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venerdì 30 luglio 2010

La Fraternità di san Pio X

Da “Divinitas” 


Rivista Internazionale di ricerca e di critica teologica
anno LIII, Nova Series, 1-2-3 2010
CAP. VII TRADIZIONE E POSTCONCILIO
2 - La Fraternità di san Pio X

2 - La Fraternità di san Pio X - Si tratta d'un'istituzione talmente legata al valore della Tradizione, che il tacerne in un'opera come la presente sarebbe una colpevole "negligenza". La "diligenza" che ne parla, ovviamente, né comporta né significa lo schierarsi a suo favore. Anche per me essa rimane quello che è e quale la volle il suo fondatore, il ben noto Vescovo Marcel Lefebvre: una pubblica contestazione di quasi tutte le innovazioni del Vaticano II, un inquadramento irriducibile nei ranghi della Tradizione apostolica a difesa di essa, un'espressione di sensibilità cattolica non solo in netta dissonanza con la Chiesa cattolica ufficiale, ma da questa, almeno fin ad oggi, dichiarata priva di giurisdizione e d'ogni riconoscimento giuridico all'interno della Chiesa.
Così s'espresse il decreto della Congregazione dei Vescovi in data 21 gennaio 2009, con il quale S. S. Benedetto XVI rimosse la scomunica lanciata dal suo predecessore nel 1988 contro quattro membri della detta Fraternità, ai quali Mons. Lefebvre aveva conferito la consacrazione episcopale contro la volontà della Santa Sede.
Così il 4 febbraio del 2009 aveva precisato una nota della Segreteria di Stato: nessun riconoscimento giuridico.
E così lo stesso Pontefice Benedetto XVI ripeté nella lettera del 10 marzo 2009 ai vescovi della Chiesa cattolica [63], spiegando le ragioni dottrinali che stanno alla base sia del suo provvedimento di clemenza, sia della situazione disciplinare che il detto provvedimento non aveva minimamente cambiato. Bisogna distinguere, diceva il Papa, "il livello disciplinare da quello dottrinale", poiché da questo dipende se la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa e non può, quindi, legittimamente esercitare nessun ministero ecclesiastico. In altri termini, perché la Fraternità san Pio X sia a tutti gli effetti Chiesa cattolica, occorre il ripristino della sua piena comunione con essa. Se poi la mancanza d'un tale ripristino avesse per effetto il persistere della Fraternità in quello stato di "scisma" che qualcuno collega con l'illegittima ordinazione del 1988, allora si potrebbe pensare che tutt'i preti ordinati dai quattro vescovi ora sollevati dalla scomunica son a loro volta non scomunicati ma illecitamente ordinati e forse anche sospesi "a divinis". Più ingarbugliata di così la situazione non potrebb'essere.
2.1 - Una delle ragioni per le quali la situazione è e rimane ingarbugliata fu messa in evidenza da Giovanni Paolo II nel documento con cui scomunicava Mons. Lefebvre: il "motuproprio" Ecclesia Dei afflicta che, al § 4, diceva: alla base di "quest'atto scismatico" sta "una nozione incompleta e contraddittoria di Tradizione...che non tiene nel debito conto il carattere vivente della Tradizione"[64] . Dunque, qui il papa stesso parlò di scisma e riportò tutto al comun denominatore della Tradizione vivente. Il giudizio non poteva esser più pesante. Né con esso si concorse a far un po' di chiarezza.
Per documentare quale sia il vero concetto di Tradizione al quale S. E. Mons. Lefebvre legò la sua Fraternità, bisognerà spender qualche breve parola su di essa. Il suo scopo principale, secondo i suoi statuti del 1970, è la formazione sacerdotale; non a caso nacque in quell'anno ad Ecône, la località svizzera che dette il nome al primo e più famoso seminario della Fraternità[65]. I seminari si son poi moltiplicati in tutt'il mondo e dovunque all'insegna d'un'unica e medesima linea: "le sacerdoce et tout ce qui s'y rapporte".
