Fonte: Tradizione.biz
Allorché Pietro disse a Gesù: "Ecco noi abbiamo abbandonato ogni cosa e ti abbiamo seguito; che cosa avremo noi?" Gesù rispose: In verità vi dico: non vi è nessuno che abbia abbandonato casa, genitori, fratelli, moglie e figli per amore del regno di Dio che non riceva molto più in questo tempo e nel secolo avvenire la vita eterna' (Le 18,28; Mt 19,27; Me 10,28).
Con queste parole Nostro Signore affermò che la vita dedicata al servizio di Dio, con la rinunzia alla famiglia e ai propri cari, avrà una ricompensa eterna.
Inoltre, nella discussione sorta a proposito del divorzio, quando i discepoli si mostrarono colpiti dai gravissimi obblighi e fastidi del matrimonio che il Maestro aveva loro esposto, gli dissero: "Se tale è la condizione dell'uomo verso la moglie non conviene sposarsi", Gesù rispose: "Non tutti capiscono questa parola ma solo coloro ai quali è concesso" (Mt 19,10). Egli spiegò che alcuni sono impossibilitati al matrimonio per difetto di natura, altri per la violenza e la malizia degli uomini, altri invece si astengono da esso spontaneamente e di propria volontà per il Regno dei deli e concluse: "Chi può comprendere comprenda". Con queste ultime parole Gesù "proclamò che il celibato è superiore al matrimonio quando sia scelto per uno scopo religioso in vista del Regno dei cieli, ma insieme avvertì che la sua scelta per questo scopo è libera ed effetto di una grazia divina"[1], infatti non tutti capiscono queste parole. Da queste parole e dalle precedenti è evidente il consiglio di Gesù di vivere in perfetta continenza per il Regno dei cieli, tanto che gli Apostoli vollero vivere così per primi, imitando il Divin Maestro. Si sa che alcuni o furono vergini, o quelli che prima erano sposati lasciarono tutto (come è citato sopra) incluse le proprie famiglie per seguire Gesù (Mt 19,27-29).
Possiamo dividere la pratica del celibato ecclesiastico in due periodi:
- il primo, dal I al IV secolo, in cui il celibato era in onore, sia nella Chiesa latina che nella Chiesa orientale, senza essere propriamente obbligatorio;
- il secondo, dal IV secolo fino ai nostri giorni, nel quale fu sottomesso a delle leggi più precise, molto più rigorose in Occidente che in Oriente.
Primo periodo: dal I al IV secolo
Però la Tradizione e diversi scritti storici ci dicono che, sin dall'origine del cristianesimo, molti sacerdoti, imitando Gesù Cristo, San Paolo e gli Apostoli, vissero in una continenza assoluta per elezione spontanea e desiderio di maggior perfezione, sebbene il celibato non fosse prescritto né dal Redentore né dagli Apostoli stessi[2]. In particolare molti ministri furono celibi e, quanto agli altri già coniugati prima dell'ordinazione, alcuni si astennero dall'uso del matrimonio e altri continuarono a coabitare con la moglie.
Col passare del tempo però la Chiesa iniziò ad esigere dai suoi ministri la continenza assoluta, perché non solo il clero, ma gli stessi fedeli capivano la necessità della verginità per celebrare i Sacri Misteri, al punto che il Concilio di Gangra dovette lanciare l'anatema contro coloro che pretendevano che non bisognava partecipare alle Messe dei sacerdoti sposati'.
In particolare, San Girolamo attestò che la pratica del celibato si era diffusa sia in Oriente che in Occidente; infatti, rispondendo a Vigilanzio, avversario dichiarato della continenza ecclesiastica, scrisse: "Cosa diventerebbero le Chiese d'Oriente? cosa diventerebbero le Chiese d'Egitto e di Roma, che non accettano che chierici vergini o continenti, o che esigono, quando hanno a che fare con chierici sposati, che questi rinuncino alle loro mogli?" San Cirillo di Gerusalemme scrisse: "Colui (vescovo, sacerdote o diacono) che vuole servire come conviene il Figlio di Dio si astiene dalla donna". Anche Sant'Epifanio affermava che il celibato era un costume generale al IV secolo; la Chiesa lo raccomandava e lo imponeva per quanto poteva poiché esso rispondeva al suo ideale ed era molto conveniente.
