avena. Non vogliono cedere? Si usi la verga e lo schioppo[29]
In questi fatti e in questo parole si specchino tutti quei nostri socialisti, che cantano al presente i trionfi della luterana riforma: ed affinchè gli odierni giudei con vivo ardore si uniscano pur essi a far coro cogli encomiasti di fra Martino, rammenterem loro il tenero affetto ch'egli alla loro gente e religione portò. Ne' suoi atroci libelli, egli provocava i cristiani a sterminarli col fuoco; ed insegnava potere ognuno e dovere gittar loro addosso zolfo e pece, bruciarne i libri, vietarne il culto sotto pena di morte e cacciarli senza riguardo dal paese. Nel suo Schem Hamphorae esordì con questi carezzevoli termini: «I giudei sono giovani demonii dannati all'inferno»; e proseguì con immagini e descrizioni sì schifose, che sol con vergogna i suoi aderenti ricordarono[30]. Com' essi vedono, ogni ragione hanno di levare a cielo in Lutero il primo e più feroce banditore di quell'antisemitismo, che minaccia di conciarli per le feste in Germania, come li sta ora conciando nella Russia.

IX.

Le inconsolabili tristezze che straziaron l'animo di questo sciagurato, nell'ultimo scorcio della sua vita, non si possono raccontare. Il maligno spirito è la coscienza, gridava egli. I rimorsi lo divoravano e sembrava patisse un inferno anticipato. Alla Ghita Bora, sua concubina, che una sera le indicava il fulgido scintillar delle stelle, rispose mestamente: –– Questa luce, credilo, non brilla per noi. E perchè la donna gli domandò se non sarebbe meglio provvedere alla eterna salute dell'anima, ritornando ai doveri dello stato religioso rinnegato:–– È troppo tardi, soggiunse Martino; il carro si è troppo affondato nella mota [31]!
Tutto il giornale del Mattesio, suo confidente, ci rivela, in quell'estremo periodo del suo vivere, un abisso di dolori, d'inquietezze e d'ambasce. Per lo che non è meraviglia che l'infelice apostata fosse atterrito dalle parole bibliche: Maledetto quel giorno in cui nato sono, conforme il precitato suo biografo ci narra. I più de' libri scritti in questi tempi furono da lui composti, per sedare la tempesta dell'animo. Cercava ogni via di svagarsi, almanaccava cento cose, mulinava di riscrivere, anche più amaramente che non avesse fatto, in detestazione dei papisti.
La sua morte fa raccapriccio. Seduto in Islebio alla mensa lautissima dei conti di Mansfeld, tracannando i migliori vini del Reno ed empiendosi il ventre delle carni di prelibate selvaggine, beffeggiava grossolanamente e Papa e Imperatore e monaci; e sporchi lazzi faceva pure sul conto del diavolo, che avea sempre nella bocca e nel cuore: quando, levatosi a un tratto di tavola, andò a scrivere, fra le risa di tutti i convitati, col gesso in una parete questo verso: Pestis eram vivus, moriens tua mors ero, Papa. Ma gli sghignazzamenti duraron poco, giacchè Lutero fu tosto preso da fiera malinconia e scritto un biglietto, che lasciò sulla mensa, se n'andò. Il biglietto terminava con queste parole: «Per verità, noi siamo pure i gran bricconi!» Sei giorni dopo, il 22 febbraio del 1546, egli moriva soffocato dall'asma, disperandosi per sentirsi derelitto da Gesù Cristo e dannato[32].

X.

Ecco in fuggitivi sì, ma veraci tocchi di pennello dipinto Martin Lutero. I colori quasi tutti sono tolti dalla sua tavolozza. In sostanza, egli si disse, e non per amore di umiltà, gran matto e gran briccone. Chi gli ha fede nel rimanente, perchè non gli crederà anche in questo?
Fra Martino fu mal profeta, quando presso ad esalar l'anima asseri che, morto, egli avrebbe dato morte al Papato: Moriens, tua mors ero, Papa. Già da più di tre secoli il meschino è ridotto ad un pugno di cenere: ma il Papato vive sì rigoglioso, che pare nel primo fiore della sua giovinezza: anzi più dagli eredi dell'odio luterano esso è impugnato, e più si dà a divedere invitto ed invincibile.
Se non che in un'altra cosa fra Martino fu buon profeta. Ci scusino i lettori se, occorrendo citare a verbo le sue proprie parole, offenderemo alquanto le leggi del galateo. Troppo è difficile toccar colla penna il frasario di Lutero, e non inquinarla. Ad alcuni che seco si lagnavano delle persecuzioni mosse contro i suoi ligi e discepoli: «Non sarà così, rispos'egli, nel tempo avvenire. Oggi siamo nel parossismo della febbre. Quando avremo insozzati coi nostri escrementi quelli che ora ci opprimono, essi adoreranno il nostro sterco e lo avranno in conto di balsamo[33]
I principi, i dotti ed i popoli dell'Europa settentrionale dicano essi fino a qual grado siasi, negli ultimi trecenquaranta anni, avverato questo sublime vaticinio del loro patriarca e maestro. Noi pensiamo che come una giumenta, per virtù non sua, potè scioglier la lingua e favellare a Balaam; così Martino Lutero potè, in un lume non suo, prevedere e predire, con singolar proprietà di linguaggio, il moral valore del culto che si sarebbe tributato alla sua apostasia, alle sue dottrine, alla sua memoria. In conclusione, egli così venne a definire ciò che sarebbe stato anche il clamoroso festeggiamento, col quale oggi i protestanti in lega coi liberali, cogli atei, coi socialisti del mondo incivilito, commemorano il quarto anniversario della sua nascita.
Resta ora che si risponda al secondo quesito: quale cioè sia stata l'opera di Martino Lutero. Lo faremo nel prossimo quaderno.

NOTE:

[*] Si dice piato una discussione o richiesta insistente in tono litigioso o lamentoso. [N.d.R.]
[1] Die deutsche Reformation, Leipzig, 1873.
[2] Döllinger, Op. Cit.
[3]  V. Michelet, Mémoires de Luth. tom. II, pag. 186. - Audin, Vie de Luth. tom. II, ch. 22.
[4] Sanderus, De visib. monarch. I. VII.
[5] Veggasi la sua lettera dell'11 novembre 1517 all'antico priore di Erfurt nelle Opere, Walck, t. XV, pag. 432.
[6] Supplément aux écrits de Luther, pag. 9, ediz. di Magonza, 1827.
[7] L. cit.
[8] Resp. ad maledict. Reg. Angl. Confess. parv. form. Miss. t. III, pag. 276, delle Opere, ediz. di Vittemberga.
[9] Walck, t. XXIX, pag. 2250 seg.
[10] Ivi, t. XVIII, pag. 213.
[11] Dizionario ecclesiastico di Wetzer e Welts, tom. VI, pag. 672.
[12] Op. ediz. di Vittemberga, t. III, p. 425.
[13] Walck, t. XII, pag. 786 e tom. X, pag. 460.
[14] Si veggano i suoi discorsi detti da tavola, cap. 12. [Tischreden, N.d.R.]
[15] Tutte queste vanterie si trovano nella raccolta delle sue prediche familiari per le domeniche (Hauspostille) nei suoi discorsi da tavola e nelle sue interpretazioni esegetiche.
[16] Allgemeine Geschichte der Christ. Kirch. nach der Zeitfolge, 1799, tom. III, pag. 301.
[17] Respons. ad confess. Luther.
[18] Risposta al libro di Lutero contro Zuinglio.
[19] Martino Lutero giudicato psicoiatricamente dal prof. Schön, Milano, Agnelli, 1874.
[20] Tom. II, pag. 4.
[21] Si vegga l'Arnold, Unparteische Kirchen, ecc. tom. II, pag. 50; il Seckendorf, lib. III, pag. 651; il Leiderfrost, Encyklopädisches Wörterbuch, ecc. art. Bora.
[22] Colloq. ment. in cap. de matrim.
[23] Ickelshamer e Lemnio, presso Döllinger, Op. Cit.
[24] Morgenstern, Tract. de Eccl. pag. 221.
[25] Pag. 229.
[26] Presso Swenderborg, Vera Chr. Relig. pag. 481.
[27] Op. tom. V, pag. 95, ediz. di De Witte.
[28] Opere, ediz. di De Witte, tom. II, foglio 84.
[29] Tischred. Islèbe Francf. fol. 196; Menzel, Storia degli Alemanni, tom. I.
[30] Döllinger, loc. cit.
[31] Audin, tom. II.
[32] Tischreden, Islèbe; Audin, loc. cit.; De Witte, Op. Luth. tom. V. Narratio hist. de ultimis Lutheri actis et obitu, 1568.
[33] Tischreden, Francf. foglio 317. Menzel, I. c.

  
La Civiltà Cattolica, anno XXXIV, serie XII, vol. IV (fasc. 802, 6 nov. 1883) Firenze 1883, pag. 385-401.

R. P. Raffaele Ballerini S.J.

DELL'OPERA DI MARTIN LUTERO

I.

Un nostro antico proverbio dice che l'opera loda il maestro. Già vedemmo, nel precedente articolo sopra Lutero, di che sorta uomo e maestro egli si fosse, e quanto a vicenda si onorassero l'uno e gli altri, i festeggiatori cioè ed il festeggiato, nella ricorrenza del costui quarto genetliaco centenario. Ma perocchè nell'uomo e nel maestro si è inteso glorificare l'opera sua, che fu la così detta Riforma, di questa daremo in iscorcio un'idea, che viemeglio illustri i meriti di chi ne fu autore.
La Riforma, ossia il Protestantismo, che da Martin Lutero trasse l'origine, molte e varie definizioni ha ricevute: altri la chiamarono la libertà del peccato, altri l'anarchia della fede, altri il delirio della ragione, altri il conquassamento dell'ordine. Più propriamente alcuni riformati moderni l'hanno denominata, col Chasles, la riabilitazione della carne, il rialzamento dell'altare della voluttà, in breve, la risurrezione del sensualismo pagano [1].
Quali fossero gl'immediati effetti di quest'apostasia dalla Chiesa, dalla fede, dalla morale, che ironicamente si mascherò col nome di Riforma, lo dichiarino Lutero stesso, il suo magnifico discepolo Melantone e poi Calvino.
«Il mondo peggiora di giorno in giorno e diventa sempre più scellerato; così il primo dei tre, col suo solito stile. Gli uomini sono oggidì più inclinati alla vendetta, più avari, più snaturati, meno costumati e più distali, in somma, più ribaldi che non fossero sotto il Papato. Fa tanto scandalo quanto meraviglia, il vedere come, da che la pura dottrina del Vangelo si è rimessa nel suo lume naturale (vale a dire si è abbandonata la fede cattolica) il mondo si va riducendo a sempre peggiore stato. I nobili e i contadini non vogliono più sentir prediche: la parola di Dio è per loro al tutto inutile: ai loro occhi i nostri discorsi non valgono un quattrino. Non credono nemmen più alla vita futura. Vivono come credono; sono porci, credono da porci e muoiono da porci. I più de' miei discepoli vivono all'epicurea: la loro predicazione è tutta cosa del loro cervello; i divertimenti e i passatempi sono il loro studio. Tra' papisti non s'incontrano per verità viziosi, ciacchi e mostri di questa fatta. Si chiamano riformati, ma meglio si direbbero demoni incarnati. Sono birbanti, gonfi d'orgoglio. Il disordine è giunto a tal segno, che, se a qualcuno venisse il ticchio di contemplare un mazzo di bricconi, d'usurai, di scapestrati e ribelli, non avrebbe a far altro più che entrare in una di queste città, che diconsi evangeliche; ed ivi troverebbe a ribocco gli uomini che cerca. In costoro ogni sentimento onesto è spento, ogni virtù è totalmente morta: regnan fra loro tutte le specie di peccati [2].» Così il patriarca della Riforma dipinse gl'imitatori de' suoi esempi, i seguaci delle sue dottrine.
Calvino che, sull'orme di Lutero, stabilì e propagò la Riforma nella Svizzera e nella Francia, scrisse in questi termini: «Fra cento evangelici, a gran pena se ne scoprirebbe uno solo, che si sia fatto tale per altro motivo, da quello di potersi abbandonare con maggiore sfrenatezza alle voluttà ed all'incontinenza. Il pensiero dell'avvenire mi sbigottisce, sì che io ne distolgo la mente. Per dir vero, salvo che Dio non venga in aiuto con un miracolo, mi par già di vedere ogni eccesso di barbarie sul punto d'allagare l'universo. Ma la piaga più lamentabile si è, che i nostri pastori, predicanti la parola di Dio, sono oggi i modelli più vergognosi d'ogni vizio e perversità. Perciò non ottengono credito maggiore di quel che un buffone, il quale rappresenti commedie in su le scene. Per me, io stupisco che le donnicciuole e i monelli non li carichino di fango o d'immondizie [3]
Melantone poi, in parecchie sue lettere, si diceva «preso da stringimento di cuore, non facile ad immaginarsi, al vedere con tanta superbia odiato il Vangelo, da coloro che si vantavano d'essere de' suoi.» E proseguiva: «Quando si pon mente a questa grande varietà di opinioni e di pratiche ed alla barbarie de' costumi, che serpeggia in moltissimi luoghi, è necessario ammettere che l'Imperatore ha gran ragione di affaticarsi a ricondurre l'unità nella Chiesa. I principi provocano gli odii ed accrescono i pericoli: nelle nostre chiese la disciplina è ruinata, il dubbio intorno ai più alti oggetti vi regna, non si vuol più sentire la spiegazione chiara dei dommi... Io piango da trent'anni in qua, vivendo fra tanti commovimenti. L'Elba stessa, con tutte le abbondanti sue onde, non potrebbe dare acqua sufficiente a piangere le miserie ed i guai della Riforma [4].» Conclusione di massimo peso in un uomo qual fu costui, appropriatasi poi dal più preclaro ingegno che sia nato nel protestantesimo, vale a dire dal Leibnitz, il quale ebbe a scrivere alla signora di Brinon, che «tutte le lagrime degli uomini non basterebbero, per piangere il funesto scisma del secolo sedicesimo [5]
Nè potè essere altrimenti, chi consideri da una parte, col Quinet che «il vero mezzo usato da Lutero, per avviare la Riforma, ossia per ispacciarsi della Chiesa, fu di affermare che le opere non servono a nulla: Dio solo opera tutto e niente lascia fare al sacerdozio;» e dall'altra che, negato il libero arbitrio come un'assurdità, giustificò antecedentemente alla coscienza di chiunque voleva arrolarsi sotto le sue bandiere, ogni maniera di scelleraggini e di nequizie.
A Lutero, a Melantone, a Calvino, deploranti la colluvie di corruttele e d'ignominie, che seguirono subito la loro Riforma, fecero coro molti autorevolissimi loro proseliti, il Bucero, l'Hoefer, il Breler, l'Heling, il Menio, il Forster e cento altri, che sarebbe soverchio citare. Tutti parlano di sbrigliamento di passioni, di vizii trionfanti, di bestemmie e spergiuri da disgradarne i Turchi. «I nostri pastori evangelici, lamentavasi il Pencer, genero di Melantone, sono mossi dall'ateismo: e costoro non pure sono atei, intendo dire senza Dio e carità, ma per di più ignoranti, ineducati, dissoluti, invidiosi, cupidi. Io non ho più che gemiti, sospiri e lagrime, che a mala pena trattengo, mirando la spaventevole anarchia che domina tutti i cuori [6]