Non pochi hanno interpretato codeste parole com'espressione d'integrismo. La Fraternità, a sua volta, considera "ingiuriosa" una tale interpretazione[66]. Quasi ignorando l'ingiuria, la Fraternità continua l'opera formativa dei suoi candidati al sacerdozio richiedendone effettivamente l'adesione a tutta la dottrina e alla prassi liturgica in vigore prima del Vaticano II[67]. Una tale adesione, se per un verso comporta una costante ed esclusiva dipendenza della Fraternità san Pio X dalla secolare Tradizione della Chiesa, per un altro è un no deciso ed irrevocabile alle innovazioni introdotte dal Vaticano II, o in nome di esso, e giustificate dal loro inquadramento nella tradizione c. d. vivente. Pertanto, quando papa Giovanni Paolo II contrappone alla tradizione vivente "la nozione incompleta e contraddittoria di tradizione" della Fraternità san Pio X, non condanna come anticonciliare soltanto la Fraternità, ma anche la Tradizione cui essa s'ispira. Il che è già grave. Non meno dello "scisma" lamentato e condannato. Ma più grave ancora è la voragine scavata all'interno della Chiesa dalla pretesa d'imporre a tutti un Concilio che non fu e non volle esser magisteriale e che di fatto, in forma non magisteriale, pose le premesse d'alcuni sganciamenti dal magistero tradizionale - la cosa solleva non poca meraviglia, perché in più d'un contesto il Vaticano II dichiara di collegarsi con la Tradizione di sempre nell'atto stesso di proclamar innovazioni inconciliabili con tale Tradizione -. Per quanto mi riguarda, son certo che se si fosse evitata una tale radicalizzazione e si fosse promossa non la superficiale ed acritica celebrazione del Vaticano II, ma un'approfondita analisi storica, esegetica, teologica, liturgica, canonica dei suoi documenti, non ci sarebbero state le divisioni che ci sono state e forse una pattuglia così compatta com'è la Fraternità san Pio X avrebbe potuto esser un coefficiente di crescita ecclesiale nella verità e nella comunione. Invece!
2.2 - Invece la voragine è sotto gli occhi di tutti e ci si chiede come uscirne. Per uscirne, occorre conoscerne le cause. La Tradizione, che i figli di Lefebvre avrebbero "incompleta e contraddittoria", è una di esse. Cerchiamo di capirci qualcosa.
Introducendo una nuova edizione degli statuti da lui stesso redatti per la sua Fraternità, Mons. Lefebvre il 20 marzo 1990 collegò la sua opera, in quanto "oeuvre de restauration du sacerdoce catholique" e per questo "oeuvre d'Eglise", ad un disegno della divina Provvidenza "afin de préserver les trésors que Jésus-Christ a confiés à son Eglise, la foi dans son intégrité, la grâce divine par son Sacrifice et ses sacrements, et les pasteurs destinés de ces trésors de vie divine"[68]. Se si tenti d'inglobare le finalità sopra descritte in una sola parola, l'unica che faccia al caso è "Tradizione".
In effetti, soltanto nella Tradizione l'opera sopra indicata può esser "un'opera della Chiesa", capace di restaurar "il sacerdozio cattolico" in conformità al suo statuto ontologico, che una concezione sociologica avrebbe fatalmente compromesso, e di ripristinare l' "integrità della Fede", le fonti della grazia - Sacrificio eucaristico e sacramenti - e l'autentico governo della Chiesa secondo la sua triplice competenza dottrinale, santificatrice e disciplinare. Una Tradizione, però, capace di codesta triplice finalità si trova, nel giudizio di Mons. Lefebvre, contraddetta se non anche annullata dal no oppostole dal Vaticano II e dal postconcilio. Contro un no che s'ammanta di validità conciliare, l'anziano ma indomito presule formulò a nome di tutta la sua Fraternità il suo Credo: "Nous adhérons de tout coeur, de toute notre âme à la Rome catholique, gardienne de la foi catholique et des traditions nécessaires au maintien de cette foi...Nous refusons par contre...de suivre la Rome de tendence néo-moderniste et néo-protestante qui s'est manifestée clairement dans le concile Vatican II et après le concile dans les réformes qui en sont issues"[69].
Evidente, in questo giudizio, il contrapporsi di due "Rome": quella cattolica e quella neomodernista e neoprotestante. Chiedo: perché neomodernista e neoprotestante? La risposta rimbalza immediata di libro in libro e di dichiarazione in dichiarazione: perché l'autentico volto della Chiesa di Cristo è stato sfigurato da un "grande tradimento": la resa a discrezione nelle mani del liberalismo tante volte condannato ed ora purtroppo impalmato in un diabolico connubio.
Non è la prima volta che si sente parlare di cattolicesimo liberale; tutta la seconda metà del diciannovesimo secolo n'è piena. Oggi, il connubio fra il diavolo e l'acqua santa s'è rinnovato. A dispetto di tutta la Tradizione, nel giudizio della Fraternità, Concilio e postconcilio avrebbero snaturato l'in-sé della Rivelazione cristiana e della Chiesa che l'ha in custodia, integrando l'una e l'altra nella realtà mondana, nella sua cultura, nelle sue lotte, nelle sue aspirazioni, nelle sue conquiste. In breve: facendone un'espressione dell'ideale liberale[70]. Lefebvre n'era amaramente convinto.