Dopo queste citazioni è ben diffìcile non riconoscere che il celibato ecclesiastico fosse in onore nei primi secoli dell'era cristiana.
Secondo periodo: dal IV secolo ai nostri giorni
In Occidente la testimonianza più antica riguardante il celibato ecclesiastico è il cano-ne 33 del Concilio di Elvira, presso Granada, verso il 300. Il testo è chiaro: "Tutti i Vescovi, sacerdoti, diaconi cioè i chierici votati al ministero (dell'altare) devono astenersi dai rapporti con le loro mogli e rinunziare ad avere figli, chiunque trasgredirà questa regola sarà deposto". Come diceva Pio XI questa legge supponeva una prassi precedente. Il can. 33 non era una legge nuova. Una novità in questo campo, con una tale retroattività della sanzione, contro diritti già acquisiti dal tempo dell'ordinazione, avrebbe causato una tempesta di proteste, in un mondo tutt'altro che digiuno di diritto[4].
Nel Concilio Romano del 386, papa Silicio promulgava una legge analoga, con l'intenzione di farla prevalere in tutta la Chiesa latina ed invocava a favore del suo decreto l'autorità tanto dell'Antico che del Nuovo Testamento. Proibiva formalmente la coabitazioni dei sacerdoti e dei diaconi con le loro mogli. I sacerdoti dell'Antico Testamento non erano tenuti alla continenza durante la durata del loro servizio nel tempio? San Paolo non dichiara che coloro che sono nella carne non possono piacere a Dio? I ministri che servono ogni giorno all'altare devono dunque rinunziare per sempre al matrimonio. Fu in questi termini che raccomandò il celibato a Himerio vescovo di Tarragona, il quale fu anche incaricato di comunicarlo a quasi tutta la Spagna. Il papa indirizzò una lettera anche ai vescovi d'Africa, come l'attesta il Concilio di Telepte nel 386 e, verso la fine del suo scrit-to, minacciò i contravventori di scomunica[5]. In realtà quando papa Siricio, dopo il Concilio Romano del 386, si applicò ad estendere a tutta la Chiesa la disciplina del celibato, già in vigore nel clero romano, trovò il terreno già preparato: i veri cristiani ne avevano capito la grande importanza, quindi egli non introdusse nulla di nuovo.
Qualche anno più tardi, papa Innocenzo I rinnovava i suoi avvertimenti nelle lettere che indirizzava a Vitricio di Rouen e ad Esuperio di Tolosa. Infatti egli affermava che questi ecclesiastici ".. .vengono costretti non solo da noi ma dalle scritture divine alla castità". Nel V secolo l'essenziale della legge ecclesiastica sul celibato era già messo a punto; da allora la Chiesa non farà che difenderla contro i trasgressori e gli eretici puntualmente anticelibatari.
L'Africa, la Spagna e la Gallia si impegna-rono risolutamente nella via che tracciava la Chiesa romana. I Concili di Cartagine, del 390 (can. 1) e del 401 (can. 3), minacciarono la pena della deposizione ai ministri sposati che trasgredivano alla continenza. Nel Concilio di Cartagine del 419 il vescovo Genetlio disse che "tutti coloro che servono ai divini sacra¬menti siano continenti in tutto, per cui possa¬no senza difficoltà ottenere ciò che chiedono dal Signore; affinchè anche noi custodiamo ciò che hanno insegnato gli apostoli e che tutto il passato ha conservato". Da questa dichiara¬zione del Concilio di Cartagine risulta che anche nella Chiesa Africana una gran parte, se non la la maggior parte del clero superiore, era sposata prima dell'ordinazione e che dopo di essa tutti dovevano vivere in continenza. Qui un tale obbligo viene attribuito espressamente all'ordine sacro ricevuto e al servizio dell'alta-re. Inoltre lo si riporta esplicitamente ad un insegnamento degli apostoli e all'osservanza praticata in tutto il passato (antiquitas) e la si inculca con la conferma decisa unanimente da tutto l'episcopato africano[6].
