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mercoledì 28 luglio 2010

Anglicanorum confusio



Riflessioni a margine della promulgazione della
Costituzione Apostolica Anglicanorum Coetibus
Pubblichiamo l'articolo di Don Davide Pagliarani
apparso su
La Tradizione Cattolica
(Rivista ufficiale del Distretto italiano della Fraternità San Pio X)
anno XX,
n° 4 2009  -  pp 8-15


Riteniamo che sia ancora troppo presto per valutare, in modo sereno e complessivo, la vicenda relativa all'istituzione di Ordinariati da parte della Santa Sede, finalizzata all'accoglienza di porzioni della chiesa (usiamo questo termine non in senso proprio, n.d.r.) anglicana che non si riconoscono più nella loro denominazione d'origine a causa della benedizione di unioni omosessuali e dell'amministrazione del sacramento dell'ordine - o presunto tale - a omosessuali dichiarati e a soggetti di sesso femminile.

Non è nostra intenzione entrare immediatamente in tutti i problemi che la Costituzione Apostolica ha sollevato; tuttavia è inevitabile interrogarsi sulla delicata questione del celibato ecclesiastico e delle relative ripercussioni che la situazione che si profila, quantunque definita transeunte, potrebbe avere.
Al contempo riteniamo che non sarebbe giusto passare sotto silenzio o minimizzare - a causa dei problemi contestuali - un dato indubbiamente positivo: la ricerca dell'unione con Roma da parte di una significativa porzione della chiesa anglicana.

Su questo ultimo dato intendiamo riflettere e spendere una parola, poiché esso tecnicamente parlando non è frutto dell’ecumenismo, il quale non prevede conversioni, e di conseguenza ha creato un certo disagio nelle grandi icone del dialogo interreligioso: il Card. Kasper infatti si è affrettato a leggere quanto accaduto alla luce della libertà di coscienza e non alla luce della necessità di ritornare all'unità cattolica. Si tratta di una lettura tipicamente ecumenica sulla quale ritorneremo prima di concludere.

Tuttavia prima di toccare questo punto, vorremmo riflettere un istante sui presupposti ecclesiologici che costituiscono il bagaglio dogmatico e spirituale degli anglicani e ugualmente sulle premesse ecclesiologiche di chi li accoglie: la vicenda infatti appare un po' confusa e suscita qualche ineludibile interrogativo.


UNA STRANA TRADIZIONE

Che i matrimoni gay o le donne-prete o addirittura l'ordinazione di omosessuali dichiarati possano scioccare persino in Inghilterra e all'interno della comunione anglicana non abbiamo difficoltà a recepirlo; non sorprende nemmeno il fatto che una chiesa scismatica sia scivolata nel corso della storia sempre più lontano dalla retta via e dallo stesso Vangelo che solo la Chiesa cattolica custodisce nella sua integrità.
Tuttavia non basta fuggire da tali aberrazioni per essere cattolici.
La chiesa anglicana è nata come chiesa nazionale e si è sviluppata attorno - e sotto - la Corona britannica, forgiando e veicolando attraverso i secoli una tradizione decisamente antiromana, cesaropapista e autocefala.

Se in questi ultimi decenni la dipendenza dal sovrano è divenuta sempre più virtuale (peraltro non sussiste praticamente più all'esterno del Regno Unito) non si può dire lo stesso per il carattere autocefalo e antiromano proprio alla tradizione anglicana.
È quindi doveroso chiedersi che cosa sia stato realmente rinnegato di tale ecclesiologia, frutto non solo di errori teologici, ma espressione di un radicato atteggiamento di fondo che difficilmente può essere corretto con una semplice fuga dalle aberrazioni contingenti di cui sopra.
In altri termini ci si può chiedere legittimamente se la “fuga” dalle deviazioni più estreme dell’Anglicanesimo contemporaneo abbia sufficienlemente contribuito a sanare una deformazione ecclesiologica radicata e strutturata, patrimonio ancestrale della tradizione anglicana.

