“Il Reno si getta nel Tevere”. Così intitolava la copertina del suo numero 59 la nostra rivista, riprendendo un’opera sul Vaticano II di Padre Wiltgen. Nel 1967, Padre Wiltgen voleva esprimere il fatto che le dottrine liberali e protestanti dei paesi del Reno si erano gettate – col Vaticano II – nelle acque romane e cattoliche del Tevere. Mi venne in mente quell’espressione non solo perché Joseph Ratzinger è originario di uno di quei paesi bagnati dal Reno, la Germania, e durante il Concilio fu teologo del cardinale Frings ed esponente di spicco dell’ala modernista al Concilio, ma anche perché impressionato dalle immagini che ritraevano Benedetto XVI a Colonia, proprio sul Reno, mentre si recava alla Sinagoga della città tedesca.
Da allora, gli avvenimenti si sono succeduti, ed abbiamo visto lo stesso Benedetto XVI passare il Tevere per recarsi alla Sinagoga di Roma.
In questo lasso di tempo, il teologo che contribuì al trionfo del Modernismo nell’aula conciliare, sta mettendo in pratica con costanza e fedeltà il medesimo programma di allora, come egli stesso ha d'altronde dichiarato fin dal giorno successivo alla sua elezione. Vediamo i punti salienti di questo programma conciliare.
Innanzitutto, Ratzinger non ha corretto ma ha anzi portato avanti – fedele a questa nuova ortodossia e nuova tradizione conciliare – il dialogo interreligioso approvato dal Concilio nella dichiarazione Nostra Ætate. Non è stato sconfessato “lo spirito di Assisi”, come lo dimostrano tra l’altro le visite compiute da Ratzinger alle moschee maomettane come alle sinagoghe israelite. Questo numero di Sodalitium si soffermerà su quest’ultimo episodio.
In secondo luogo, Ratzinger ha confermato e persino accelerato il movimento ecumenico nato nel protestantesimo, condannato dall’enciclica Mortalium animos di Papa Pio XI, e fatto proprio dal Vaticano II. Dopo l’iniziale entusiasmo (degli ecumenisti, naturalmente) detto movimento era entrato in un lungo periodo di stanca, se non di crisi, minato da interminabili incontri e discussioni che non approdavano a nulla, mentre il nome cristiano tendeva a scomparire sempre più nel nostro mondo secolarizzato. L’ancor breve governo (di fatto) di Joseph Ratzinger sembra averlo rivitalizzato con abbondanti iniezioni di “tradizione”. Non parliamo certo della divina Tradizione rivelata da Dio, incompatibile con l’eresia ecumenista, ma di un certo qual pan-tradizionalismo che Joseph Ratzinger sembra prediligere rivolgendo le sue attenzioni ecumeniche all’ala tradizionalista degli Anglicani, alle pretese “chiese ortodosse”, in primis quella Russa, e all’ala destra del protestantesimo, ovvero la “chiesa” luterana, basandosi sull’“accordo” siglato (e continuamente da lui ricordato) sulla Giustificazione, che pretende mettere d’accordo Lutero e il Concilio di Trento, il diavolo e l’acqua santa (cf Sodalitium, n. 48, p. 48). La visita di domenica 14 marzo al tempio luterano di Roma (che, come il tempio maggiore ebraico, è una conseguenza della libertà religiosa imposta alla Roma papale dai cannoni della breccia di Porta Pia), visita compiuta sulle orme di Wojtyla, il quale a sua volta si recò nel tempio luterano sulle orme di Lutero, consacra questa apertura ai luterani. Per concludere, l’ecumenismo ratzingeriano si estende anche – e logicamente – ai “tradizionalisti” cattolici della Fraternità San Pio X: il motu proprio sulla Messa cattolica definita “rito straordinario” dell’ordinario rito modernista, la levata delle scomuniche ai vescovi lefebvriani, l’inizio del dialogo ecumenico con la Fraternità San Pio X, inserisce ufficialmente detta Fraternità nel movimento ecumenico ed assicura a quest’ultimo una vigorosa cura di tradizionalismo; una sola condizione: che la verità venga considerata solo più come una opinione.
Infine, Ratzinger ha elaborato in maniera compiuta, per quel che riguarda i rapporti tra lo Stato e la Chiesa che il Concilio affrontava nella dichiarazione Dignitatis humanæ personæ, la dottrina della laicità positiva, che vede nella separazione totale tra Stato e Chiesa teorizzata dai fondatori degli Stati Uniti nel XVIII secolo, e prima ancora dai Padri Pellegrini, il modello ed il regime ideale da applicare ovunque. Lo Stato non deve riconoscere la sola unica vera religione, ma deve proteggerle e promuoverle tutte. Per lo Stato, la religione non è più un nemico da combattere – come nel laicismo giacobino – ma una benefica influenza da promuovere, anche qui ad una sola condizione: che nessuna religione pretenda, almeno nella vita pubblica e nell’ordinamento giuridico, essere la sola vera religione: l’unico, vero, grande nemico del nuovo laicismo, è l’INTEGRALISMO! Quello islamico, certo, ma anche quello cattolico, se mai cercasse di farsi sentire.