Papa Leone Magno scrisse, nel 456, al Vescovo di Narbonne, confermando quello che era stato deciso precedentemente ed este-e l'obbligo della continenza dopo l'ordina-zione sacra anche ai suddiaconi. Le regole date dai Papi e dai Concili in Occidente continuarono a reggere la disciplina del celibato anche se in periodi di crisi ne andò ecclissata la pratica, come, ad esempio, in Francia nel sec. Vili sotto Carlo Martello.
Dal sec. X fino alla seconda metà del sec. XII ci fu una caduta della disciplina ecclesia-stica. San Pier Damiani fu un paladino della rinascita del celibato ecclesiastico. Egli assecondò energicamente l'opera dei papi riformatori che ricondussero il clero al senso della primitiva disciplina. Soprattutto il fermo atteggiamento di San Gregorio VII ottenne un successo durevole con la lotta contro le investiture laiche, radice del male.
Dopo quel periodo ci si orientò a ritenere la legge del celibato come irritante (cioè, invalidante) il matrimonio contratto dai chie-rici negli Ordini maggiori, ciò che fu confer-mato da papa Callista II al Concilio Lateranse II (a. 1123, can. 7), e da Alessandro III (a. 1180). Così venne stabilito Yimpedimen-um ordinis, e così fu deciso irrevocabilmente e per sempre[7]. Alla crisi sviluppatasi con il rinascimento rispose il Concilio di Trento che riaffermò la legislazione precedente (Sess. XXIX, can. 19). L'istituzione stessa dei semi-nari, che data di quell'epoca, vi contribuì potentemente.
Altri movimenti anticelibatari sorsero all'epoca della Rivoluzione francese; più tardi da parte dei Vecchi cattolici; dopo la guerra del 1914-1918 in Cecoslovacchia e più tardi in Germania (1940).
La condotta della Chiesa di fronte a questi episodi è stata ferma e perentoria. Si vedano, ad esempio, le encicliche di Gregorio XVI Mirarì Vos, di Pio IX Qui Pluribus; di San Pio X Pascerteli; di Pio XI Ad catholici sacerdotii.
La Chiesa Orientale
Mentre a partire dal IV sec. in Occidente la disciplina del celibato ecclesiastico tendeva a prendere una forma fissa, in Oriente la Chiesa greca si separava nettamente dalla Chiesa latina nel modo di stabilirlo. Col Concilio in Trullo (o Quinisexto) del 692 si obbligava il Vescovo alla continenza assoluta; se era sposato, sua moglie doveva lasciare, a partire dalla sua ordinazione, il domicilio coniugale. Le disposizioni dei concili orientali, che riguardavano il clero inferiore, si differenziarono dalla disciplina introdotta da tre secoli nella Chiesa latina. Era proibito ai sacerdoti, ai diaconi e suddiaconi di sposarsi dopo la loro ordinazione, ma se erano sposati prima di entrare negli ordini erano autorizzati a usare del matrimonio. In seguito nelle chiese orientali scismatiche l'antica disciplina celibataria è andata allargandosi, mentre la maggior parte delle Chiese orientali rimaste unite o ritornate all'unione con Roma ha finito per accettare la disciplina dell'Occidente, anche se per alcuni cattolici, come i Maroniti e gli Armeni, Roma tollera che seguano l'antico costume greco[8].
Poiché alcuni ministri avevano rinunziato al matrimonio per essere al servizio di Dio, l'autorità ecclesiastica si mostrò per le loro mogli piena di cure. "Queste donne, che per il loro modo di vivere, hanno reso i loro mariti degni del sacerdozio, non devono essere abbandonate, neanche per l'amore della castità", scriveva papa Onorio in una legge del 420. Quindi tali consorti dovevano essere mantenute o dai ministri o dalla Chiesa. (Cod. theodos., e. XLIV, XVI".
San Paolino da Noia, Salviano di Marsiglia e qualche altro avevano dato l'esempio della riservatezza che gli ecclesiastici dovevano aver nei confronti delle loro mogli: vivevano con esse come dei fratelli e davano loro il nome di sorelle.
Obiezioni
Qualcuno afferma che è impossibile vivere in continenza. La risposta è che con la grazia soprannaturale niente è impossibile.