E' pertanto opportuno che ci si chieda che cosa intendesse per liberalismo.
a) Un papa su tutti s'impone come una diga contro il dilagare limaccioso e mortifero dell'idea liberale: il beato Pio IX. Discorsi occasionali, encicliche, Sillabo: è un discorso univoco, nell'intento di bloccare l' "onda anomala" del liberalismo cattolico, dal quale Pio IX vede travolti anche i buoni, ammaliati ormai da un fascinoso ideale d'indipendenza, di progresso e di civiltà che troverebbe un ostacolo insormontabile nella Tradizione della Chiesa. Una tale Tradizione sarebbe, infatti, fissismo assoluto, intolleranza e confusione intellettuale, là dove il liberalismo cattolico sarebbe esattamente il contrario: apertura ideologica, tolleranza e libertà religiosa, compresenza d'idee e di fedi. Se entro certi limiti, naturali e soprannaturali, il riconoscimento d'alcuni diritti alle minoranze politico-religiose è un dovere di coscienza, di carità e di prudenza, il porsi in qualunque modo contro la prospettiva evangelica dell'universale salvezza (At 13,47), il rifiuto teorico-pratico dell' "unum ovile et unus pastor" (Gv 10,16) dà ragione a chi definì il liberalismo un peccato[71] con stravolgimento dell'ordine delle cose, dei concetti, della verità: di quella naturale e di quella soprannaturale. Considerato nel cattolico, il liberalismo assume, a detta di L. Billot, "una sola nota caratteristica: quella della perfetta ed assoluta incoerenza"[72].
b) Mons. Lefebvre individua una tale incoerenza nel mancato rispetto della Tradizione, al cui posto il cattolico liberale pone la filosofia relativista della mobilità e del divenire, il soggettivismo o indipendenza dell'intelligenza dal suo oggetto, della volontà dall'intelligenza, della coscienza dalla legge, dell'anarchismo dal primato della ragione, del corpo dall'anima, del presente dal passato, dell'individuo dalla società, "d'ou le mépris de la tradition"[73].
Sul piano soprannaturale, poi, Lefebvre rileva che il liberalismo oppone alla Fede, alla scienza della Fede, al Magistero e alla sua Tradizione il razionalismo, il naturalismo, il laicismo e l'indifferentismo[74]; e che, tutto giustificando come fedeltà allo "spirito" del Vaticano II, o più esattamente alla sua ispirazione pastorale, il liberalismo gli sacrifica lo "spirito missionario", affogandolo nel "mare magnum" della ricerca e del dialogo, esaltando i valori delle altre religioni e consegnandosi praticamente al deprecato sincretismo religioso[75]. Infine, per dimostrare quanto lo "spirito" del Concilio si sia allontanato dalla vera e duratura Tradizione, mette a confronto alcuni enunciati che s'elidon a vicenda, traendoli dalla Quanta cura del beato Pio IX e dai documenti del Vaticano II: dov'era risuonato il no del preveggente Pio IX risuona oggi il si dei documenti conciliari. Lo stridore delle due antitetiche posizioni è tale che perfino un Congar l'avvertì e ne tentò maldestramente la composizione[76]; qualcun altro, nella riconciliazione della Chiesa col mondo e coi diritti dell'uomo proclamati dalla rivoluzione francese, vide addirITTURA UN “Antisillabo [77]
Non si pensi a frasi sporadiche ed isolate: le ritrovo in altre pubblicazioni di Mons. Lefebvre, p. es. in Homélies: Eté chaud, ed. Saint-Gabriel, Martigny 1976; Le coup de maître de Satan: Ecône face à la persécution, ed. Saint-Gabriel, Martigny 1977; J'accuse le Concile, ed. Saint-Gabriel, Martigny 1976; ed inoltre una serie lunghissima di discorsi e di prediche.