Chiamiamo le cose col loro nome: Ratzinger sta applicando – volens nolens, scienter vel non – il programma di quella che Mons. Jouin, approvato da Pio XI, chiamava la Giudeo-massoneria.
E questo, anche, nelle sue aperture alla Tradizione. Di questo può stupirsi solo chi non conosce il Modernismo; crede esso di aver trionfato con il Vaticano II, in realtà, il modernismo ha già perso, perché è la negazione della Verità. Ha già perso, perché la Chiesa lo ha condannato con l’enciclica Pascendi. Ha già perso, perché un cancro può certo distruggere e autodistruggersi, ma non edificare. A noi il compito di non cedere alle sirene conservatrici di chi vuole conservare il modernismo, per non essere coinvolti nella sua inevitabile rovina.
http://www.sodalitium.biz/index.php?ind=downloads&op=entry_view&iden=62
In Italia, dopo la caduta del potere temporale della Chiesa, si sviluppò un movimento cattolico particolarmente incisivo, che per tanti anni si batté a viso aperto contro i cattolici liberali e la setta massonica, rivendicando i diritti del regno sociale di Cristo. I cattolici intransigenti seppero fare molto e bene, poiché si mantenevano fedelmente ancorati al magistero della Chiesa. Non furono i nemici dichiarati a vincerli, ma il democratismo cristiano che, come un cancro maligno, si diffuse all’interno del movimento cattolico. Nacque così il modernismo sociale che, con l’aiuto e la protezione del modernismo religioso (basti pensare all’azione dell’allora mons. Giovanbattista Montini nella FUCI) riuscì a imporsi, cancellando quasi del tutto l’intransigenza cattolica. E così ai giorni nostri, dopo quasi un secolo da quegli avvenimenti, quando si parla di cattolici in politica si pensa unicamente ai democristiani, ritenendola l’unica via di presenza cattolica nella vita pubblica. L’unica opzione è la scelta tra i democristiani più progressisti, spregiudicati sino ad accettare alleanze con i partiti dell’estrema sinistra, e quelli più conservatori, che preferiscono allearsi con il centro-destra. Quindi vi è un unico democratismo cristiano, seppur con sfumature diverse, che ha soppiantato l’intransigenza cattolica e la difesa del regno sociale di Cristo.
Lasciando il modernismo politico e osservando il modernismo religioso, ritroviamo la stessa situazione. La Fede cattolica autentica è stata aggredita e poi offuscata dall’eresia modernista, che ha coronato i suoi progetti col Concilio Vaticano II. Oggi all’interno della Chiesa, la scelta non è tra i “modernisti” e i “tradizionalisti” (termini usati per semplificare il discorso) ma tra due schieramenti interni al modernismo: quello dei modernisti più progressisti e quello dei modernisti più conservatori.
Carlo Maria Martini o Dionigi Tettamanzi appartengono alla prima fazione: per loro il Vaticano II non è sufficiente e auspicano un Vaticano III e qualcuno, di idee ancora più radicali, è già idealmente al Vaticano IV o V… Martini o Tettamanzi predicano e scrivono quello che pensano, e pensano secondo i principi del modernismo che, come ogni pensiero soggettivista, si evolve di continuo. Vogliono bruciare le tappe, e dopo aver contribuito ad appiccare l’incendio modernista all’interno della Chiesa, sono insofferenti nei confronti di chi, piromane di ieri, oggi ha assunto i panni del pompiere. Se avessero combattuto nella prima guerra mondiale non sarebbero stati rannicchiati nelle trincee ma si sarebbero esposti al fuoco nemico. Insomma, sono fastidiosamente e sfacciatamente coerenti con l’opera di demolizione della Chiesa intrapresa dai loro predecessori.
Vi sono poi i modernisti cosiddetti conservatori, come Joseph Ratzinger. Cosa intendono conservare? Il Vaticano II e il post-Concilio alla luce della tradizione modernista. Non hanno fretta di arrivare al Vaticano III, poiché sono ancora inebriati dal traguardo raggiunto con Giovanni XXIII e Paolo VI; esultano nel ricordare le radiose giornate dell’epoca di Woityla, quando l’ortodossia del Concilio fu radicata tra i cattolici, anche grazie al “prefetto di ferro” della dottrina riformata. Nella grande guerra non avrebbero corso dei rischi, sono persone guardinghe, sanno aspettare, come seppero aspettare i Roncalli, a differenza dei Buonaiuti. Non amano le esagerazioni, gli errori di gioventù sono serviti a renderli prudenti, sanno che le rivoluzioni non si fanno in un giorno e neppure in una generazione.
La dialettica progressisti-conservatori ci prospetta la scelta tra i due schieramenti: le riviste del modernismo progressista, come Famiglia Cristiana, o quelle del modernismo conservatore, come il Timone; la “messa nuova” con chitarre e comunione in mano o la stessa “messa nuova” con canti gregoriani e comunione in ginocchio; il Vaticano II inteso per quel che è, cioè rottura col passato, oppure interpretato in modo fantareligioso come continuità con la Tradizione; il matrimonio dei sacerdoti auspicato da Martini o il matrimonio dei sacerdoti realizzato da Ratzinger (per i catto-anglicani)… E la lista potrebbe proseguire.