Contro coloro che dicono che la castità è nociva per la salute, ricordiamo che è un fatto acquisito e studiato da molto tempo, da molti professori di medicina e da esperti, che la continenza è per se stessa inoffensiva, anzi favori¬sce una riserva di forze, la longevità e le diver¬se forme di attività intellettuale[10].
A coloro che dicono che il celibato provoca disastri morali, rispondiamo dicendo che la Chiesa ha molte ragioni per mantenere su questo punto, con tanta insistenza, la sua legislazione tradizionale. Essa ha la preoccupazione della gloria di Dio e dell'onore del clero, vuole promuovere la santità dei fedeli e più ancora quella dei pastori. Se essa, con una energia calma e fiduciosa, mantiene il celibato è perché esso non produce solo frutti guasti, ma, al contrario, essa stima che questa legge austera è abbastanza ubbidita perché il bene che fa compensi il male di cui sarebbe l'occasione. L'incontinenza dei chierici fu una piaga di cui la Chiesa, in certi periodi soffrì crudelmente. Ma, nello stesso tempo in cui ci furono dei prevaricatori, ci furono sempre dei santi. Ogni secolo ne ha conosciuti. Erano spesso dei sacerdoti e dei religiosi eroicamente fedeli al loro voto di castità e questa rinunzia fu il primo sforzo del loro ascetismo, come la pietra angolare che sopportò tutto l'edificio della loro perfezione. Alla loro scuola si formarono delle élites numerose di discepoli che seguirono la stessa via, i quali senza arrivare alla gloria dei loro maestri lasciarono però un buonissimo ricordo.
Gli annali di ogni dioce¬si, di ogni ordine religioso contano a centinaia quelle persone consacrate, piene di abnegazione cristiana, che contribuirono alla santificazione delle anime e al miglioramento delle popolazioni. Accanto ad epoche che danno l'impressione di una decadenza penosa, altre offrono lo spettacolo di una meravigliosa ripresa. Non vi è niente di più rivelatore dell'azione dello Spirito Santo come quelle riforme successive che riportarono periodicamente i costumi ecclesiastici a un livello edificante.
Luterò scriveva: "Una vergine, una vedova, un celibe osservano il precetto di non soccombere alla concupiscenza con più facilità di una persona sposata che già accorda qualche cosa alla concupiscenza". Pochi anni dopo si sposava e induceva i sacerdoti, i monaci e le monache a fare altrettanto per liberarsi dalle loro tentazioni. Purtroppo il successo non rispose alle sue attese. "Niente può guarire la passione - scriveva nel 1536 - neanche il matrimonio", e sosteneva la sua tesi con commenti cinici. Secondo la testimonianza dei suoi contemporanei, gli spretati, che trascinati da lui si erano scelti delle mogli, non trovarono con esse l'antidoto ai loro vizi".
Se si vuoi rendere il clero migliore basta seguire di più i consigli tante volte ripetuti dalle autorità competenti. Che si sorvegli la scelta dei seminaristi, che si scartino dal santuario le vocazioni dubbie. San Pio X ci avverte che la qualità è più importante del numero: "È meglio mancare di pastori - scriveva al Metropolita del Venezuela - che di averne la cui perversità sia per il popolo cristiano una causa di rovina e non di salvezza". Il Concilio di Trento, basandosi su di una lunga esperienza e tradizione, insiste sulla necessità di formare, fin dalla giovane età, alla pietà e ai buoni costumi coloro che saliranno un giorno all'altare. In ogni caso l'essenziale è di fare dei nostri seminaristi e dei nostri sacerdoti degli uomini di carattere e di fede, padroni di sé stessi, che abbiano nel loro cuore un grande amore per Gesù, Maria e i loro fratelli.
Perché questa austerità per il clero? La risposta si riassume in due frasi: il celibato è più perfetto che il matrimonio e la Chiesa vuole questa perfezione per i suoi sacerdoti.