c) Tentando ora una sintesi delle posizioni difese dall'Ecc.mo Mons. Lefebvre a favore della Tradizione, e senz'alcuna pretesa d'esaurirne il discorso, a me pare che l'urto si stabilisca tra:
- una formazione sacerdotale che affonda i suoi principi nella Tradizione ecclesiastica e nei valori soprannaturali della divina Rivelazione; ed una formazione sacerdotale aperta al cangiante orizzonte della cultura in perenne divenire;
- una liturgia che ha certamente un punto di forza nella c. d. Messa tradizionale, passando però dalla Messa alla dottrina e da questa alla riaffermazione della regalità sociale di N. S. Gesù Cristo; ed una liturgia antropocentrica e sociologica, dove il collettivo prevale sul valore del singolo, la preghiera ignora il momento latreutico, l'assemblea diventa l'attore principale e Dio cede il posto all'uomo;
- una libertà che ripete la sua "liberazione" dal decalogo, dai precetti della Chiesa, dagli obblighi del proprio stato, e che non può sottrarsi al dovere di conoscere amare servire Dio; ed una libertà che omologa i culti, mette il silenziatore alla legge di Dio, disimpegna i singoli e la società sul piano etico e religioso e lascia alla sola coscienza la soluzione di tutt'i problemi;
- una teologia che attinge i suoi contenuti dalle sue fonti specifiche (la Rivelazione-la Tradizione-il Magistero-la patristica-la liturgia); ed una teologia che apre i suoi battenti, un giorno sì e l'altro pure, a tutte le emergenze culturali del momento, anche a quelle in stridente antitesi con le fonti predette, in una spasmodica autoriforma che lasci spazio al pluralismo degl'influssi filosofici, conformandosi ora a questo ora a quello;
- una soteriologia strettamente collegata con la persona e l'opera redentrice del Verbo incarnato, l'azione dello Spirito Santo applicativa dei meriti del Redentore, l'intervento sacramentale della Chiesa e la cooperazione dei singoli battezzati; ed una soteriologia che guarda all'unità del genere umano come conseguenza dell'incarnazione del Verbo, nel quale (cf GS 22) ogni uomo trova la sua stessa identificazione;
- un'ecclesiologia che identifica la Chiesa nel Corpo mistico di Cristo e riconosce nella presenza sacramentale di Lui il segreto vitale dell'essere e dell'agire ecclesiale, del suo ringiovanirsi nel trascorrere del tempo, del suo irrobustirsi anche a fronte delle più cruente persecuzioni, del suo unificarsi nonostante gli scismi e le defezioni, della sua santità santificatrice nonostante il peccato dei suoi figli; ed un'ecclesiologia che considera la Chiesa cattolica come una componente della Chiesa di Cristo, unitamente ad altre componenti, che in questa fantomatica Chiesa di Cristo addormenta lo spirito missionario, dialoga ma non evangelizza e soprattutto rinunzia al proselitismo come se fosse un peccato mortale;
- una Messa-sacrificio espiatorio, che celebra il mistero della passione morte e risurrezione di Cristo ri-presentandone sacramentalmente la redenzione satisfattoria; ed una Messa dove il prete è solo presidente ed ognuno è parte "attiva" del sacramento, grazie al fatto che la fede non si fonda su Dio che si rivela, ma è una risposta esistenziale a Dio che c'interpella;
- un Magistero consapevole d'aver in custodia il sacro deposito della Rivelazione divina con il compito d'interpretarla e di trasmetterla alle generazioni venture mediante il Concilio Ecumenico e il successore di Pietro, vertice e sintesi d'ogni istanza ecclesiale, nonché i successori degli apostoli, purché legittimi ed in comunione col Romano Pontefice; ed un Magistero papale che, lungi dal sentirsi voce della Chiesa docente, sottopone la Chiesa stessa al collegio dei vescovi, dotato degli stessi diritti e doveri del Romano Pontefice;
- una religiosità che attua la vocazione comune al servizio di Dio e, per amore di Lui, dei fratelli in umanità; ed una religiosità che sovverte quest'ordinamento naturale, fa dell'uomo il suo "focus" e, almeno nella pratica se non nella teoria, lo sostituisce a Dio.
2.3 - Da quanto precede si desume facilmente come la Fraternità san Pio X intenda la Tradizione. Tradizione, infatti, è tutto il contrario di ciò che la Fraternità nega e di ciò cui s'oppone. Direttamente o tra le righe, nega le innovazioni dei documenti conciliari e s'oppone all'uso disinvoltamente selvaggio che n'è stato fatto.
E' vero, negli scritti della Fraternità San Pio X non figuran frequenti esplicitazioni del concetto di Tradizione, né una sua trattazione sistematica. Ma che cosa essa intenda e che cosa auspichi non resta mai nell'ombra. Alla base di tutto sta "la foi de toujours" a salvaguardia della quale la Fraternità è sorta. Salvaguardia indica opposizione a qualcosa, presente o possibile, a favore del suo contrario o in alternativa ad esso. La "fede di sempre" è il valore che S. E. Mons. Marcel Lefebvre intese salvaguardare. Un valore alternativo a tutte le sue attenuazioni, reinterpretrazioni, riduzioni e negazioni dell'epoca conciliare e postconciliare. C'è, in quella "fede di sempre", l'eco ben chiara dell'insegnamento agostiniano nella forma del Lerinense: "quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est". L'istituzione stessa della Fraternità, con la sua finalità primaria della formazione sacerdotale, obbediva all'ideale e all'impegno dell'accennata salvaguardia. Salvaguardare la fede e combattere l'errore.