L’applicazione pratica di questo discorso si è vista con il 50° anniversario della morte di Pio XII. I “progressisti”, logici con le proprie idee, hanno ribadito la condanna morale di Papa Pacelli, si sono dissociati da un Papa che incarnava la Chiesa che hanno voluto demolire, seppellendolo con il suo magistero antimodernista. I “conservatori” hanno invece fatto buon viso a cattiva sorte. Non potendo ignorare l’anniversario hanno dipinto Pio XII come un precursore del Vaticano II e della riforma liturgica, facendo dire al povero Pontefice il contrario di quello che aveva insegnato, denunciato e condannato: “Per questo l’eredità del magistero di Pio XII è stata raccolta dal Concilio Vaticano II e riproposta alle generazioni cristiane successive” (Benedetto XVI ai partecipanti al convegno su Pio XII svolto alla Sala Clementina del Vaticano l’8/11/2008). Quindi l’eredità della Mystici Corporis, della Mediator Dei o dell’Humani Generis sarebbe la realizzazione di ciò che queste encicliche hanno proibito e condannato!
Il fatto che la quasi totalità dei cattolici non reagisca davanti a queste affermazioni è indice della perdita ormai generalizzata della fede. In questo contesto, l’ala conservatrice (sempre più euforica e intraprendente), è particolarmente insidiosa perché diffonde questi errori in ambienti dove (almeno teoricamente) dovrebbero nascere le reazioni alla demolizione della Chiesa. Invece i vaticanisti, i conferenzieri, gli scrittori della “destra conciliare” confondono le idee a tante brave persone e le intruppano nel vicolo cieco dell’accettazione del Vaticano II.
La situazione diventa ancora più complicata da quando Benedetto XVI ha incatenato il rito “tridentino” agli errori modernisti. È stato un vero colpo da maestro: innanzitutto perché è riuscito a imporre l’idea che la “messa nuova” sia davvero il rito “ordinario” della Chiesa, e che per i “tradizionalisti” (che l’hanno sempre bollata come la “messa di Lutero”) lo scopo da conseguire non sia più nella sua abrogazione, ma di ottenere qualche “nicchia tridentina” all’interno della vita ecclesiale ancorata al Vaticano II.
Inoltre il “motu proprio” tende a far passare come difensori della Messa di san Pio V quelle persone che in tutti questi anni non l’hanno mai difesa, anzi prendevano le distanze da chi la celebrava tra mille difficoltà. Se per 40 anni il rito della Messa era una linea di demarcazione ben precisa, ora il Missale Romanun diventa un’opzione all’interno dello schieramento dei modernisti conservatori. Ecco un esempio dell’unione ibrida tra rito vecchio e dottrine nuove: quest’estate mi è capitato tra le mani un bollettino diocesano, nel quale alla pagina 2 vi era l’avviso della “Messa di san Pio V” celebrata ogni domenica vicino al Duomo di quella città, e alla pagina 3 vi era il programma di una cerimonia di “gemellaggio” con una comunità luterana, all’interno del Duomo e alla presenza del “vescovo” locale.
Possiamo affermare che il “motu proprio” ha sancito la beffarda cancellazione dei 40 anni di combattimenti, di sacrifici, di drammi legati ai sacerdoti e ai fedeli che nel mondo intero hanno conservato la Messa Romana, malgrado la volontà di Paolo VI, dei due Giovanni Paolo e di Benedetto XVI. Chi era indifferente o addirittura contrario, ora è salito sul carro del (momentaneo) vincitore e viene presentato come l’unico interlocutore valido. Volete la Messa “tridentina”? Eccola “celebrata” in tale chiesa, da tale congregazione, da tale prelato, ovviamente prima o dopo le “messe ordinarie”, e sempre in comunione con Benedetto XVI. In questo modo si ingrossano le fila del “modernismo conservatore” e si indeboliscono quelle degli antimodernisti.
Per concludere: Ratzinger più che accogliere gli anglicani nella Chiesa romana, sta portando la Chiesa a una situazione simile a quella anglicana, con la “chiesa alta” (quella dei conservatori, magari col rito tridentino) e la “chiesa bassa” (quella dei progressisti).
È doveroso smascherare questa apparente opposizione tra coloro che, invece, aderiscono agli stessi errori già condannati dal Magistero dei Papi. La scelta non può essere tra due errori ma tra la Verità e l’errore. Purtroppo, tra il dire e il fare, c’è il mare dell’opportunismo, del rispetto umano, del compromesso, della superficialità, della rassegnazione.
Invochiamo allora la Santa Vergine Immacolata per essere protetti dalle lusinghe del serpente e dalla debolezza della carne, e rimanere così fedeli alla Fede: “siam peccatori, ma figli tuoi, Immacolata prega per noi”.
http://www.casasanpiox.it/Opportune_Importune_20.pdf
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