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domenica 5 settembre 2010

La conversione dell’ebreo rivoluzionario (parte I)...

ebreo-riv Il 15 giugno 2006 l’Assemblea Generale della Chiesa Episcopaliana degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione di condanna dei Vangeli, giudicati documenti «anti-giudaici». La conclusione che gli episcopaliani ne hanno tratto è stata di censurare le Scritture, in particolare nel loro uso liturgico, rimuovendo ogni accenno che un ebreo potesse trovare offensivo. Per questo motivo, non pochi fra di loro hanno concluso che si è così consumata l’apostasia finale, ultima di una serie iniziata alla conferenza di Lambeth del 1930, quando la Chiesa Episcopaliana approvò l’uso dei contraccettivi.

Se questo sia vero o meno non c’interessa discuterlo in quest’occasione. A prescindere da quali siano state le conclusioni degli episcopaliani, bisogna ammettere che l’affermazione che i Vangeli siano antigiudaici è vera, oltre ogni dubbio. La vera domanda è perché gli episcopaliani abbiano impiegato duemila anni per ammettere questo fatto o perché non siano giunti ad una conclusione ancora più logica, e cioè che se vogliono essere fedeli all’esempio di Gesù Cristo anche loro devono nutrire, in qualche modo, sentimenti antigiudaici. Sia chiaro: gli episcopaliani non hanno affermato che le Scritture sono antisemite; se lo avessero fatto, la loro affermazione sarebbe stata falsa.

«Antisemitismo» è una parola relativamente recente, coniata nel 1870 da un tedesco di nome Whilhelm Marr, che si riferisce al concetto di razza, e implica che gli ebrei sono da biasimare a causa di certe caratteristiche biologiche non emendabili. Questa è l’idea che ha condotto a Hitler, ma la sconfitta di Hitler ha portato anche ad una ridefinizione della parola, se è vero che «antisemitismo» oggi ha un significato completamente differente: se un tempo l’antisemita era una persona che non amava gli ebrei, oggi è qualcuno che gli ebrei non amano. Nessun cristiano, in buona coscienza, può essere un antisemita ma ogni cristiano, per il fatto di essere tale, è in un certo qual modo «antigiudaico».

Nel linguaggio comune i due termini sono praticamente sinonimi ma il loro significato è molto diverso, e la loro differenza viene deliberatamente oscurata per motivi politici. Il 16 ottobre 2004, il presidente Bush ha approvato come legge il «Global Anti-Semitism Review Act», che istituisce uno speciale ufficio all’interno del Dipartimento di Stato statunitense per monitorare l’antisemitismo mondiale, con lo scopo di redigere un rapporto annuale indirizzato al Congresso. Uno dei passi principali per rendere effettiva la legge è stata la nomina, da parte del Segretario di Stato Condoleeza Rice, il 22 maggio 2006, di Gregg Rickman quale capo dell’ufficio del Dipartimento di Stato sull’Antisemitismo Mondiale. Rickman è un personaggio collegato con le organizzazioni ebraiche e con il Congresso, ed è stato direttore dello staff dell’ex senatore Peter Fitzgerald (repubblicano dell’Illinois) e direttore della Coalizione Ebraica Repubblicana (Republican Jewish Coalition).

La sua principale qualificazione per ricoprire quella funzione però è stata il ruolo che ha giocato, in collaborazione con il senatore Alfonse D’Amato (repubblicano del New Jersey), per il recupero di 2 miliardi di dollari dalle banche svizzere alla fine degli anni Novanta. «Gregg Rickman, al tempo in cui collaborava con il senatore D’Amato, quasi da solo, ha svelato la corruzione e l’immoralità delle banche svizzere», ha affermato William Daroff, vice presidente per le relazioni politiche dell’«United Jewish Communities», l’organizzazione-ombrello delle federazioni ebraiche nordamericane, e direttore del suo ufficio di Washington; «secondo i rappresentanti di gruppi che fanno da collegamento fra Washington e le piccole, vulnerabili, comunità ebraiche d’Oltreoceano, il suo fiuto da segugio sarà utile anche nel suo nuovo incarico». Rickman non dovrà darsi pena di definire l’antisemitismo perché l’ufficio del Dipartimento di Stato in cui presta la sua opera si è già occupato della faccenda.

Nel suo «Report on Global Anti-Semitism» e nel suo «Global Anti-Semitism Report», il Dipartimento di Stato statunitense ha stilato una lista delle convinzioni che vanno considerate antisemite:

1) qualunque affermazione secondo la quale «la comunità ebraica controlla il governo, i media, il business internazionale e il mondo finanziario» va considerato antisemita.