È ben vero che la High Church ha conservato nelle forme una considerevole somiglianza con la liturgia e l'apparato esterno romani, nondimeno sarebbe sbagliato. attribuirle una tradizione teologica ed ecclesiologica sostanzialmente diffe¬rente da quella delle altre porzioni della comunione anglicana, ovvero più papale e filoromana.
Date queste premesse lascia alquanto perplessi la volontà espressa dal Vaticano di mantenere viva la tradizione anglicana - addirittura definita come arricchimento per la Chiesa Romana e dono da condividere - nonostante la richiesta di sottoscrivere il Catechismo della Chiesa cattolica.

Ecco come si esprime a questo proposito il padre Ghirlanda S.J., Rettore Magnifico della Pontificia Università Gregoriana, sul Bollettino ufficiale della Santa Sede:
«Dalla lettura della Costituzione Apostolica e delle Norme Complementari emanate dalla Sede Apostolica si percepisce chiaramente l'intento, con la previsione di erezione di Ordinariati Personali, di comporre due esigenze: da una parte quella di “mantenere vive all'interno della Chiesa Cattolica le tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali della Comunione Anglicana, quale dono prezioso per alimentare la fede dei suoi membri e ricchezza da condividere” (Cost. Ap. III); dall'altra quella di una piena integrazione di gruppi di fedeli o di singoli, già appartenenti all’Anglicanesimo, nella vita della Chiesa Cattolica. L’arricchimento è reciproco: i fedeli provenienti dall’Anglicanesimo, entrando nella piena comunione cattolica, ricevono la ricchezza della tradizione spirituale, liturgica e pastorale delia Chiesa Latina Romana, per integrarla con la loro tradizione, di cui viene ad arricchirsi la stessa Chiesa Latina Romana, D'altra parte proprio tale tradizione anglicana, che viene ricevuta nella sua autenticità nella Chiesa Latina Romana, nell’Anglicanesimo ha costituito uno di quei doni della Chiesa di Cristo che hanno spinto tali fedeli verso l'unità cattolica» (P. Gianfranco Ghirlanda S.J., Il significato della Costituzione apostolica Anglicallorum Coetibus, Bollettino ufficiale Santa Sede, 09/11/2009).

Segue poi una lista dettagliata di sette elementi attraverso cui la Costituzione Apostolica intende proteggere la tradizione anglicana (1).
Probabilmente lo stesso Enrico VIII sarebbe perplesso.

Il ragionamento del padre Ghirlanda non è altro che l'applicazione di quello schema teologico tipicamente conciliare secondo cui tutti gli elementi cristiani presenti nelle chiese non cattoliche sarebbero elementi della Chiesa di Cristo (ente che trascende tutte le chiese, compresa quella cattolica) e spingerebbero verso l'unità cattolica, cioè verso quella pienezza che solo la Chiesa cattolica possiede.
In realtà ciò che di cristiano c'è nell’anglicanesimo storico - ad esempio - è piuttosto un bene appartenente alla Chiesa cattolica di cui essa è stata defraudata e grazie al quale e sul quale è stata costruita una chiesa scismatica e nazionale.
 
Il ragionamento del gesuita è esattamente opposto ed è comprensibile unicamente attraverso le dinamiche ecclesiologiche del Concilio sulle quali torneremo tra breve.

Per quanto riguarda la natura specifica della tradizione anglicana, la confusione regna sovrana.

Non è dato di capire come una tradizione scismatica possa come tale essere un arricchimento per la Chiesa cattolica e quindi vada, come tale, conservata.
Infatti non ci troviamo davanti ad una tradizione facente parte del patrimonio comune della Chiesa cattolica come potrebbe essere la tradizione Ambrosiana; ci troviamo di fronte ad una tradizione che nasce e si sviluppa scismatica e si pone storicamente come alternativa al Cattolicesimo.

ll dato storico che questa tradizione abbia conservato pure elementi cattolici, come ad esempio il battesimo, non significa che il nucleo "sano" all'interno della tradizione anglicana legittimi in qualche modo l'anglicanesimo stesso, ma semplicemente rende testimonianza del fatto che tale tradizione sia nata quale separazione dalla Chiesa cattolica, dalla quale ha "mutuato" qualcosa che però non le appartiene a un titolo specifico.