Che il celibato ecclesiastico sia superiore e preferibile allo stato coniugale - come abbiamo già detto - è un dogma insinuato nel Vangelo (Mt 19,10ss), chiaramente insegnato da San Paolo (I Cor. 7) e creduto da tutta la tradizione cattolica. San Tommaso d'Aquino[12] spiega che questo avviene perché il celibato mira a un fine più eccelso: l'amore e il servizio di Dio. Custodire la continenza richiede una virtù più alta che contrarre matrimonio. Non che il matrimonio sia cosa cattiva, un peccato, ma in generale non è la cosa migliore. "Il padre che sposa la figlia fa bene - dice San Paolo - colui che non la sposa fa meglio ancora" (I Cor. 7,38). La palma spetta dunque alla verginità.
La perfezione consiste nell'amare Dio, nella carità. Ricordiamo che la carità è la virtù soprannaturale che ci fa amare Dio al di sopra di tutte le cose e il prossimo come noi stessi per amor di Dio. L'uomo è tanto più perfetto quanto più la carità regna nel suo cuore, nella sua volontà. Così l'ideale sarebbe di pensare, parlare ed agire sempre sotto l'influenza di questa virtù celeste. Quaggiù la nostra povera natura non la realizzerà mai integralmente, ma dobbiamo fare degli sforzi e tendere alla perfezione, sviluppando sempre più in noi il regno della carità.
La carità richiede la castità come preparazione. Dio è così buono, così bello che il nostro cuore si fisserebbe spontaneamente su di Lui se non si lasciasse attirare dai beni inferiori. È l'attaccamento alla creatura che arresta lo slancio verso il Creatore. Il cristiano desideroso di elevarsi alla carità più pura taglia uno dopo l'altro i legami che lo trattengono in basso, tra i quali i piaceri dei sensi. Come abbiamo già detto, San Paolo spiega che le gioie e le sollecitudini del matrimonio, per quanto legittime, raffreddano il fervore della carità: "Colui che non è sposato ha cura delle cose del Signore, cerca di piacere al Signore; colui che è sposato ha cura delle cose del mondo, cerca di piacere alla moglie ed è diviso" (I Cor. 7,32)
"Ricerchiamo - dice Bossuet - il motivo per il quale il Figlio di Dio trova le sue più care delizie in un cuore vergine. È perché un cuore vergine si dona a Lui senza divisioni, non brucia per altre fiamme e non è occupato da altre affezioni"[13].
La castità è anche il frutto della carità. Quaggiù l'amore vive di sacrifici; disprezza per l'oggetto amato tutti i beni che non sono amore. Un cuore che è animato dall'amore divino arriva presto al desiderio, direi quasi al bisogno, di dedicare a Dio tutto ciò che ha e tutto ciò che è. La storia della santità cristiana si riassume in una serie di sacrifici che delle anime generose hanno fatto per Cristo, il quale per primo si era offerto per esse. Vi furono, si sa, dei santi sposati, ma la loro virtù a mano a mano che cresceva, cercava di staccarsi dalle gioie nuziali: quanti sposi e spose, desiderosi di perfezione, fecero il voto di considerarsi l'un l'altro come fratello e sorella! Possiamo citare come esempi Santa Brigida, Santa Edvige, San Nicola di Fliie, ecc. Il senso cattolico indovina d'istinto ciò che ha definito il Concilio di Trento: la continenza vale di più del matrimonio.
La Chiesa non teme di imporre ai suoi sacerdoti questo sacrificio e questo mezzo di perfezione: essa impone il celibato solo a coloro che sentono la chiamata di Dio e li ammette solo se vi consentono liberamente e ad un'età nella quale sanno quello che fanno.
Inoltre essa ha stabilito, con decreto della Sacra Congregazione dei Sacramenti (27/12/1935), che ogni candidato al sacerdozio è tenuto con giuramento ad attestare per iscritto che si astringe agli obblighi del celiba-to ecclesiastico[14].
Il sacerdote è il mediatore tra il cielo e la terra, tra Dio e il popolo[15]. Conviene che a questa funzione di intermediario corrisponda una santità personale fuori dal comune. La Chiesa vuole che i suoi ministri sorpassino in virtù i fedeli comuni: a giusto titolo li aiuta ad elevarsi obbligandoli ad una purezza più delicata. I rapporti del sacerdozio cristiano, sia con Dio che con il popolo, postulano il celibato: è lo stato che si armonizza meglio con le esigenze della sua missione. Il sacerdote è l'uomo della preghiera e la preghiera suppone un'anima libera, per quanto si può, dalla materia e dai suoi legami; la castità garantisce questa liberazione. Se San Paolo approva gli sposi che si separano per un certo tempo per meglio dedicarsi all'orazione, per il sacerdote, che deve pregare tutti i giorni, è conveniente che la sua continenza sia dunque perpetua.