2) «Un forte sentimento anti-israeliano» va considerato antisemita.

3) «Ogni vivace critica» dei leader israeliani, del passato o del presente, è antisemita. Secondo il Dipartimento di Stato, si ha antisemitismo quando viene rappresentata una svastica in una vignetta critica nei confronti dei leader sionisti del passato o del presente. E così, andrebbe considerata «antisemita» una vignetta su cui appare una svastica, critica nei confronti della brutale invasione, da parte di Ariel Sharon, della West Bank, rappresentato mentre scaglia missili «hell-fire» sui poveri palestinesi uomini, donne e bambini. Allo stesso modo sarebbe «antisemita» l’uso della parola «Zionazi» in riferimento ai bombardamenti a tappeto ordinati da Sharon nel 1982 (quando furono uccisi 17.500 rifugiati innocenti).

4) Ogni critica della religione giudaica o dei suoi leader religiosi o della sua letteratura (specialmente il Talmud e la Kabbalah) è antisemita.

5) Ogni critica del governo e del Congresso degli Stati Uniti accusati di essere influenzati indebitamente dalla comunità ebraica-sionista (compreso l’AIPAC) è antisemita.

6) Ogni critica della comunità ebraica-sionista, accusata di promuovere il globalismo (New World Order) è antisemita.

7) Il biasimare i leader giudei e i loro seguaci per aver incitato alla crocefissione di Cristo da parte dei romani è antisemita.

8) Ogni riduzione della cifra dei «sei milioni» di vittime dell’olocausto è antisemita.

9) Definire Israele uno Stato «razzista» è antisemita.

10) Affermare che esista una «cospirazione sionista» è antisemita.

11) Affermare che gli ebrei e i loro leader crearono la rivoluzione bolscevica in Russia è antisemita.

I criteri elaborati dal Dipartimento di Stato hanno delle ricadute serie per tutti. Quella più seria, forse, è che essi trasformano in «antisemiti» un buon numero di ebrei, che hanno fatto molte delle affermazioni sopra riportate in libri e articoli. Ma le definizioni del Dipartimento di Stato presentano altre serie implicazioni di tipo storico. Se consideriamo i numeri 4 e 7, per esempio, ci sembra che, stando ai criteri del Dipartimento di Stato, non soltanto i semplici cattolici ma i Papi e i Santi siano passibili dell’accusa di antisemitismo. Numerosi Papi, a partire da Gregorio IX nel 1238, hanno condannato il Talmud considerandolo un insulto blasfemo alla persona di Cristo e alla fede cristiana e hanno ordinato ai fedeli di confiscarne e bruciarne le copie. A proposito del punto 7, San Pietro, il primo Papa, ha affermato, negli Atti degli Apostoli, che gli ebrei furono responsabili della morte di Cristo. E persino nella «Nostra Aetate», la dichiarazione del Vaticano II sugli ebrei che ha aperto ad un’era di buoni sentimenti e di «ecumenismo», si ritrova l’affermazione che «alcuni ebrei» furono responsabili della morte di Cristo. Con il loro uso promiscuo del termine antisemitismo, Rickman e le sue coorti del Dipartimento di Stato hanno trasformato il tradizionale insegnamento cattolico in un crimine d’odio («hate-crime»).

A dispetto di quarant’anni di esagerazioni e di «chutzpah» da parte ebraica, certi fatti restano incontestabili. In primo luogo, la Chiesa non è, e non può essere, antisemita, perché il termine fa riferimento in primo luogo alla razza e all’odio razziale. La Chiesa non può promuovere l’odio razziale verso nessuno, e certamente non verso gli ebrei, considerando anche il fatto che il suo fondatore proveniva da quel popolo. Tuttavia, il Vangelo di Giovanni chiarisce che esiste una profonda e persistente animosità cristiana nei confronti degli ebrei che hanno rifiutato Cristo.

Questa «Judenfeindlichkeit», per usare un termine di Brumlik, è parte dell’essenza del cattolicesimo. La Chiesa è in posizione di antagonismo nei confronti degli ebrei perché essi si sono definiti come coloro che hanno rifiutato Cristo; essa assume dunque una naturale posizione anti-giudaica anche se ai cristiani viene detto di amare i propri nemici, a differenza di quanto viene detto agli ebrei per i quali, come ha spiegato rabbi Soloveichik sul periodico «First Thing» l’odio è una virtù. San Giovanni definisce «ebrei» coloro che hanno rifiutato Cristo, coloro che, in virtù di quel fatto, divennero nemici dei cristiani, distinguendosi da quelli che invece furono trasformati dalla sua venuta. Bisognava accettare Cristo come il Messia o rifiutarlo: i giudei che lo accettarono furono conosciuti come cristiani, mentre quelli che lo rifiutarono divennero noti, appunto, come «ebrei».