Non entro nei particolari delle non facili relazioni tra Santa Sede e Fraternità san Pio X: m'attengo al tema comune della Tradizione ed osservo che "salvaguardare la fede e combattere l'errore" dovrebb'esser l'ideale e l'impegno sia della Chiesa, sia d'ogni suo figlio. Alla luce di ciò, mi resta difficile capire se il già citato rimprovero di "Tradizione incompleta e contraddittoria" abbia un reale fondamento. Una cosa mi par di capire: non si fonda sullo "spirito d'Assisi".
NOTE:
[63] BENEDETTO XVI, Lettera del 10 marzo 2009 ai vescovi della Chiesa cattolica, in "Docuument. Catholique" 2421, p. 319-320.
[64] GIOANNI PAOLO II, Motuproprio Ecclesia Dei afflicta, § 4, in "Document. Catholique" 1967, p. 788.
[65] Lettre à nos frères prêtres, 42 (2009) 2.
[66] Ibid. L'occasione di questa reazione fu appunto l'uso "ingiurioso" d' "integrista" da parte de "La Croix" (30 maggio 2009).
[67] "Bien evidemment, qui dit formation sacerdotale et séminaire, dit logiquement ordinations - a dir il vero la "logica" in questo caso dovrebbe collegare le ordinazioni non al solo seminario ed alla sola formazione sacerdotale, ma anche alla vigente statuizione canonica -. C'est pourquoi, depuis 1970, se déroulent au sein de la Fraternité Saint-Pie X des ordinations, depuis la tonsure jusqu'au sacerdoce, en passnt par les ordres mineurs, le sous-diaconat et le diaconat puisque, rappelons-le, la Fraternité Saint-Pie X célèbre la liturgie traditionnelle qui connait ces divers degrés vers le sacerdoce", ibid.
[68] Cit. da PFLUGER N., Le principe et le fondement de notre combat, in AA.VV., L'Eglise d'aujourd'hui, continuité ou rupture?, Parigi 2009, p. 260, n. 10.
[69] Dichiarazione del 21 nov. 1974, dopo una visita canonica di Roma; cf PFLUGER N., Le principe, cit., p. 261.l
[70] C'è un libro di Mons. LEFEBVRE M, Ils l'ont découronné. Du libéralisme à l'apostasie: la tragédie conciliaire, ed. Fideliter, Escurolles 1987, che dedica al Liberalismo conciliare e postconciliare la seconda, la terza e la quarta parte, da p. 109 a p. 251. E' un atto d'accusa "mozzafiato", che va dal "grande tradimento" alla "mentalità cattolico-liberale", dal "complotto satanico-liberale" al "trionfo del liberalismo cattolico", dal "liberalismo suicida" al suo rimedio: "instaurare omnia in Christo" e riedificare la cittadella cattolica".
[71] Mons. Lefebvre, Ils l'ont découronné, cit. p. 111 rimanda a DOM SARDA Y SALVANY, Le libéralisme est un peché, che a p. 257-258 cita a sua volta una lettera pastorale dell'episcopato equatoregno (15 luglio 1885) in cui si legge che "nell'ora presente il liberalismo è l'errore capitale delle intelligenze e la passione dominante del nostro secolo... un'atmosfera infetta che avvolge d'ogni lato il mondo politico e religioso...nemico gratuito, ingiusto e crudele della Chiesa...che falsa le idee, corrompe i giudizi, adultera le coscienze, indebolisce i caratteri, alimenta le passioni".
[72] Cita da LE FLOCH P., Le card. Billot, lumière de la théologie, p. 57, in LEFEBVRE M., Ils l'ont découronné, cit. p. 110.
[73] LEFEBVRE M., cit. p. 13-19. E' una fotografia: nessuno può negarne la realtà raffigurata.
[74] Ibid. p. 21-29.
[75] Ibid. p. 171-181.
[76] Disse cioè, stando a Georges de Nantes che lo riferisce in CRC, n. 113, p. 3, che la dichiarazione conciliare della libertà religiosa "ne dise matériellement autre chose que le Syllabus de 1864, et même à peu près le contraire des propositions 16, 17 et 19 de ce document". In realtà, né DH ripete quanto fu detto dal Syllabus del 1864, né il riconoscimento in essa d'un Antisillabo appartiene a Georges de Nantes. Teologi di ben altro calibro si pronunciaron in tal senso.
[77] Ibid. p. 183-185.

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