II.

La nuova dottrina, che in sostanza aboliva il dominio di Dio sopra l'uomo e rendeva libero od anche inutile l'osservare i precetti del decalogo, presto germinò i suoi frutti anche politicamente e socialmente, nei popoli e nei principi.
Di fatto, quali furono i principi che pei primi si fecero sostenitori della Riforma luterana, la quale concedeva loro il possesso dei beni ecclesiastici; li assolveva dall'osservanza del quinto comandamento di Dio e li confortava a saccheggiare e derubare chiese, episcopii, monasteri e ad arredare i loro palazzi o castelli, coi tesori delle sacrestie? Ecco il quadro che ne dà l'Audin.
Primieramente era l'elettore Giovanni di Sassonia, il re dei ghiottoni del suo tempo, il cui ventre pieno sin dal mattino di vini e di carni, avea bisogno, per non cadere, di essere contenuto da un cerchio di ferro. Costui restò preso della nuova religione, che aveva aboliti i digiuni e tolte le astinenze del venerdì e del sabato. La sua mensa era in voga di lautissima, sopra tutte le principesche di Germania, poichè fornita, oltrechè di cibi squisitissimi, de' più preziosi vasellamenti rapiti agli altari di Dio. Quest'epulone fu il capitano di quelli che accoppiarono la spada colla verga di fra Martin Lutero.
Poi veniva il suo figliuolo Federico, il quale spendeva il tempo e logorava le forze nelle gozzoviglie e nelle cacce: pel rimanente degno in tutto del padre che lo avea messo al mondo.
Seguiva quindi il langravio d'Assia, la cui vita buffonesca era passata in proverbio, adultero sfacciato, che si facea servire a tavola da servi, portanti in ricamo, sopra le maniche della livrea, queste cinque lettere capitali: V. D. M. I. Æ. Verbum Domini manet in aeternum; e per lui, protestante di finissima grana, la parola di Dio significava, come per Maometto, facoltà o diritto di avere più mogli.
Succedeva appresso Volfango d'Anhalt, uomo di così crassa ignoranza, che fu detto non sapesse nemmeno farsi il segno della croce.
Finalmente tenevan lor dietro Ernesto e Francesco di Luneburgo, i quali, non fidandosi de' servi ai quali avean commessa la rapina dei beni delle chiese, andavan di persona a saccheggiarle ed empivan le casse di calici, di pissidi, di ostensorii [7].
A ciò si riducono i miracoli, coi quali fra Martino aggiogò al carro della sua Riforma i magnati. «Molti, diceva egli, sì in Germania e sì altrove, sono buoni evangelici, perchè i monasteri hanno abbondanza di terre e di vasi sacri [8].» E il Brochmand suo predicante, non dubitò di scrivere: «Lutero ha dato ai principi conventi ed abbazie, ai preti mogli, alla plebe vita licenziosa: ecco i veri impulsi ammirabili al progresso della Riforma [9].» Onde il suo dire: « I bei raggi d'oro de' nostri ostensorii han fatte più conversioni, che tutte insieme le nostre prediche.»
altrimenti si propagò altrove questo religioso e morale scompiglio, sotto nome di Riforma. Come i popoli se ne giovarono, per ribellarsi ai legittimi loro signori, e passar subito dall'anarchia nella fede all'anarchia nella politica, e quindi dieder moto alle sanguinose guerre civili che lordarono di sangue tanta parte di Alemagna; così i principi se ne valsero, per arricchire delle spoglie della Chiesa, per dilatare i confini dei loro Stati, o per mutare in tirannide il Governo. Per questo il re Gustavo impose colla forza il luteranesimo alla Svezia, e per questo il re Cristiano lo stabilì nella Danimarca.
Tali, accennati appena, furono i primi frutti dell'opera di Martin Lutero e del protestantesimo che ne seguì, e per dato e fatto di Calvino, di Beza, di Enrico VIII si dilatò, con forme diverse e divisioni senza numero, per la Svizzera, la Francia, l'Inghilterra e la Scozia.

III.