Gli «ebrei» rifiutarono Cristo perché fu crocifisso; loro non desideravano un servo sofferente ma un leader potente nel mondo. I loro capi Annas e Caifa, furono da esempio per tutti gli «ebrei» che lo avrebbero rifiutato in futuro quando dissero a Cristo che se lui fosse sceso dalla croce, loro lo avrebbero accettato come Messia. Di conseguenza, quei negatori di Cristo divennero rivoluzionari poiché risultava per loro impossibile accettare un Messia disposto a soffrire e a morire invece che a restaurare il regno secondo i loro desideri, cioè nel senso carnale della parola. Essi divennero rivoluzionari già ai piedi della croce, ma il significato vero della loro scelta si sarebbe chiarito 30 anni più tardi, quando si ribellarono contro Roma e Roma, per ritorsione, distrusse il loro Tempio.

Gli «ebrei» dunque si ritrovarono senza Tempio, senza sacerdozio né sacrificio, e con l’impossibilità perciò di adempiere al loro Patto. Prevedendo l’esito della battaglia, un rabbi che si chiamava Jochanan ben Zakkaui, riuscì a farsi portare fuori da Gerusalemme nascosto in un sudario.

Dopo essere stato riconosciuto amico di Roma, gli fu garantito il privilegio di fondare una scuola rabbinica a Javne. E’ proprio in questo momento, circa 30 anni dopo la fondazione della Chiesa, che è nato il giudaismo moderno così come lo conosciamo oggi. Gli «ebrei» avevano cessato di essere i figli di Mosé, fedeli alla pratica dei riti da compiere in rispetto del Patto, e pertanto il giudaismo si trasformò essenzialmente in una società di dibattiti, perché in mancanza del Tempio, questo era tutto ciò che restava loro. Il risultato di questi interminabili dibattiti sarebbe stato poi conosciuto come Talmud, e messo per iscritto nei sei secoli successivi. Il dibattito non servì a sradicare lo spirito rivoluzionario dal popolo ebraico. In molti sensi, anzi, esso lo intensificò, dato che insegnava l’attesa di un messia militante. E un messia di questo tipo fu identificato circa 60 anni dopo la distruzione del Tempio, nell’anno 136, quando Simon Bar Kokhbar si ribellò a Roma. Tutti i rabbini di Gerusalemme riconobbero Bar Kokhbar come il messia, e, quasi a dare la prova che il giudaismo etnico aveva perso ogni significato, gli ebrei cristiani furono espulsi perché non volevano riconoscerlo. L’espulsione degli ebrei cristiani, al tempo di Simon Bar Kokhbar, è la prova che gli ebrei non sono una vera entità etnica ma una costruzione teologica. Il fattore definitivo di giudaicità era divenuto il rifiuto di Cristo, che portò inesorabilmente all’assunzione di una posizione rivoluzionaria: rifiutando Cristo gli ebrei si trasformarono in rivoluzionari. Negli ultimi 2000 anni la Storia è stata una lotta tra i discendenti spirituali di due gruppi di ebrei: coloro che hanno accettato Gesù Cristo come Messia e coloro che lo hanno rifiutato. La Storia è diventata, in un certo senso, una guerra intestina ebraica, combattuta ai piedi della Croce.

Nell’autunno del 2003, Mahathir Mohammed, il primo ministro della Malesia, ha annunciato che «Gli ebrei governano il mondo con i loro complici. Riescono a far combattere e morire altri per loro». Mahathir è stato immediatamente denunciato come antisemita e accusato di «compiere atti d’ostilità e di terrorismo contro gli ebrei», nonostante sia evidente alla lettura del discorso che egli non abbia pronunciato nulla di simile e nonostante molti ebrei fossero d’accordo con lui.