I ministri sacri, però, non rinunciano al matrimonio unicamente perché si dedicano all'apostolato, ma perché servono all'altare[16],infatti il sacerdote è soprattutto l'uomo del sacrificio ed eccoci al centro della questione. La funzione principale del sacerdozio è di offrire il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Nostro Signore; conviene che il suo cuore non sia dato a nessuna creatura: "Perché siete i ministri e i cooperatori del corpo e del sangue del Signore - dice il vescovo a coloro che sta per ordinare diaconi - guardatevi da tutte le seduzioni della carne" (Pontificale Romanum, De ordinatione diaconi). Come abbiamo ricordato, i sacerdoti dell'Antico Testamento già dovevano astenersi dall'uso del matrimonio mentre servivano nel tempio (Lev 15,16-17), eppure i loro sacrifici non erano che una figura ed un'ombra: quanto maggiore non è la necessità della perpetua castità per i ministri di Gesù Cristo, i quali offrono ogni giorno il Sacrificio Eucaristico? Noi abbiamo adesso la realtà, i nostri sacerdoti sono ammessi ogni giorno all'intimità della Vittima immacolata. Come la Santa Vergine, essi rendono Nostro Signore presente al mondo, lo tengono nelle loro mani e lo danno agli uomini.
La Chiesa comprende male le sue preferenze quando ordina, a coloro che riprodurranno la mater-nità di Maria, di imitare in qualche modo la sua ineffabile purezza? Riguardo a questa perfetta continenza dei sacerdoti ecco quanto dice in forma interrogativa San Pier Damiani: "Se il nostro Redentore ha amato tanto il fiore del pudore intatto che non solo volle nascere dal seno di una vergine, ma volle essere affidato anche alle cure di un custode vergine, ciò quando, ancora fanciullo vagiva nella culla, a chi, dunque ditemi, vuole Egli affidare il suo Corpo, ora che Egli regna, immenso nei cieli?". La Chiesa orientale stessa, sebbene più tollerante su questo argomento della Chiesa latina, prescrive ai suoi ministri la continenza ogni volta che devono celebrare la Santa Messa; a maggior ragione questa prescrizione vale per i sacerdoti latini che la celebrano tutti i giorni.
Il sacerdote è sacerdote in ogni tempo e in ogni luogo. Soprattutto la confessione e la direzione delle coscienze esigono una venera-zione filiale dei penitenti verso il padre delle loro anime. Un simile sentimento non può nascere e durare che se il sacerdote appare in mezzo ai suoi figli spirituali come migliore di essi, più grande di essi, più vicino a Dio, libero dalle miserie che li appesantiscono. L'esperienza lo dimostra. Nei paesi d'Oriente dove risiedono sacerdoti sposati e altri votati al celibato, i penitenti preferiscono i confessori celibi e non si confessano da coloro che hanno una compagna che è partecipe delle loro confidenze.
Un parroco nella sua parrocchia deve essere l'uomo di tutti, che dispensa il suo tempo, i suoi soldi, le sue forze al servizio dei fedeli. E obbligato anche, quando le circostanze lo esigono, a dare la sua vita per il suo gregge. Lo farà se prevede che la sua morte renderà vedova sua moglie e orfani i suoi figli?
Il sacerdote deve essere apostolo. La Chiesa cattolica vuole estendere il regno di Nostro Signore a tutto l'universo. Finché resterà un paese in cui il Vangelo non è predicato, una tribù che ignora Gesù e Maria, dei missionari andranno verso questa terra e que-sto popolo a portare loro la Buona Novella. Il paragone tra l'Oriente e l'Occidente è istruttivo. Dal XV secolo e dalla scoperta di nuovi continenti, migliaia di missionari si sono sparsi nelle Americhe, l'Asia e l'Africa per impiantarvi la fede. Molti sono morti martiri, hanno conquistato a Gesù milioni di infedeli: erano dei sacerdoti latini votati al celibato. Il clero orientale non ha fatto niente o quasi niente in questa opera immmensa di evangelizzazione[17].