Se non che qual è mai il valore teologico e filosofico ancora, se così piace, di questo capolavoro del cervello di fra Martino? Molto bene viene espresso dal vocabolo protestantesimo, inventato dopo la dieta di Spira dai principi addetti a Lutero, per opporsi alle risoluzioni in essa dieta fermate. Costoro, con altri deputati delle città imperiali, protestarono: e di qui il nome di protestanti, allargatosi a comprendere tutti quanti i seguaci delle innumerevoli sètte, che in quel secolo alzarono bandiera di ribellione alla Chiesa cattolica. La generica professione di fede, come giustamente osserva un illustre storico moderno [10], contenuta allora in questa parola, è durata sempre la medesima fino al presente: «Io credo in me e protesto contro la Chiesa romana.» Io credo in me: ecco la sovranità radicale della ragione d'ogni individuo; io protesto contro la Chiesa romana: ecco la sua dichiarazione d'indipendenza. Rinnegata l'unica vera Chiesa di Gesù Cristo, sono questi i soli dommi che sieno e possano essere comuni tra i protestanti; e ciò si fa chiaro pur dalla storia dei primordii della Riforma, quando Lutero ed i suoi non sapevano mai mettersi d'accordo, in quello che avrebbero tenuto o no per domma; ed oggi affermavano rivelato da Dio quello che ieri avevano riprovato come invenzione dell'uomo. Come ai giorni di fra Martino, così ora dai protestanti, qualunque ne sia la famiglia e la specie, si può credere o questa o quella cosa, purchè si credano per la fede che uno ha, non a Dio o alla Chiesa, ma a sè stesso. Si può protestare contro tutti o, se meglio garba, contro un sol domma cattolico, purchè si protesti.
Così i luterani, i quali mantengono ancora la credenza nella divinità di Gesù Cristo, e i pastori di Ginevra, coi Feuerbach, Stirner, Marr, Strauss, Hase, Ewald e mille altri, che la ripudiano e bestemmiano, avvegnachè tra loro contradittorii, sono non di meno alla pari tutti buoni e veri protestanti, perocchè ognuno crede in pari modo a sè e protesta del pari contro la Chiesa romana. Per render la cosa più manifesta, pigliate, siccome fece Lutero, una chiesa cattolica, levatene il segno del cristiano, l'altare del sacrifizio, a dir breve, tutto ciò che potrebbe dare un'idea di religione; non vi lasciate altro che le quattro mura, e voi avrete un tempio protestante, sulla cui fronte potrete scrivere a lettere palmari: Tempio della ragione individuale.
Per farne la dedicazione, invitate chiunque crede a sè e protesta contro la Chiesa romana: O sublime ragione del mio individuo, io credo in te e ti adoro; griderà ogni fedele, in sul primo porvi dentro il piede; tu sola in questo tempio regni! Tu sola m'insegni se io debba credere alla bibbia e mi scorgi a comprenderla. Accogli pertanto l'omaggio della mia fede.
Dopo proferito così il simbolo comune a tutti, ciascuno farà l'atto suo di fede personale. Il luterano dirà: In virtù del mio libero esame, io affermo che la bibbia è libro divino e nelle sue carte vedo chiaro che la cena eucaristica ci dà, insieme col Corpo di Gesù Cristo, il pane; ossia vedo la impanazione: perciò protesto contro la transustanziazione della Chiesa romana. Lo zuingliano ed il calvinista soggiungeranno alla lor volta: Noi pure, in grazia del nostro libero esame, riconosciamo per divine le Scritture; ma in esse noi vediamo che la cena eucaristica ci dà il Corpo di Gesù Cristo soltanto in figura: quindi protestiamo contro la presenza reale della Chiesa, romana. Il nuovo ariano, o sociniano, si farà innanzi e dirà: Sì, la bibbia è libro venerando; per altro, dopo averla liberamente investigata, io ho scoperto che i misteri di fede da essa proposti non sono se non figure rettoriche, e Cristo non è da più che un profeta: adunque io protesto contro il Dio-Uomo della Chiesa romana.
Certamente, esclamerà il deista, la ragione di ogni uomo è sua regola sovrana; la mia mi mostra ch'essa basta a sè medesima, nè abbisogna di rivelazione: conseguentemente protesto contro tutto ciò che la Chiesa romana spaccia intorno alle Scritture, alle profezie ed ai miracoli. Ed il materialista trarrà avanti e, dirà: Bellissima cosa è promulgare i diritti della personale ragione, il primato intellettuale di ciascheduno per sè. La mia ragione è giudice suprema delle opinioni altrui, benchè universalissime ed antiche: ond'è che io protesto contro l'immortalità dell'anima, il paradiso e l'inferno, superstizioni predicate dalla Chiesa romana. L'ateo non istarà in forse di ripigliare: Voi ammettete, qual primissima delle verità, che la ragione mia è centro di sè, luce sua, criterio suo, giudice suo? Or bene, come la mia ragione vede che lo spirito umano non ha altro spirito superiore a sè, così vede che il mondo non ha autore, e per conseguenza non ha verun Signore: di che io protesto contro il Dio adorato dalla Chiesa romana. Il socialista, il comunista e l'anarchista dei nostri giorni diranno invece: Per primo articolo della costituzione umana, voi riconoscete la sovranità indipendente della nostra ragione. Or noi, con evidenza irrepugnabile, scorgiamo che fonte d'ogni malanno sociale sono i due pretesi diritti dell'autorità domestica e politica e della proprietà privata: noi pertanto protestiamo contro il quarto ed il quinto precetto del decalogo, insegnato dalla Chiesa romana. Meglio di tutti concluderà lo scettico: Voi concedete che a me solo tocca il giudicare senz'appello di tutto, ed ancora di quello che tutti voi sinora avete detto? Ebbene, dopo liberamente esaminata ogni cosa, io vi dichiaro che nulla v'ha di certo nel mondo: per lo che io protesto, non solo contro la Chiesa romana, ma altresì contro coloro che protestano contro di lei, e protesto finalmente contro me stesso.
Dato l'assurdo principio teologico e filosofico, bandito da Lutero, del libero esame e del principato della personale ragione, è impossibile rigettare tutte queste conseguenze e non averle in conto di logico svolgimento della Riforma: nè vi ha protestante, se pure intenda rimanere consentaneo a sè stesso, il quale a tutte ed a ciascuna non abbia da rispondere: Amen.
Dal che si ritrae che, a filo di rigorosa dialettica, il sistema nel quale fra Martino fondò tutta l'opera della sua Riforma, conduce alla negazione arbitraria d'ogni ordine divino ed umano, cioè a dire teoricamente all'anarchia religiosa, morale e razionale, praticamente poi a tutti i disordini politici e sociali, di cui l'Europa moderna è stata finora ed è luttuoso teatro.
Così riman chiarita la necessità delle discordie generatrici di sètte, moltiplicantisi a guisa dei funghi, e delle contradizioni, inerenti per essenza alla natura del protestantesimo, come ne diede argomenti ed esempi non credibili lo stesso Lutero, la raccolta delle cui antitesi formerebbe un volume de' più curiosi. Già i lettori videro, in una delle ultime corrispondenze nostre di Prussia, come ora, per occasione del centenario di fra Martino, si sia pubblicato in Germania un Catechismo cattolico romano di Martino Lutero, coi tipi del Barcher in Wurzburgo. «Questo catechismo, scriveva il nostro valoroso corrispondente, d'una perfetta e piena ortodossia, è composto esclusivamente di passi delle opere di Lutero, posteriori alla sua eresia: quindi è che somministra, senz'averne l'aria, una prova delle incessanti contradizioni di lui [11]

IV.