In che modo quindi la tradizione anglicana in quanto anglicana possa essere un arricchimento per la Chiesa cattolica, abbia condotto all'unità e quindi debba essere mantenuta come tale all’interno della Chiesa cattolica, di cui non è mai stata parte e di cui è sempre stata nemica, è un assurdo comprensibile solo in un’ottica conciliare e più esattamente alla luce della Lumen Gentium.


IL PROBLEMA DEL CELIBATO ECCLESIASTICO

Tra gli elementi propri della tradizione anglicana che sono tutelati dalla Costituzione Apostolica figura la stessa «concessione che coloro che erano ministri coniugati nell’Anglicanesimo, anche vescovi, possono essere ordinati nel grado del presbiterato» (P. Ghirlanda, 5.1., ibidem).

A onor del vero in passato la Chiesa ha già concesso ad casum tale permesso a singoli ministri anglicani che si convertivano al cattolicesimo. Tuttavia la cosa era giustificata come tolleranza dovuta alle particolari circostanze di tali singoli casi. Ora invece la cosa è inserita tra gli elementi propri della tradizione anglicana che la Chiesa accoglie e s’impegna a conservare quale arricchimento e dono da condividere.
Le due prospettive non solo sono diverse, ma decisamente irriducibili.

Di conseguenza, e qui le cose si aggravano ulteriormente, «la tutela e l’alimento della tradizione anglicana sono assicurati [ ... ] dalla possibilità, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell’Ordinariato (NC Art. 6 § l), di chiedere al Romano Pontefice di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato anche uomini coniugati, in deroga al CIC can. 277, § l, sebbene la regola sia che vengono ammessi all’ordine del presbiterato solo uomini celibi" (ibidem).
La cosa fa pensare immediatamente, senza forzature né pregiudizi, al cavallo di Troia.

Quantunque la possibilità di cui sopra sia prevista ad casum essa è già istituzionalizzata nero su bianco: essa non riguarda semplicemente i ministri che si convertono al momento presente, ma apre una nuova prospettiva per il futuro, cioè per i candidati al sacerdozio che si presenteranno in avvenire.

Se si aggiunge che nel mondo cattolico il desiderio di abbattere il celibato ecclesiastico è tutt'altro che estinto e che la possibilità concessa agli anglicani quale elemento della loro tradizione è definita «un dono prezioso e ricchezza da condividere» (ibidem) ci si chiede se già «l'arricchimento è reciproco». … come Padre Ghirlanda suggerisce.

La situazione che si profila ci sembra pericolosissima per la salvaguardia del celibato ecclesiastico: non sarebbe la prima volta che il mutamento di una prassi comune e universale incominci con una concessione apparentemente di scarsa portata, ma potenzialmente gravida delle conseguenze più estreme.


IL RISCHIO DEL LIBERO ESAME

L'assimilazione della tradizione anglicana, nei termini descritti dalla Costituzione e da padre Ghirlanda, fa pensare immediatamente alle molteplici possibilità di cui tale procedimento potrebbe fungere da prototipo.
Perché non inglobare in modo analogo pure le tradizioni luterana, calvinista, valdese o avventista?
Il procedimento usato e utilizzabile in futuro ci sembra estremamente pericoloso per un motivo molto preciso.

Il Vaticano si è limitato a chiedere come controparte l’adesione ad un testo scritto: il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Ora non dobbiamo dimenticare che il mondo protestante, di cui gli anglicani sono parte integrante, ha come criterio ermeneutico universale il libero esame applicato ad un testo scritto: la Bibbia. Di conseguenza limitarsi a consegnare ad un protestante un testo scritto,chiedendogli di sottoscriverlo, rischia di creare una situazione estremamente equivoca.