Per la legge del celibato, il sacerdote, ben lontano dal perdere interamente la paternità, l'accresce all'infinito perché egli genera figli non per questa vita terrena e caduca, ma per la celeste ed eterna"[18].
La castità è un dono della grazia, mai la Chiesa ha creduto che la natura decaduta potesse trionfare con le proprie forze di tutte le tentazioni della carne. I teologi insegnano che l'uomo, come è attualmente, non è capace senza la grazia di evitare per molto tempo il peccato mortale. La grazia trionfante è un dono gratuito della Bontà infinita. Il Signore non la rifiuta mai ai suoi sacerdoti, votati alla castità, che gliela chiedono sinceramente. Egli è troppo geloso della loro purezza verginale per privarli del soccorso che la protegge. Nel giorno della loro ordinazione Dio da loro le grazie che per tutta la loro vita li manterranno all'altezza dei loro doveri. La Chiesa li obbliga a dei mezzi che attirano la grazia: la preghiera e la Comunione. Senza parlare degli esercizi di pietà facoltativi, che sono inculcati sin dal seminario, e del ricorso umile e fiducioso alla SS. Vergine. In particolare la Chiesa ordina ai sacerdoti di recitare il breviario e permette loro di celebrare tutti i giorni la Santa Messa. Quasi tutti si sono imposti la celebrazione quotidiana, un'abitudine che è il segreto della loro castità. L'Eucaristia è il centro da cui si irradia la purezza del clero. È per la Santa Messa che il sacerdote deve essere perfettamente casto ed è per la Messa che può esserlo. Il Santo Sacrificio, con la comunione che l'integra, è una sorgente inesauribile di grazie sovrane, di quelle soprattutto che fanno germinare i vergini. Un sacerdote che dice bene la sua Messa al mattino è assicurato per la giornata di grandissimi soccorsi.
Se a causa di qualche ecclesiatico ci possono essere degli scandali, la realtà è che chi è fedele ai suoi doveri di stato è vincitore del nemico, che non può prevalere sulla grazia che Dio accorda a chi gliela chiede umilmente.
La legge del celibato ecclesiastico ha la sua radice e la sua ragion d'essere in Nostro Signore Gesù Cristo. Egli, dal quale non sepa-eremo mai la sua SS. Madre, è 1' anima di questa grave disciplina. È la sua Persona, la sua Dottrina ed il suo esempio che, fin dall'aurora del cristianesimo, ha fatto nascere nel fondo dei cuori sacerdotali il desiderio di una purezza infinitamente delicata; è Lui, presen-te nella SS. Eucaristia, che chiede ai suoi sacerdoti di conservarsi vergini solo per Lui; è Lui con la sua grazia che rende loro questo sacrificio possibile ed amabile[19].
[1] La Sacra Bibbia - G. Ricciotti - Salani Editore, 1958.
[2] L. Todesco, Storia della Chiesa, voi. II, Marietti, 1946.
[3] Dictionnaire de Thélogìe Catholique (DTC) tome II, Ilème partie, coli. 2072-74.
[4] A. M. Stickler, // celibato ecclesiastico, Libreria Editrice Vaticana, 1994.
[5] DTC, col. 2080.
[6] A. M. Stickler, op. cit.
[7] L. Todesco, op. cit.
[8] DTC, col. 2079.
[9] DTC, col. 2082.
[10] Dictionnaire Apologetique de la Foi Catholique (DA)- Beauchesne Ed., 1911, coli. 1054-57.
[11] DA, coli. 1060-61.
[12] Summa Theologica, II II q. 152 aa. 3 e 4.
[13] Bossuet, Sermon pour une profession, 14/9/1660, édit. Lebarq, t. Ili p. 531.
[14] Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, voce "Celibato ecclesiastico", col. 1264.
[15] SummaTheologica, III q. 22, a. 1.
[16] Pio XII - Encicl. Sacra Virgìnìtas - 1954.
[17] DA, col. 1049.
[18] Pio XII - Esortaz. Apostolica Menti Nostrae.
[19] DA, col. 1062.