Nè puntò dal teologico e filosofico è per sè diverso il valore politico e sociale di quel principio che costituisce il cardine della Riforma luterana. Ogni uomo ha diritto di pensare ciò che vuole, e di operare, dentro i confini dell'estrinsecamente a lui possibile, come pensa. Posto un così fatto principio, il protestante può, senza sconcio, riconoscere oggi la indipendenza assoluta dei re, e domani dichiararli decaduti dal trono, esiliarli ed anche, come fu fatto di Carlo I d'Inghilterra e di Luigi XVI di Francia, mandarli ignominiosamente al patibolo. Variano le  conseguenze, ma non varia il principio d'onde queste scaturiscono. Checchè si dica, sarà sempre vero che, in virtù di questo principio, il sovrano è soggetto al libero esame, alla giurisdizione imprescrittibile d'ogni individuo del suo Stato. E quel che si avvera del sovrano, si avvera della legge e di qualsivoglia altra autorità. Chi si arroga il diritto di sindacare Dio, non si arrogherà quello di sindacare l'uomo? Allorchè pertanto un chi che si sia concluda da sè, che un giuramento di fedeltà non tiene, che un re od un Governo non meritano che si stia lor sotto, che può, col giudizio suo privato, togliere al prossimo la roba o la vita, o metter sossopra un paese, o concorrere a disfare un regno, è assurdo il dargli biasimo, è tirannia il punirlo.
Dal che proviene che, a rigor di termini, assurdo e tirannico deve dirsi ogni Governo, che sul principio del protestantesimo si appoggia, e pure pretende imporre leggi e farle osservare colla forza, a chi riconosce per libero giudice di tutto e di tutti e sovrano di sè. Proviene inoltre che ogni principe protestante, per ciò solo che è tale, si spossessa da sè del giure principesco e scioglie i sudditi dal vincolo dell'obbedienza. Impèrocchè, protestante essendo e volendo rimanere, deve per necessità riverire in ciascuno dei sudditi il diritto fondamentale di pensare come vuole e di operare come pensa. Se a lui obbediscono, dovrà averlo per un favore di cortesia; ma se a lui si ribellano, sarà ingiusto ed oppressore, mettendo mano alle armi per soggiogarli. Proviene di più che, al contrario, i sudditi di un re protestante sono impediti dal riprovare gli atti suoi, benchè iniqui e dannosi; il re, come uomo, essendo ancor egli giudice supremo de' suoi diritti e doveri. Proviene ancora che il protestantesimo politico non può comandare, senza contradirsi, nè l'obbedienza, nè la resistenza ad alcuno: non l'obbedienza, perchè nell'individuo sovrano viola la libertà razionale dell'individuo soggetto: non la resistenza, perchè obbliga l'individuo soggetto a violare la libertà razionale dell'individuo sovrano. Proviene da ultimo che il protestantesimo viene a distruggere ogni nodo morale tra il suddito ed il sovrano, concedendo ad amendue un'autorità pari, l'una coll'altra cozzante: di maniera che altra regola di governo non lascia, fuorchè le due dell'astuzia e della forza. Il perchè, in conclusione, tutto epiloga nel famoso effato: La force prime le droit, che, se non a voce, per fermo ai fatti è la suprema norma politica del protestantesimo imperante.
«Come si vede, ben ragiona lo storico prelodato, ogni sovrano protestante, ogni popolo protestante, pone l'anarchia in principio, in dogma, in legge fondamentale. Gli autori che hanno affermato, lo stato naturale del genere umano esser la guerra di tutti contro tutti, hanno strettissimamente discorso come protestanti. Legge, ordine, giustizia, società sono di fatto pel protestantesimo cose contro natura; i tribunali una tirannide mostruosa. Se dunque il protestantesimo non avesse incontrato ostacoli, se avesse potuto svolgere liberamente tutte le sue conseguenze, la società umana, in nome della bibbia, sarebbe ricaduta nel caos [12]

V.

E che i principi ed i popoli, infatuati delle enormità poste loro in mente dai primi autori della Riforma e da Lutero in ispecie, così nella pratica intendessero il protestantesimo, troppo lo dimostrarono gli eventi. Per un lungo corso di anni, la Germania fu insanguinata da macelli e da saccheggiamenti spaventosi. Tra principi e popoli, tra poveri e ricchi scoppiò una guerra che mirava allo sterminio d'ogni cosa. Gli abitanti delle campagne nella Svevia, nelle rive del Danubio, nella Misnia, nella Turingia, nella Franconia, levati in armi dal Muncer, alzarono il vessillo dell'uguaglianza; e fecero nè più nè meno di quello che i comunisti francesi e spagnuoli dei nostri giorni. Dalla Sassonia fino all'Alsazia, trucidarono e scannarono i signori ed i ricchi, senza riguardo ad età ed a sesso, misero a saccomanno ed incendiarono castelli, borgate, città, senza misericordia. Queste barbare schiere, invasate di luteranesimo, ovunque passarono, deposero i magistrati, s'impadronirono dei beni de' nobili, li costrinsero a vestire da contadini e persino a smettere i loro titoli e nomi feudali, prendendone dei plebei. «Lo scisma protestante, scrive lo Schiller, ebbe in Germania l'effetto di uno scisma politico, che gittò l'ampio paese, per un secolo e più, in un orribile soqquadro. Suo primo e tristissimo frutto fu una guerra devastatrice di trent'anni, che si stese dall'interno della Boemia fino alle bocche della Schelda, e dalle sponde del Po fino a quelle del mare del Nord. Questa guerra consumò le messi, incenerì città e villaggi, spense per un mezzo secolo la scintilla della civiltà, e tornò all'antica barbarie i pubblici costumi, che appena cominciavano ad ingentilire [13].» E come lo Schiller, così il Michelet, il De Rottech e gli stessi socialisti Weill, Louis Blanc e mille altri, riconoscono nella Riforma di Lutero la causa prima e potissima di tanti disastri.
Gli angusti confini di un articolo non ci permettono di allargarci a chiarire le strette attinenze che rannodano l'odierno socialismo coll'opera di fra Martino. Del resto appariscono già sfolgoranti da quello che si è detto finora: onde ognuno scorge quanto meritamente la massoneria anticristiana e giudaica saluti in lui un precursore e maestro, degnissimo de' suoi festeggiamenti. Bene ha illustrati questi vincoli di parentela, tra l'apostata riformatore di Wittemberga e i massoni socialisti, il testè ricordato Louis Blanc, mostrando come la rivoluzione, preparata dai filosofastri del secolo scorso e tendente al socialismo, dovesse avere il naturale suo principio dalla teologia; come la ribellione alla Chiesa dovesse terminare colla ribellione a tutte quante le altre autorità; come il Lutero religioso dovesse trasformarsi in un Lutero politico, proseguendo a dire: «Il volesse o no Lutero, esso menava dirittamente a Muncer: il grido ch'egli avea levata contro Roma, migliaia di voci l'avrebbero mandato contro i re, i principi, i dispregiatori del popolo, i calpestatori del povero [14].» Parole confermanti la sentenza del Guizot, che cioè: «la crisi del secolo XVI non fu semplicemente riformatrice, ma essenzialmente rivoluzionaria [15];» e giustificanti l'apoteosi con cui da per tutto la Rivoluzione ha glorificato il quarto centenario natalizio di Lutero.

VI.

Se non che a qual punto si trova oggi essere l'opera di Martino, in quanto religiosa? O, in altri termini, che è ora divenuto quel luteranismo, che pretese riformare niente meno che la fede cristiana?
«Poichè abbiamo perduta la fede, non v'è dubbio che abbiam perduto ancora Dio» scrisse Lutero, in un momento di lucido intervallo della coscienza [16]; e con ciò venne a definire il male che era, e il peggio che sarebbe stato la impresa sua. Ora più che mai la confessione luterana è in verità una confessione senza fede e senza Dio. Finchè la parte aderente allo scisma di fra Martino conservò in Germania qualche avanzo di cattolicismo, si potè dire che avesse una certa cotal fede, e adorasse Dio colla professione di un certo cotal cristianesimo. Ma, dopo tre secoli di negazioni, di dissensioni, di divisioni e di vaneggiamenti, colà sono sì ancora luterani, ma non è più luteranesimo. Questo al presente, in quanto confessione religiosa, è naufragato nei due pelaghi del razionalismo deistico o del pretto ateismo.
Già è noto lo scempio fattosi della bibbia dai così detti moderni critici alemanni, dal Wieland, per esempio, dal Cannabich, dal Luders, dal Bucholz, dal Janisch, dal de Wette, dal Cludius e da cento e cento lor simili; i quali tutti l'hanno rifiutata per divina, in quel modo che a Cristo Salvatore hanno preteso togliere la divinità. È pur noto il sistema dei miti, suggerito dal Semler e diffuso dall'Eichorn, dal Bauer, dal Ruge, dallo Schultze, dallo Steinthal e da altri molti suoi apostoli e difensori. In virtù di questo, un gran numero di teologi protestanti ha mutato gli avvenimenti della Storia sacra in leggende, o novelle poetiche; ed i miracoli più stupendi in giuochi di prestigio dei capi del popolo ebreo. Nulla diciamo dello Strauss, il quale, a nome dei protestanti razionalisti, dichiarò la teologia «non produrre più altro che distruzioni, e non avere altro scopo, fuorchè quello di demolire con arte un edifizio, che non si confà più al disegno del mondo nuovo [17].» Un altro di essi ha chiamata manìa atanasiana la fede di coloro, che sostengono per anco Gesù Cristo essere il Verbo di Dio umanato. Per tutti costoro poi, e per tutta la loro scuola svariata e molteplice, la Trinità divina è un concetto riprovato dal senso comune, i sacramenti sono riti adiafori, il battesimo una cerimonia inutile; la grazia, la risurrezione, l'inferno, il paradiso fole superstiziose; insomma tutto l'ordine soprannaturale un sogno.
La trasformazione delle verità rivelate in verità razionali, detta necessaria dal Lessing, ha raggiunto il naturale suo termine, che è l'ateismo. Feuerbach ha scritto che «la religione, alla fin dei conti, consiste nel riflesso dell'umanità, homo homini Deus:» lo Stirner ed il Marr hanno insegnato che ciascuno è Dio a sè stesso, homo sibi Deus. L'odierna società degli Amici protestanti, avente per corifei i tre pastori Uhlich, Wislicenius e Sachse, e per colleghi altri non pochi pastori d'Alemagna, chiama Dio un essere fittizio, e vuole che ognuno adori per Dio sè stesso.