Per il cattolico infatti il Catechismo è un testo da accogliere in quanto attraverso di esso egli accoglie la Chiesa; il protestante invece, in base alla propria struttura mentale e tradizione ecclesiale, accoglie il testo scritto, ma non l'autorità superiore che ne vincola l'interpretazione.
In altri termini il cattolico non accetta un testo semplicemente per il fatto che ne condivide il significato, ma per il fatto che accetta l'autorità di Dio che si esprime attraverso la Chiesa; il protestante, al contrario, si limita a dare il suo assenso o meno al contenuto di un testo in quanto lo ritiene condivisibile. In ultima analisi è questo l'elemento veramente specifico e caratterizzante la tradizione anglicana e protestante.

Se poi si aggiunge il dato che attualmente lo stesso mondo cattolico sembra aver perso la concezione di un Magistero interprete infallibile e quindi vincolante della Rivelazione, la situazione che si profila sembra essere ancora più caotica.


IL DINAMISMO DELLA CHIESA DI CRISTO

Abbiamo già accennato a come venga giustificato teologicamente il processo guidato dallo Spirito Santo che avrebbe condotto gli anglicani in seno alla Chiesa cattolica: «Quei fedeli anglicani che hanno chiesto di entrare in piena comunione con la Chiesa Cattolica, sotto l'azione dello Spirito Santo, sono stati spinti verso la ricostituzione dell'unità dagli elementi propri della Chiesa di Cristo che sono stati sempre presenti nella loro vita cristiana personale e comunitaria» (ibidem).

La cosa merita tutta la nostra attenzione

Nell'ottica conciliare il percorso descritto non è esito del ripudio dell'errore e dell'adesione alla Verità, bensì frutto maturo della stessa tradizione anglicana che, possedendo alcuni elementi della Chiesa di Cristo, da sempre sarebbe in marcia, come del resto tutte le denominazioni cristiane, verso l'unità più piena: «Tale tradizione anglicana, che viene ricevuta nella sua autenticità nella Chiesa Latina Romana, nell'Anglicanesimo ha costituito uno di quei doni della Chiesa di Cristo che hanno spinto tali fedeli verso l'unità cattolica» (ibidem).
Per questo motivo - e qui in fondo si trova il dato veramente nuovo e anomalo - la tradizione anglicana è mantenuta ed è accolta come elemento positivo (dono prezioso) all'interno della Chiesa cattolica.

Questo principio non è altro che un'applicazione emblematica e significativa della dottrina neoterica contenuta nella Costituzione conciliare Lumen Gentium, ripresa testualmente dall’Anglicanorum Coetibus:
«L'unica Chiesa di Cristo infatti, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, “sussiste nella Chiesa Cattolica governata dal successore di Pietro, e dai Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica».

Secondo questa dottrina, la Chiesa fondata da Gesù (Chiesa di Cristo) non si identifica più semplicemente con la Chiesa cattolica, ma con una realtà più ampia, i cui elementi sono sparsi anche in altre denominazioni, quantunque la Chiesa cattolica ne possieda la pienezza. Di conseguenza, come abbiamo già evidenziato, l'appartenenza ad un’atra chiesa (in virtù del possesso materiale di qualcosa di cristiano) non è mai vista come una separazione dalla Chiesa cattolica, ma al contrario come un elemento di unione almeno imperfetta con essa.
In altri termini se sono veramente e autenticamente anglicano sono virtualmente già cattolico, e questo non tanto in previsione di un abbandono della mia confessione anglicana, ma grazie alla medesima: ecco perché la tradizione anglicana viene mantenuta come tale; ecco perché essere accolti nella Chiesa cattolica non significa più rinunciare categoricamente all’anglicanesimo.

