di Matteo Castagna
  Nei pressi di Verona, in Valpolicella, c’è una frazione che si chiama Fane, che dispone di una chiesetta piuttosto frequentata. Oggi il parroco è un giovane rumeno, che si è insediato da circa un anno. Da 20 anni, un  certo “padre” Tommaso frequenta la zona nel periodo che va da maggio a ottobre, amministra i “sacramenti”, celebra e con-celebra la “messa”. Poi, a detta sua, torna in convento.Il “padre” fu presentato alla parrocchia da una famiglia conosciuta del paese, dopo un viaggio nel perugino. Uomo maturo (vent’anni fa’ aveva 64 anni), dal fare gentile, dalle parole miti e molto pio, a detta dei residenti. Chiedeva la questua con tanta umiltà, tanto che nessuno gliela negava. Un “frate” stimato e benvoluto da tutti, insomma. Confessava i fedeli con altrettanta mitezza ed aveva una buona parola per tutti. Unica autentica “stranezza”, che evidentemente né ai parroci che si sono succeduti in questi lunghi anni, né ai parrocchiani, oramai fiaccati dall’imbarbarimento dottrinale conciliare, è parsa sufficientemente grave da risvegliare il torpore quotidiano: “egli confessava con accanto il cane, dicendo che in esso sopravviveva l’anima della sua cara sorella defunta. La metempsicosi in un animale è una stramberia induista, che, però è stata presa solo come un’ “eccentricità” di un anziano sacerdote, in quell’ambiente sedicente cattolico, che oramai sono le parrocchie. Saranno i buoni frutti dell’ecumenismo? Mah…comunque sia, a seguito di alcuni acciacchi, “frà” Tommaso viene ricoverato all’Ospedale del Sacro Cuore di Negrar. E lì, si scopronno gli altarini - come si dice da queste parti. Quell’uomo così mite, così pio, così buono, tanto da non potergli negare più d’un obolo, non risulta essere né frate né sacerdote. Un semplice laico ha, per vent’anni, senza alcun controllo, turlupinato un’intera comunità. Non si sa ancora se il soggetto sia un truffatore di professione o una persona incapace di intendere e di volere che esprimeva convintamente una vocazione repressa. Sicuramente, però, da una lato siamo davanti ad un grande attore e dall’altro alla sonnolenza della Curia, che pretende di poter controllare anche i peli nelle orecchie dei sacerdoti tradizionalisti, ma che non effettua neppure un controllino di fronte ad un finto frate, venuto da lontano, che in parrocchia ha fatto ciò che ha voluto.   
A bubbone scoppiato, il cancelliere della diocesi, si è precipitato a precisare che per quanto riguarda le confessioni, esse sono invalide perché un laico non può confessare, mentre per quanto riguarda le “messe” supplisce la Chiesa. E qui forse si potrebbe intuire che qualche ulteriore problemino dottrinale c’è sempre in Vescovado, che costringe il nostro parroco, don Floriano Abrahamowicz, recentemente accusato di non essere cattolico da mons. Zenti, vescovo di Verona, ad intervenire. Naturalmente in linea generale e strettamente teologica: “la Chiesa non può mai rendere valida una S. Messa celebrata da un laico. Se, invece, un sacerdote confessa senza giurisdizione, la Chiesa supplisce a questa autorizzazione mancante in determinate circostanze. Dunque e le messe e le confessioni sono invalide per assenza di sacerdote. Tuttavia per quanto riguarda la confessione, Dio tiene conto del desiderio del penitente di confessarsi a un sacerdote. Ma le Sante Messe rimangono invalide, al punto che devono essere rilette”.
Per render meglio l’idea, sempre don Floriano ricorda quel caso in cui in un convento, ai tempi di Pio XII, i frati celebravano utilizzando il sidro (vino di mele) al posto del vino d’uva. Mancando la materia valida non vi era Transustanziazione e tutte le Messe furono rilette. In questo caso, e’ evidente che un laico non possa consacrare. La “messa” è invalida, ma con questi presupposti, non state zitti e proni, cari parrocchiani, chiedete spiegazioni, svegliatevi, protestate.