VII.

Con ragione adunque, fino dal 1835, il ministro Gaussen, vedendo come le cattedre più illustri della Germania ripudiassero Cristo e lo predicassero un semplice grand'uomo, un Socrate giudeo, sclamava: «Gesù Cristo è annichilato, il Vangelo è perito!» ed a ragione il de Gasparin gridava pure ad alta voce: «la pluralità dei protestanti non è più cristiana!»
È rimasta celebre la lettera convocatoria del sinodo ecumenico-germanico-evangelico, raccoltosi, per ordine del re di Prussia, in Berlino, il maggio del 1848. Questo documento, di autorità somma, formatamente asseriva che ogni protestante luterano era nel bivio, o di rientrare nella Chiesa cattolica, insieme col Capo officiale del luteranismo, ossia il re; o di rigettare ogni domma, ogni suo fondamento ed ogni idea di unità e di comunione spirituale fra gli uomini. Meglio e più autenticamente di così non si poteva annunziare la finale ruina dell'edifizio religioso, eretto tre secoli prima da Martin Lutero.
Nè il sinodo giovò a concludere cosa che fosse, poichè tutto il succo che si spremè dalle infinite dispute discordanti e contradittorie fu il solito, che cioè si lasciava a ciascuno il diritto d'intendere e interpretare la parola di Dio a modo suo, aggiuntovi che i libri simbolici erano da riguardarsi come «espressione temporaria di una fede che non è più, e non ha forza d'imporre obbligo a veruno.» Di fatto a che pro stabilire norme di fede in un paese, nel quale, siccome ebbe a dire uno degli oratori, «da per tutto regna sovrana la incredulità, sotto forma di razionalismo e di panteismo negli alti ordini della società, e sotto forma d'indifferenza e di demagogia negl'inferiori; così che la deificazione del mondo e l'indiavolimento degli uomini vi va sempre crescendo»? A riprova di che un altro oratore soggiunse: che «nella città di Stettino, sette sopra i cento usavano ancora nei templi, e sopra 40,000 abitanti erano più di cento famiglie venute su senza i vincoli del matrimonio: in quella di Brema poi l'uso di battezzare i bambini era quasi caduto in dimenticanza.»
A' 6 di giugno del 1877 fu aperto il sinodo del distretto ecclesiastico di Berlino-Köln-Stadt; ed il suo preside, nel rendere ragione delle condizioni della diocesi, lamentò dolorosamente «il diminuire continuo dei battesimi e de' matrimonii religiosi e l'abbandono della Chiesa Nazionale.» Or chi crederebbe che, proprio in questo sinodo, per rimedio a tanto male, il consiglio della Chiesa evangelica di Luisenstadt propose non altro, che l'abolizione del simbolo degli Apostoli, che è dire di tutta quanta in corpo la fede cristiana?
A buona legge purtroppo, in quell'anno, l'imperatore Guglielmo, a' suoi ministri di Stato raccolti intorno a sè, manifestò quanto egli vivesse inquieto, per gli sforzi dissolventi fatti palesi nel campo religioso e sociale. Ma il pastore evangelico Schülter, esponendo poco dopo in un suo opuscolo i segni di morte nella Chiesa officiale prussiana [18], si fece a provare che neppure il summus episcopus dei luterani, vale a dire il medesimo imperatore Guglielmo, con tutti i suoi rammarichi, avea più potenza d'impedire il rapido sfacelo del protestantesimo. Conciossiachè, soggiung'egli: «una Chiesa, nella quale la fede in Cristo e la negazione di Cristo hanno gli stessi diritti, d'altro non può essere annunziatrice, se non di morte, d'altro apportatrice, se non che di pestilenziale corrompimento.»
Se pertanto è vero, com'è verissimo, che l'opera loda il maestro, tutto quello che, per sommi capi, abbiamo più tosto indicato che narrato e di Martin Lutero e della sua Riforma, fa palese che egli fu degno di averla operata ed essa degnissima d'averlo avuto per autore.
Mentre scriviamo, i giornali tedeschi ci recano la notizia, che le prime feste del centenario genetliaco di fra Martino in Germania, sono state seguite dall'incendio, in Eisleben della casa ov'egli nacque, ed in Vittemberga della chiesa in cui fu sepolto. Quest'incenerimento dei luoghi ne' quali colui ebbe la culla e la tomba sembra a noi un singolar caso, raffigurante il termine odierno della sua impresa. Tutto è ridotto in cenere. Dovechè quella Chiesa cattolica, con a capo il Romano Pontefice, che l'impresa luterana era sorta ad annichilare, fra queste mute ceneri, sfolgora piena di luce, di vita, di gloria e di fecondità nell'universo mondo; e coll'unità sua meravigliosa, colle opere sue stupende e colle sue indeficenti vittorie, grida a tutti i sedenti nelle tenebre dell'errore e nell'ombra della morte: Qui me invenerit, inveniet vitam et hauriet salutem a Domino. [Pr. 8, 3, N.d.R.] Volete un altro argomento di credibilità, che io sono fattura delle mani di Cristo-Dio, ed il protestantesimo è bruttura delle mani di Satana? Guardate come vivo io, quattro secoli dopo la nascita di Lutero; e guardate come sia morto, colla sua Riforma, Lutero, tre secoli e mezzo dopo ch'egli si vantò di volere spegnere me, nel Capo mio visibile, il Papa. Se non credete alle parole, credete ai fatti.

VIII.