Ciò che sembra mancare, per usare un linguaggio tradizionale, è il concetto classico di conversione, sostituito da un percorso dinamico, la cui guida è attribuita allo Spirito Santo, che utilizzerebbe l'appartenenza a una falsa chiesa come mezzo positivo per giungere a quella vera.

Senza entrare in considerazioni teologiche, ma restando semplicemente ai fatti, è evidente che il ragionamento non regge: ciò che ha spinto gli anglicani "fuori" dalla loro comunione e "verso" il Cattolicesimo non sono elementi positivi propri alla Chiesa di Cristo, ma - quale causa contingente - elementi aberranti come l'ordinazione di omosessuali. Di per sé l'ordinazione di un vescovo gay non è un elemento atto a unire le chiese, ma Dio si serve anche del male per evincerne un bene e di questo non possiamo che gioire.
Tutto qui. Scomodare lo Spirito Santo volendo farne il propulsore del processo ecumenico descritto nella Lumen Gentium e applicarlo alle recenti vicende ci sembra una forzatura ideologica, poco credibile e soprattutto non aderente alla realtà dei fatti.


ECUMENISMO: L'IMBARAZZO DEL CARD. KASPER

Naturalmente non ci auguriamo altro che una vera e seria conversione da parte degli anglicani in questione e di questo dato non possiamo che rallegrarci.
Le riserve espresse sono legate semplicemente alla situazione contingente che si configura e soprattutto alla confusione che l'ecclesiologia della Lumen Gentium provoca inevitabilmente in casi come questo.

Ci rallegriamo per un motivo molto semplice: sappiamo che Dio sa scrivere dritto sulle righe storte e quindi nulla può impedire una conversione autentica malgrado le mille circostanze negative o sfavorevoli.

Tuttavia non tutti la pensano così.
Il primo a essere imbarazzato è il Card. Kasper, proprio il leader del dialogo con le altre confessioni cristiane.
È chiaro che per il Nostro l’evento della conversione al Cattolicesimo del gruppo anglicano non giova alla causa ecumenica. Vediamo di capire perché.

Già due anni fa Kasper era riuscito a bloccare una richiesta analoga a quella attuale da parte anglicana; egli chiese a tale gruppo di restare all'interno della propria chiesa, promettendo che il Vaticano si sarebbe impegnato ad aiutarli all’interno della medesima.
La ragione è chiara: il falso ecumenismo di oggi se da una parte promuove l’unità non lo fa mai proponendo una conversione al Cattolicesimo quale unico ovile, ma lo fa valorizzando quegli elementi comuni presenti in tutte le denominazioni, le quali pertanto vengono rispettare e riconosciute già come strumenti di salvezza. In quest'ottica l'unità è frutto di dialogo, comprensione, preghiera comune, condivisione, fratellanza, scambio, arricchimento reciproco ... ma non di conversione.
Richiedere la conversione equivarrebbe a negare lo statuto di legittimità riconosciuto alle altre chiese, il quale rappresenta la piattaforma per il dialogo stesso.
In questo senso l'ecumenismo non può che essere anticonversionista, altrimenti cesserebbero i presupposti imprescindibili che gli permettono di esistere.

Ma c’è di più nel caso presente. Dal momento che il gruppo che si è rivolto a Roma rappresenta solamente una parte dell'obbedienza anglicana, la sua accoglienza in seno alla Chiesa provoca inevitabilmente una frattura interna alla comunione anglicana di cui la Chiesa cattolica è indirettamente responsabile.
La cosa potrebbe compromettere seriamente gli sforzi ecumenici ed il dialogo con i vertici dell' Anglicanesimo, la qual cosa per Kasper è una priorità assoluta. Effettivamente una icona del dialogo come Kasper non ci fa una bella figura con l'arcivescovo di Canterbury il quale potrebbe sentirsi defraudato e preso in giro dopo decenni di dialogo, apertura, aiuto reciproco, promesse di sostegno… Questo spiega la reticenza che Kasper dimostrò due anni fa.