Henry Makow, per esempio, è persuaso che il discorso di Mahathir avesse lo scopo di «combattere il terrorismo». Un altro ebreo che si sente in accordo con Makow si è espresso in un modo simile: è Elias Davidson, originario di Gerusalemme, che si dice certo che gli ebrei governino il mondo grazie ai loro amici. «Io stesso, come ebreo (ma oppositore del Sionismo) non ho bisogno che il primo ministro della Malesia, Mahathir Mohammed, mi faccia vedere ciò che dovrebbe essere ovvio ad ogni osservatore obiettivo, e cioè che gli ebrei effettivamente hanno un controllo sulla politica estera degli Stati Uniti, e che in questo modo influenzino in gran parte la condotta di molte nazioni… Lo stesso si può dire per l’affermazione che gli ebrei controllino il mondo. E’ ovvio che non controllano ogni singola azione; e ciò non significa comunque che ogni ebreo partecipi al ‘controllo’. Ma, ai fini pratici, l’affermazione di Mahathir ha un suo senso». Ciò che distingue ebrei come Davidson da altri come, per esempio, Stanely Fish, non è certo l’appartenenza etnica, e neppure quella politica, ma un diverso modo d’interpretazione degli enunciati. Davidson crede all’obiettività dell’affermazione: esaminando ciò che ha veramente detto il primo ministro della Malesia non vi riscontra nulla di antisemita: «»Mahathir non ha mai chiesto di discriminare gli ebrei, e tantomeno di ucciderli. E’ vergognoso paragonarlo agli accoliti di Hitler quando si limita a invitare i musulmani a combattere gli ebrei adottando metodi moderni, la tecnologia, l’educazione, in altre parole a sorpassarli in eccellenza. Cosa c’è di sbagliato in tutto questo? In questo modo, non fa che cercare il bene dei musulmani (più di un miliardo di persone) e dell’umanità. Gli ebrei devono stare al loro posto e contentarsi dell’influenza che dovrebbe derivare dal loro numero limitato. Gli ebrei devono imparare l’umiltà…». Gli ebrei, se con questo nome vogliamo indicare quella sorta di cricca che governa le comunità ebraiche sotto il nome di Sinedrio, Kahal, Politburo, ADL o altre importanti organizzazioni, hanno maturato un’esperienza di centinaia d'anni per trattare con ebrei eretici come Makow e Davidson.

Il modus operandi della dirigenza ebraica nei confronti degli ebrei dissenzienti risale agli inizi del giudaismo moderno, cioè al tempo di Cristo, quando, secondo il Vangelo di San Giovanni, i genitori del cieco nato rifiutarono di parlare «per paura dei giudei, che avevano già convenuto di espellere dalla sinagoga chiunque avesse riconosciuto in Gesù il Cristo». Qualunque ebreo avesse preferito il Logos, in tutte le sue forme, al Talmud, ideologia anticristiana elaborata dai loro capi per tenerli in schiavitù, sarebbe incorso nelle ire del giudaismo organizzato. Se ne accorse Spinoza nell’Amsterdam del 17 secolo. Se ne è accorto Norman Finkelstein ai giorni nostri. Siccome definire «antisemiti» gli ebrei che dissentono da altri ebrei suona contrario al buon senso, il moderno Kahal ha ideato un nuovo termine: quelli che dissentono dalla versione più recente del Kahal quando sono espulsi dalla sinagoga del politicamente corretto diventano «ebrei che odiano se stessi» («self-hating jews»). Il Kahal era un sistema legale autonomo creato dagli ebrei in Polonia per occuparsi del loro affari. Lo spirito che informava quel corpus legale era il Talmud.

Secondo la «Jewish Enciclopedia», il Talmud è «la suprema autorità nella religione… per la maggior parte degli ebrei». Il Talmud è «una sistematica deformazione della Bibbia», dove «l’orgoglio razziale, unitamente all’idea del dominio universale, viene esaltato sino alla follia… il rispetto dei Dieci Comandamenti non viene considerato un obbligo… e tutto è permesso nei confronti dei Goym…».

Ogni volta che ne hanno conosciuto il contenuto, i cristiani hanno condannato il Talmud come incompatibile con ogni ordine sociale. Ma anche ebrei convertiti al cattolicesimo dal tempo di Nicholas Donin in poi hanno condannato il Talmud. E lo stesso hanno fatto numerosi Papi, perché esso contiene un attacco diretto alla divinità di Cristo e alla legge morale di Mosé. Il Talmud è stato creato perché gli ebrei fossero tenuti in schiavitù dai loro capi; perché fosse loro impedito il contatto con il Logos, nella persona di Cristo o della Verità o del ragionamento basato su principi di solida logica. Addestrati a ingannare grazie al Talmud, gli ebrei hanno finito per ingannare se stessi e per essere burattini nelle mani di capi che li manipolano per i loro fini.

(Continua...)
Michael E. Jones

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