Un grandissimo numero di persone che, nell'Italia segnatamente, hanno spalancati gli occhi per meraviglia delle cose magnifiche, intese o lette dalla bocca o dalla penna del nostro liberalismo, nella ricorrenza del suo centenario, ad onore e gloria di Martin Lutero, pochissimo o nulla conosce della sua storia e di tutto ciò che colla sua Riforma si collega. L'ignoranza poi per giunta delle verità religiose e delle controversie e degli avvenimenti d'ogni sorta, a cui questa Riforma aperse il campo, li rende al tutto incapaci di niente giudicare col loro capo e di niente apprezzare col senso naturale e cristiano, che pure a molti di essi non manca.
Noi però vorremmo che, nel frastuono dei panegirici, concludessero per lo meno dalla qualità dell'encomiato a quella degli encomiatori. È lecito dir della lode quello che dell'amore: amor aut similes invenit, aut facit. Tra i simili è, come la lode, così l'amore. Più si studia Lutero, e più si scopre ch'egli visse d'odio implacabile e feroce, di un odio, come ben si esprimeva Louis Blanc, «che in nome di Dio comandava le opere [19]»; per contrapposizione a Gesù Cristo, il quale, essendo Verbo di amore, vive d'amore e, nel nome del suo Padre celeste, comanda l'amore operante. Or tutto l'odio, che attossicava il cuore di Martin Lutero, si accoglieva in un oggetto unico: ed era il Papato. Mai, ne' secoli cristiani, non è stato al mondo uomo che abbia così diabolicamente odiato Cristo vivente in Pietro, come Lutero lo ha odiato. Qnest'odio, che sembra aver toccato i confini del possibile in petto umano, avvegnachè insatanassato, fu quello che si direbbe carattere individuante, forma ed essenza del suo spirito.
Si osservino gli odierni suoi lodatori, i celebratori del suo centenario, fra noi in Italia, chi son eglino? I suoi simili, cioè tutti, nei varii lor gradi, i nemici del Papato: tutti coloro che, sotto pretesto di libertà e di civiltà, ripudiano Cristo vivente in Pietro, o ne disconoscono i diritti, o ne spregiano le prerogative, o ne desiderano stremata la potenza, o si adoperano a impiccolirne la divina grandezza.
Qui è tutta la ragione dei festeggiamenti, o degli elogi. S'inciela Martin Lutero, non perchè sia stato un grand'uomo, chè per gran matto e gran briccone, conforme si diss'egli, tutti i non ignoranti lo riconoscono; ma perchè, sebbene gran matto e gran briccone, avviò quella guerra al Papato, che si spera debba far capo al pieno trionfo d'una civiltà anticristiana, e farà capo invece, se Dio non interviene con mano onnipotente, al pieno trionfo del socialismo.

NOTE:

[1] Quatre prêtres au XVI siécle, Revue du Deux-Mondes, IV série, tom. XXIX
[2] Schol. super primam dom. Advent. Serm. conv. Germ. In Epist. pr. ad Corinth. XV Collez. fol. 234.
[3] Comment. in sec. Epist. Petri, c. 2. –– Catechism. Eccl. Genev. praef. –– Serm. X, XXX, super Epist. ad Ephes.
[4] Epist. ad Myconium, an. 1528; ad Camerarium, an. 1548; ad Nicol. Buscoducensem, an. 1547. Op. lib. IV, Epist. CIV, CXXXV.
[5] Lettre à Mad. de Brinon, pag. 173.
[6] Epist. ad princip. Anhalt.
[7] Audin, tom. II.
[8] Presso Mattesio, Serm. XII super Luth.
[9] Exam. pol. confess. August. pag. 163.
[10] Rohrbacher, St. univ. della Chiesa Cattolica, lib. LXXXIV.
[11] V. Civ. Catt. questo volume, pag. 127.
Tra le insigni opere di scrittori cattolici, pubblicatesi nella Germania, per questa congiuntura del centenario di Martin Lutero, merita di essere raccomandata questa così intitolata: Reformatorenbilder. Historische Vorträge über katholische Reformatoren und Martin Luther, von D.r Constantin Germanus. Herder in Freiburg, Baden, 327 pag. gr. 8. Con istile lucido e pacatissimo, l'Autore, che si mostra versatissimo nella Storia ecclesastica e di sagace criterio, oppone al riformatore, che diede origine e incremento al protestantesimo, i veri riformatori cattolici, vale a dire i grandi santi della Chiesa cattolica, che riformarono davvero, non già la Chiesa, essenzialmente irriformabile, perché divina nella sua fede e nella sua costituzione, ma i fedeli: mialiorandone la vita e i costumi. Bellissimo è il quadro dei santi riformatori che mette a riscontro dei padri dell'apostasia moderna; di san Gregorio Magno, del beato Canisio, di san Carlo Borromeo, di san Vincenzo de' Paoli e dell'altra schiera che segue a proporre nella settima ed ottava delle sue conferenze. Noi pensiamo che si farebbe opera molto vantaggiosa ancora all'Italia, ove questo prezioso libro si traducesse e divulgasse fra noi. Si vende al prezzo di fr. 5.
[12] V. Rohrbacher, op. cit. lib. LXXXVII.
[13] Histoire de la guerre de trente ans.
[14] Révolution française, tom. I.
[15] Histoire de la civilisation en Europe, leçon XII.
[16] Op. tom. II. f. 369, ediz. di Iena, 1560.
[17] Die Christl. Glaubenslehre, tom. II, pag. 624.
[18] Lipsia, 1877.
[19] Op. cit.

19 commenti:

  1. Dal momento che la Chiesa conciliare è un "quasi luteranesimo", perché meravigliarsi che ne parlano bene?

    Paradosi

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    1. La meraviglia non è tanto per la notizia, che riportiamo per amore di informazione (ed informazione volta a metter in evidenza il vero volto di questa Chiesa conciliare sempre più manifestamente rinnegatrice di Cristo), quanto per la scandalosa sfacciataggine con cui annunciano allegramente progetti di commistione con i peggiori eretici e scismatici che siano in circolazione.

      Questo dare scandalo da parte della Gerarchia è un immenso peccato di tradimento pubblico, che grida di fronte a Dio e al suo Figlio Unigenito, morto in Croce per difendere la Verità e con Essa salvarci dalla dannazione.

      Quello di cui non dovremo meravigliarci saranno le immani sofferenze che ci aspettano tutti, per gli sconvolgimenti a livello mondiale, che presto saranno messi in atto dai servi del diavolo, aiutati in questo da QUESTI gravissimi peccati di controtestimonianza della Chiesa, che non possono che attirarci i castighi divini. La corda sta per spezzarsi.

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  2. "Quando avremo insozzati coi nostri escrementi quelli che ora ci opprimono, essi adoreranno il nostro sterco e lo avranno in conto di balsamo".

    Questa frase di Lutero sembra una profezia sulla Chiesa conciliare.

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    1. Questa frase, che è di una malafede agghiacciante, lo certifica esattamente per come è stato definito nel titolo del thread: un satanasso.

      Mette i brividi pensare che i personaggi che oggi la nuova Chiesa venera e definisce maestri di spirito, siano dei diavoli, che già arrostiscono da un pezzo nell'Inferno.

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    2. Una Chiesa che non è più in grado di riconoscere gli angeli dai diavoli ha cessato al sua funzione e si è perfettamente allineata con il mondo.

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  3. TROVO SCRITTO:

    Anno della fede

    Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede.