Soprattutto questo mostra le contraddizioni dell’ecumenismo e la sua incompatibilità con la dottrina cattolica, con la natura missionaria della Chiesa e con il mandato di predicare la verità ad ogni creatura.

Per uscire dall’imbarazzo Kasper è intervenuto il 15 novembre u.s. sulle colonne de L’Osservarore Romano. Naturalmente il tono dell’intervento è estremamente positivo ma, a chi sa leggere tra le righe, non sfuggirà qualche elemento estremamente interessante.

Innanzi tutto Kasper rassicura, con l'enfasi tipica di chi è mortificato e deve difendersi, che l'ecumenismo non è in pericolo e tutto il suo intervento mira a sviluppare questa idea di fondo; qualunque tipo di asserto contrario non sarebbe altro che frutto di qualche scoop giornalistico dal quale il Nostro è stato estremamente infastidito.
Con l’arcivescovo di Canterbury Williams i rapporti sarebbero eccellenti: secondo la versione di Kasper. Tuttavia il primate anglicano ha telefonato a Kasper «in piena notte» mentre questi si trovava a Cipro (per l'ennesimo sterile incontro con gli ortodossi n.d.r.) per chiedere spiegazioni; ora per un riservato gentleman inglese, per di più arcivescovo, scomodare un Cardinale in piena notte è come minimo segno di un malessere di fondo difficilmente eliminabile con un colpo di spugna ovvero ripetendo ancora qualche promessa stereotipata tipica del dialogo ecumenico.

Sulle cause del riavvicinamento del gruppo anglicano alla Chiesa cattolica, Kasper si sforza in tutti i modi di dimostrare che non è né colpa sua, né colpa dell'ecumenismo, come se dovesse giustificare qualcosa di negativo che non ha potuto evitare.
Innanzi tutto tira un sospiro di sollievo evidenziando che «non tutti coloro che non sono d'accordo con quelle novità vogliono diventare cattolici»; come dire: decliniamo ogni responsabilità in caso di conversione dimostrando che ogni anglicano agisce liberamente senza nessuna persuasione cattolica previa.
 
Poi il Cardinale incalza per ribadire la stessa idea: lui non c'entra, non è colpa sua. Tra le righe si legge l’imbarazzo: «Stiamo ai fatti. Un gruppo di anglicani ha chiesto liberamente e legittimamente di entrare nella Chiesa cattolica. Non si tratta di una nostra iniziativa.».
Già: «Non si tratta di una nostra iniziativa».
Durante questi lunghi anni di dialogo e confronto non è mai emerso il minimo invito o accenno alla conversione. Solo parole vuote. L’appello alla conversione è stato sostituito dal dialogo e di conseguenza nel momento in cui una conversione arriva, malgrado le omissioni della parte cattolica, è necessario giustificarla e giustificarsi!

Il pensiero di Kasper e il suo imbarazzo si fanno ancora più chiari: «Non è possibile opporci se un anglicano o un gruppo di anglicani vogliono entrare nella piena e visibile comunione con la Chiesa cattolica».
La cosa è talmente evidente che il suo asserto avrebbe qualcosa di ridicolo e inspiegabile sulle labbra di un Cardinale, se non si conoscesse il malessere di fondo.
A scanso di ulteriori equivoci Kasper precisa che non solo lui non c'entra, ma nemmeno l’ecumenismo come tale: «Un conto è l’ecumenismo, un conto la conversione».

Il Cardinale conclude con una solenne promessa di non fare proselitismo, di non fare uniatismo, di non fare conversionismo verso nessuno, né in Oriente né in Occidente. Si tratta - secondo il Nostro - di metodi che appartengono al passato e non sono validi né per il presente né per il futuro.

Ma allora - ci chiediamo - che cosa può giustificare una conversione senza invito, per di più con il rischio inevitabile di lacerare l’unità interna della chiesa di origine e di creare gravi malintesi?

A questo punto Kasper tira fuori la panacea di tutti i mali e di tutte le contraddizioni: «Bisogna rispettare la coscienza e la libertà di coscienza».
Sì, anche se questa va contro l’ecumenismo e i buoni rapporti con l’arcivescovo di Canterbury, la sua indiscussa supremazia è riconosciuta universalmente e nessuno potrà accusare la Chiesa di operare attivamente per la conversione del prossimo.
Qui però Kasper demolisce con un colpo di spugna l’unico vero fondamento che legittima una conversione: l'adesione alla Verità.

Nel suo intervento Kasper non nomina mai la necessità di aderire alla Verità, alla Vera Chiesa, alla Vera Fede. Non accenna minimamente al fatto che dalla conversione di un errante dipende la salvezza eterna di quell’anima. Il suo argomentare dai toni socio-politici dimostra da una parte il fallimento storico dell’ecumenismo, dall’altra la sua incapacità di relazionarsi al Vero, il suo disinteresse per la salvezza del prossimo, la sua anima antimissionaria, e - una volta di più -la sua inconciliabilità con la Fede e la prassi cattoliche.


Note

(1) La tutela e l’alimento della tradizione anglicana sono assicurati:
a) dalla concessione all’Ordinariato della facoltà di celebrare l'Eucaristia e gli altri Sacramenti, la Liturgia delle Ore e le altre azioni liturgiche secondo i libri liturgici propri della tradizione anglicana approvati dalla Santa Sede, senza però escludere che le celebrazioni liturgiche avvengano secondo il Rito Romano (Cost. Ap. III);
b) dal fatto che l'Ordinario, per la formazione dei seminaristi dell’Ordinariato che vivono in un seminario diocesano, può stabilire programmi specifici oppure erigere una casa di formazione per loro (Cost. Ap. VI § 5; NC Art. 10 § 2); i seminaristi debbono provenire da una parrocchia personale dell’Ordinariato o comunque dall’Anglicanesimo (NC Art. 10 § 4);
c) dalla concessione che coloro che erano ministri coniugati nell’Anglicanesimo, anche vescovi, possono essere ordinati nel grado del presbiterato, a norma dell’Enciclica di Paolo VI Sacerdotalis coelibatus, n. 42 e della Dichiarazione In June, cioè rimanendo nello stato matrimoniale (Cost. Ap. VI § l);
d) dalla possibilità, dopo un processo di discernimento basato su criteri oggettivi e le necessità dell'Ordinariato (NC Art. 6 § 1), di chiedere al Romano Pontefice di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro dei presbiterato anche uomini coniugati, in deroga al CIC can. 277, § I, sebbene la regola sia che vengono ammessi all’ordine del presbiterato solo uomini celibi (Cost., Ap. VI § 2);
e) dall’erezione di parrocchie personali da parte dell’Ordinario, dopo aver sentito il parere del Vescovo diocesano del luogo e ottenuto il consenso della Santa Sede (Cost. Ap. VIII § 1);
f) dalla possibilità di ricevere Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica provenienti dall’Anglicanesimo e di erigerne di nuovi (Cost. Ap. VII);
g) dal fatto che, per il rispetto della tradizione sinodale dell’Anglicanesimo:
l) l’Ordinario è nominato dal Romano Pontefice sulla base di una terna di nomi presentata dal Consiglio di Governo (NC Art. 4 § I);
2) la costituzione del Consiglio Pastorale è prevista: come obbligatoria (Cost. Ap. X § 2);
3) il Consiglio di Governo, Composto da almeno sei sacerdoti, oltre le funzioni stabilite dal Codice di Diritto Canonico per il Consiglio Presbiterale e il Collegio dei Consultori, esercita anche quelle specifiche nelle Norme Complementari, dovendo in alcuni casi dare il suo consenso o esprimere il suo voto deliberativo (Cost. Ap.X § 2; NC Art.12). (torna su)

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