    Per tutti i credenti, l’Anno della fede offrirà un’occasione propizia per approfondire la conoscenza dei principali Documenti del Concilio Vaticano II e lo studio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Ciò vale in modo speciale per i candidati al sacerdozio, soprattutto durante l’anno propedeutico o nei primi anni di studi teologici, per le novizie ed i novizi degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, così come per coloro che vivono un tempo di verifica per aggregarsi ad un’Associazione o a un Movimento ecclesiale.

    __________

    Osservo: mi sarei aspettato che l'anno della fede fosse l'occasione per approfondire e vivere con più intensità le esigenze evangeliche, incrementare la preghiera, ecc. Approfondendo i documenti del concilio Vaticano II, come se non lo si fosse stato fatto fin troppo in questi anni!, si continua a ricadere nello stile conciliare di sempre, stile, in definitiva, che promuove l'apertura al mondo e quell'ecumenismo di cui questo post parla.

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  4. Il Concilio Vaticano II trionferà!!!

    Conciliari alla riscossa

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    1. Lo sta già facendo. la parabola vaticanseconda ricorda quella del Bonaparte, salvo la gloria. Rimangono quelle piccole Boulogne e Trafalgar che sono i Cattolici di tradizione, a far da spine nel fianco. "quando aveva l'armata in attesa a Boulogne, qualcuno disse a Napoleone che vi sono onde amare in Inghilterra" affermò Churchill nel suo famoso discorso ai Comuni del 1940; il discorso passò alla storia col titolo "we shall never surrender", non ci arrenderemo mai. Esattamente come noi tradizionalisti. Un giorno pagheremo la Tarsu sulle carogne di roncalli montini e wojtyla che faremo smaltire in discarica, e sarà dì di festa.

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    2. Scandalooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
      Delle sacre reliquie lei si permette di chiamarle carogne?????????????????
      Questo blog è da chiudere tutto ciò è intollerabile!!!!!!!!!!!!!!

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    3. Ma come: non sa Ella che le reliquie valevano solo nello scuro, buio e bieco medio evo? La Luce conciliare è decisamente contraria a queste cose. Ergo, smaltimento differenziato.

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    4. Capisco tutto, ma la Luce eterna di Gesù Cristo e della Sua santa Dottrina Cattolica, che è dall'inizio della Chiesa e resterà per sempre, impone sempre e comunque il rispetto.
      Le salme di coloro che furono battezzati in Cristo, in qualunque modo vissero, vanno rispettate...

      Più che moderare i posts.. io modererei i pensieri, nel loro nascere dal profondo del cuore...

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  5. Sono convinto che se gran parte dei fedeli cattolici, invece di bere ogni cosa che esce dal Vaticano,chinando il capo obbediente e plaudendo gioiosi ogni iniziativa, LEGGESSE queste informazioni su Lutero e quanto scriveva, o si informasse al proposito,

    comincerebbe ad avere seri dubbi sulla lealtà del papa alla Chiesa Cattolica !

    Ma per molti è meglio non sapere e non informarsi poichè la deresponsabilizzazione è più comoda e meno impegnativa.

    La riuscita del comunismo è dello stessa logica: delegare altri della propria responsabilità è il sistema più comodo per non pensare e credere di tacitare la propria coscienza di esseri liberi e pensanti.
    Così il Signore ha permesso il comunismo alle masse che non volevano riflettere.

    Così il Signore permette l'apostasia dei vertici della Chiesa, poichè la massa dei fedeli non vuole capire perchè anche se informata non vuole reagire, ma delegare al papa-papà ogni responsabilità ed autorità (anche su quel che non può competere a lui: vedi trapianti, storia della schiavitù e baciamenti di corano ecc. ecc.).

    Ecco perchè un Ratzinger, bellamente e candidamente offre, su un piatto d'argento, ai seguaci moderni di un satanasso, le chiavi della chiesa cattolica per un bel meeting cui chiedersi scuse reciproche, pacche sulle spalle e via verso la programmata chiesa universale (il cui motto è:tutti insieme verso l'Inferno)

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  6. molto piacere sono evangelico non cattolico e me ne vanto per un solo motivo,noi evangelizziamo ovunque e perdiamo la faccia voi pre e post conciliari come vi chiamate compresi tutti i gruppi e movimenti presenti fate solo assistenzialismo,belle messe belle chiese fede zero.

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    1. Almeno eviti l'ipocrisia dì dire molto piacere, poiché lei non prova evidentemente alcun piacere a parlare con noi cattolici; del resto il suo disgusto è pienamente ricambiato. Riguardo al suo arditissimo 'fede zero', questo è certo vero se si riferisce alle quattro balle eretiche in cui crede stupidamente lei; riguardo invece alla Fede Cattolica, che è la sola vera, alla quale lei deve convertirsi per salvarsi, ebbene su questa Santa Fede ci giudicherà il nostro Maestro e Capo, Cristo Gesù, non certo l'inutile ugonotto che lei mostra di essere. Se proprio vuol giudicare qualcuno, inizi con sé stesso, e vada a fare la piattola su qualche sito eretico in mezzo ai suoi amici dannati. Riccardo da Aosta

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    2. Su questo blog ha intrapreso la strada giusta per aderire all'unica Chiesa di Cristo quella cattolica, non c'è ne sono altre: ragioni, rifletta si converta e perseveri e sarà salvo!
      CVCRCI

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    3. con ritardo rispondo:prima di tutto caro riccardo da aosta come cattolico sei un grande cafone nel modo rozzo espresso nella parte finale,sarò anche una piattola come dici tu, ma ho l'impressione di essermi imbattuto per mia sfortuna in un sito che mi sa tanto di fariseismo, bizzochismo,ma probabilmente masochisti, ma che confessate ai preti i vostri sensi di colpa? caro sStefano tu inizia a confessare la tua mania di onnipotenza e convertiti seriamente compresa a .rita,fate penitenza seriamente piegfate le ginocchia,la vostra fede e solo un grande indottrinamento tutto situato dietro alla testa.prego per voi.

      Elimina
    4. Egregio signore,
      quando argomenterà concretamente e nel dettaglio quello che non condivide, entrando nel merito dei contenuti espressi, magari seguirò i suoi consigli...

      Finora ha soltanto sparato giudizi su tutti, uno dietro l'altro, senza spiegarne le motivazioni reali, e si è limitato ad esprimere le impressoni personali della sua testa...nulla di concreto e reale.

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  7. "Evangelizzare ovunque" NON BASTA! Bisogna predicare la Verità degli insegnamenti di Cristo, e non le eresie partorite dai satanassi come quello di cui sopra. Altrimenti anzichè "evangelizzazione" diventa solo spargmento di menzogna, che fa del male al prossimo e non del bene.

    Di conseguenza "perdere la faccia" per dire menzogne è da gente quanto meno ingannata ed illusa. Nella migliore delle ipotesi una perdita di tempo.

    Quanto alla condizione e alla fede dei pre e post conciliari, lei non sa proprio niente, parlando dal "nulla" dei suoi pregiudizi.

    Taccia, pensando che lei la Messa non ce l'ha, né bella né brutta, e rifletta allle parole di Cristo il Quale disse che "Chi non mangia la Mia Carne e non beve il Mio Sangue, non ha in sè la Vita". Quindi cerchi di convertirsi, se vuole la Vita eterna. La saluto in Cristo +

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